Kitabı oku: «Un’Impresa da Eroi», sayfa 15

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Un attimo dopo si udì uno stridio acuto: Thor si voltò e vide Erec che balzava sulla schiena della bestia, tenendo alta la sua spada con entrambe le mani e conficcandola nel collo del cinghiale. La bestia ringhiò, con il sangue che gli colava dalla bocca, poi crollò sulle ginocchia e stramazzò al suolo, con Erec sopra di lui. Si fermò a pochi piedi da Thor.

Tutti timasero lì, immobili al loro posto, guardandosi e chiedendosi cosa diavolo fosse appena successo.

CAPITOLO VENTIDUE

Thor, che portava Krohn all’interno della camicia, fu sopraffatto dal rumore quando Reece aprì la porta della birreria. Un grande gruppo di membri della Legione e soldati, stipati dentro, li accolsero con un grido. Era affollato e caldo all’interno, e Thor si trovò subito schiacciato tra i suoi compagni, spalla a spalla. Era stata una lunga giornata di caccia e tutti si erano riuniti lì, in questa birreria nel mezzo del bosco, per festeggiare. L’Argento aveva fatto strada e Thor, Reece e gli altri li avevano seguiti.

Dietro a Thor i gemelli, Conval e Conven, portavano il loro trofeo, il cinghiale, più grande di qualsiasi altro, su un lungo palo poggiato sulle loro spalle. Dovettero appoggiarlo fuori dalla taverna prima di entrare. Quando Thor vi diede un’ultima occhiata gli sembrò così feroce, era difficile credere che l’avevano ucciso.

Thor sentì un movimento all’interno della giacca e guardò il suo nuovo compagno, Krohn. Non riusciva ancora a credere di avere con sé un piccolo cucciolo di leopardo bianco. Lo stava guardando con i suoi occhi blu di cristallo e gemette. Thor capì che aveva fame.

Thor venne spinto all’interno della birreria, decine di uomini gridavano e lui si addentrò in quel luogo piccolo e affollato, che doveva avere una temperatura di almeno venti gradi maggiore rispetto all’esterno, per non parlare dell’umidità. Seguì Erec e Kendrick e fu a sua volta seguito da Reece, Elden, i gemelli e O’Connor, che aveva il braccio bendato per la ferita inferta dal cinghiale, ma almeno aveva smesso di sanguinare. O’Connor sembrava più meravigliato che dolorante, il suo buon umore era tornato, e l’intero gruppo avanzò lentamente nella stanza.

Si stava pressati, spalla a spalla, così stretti che c’era appena lo spazio per girarsi. C’erano lunghe panche, alcuni uomini stavano in piedi mentre altri sedevano, bevendo e cantando canzoni, battendo i boccali contro quelli dei loro amici o sul tavolo. Era un contesto chiassoso e festaiolo e Thor non aveva mai visto nulla di simile.

“Prima volta in una birreria?” chiese Elden, praticamente urlando per farsi sentire.

Thor annuì, sentendosi per un’altra volta un sempliciotto.

“Scommetto che non hai mai bevuto un boccale di birra, vero?” chiese Conven, dandogli una pacca sulla spalla, accompagnata da una risata.

“Certo che sì,” gridò Thor, sulla difensiva.

Ciononostante stava avvampando e sperò che nessuno se ne rendesse conto, perché, in effetti, non aveva quasi mai bevuto birra. Suo padre non glielo aveva mai concesso. E anche se avesse potuto, era certo che non se lo sarebbe potuto permettere.

“Bene allora!” gridò Conval. “Oste, portaci un giro di quella più forte. Thor qui è un vecchio professionista!”

Uno dei gemelli buttò sul tavolo una moneta d’oro, e Thor fu sbalordito per i soldi che quei ragazzi possedevano. Si chiese da che genere di famiglia venissero. Quella moneta sarebbe bastata alla sua famiglia per un mese intero, al villaggio.

Un attimo dopo una decina di boccali di birra spumosa furono fatti scivolare lungo il bancone e i ragazzi si fecero strada sgomitando per afferrarne uno; un barilotto venne spinto tra le mani di Thor. La schiuma traboccava oltre il bordo bagnandogli la mano ed il suo stomaco si aggrovigliò nell’attesa. Era nervoso.

“Alla nostra caccia!” gridò Reece.

“ALLA NOSTRA CACCIA!” risposero gli altri in coro.

Thor seguì gli altri, cercando di comportarsi in modo naturale, mentre portava il liquido spumoso alle labbra. Ne bevve un sorso e il sapore non gli piacque, ma vide che gli altri tracannavano la loro senza staccare il boccale dalle labbra fino a che non fosse vuoto. Thor si sentì obbligato a fare lo stesso, altrimenti sarebbe sembrato un codardo. Si sforzò di bere tutto, mandando giù più velocemente che poté, fino a che, alla fine, dopo mezzo bicchiere, rimise giù il boccale tossendo.

Gli altri lo guardarono e scoppiarono a ridere. Elden gli batté la schiena.

“È la tua prima volta, vero?” gli chiese.

Thor arrossì mentre si asciugava le labbra dalla schiuma. Fortunatamente, prima che riuscisse a rispondere, si udì un grido nella stanza, e tutti si voltarono a guardare numerosi musicisti che si facevano strada all’interno. Iniziarono a suonare liuti e flauti, a battere cembali, e l’atmosfera chiassosa si amplificò.

“Fratello mio!” disse una voce.

Thor si voltò e vide un ragazzo di qualche anno più vecchio di lui, con un po’ di pancia ma spalle larghe, con la barba di qualche giorno, e un aspetto in generale un po’ trascurato, venire avanti ed abbracciare Reece in modo goffo. Era in compagnia di tre amici, allo stesso modo trasandati.

“Non avrei mai pensato di trovarti qui!” aggiunse.

“Beh, una volta ogni tanto ho bisogno di seguire le orme di mio fratello, no?” gridò Reece, sorridendo. “Thor, conosci mio fratello Godfrey?”

Godfrey si voltò e strinse la mano di Thor, e Thor non potè fare a meno di notare quanto fosse liscia e molle. Non era la mano di un guerriero.

“Certo che conosco il nuovo arrivato,” disse Godfrey, chinandosi troppo su di loro e farfugliando mentre parlava. “Tutti il regno brulica di storie su di lui. Un bravo guerriero, a quanto si dice,” disse a Thor. “Un peccato. Che spreco di talento per la birreria!”

Godfrey si raddrizzò e proruppe in una fragorosa risata, i suoi tre compagni lo imitarono. Uno di loro, più alto di una testa rispetto agli altri, con una grossa pancia e guance rosse per il gran bere, si chinò in avanti e strinse una spalla di Thor.

“Il coraggio è una bella qualità. Ma ti manda sul campo di battaglia, e ti tiene al freddo. Essere un bevitore è una caratteristica migliore: ti tiene al sicuro e al caldo, e ti garantisce una bella donna al fianco!”

Rise fragorosamente, come gli altri, e l’oste mise sul tavolo boccali freschi di birra per tutti loro. Thor sperò che non gli chiedessero di bere, sentiva già che la birra gli dava alla testa.

“È stata la sua prima caccia oggi!” gridò Reece al fratello.

“Davvero?” rispose Godfrey. “Bene, allora questo richiede una bevuta, giusto?”

“O due!” gli fece eco l’amico alto.

Thor guardò mentre gli mettevano in mano un altro boccale.

“Alle prime volte!” gridò Godfrey.

“ALLE PRIME VOLTE!” gli fecero eco gli altri.

“Che la tua vita sia piena di prime volte,” ribatté il tizio alto, “fuorché per la prima volta da sobrio!”

Tutti risero rumorosamente mentre bevevano.

Thor sorseggiò la sua birra, poi cercò di smettere, abbassando il bicchiere, ma Godfrey lo afferrò.

“Non è così che si beve, ragazzo!” gridò Godfrey. Avanzò, afferrò il boccale, lo mise sulle labbra di Thor e tutti risero mentre Thor lo mandava giù. Mise giù il bicchiere, vuoto, e tutti esultarono.

Thor si sentiva la testa leggera. Stava iniziando a sentirsi fuori controllo ed era sempre più difficile mantenere la concentrazione. Quella sensazione non gli piaceva.

Thor sentì un altro movimento nella camicia e Krohn sollevò la testa.

“Bene, guarda cosa abbiamo qui!” gridò Godfrey felicemente sorpreso.

“È un cucciolo di leopardo,” disse Thor.

“L’abbiamo trovato durante la caccia,” aggiunse Reece.

“Ha fame,” disse Thor. “Non so esattamente cosa dargli da mangiare.”

“Ma birra, ovviamente!” gridò l’uomo alto.

“Davvero?” chiese Thor. “Gli farà bene?”

“Ma certo!” gridò Godfrey. “È solo luppolo, ragazzo!”

Godfrey immerse un ditto nella schiuma e lo tenne sospeso: Krohn si avvicinò col muso e lo leccò. Continuò a leccare e leccare.

“Visto, gli piace!”

Improvvisamente Godfrey ritrasse il ditto con un grido. Lo tenne stretto e mostrò il sangue.

“Denti aguzzi il piccoletto!” gridò, e tutti si misero a ridere.

Thor diede un colpetto alla testa di Krohn e versò il resto della sua birra nella bocca del leopardo. Krohn la leccò tutta e Thor si risolse poi a cercare del vero cibo. Sperava che Kolk gli avrebbe permesso di tenerlo nella baracca con lui e che nessuno della Legione avrebbe sporto obiezioni.

I musicisti cambiarono canzone e giunsero parecchi altri amici di Godfrey. Si avvicinarono e si unirono a loro con un altro giro di birre fresche, conducendo poi via Godfrey, di nuovo nella folla.

“Ci vediamo dopo, ragazzo,” disse Godfrey a Reece, prima di andarsene. Poi si rivolse a Thor: “Spero che trascorrerai più tempo in birreria!”

“Spero che trascorrerai più tempo sul campo di battaglia,” disse Kendrick.

“Ho parecchi dubbi al riguardo!” disse Godfrey, e rise fragorosamente con il resto della sua brigata, scomparendo nella folla.

“Festeggiano sempre in questo modo?” chiese Thor a Reece.

“Godfrey? Sta in birreria da quando ha imparato a camminare. Una delusione per mio padre. Ma è contento così.”

“No, intendo gli uomini del Re. La Legione. Si viene sempre in birreria?”

Reece scosse la testa.

“Oggi è un giorno speciale. La prima caccia e il solstizio d’estate. Non succede così spesso. Goditelo finché dura.”

Thor si sentiva sempre più disorientate mentre si guardava in giro. Non era quello il posto dove voleva stare. Voleva tornare alla caserma, agli allenamenti. E i suoi pensieri corsero ancora una volta a Gwendolyn.

“L’hai guardato bene?” chiese Kendrick, avvicinandosi a Thor.

Thor lo guardò perplesso.

“L’uomo, nel Bosco, quello che ha tirato la freccia?” aggiunse Kendrick.

Gli altri si strinsero attorno a loro, cercando di sentire, diventando tutti più seri.

Thor cercò ancora una volta di ricordare, ma non ci riusciva. Tutto era annebbiato.

“Vorrei tanto,” disse. “È successo tutto così in fretta.”

“Forse era solo un altro degli uomini del Re, che ha tirato verso di noi per sbaglio,” disse O’Connor.

Thor scosse la testa.

“Non era vestito come gli altri. Era tutto vestito di nero e portava un mantello col cappuccio. E ha tirato solo una freccia, mirando dritto a Kendrick, poi è scomparso. Mi dispiace. Vorrei aver visto di più.”

Kendrick scosse la testa, tentando di pensare.

“Chi potrebbe volerti morto?” chiese Reece a Kendrick.

“Era un assassino?” chiese O’Connor.

Kendrick scrollò le spalle. “Non ho nemici, che io sappia.”

“Ma nostro padre ne ha molti,” disse Reece. “Magari qualcuno vuole uccidere te per colpire lui.”

“Oppure qualcuno ti vuole fuori dalla salita al trono,” ipotizzò Elden.

“Ma è assurdo! Sono un figlio illegittimo! Non posso ereditare il trono!”

Mentre tutti scuotevano la testa, sorseggiando le loro birre e cercando si capirci qualcosa, si udì un altro grido nella stanza, e tutta l’attenzione degli uomini si rivolse alla scala che portava al piano di sopra. Thor guardò in alto e vide una fila di donne che uscivano da un atrio superiore e si appoggiavano ad una balaustra, guardando in basso nella stanza. Erano tutte vestite in modo succinto ed erano pesantemente truccate.

Thor arrossì.

“Buonasera uomini!” esordì la donna in testa al gruppo, con un seno prosperoso e un abito di pizzo rosso.

Gli uomini esultarono.

“Chi ha soldi da spendere stanotte?” chiese la donna.

Gli uomini esultarono di nuovo.

Thor sgranò gli occhi per la sorpresa.

“Questo posto è anche un bordello?” chiese.

Gli altri si voltarono a guardarlo in stupito silenzio, poi scoppiarono tutti a ridere.

“Omioddio, sei ingenuo però!” disse Conval.

“Non mi dire che non sei mai stato in un bordello?” disse Conven.

“Io scommetto che non è mai stato con una donna!” disse Elden.

Thor sentiva che tutti lo stavano guardando e che la sua faccia stava diventando rossa come una barbabietola. Voleva scomparire. Avevano ragione: non era mai stato con una donna. Ma non l’avrebbe mai ammesso. Si chiese se per caso dalla sua faccia fosse ovvio.

Prima di poter rispondere, uno dei gemelli gli diede un colpo ben assestato sulla schinena e lanciò una moneta d’oro alla donna sulle scale.

“Sono sicuro che hai il tuo primo cliente” gridò.

La stanza proruppe in un grido di esultanza e Thor, nonstante il suo spingere e tirare e resistere, si sentì spintonare da decine di uomini attraverso al folla e su per le scale. Mentre procedeva la sua mente si riempì di pensieri di Gwen. Di quanto la amava. E di quanto non volesse andare con nessun’altra.

Voleva voltarsi e correre via. Ma non c’era letteralmente alcuna via di fuga. Decine di uomini, tra i più grossi che avesse mai visto, lo spingevano avanti e non gli permettevano di svignarsela. Prima ancora di rendersene conto era in cima alle scale, sul pianerottolo, a fissare una donna che era più alta di lui, che aveva indosso troppo profumo e che gli sorrideva. A rendere peggiore la situazione, Thor era ubriaco. La stanza stava decisamente ruotando, senza controllo, e sentiva che da un momento all’altra sarebbe potuto collassare.

La donna afferò la camicia di Thor, lo tirò con decisione all’interno di una stanza e chiuse bruscamente la porta alle loro spalle. Thor era fermamente determinato a non andare con quella donna. Mantenne nella sua mente pensieri di Gwen, forzandoli a rimanere lì. Non era così che voleva la sua prima volta.

Ma la sua mente non lo ascoltava. Era così ubriaco da non riuscire neanche a vedere. E l’ultima cosa che ricordò, prima che tutto divenisse nero, era che veniva condotto attraverso la stanza, verso un letto, prima di sbattere contro il pavimento.

CAPITOLO VENTITRE

MacGil aprì a fatica gli occhi, svegliato da insistenti colpi alla porta, e subito desiderò non averlo fatto. La testa gli doleva da morire. La luce del sole faceva irruzione tra le finestre aperte del castello e si rese conto di avere la faccia schiacciata nella coperta di pelle di pecora. Disorientato, tentò di ricordare. Era a casa, nel suo castello. Tentò di riportare alla mente la notte precedente. Ricordava la caccia. Poi una birreira nel bosco. Troppo bere. In qualche modo doveva avercela fatta a tornare lì.

Guardò oltre e vide sua moglie, la Regina, che gli dormiva accanto, sotto le coperte, e si stava svegliando lentamente.

I colpi alla porta si ripeterono, il rumore fastidioso di un battacchio di ferro che sbatteva.

“Cosa può essere?” chiese irritata.

MacGil si stava chiedendo la medesima cosa. Ricordava di aver dato ai suoi servitori istruzioni precise di non svegliarlo, soprattutto dopo una caccia. Sarebbero stati cavoli amari per loro.

Era probabilmente il suo economo con un’altra bella questione finanziaria.

“Smettetela con quel dannato fracasso!” tuonò infine MacGil, rotolando fuori dal letto e sedendo con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Si passò le mani tra la barba e i capelli non lavati, poi si strofinò la faccia cercando di svegliarsi. La caccia – e la birra – lo avevano stravolto. Non era più allenato come un tempo. Gli anni avevano avuto la meglio: era esausto. In quel momento si sentiva di non voler bere mai più.

Con estremo sforzo drizzò le ginocchia e si mise in piedi. Con solo la veste da notte idosso attraversò rapidamente la stanza e raggiunse la spessa porta, afferrò la maniglia di ferro e la tirò.

In piedi davanti a lui c’era il suo primo generale, Brom, affiancato da due attendenti. Abbassarono la testa in segno di rispetto, ma il generale lo guardava fisso in viso con espressione greve in volto. MacGil odiava quando mostrava quell’espressione. Significava sempre brutte notizie. Erano momenti come quello che gli facevano odiare di essere Re. Si era divertito così tanto il giorno prima: una caccia grandiosa, che gli aveva ricordato di quando era giovane e spensierato. Soprattuttto trascorrere la notte in quel modo in birreria. Ora, essere brutalmente risvegliato a quel modo, gli portava via ogni illusione di pace.

“Mio signore, sono desolato di svegliarla,” disse Brom.

“Fai bene ad esserlo,” ringhiò MacGil. “Ti conviene che ci sia una ragione importante.”

“Lo è,” rispose.

Re MacGil colse la serietà sul suo volto e si girò a guardare da sopra la spalla per controllare la sua Regina. Si era riaddormentata.

MacGil fece loro cenno di entrare, poi li condusse attraverso la sua grande stanza da letto e oltre un’altra porta ad arco fino ad una camera attigua, chiudendo la porta dietro di loro per non disturbare sua moglie. Usava talvolta quella stanza più piccola, non più ampia di venti passi per ogni lato, arredata con alcune sedie e dotata di una grande vetrata colorata, quando non se la sentiva di scendere nel Grande Salone.

“Mio signore, le nostre spie ci hanno riferito di un contingente di uomini dei McCloud che avanzano ad est, verso il Mar Fabiano. E le nostre truppe del sud confermano la presenza di una flotta di navi reali che si dirigono verso nord. Si stanno di certo dirigendo qui per incontrare i McCluod.”

MacGil tentava di esaminare le informazioni, con il cervello che si muoveva troppo lentamente in quella condizione da alticcio.

“E?” sbottò, impaziente e stanco. Era così esausto di quelle interminabili macchinazioni, speculazioni e sotterfugi della sua corte.

“Se i MacCloud hanno veramente intenzione di incontrarsi con l’Impero, può esserci solo un motivo,” continuò Brom. “Cospirare di irrompere oltre il Canyon e oltrepassare l’Anello.

MacGil guardò il suo vecchio comandante, un uomo che aveva combattuto per trent’anni, e poté vedere nei suoi occhi una cupa serietà. Oltre a scorgere paura. Questo lo disturbava: quello era un uomo che non aveva mia temuto nulla.

MacGil si alzò lentamente, ritto in piedi – un’altezza ancora considerevole – e si voltò per attraversare la stanza fino alla finestra. Guardò fuori, monitorando la sua corte là sotto, vuota nelle prime ore della mattina, e meditò. Sapeva bene che un giorno come quello sarebbe arrivato prima o poi. Solo non aveva immginato che arrivasse così presto.

“È stato veloce,” disse. “Non sono passati che pochi giorni da che ho dato in sposa mia figlia al loro principe. E ora credi che stiano già cospirando di attaccarci?”

“Sì, mio signore,” rispose Brom sinceramente. “Non vedo altri motivi. Tutte le indicazioni portano a pensare che il loro sia un incontro pacifico. Non uno militare.”

MacGil scosse lentamente la testa.

“Ma non ha senso. Non potrebbero permettere all’Impero di entrare qui. Perché dovrebbero farlo? Anche se per qualche ragione riuscissero ad affievolire lo Scudo dalla loro parte ed aprire una breccia, cosa potrebbe succedere poi? L’Impero assedierebbe anche loro. Neanche loro sarebbero al sicuro. Di certo lo sanno.”

“Forse hanno intenzione di siglare un accordo,” ribatté Brom. “Forse lasceranno entrare l’Impero con il patto che attacchino solo noi, cosicché i McCloud potranno avere il controllo dell’Anello.”

MacGil scosse la testa.

“I McCloud sono troppo furbi per questo. Sono abili. Sanno che non ci si può fidare dell’Impero.”

Il generale scrollò le spalle.

“Può darsi che vogliano il controllo dell’Anello a tal punto da tentare questo passo. Soprattutto ora che hanno vostra figlia come loro regina.”

MacGil rifletté. La testa gli martellava. Non voleva occuparsi di questo ora. Non così presto la mattina.

“E allora cosa proponi?” chiese, facendola breve, stanco di tutte quelle congetture.

“Potremmo anticiparli, signore, ed attaccare noi i McCloud. Ora sarebbe il momento giusto.”

MacGil non ci poteva credere.

“Subito dopo aver dato loro mia figlia in sposa? Non penso proprio.”

“Se non lo facciamo,” replicò Brom, “permettiamo loro di scavarci la fossa. Ci attaccheranno di certo. Se non ora, più tardi. E se si uniscono all’Impero, saremo finiti.”

“Non riusciranno ad attraversare così facilmente l’Altopiano. Abbiamo noi il controllo di tutte le strettoie. Sarebbe una carneficina. Anche con l’Impero al seguito.”

“L’impero ha milioni di uomini di riserva,” rispose Brom. “Non possono permettersi una carneficinia.”

“Neppure con lo scudo inabilitato,” disse macGil, “non sarebbe facile far marciare milioni di soldati attraverso il Canyon, o attraverso l’Altopiano, o avvicinarsi via mare. Avvisteremmo un movimento del genere con largo anticipo. Ne verremmo avvisati.”

MacGil pensò.

“No, non attaccheremo. Ma per ora possiamo fare una mossa prudente: raddoppiare le nostre pattuglie sull’Altopiano. Rafforzare i bastioni. E raddoppiare la spie. Questo è tutto.”

“Sì, mio signore,” disse Brom voltandosi insieme ai suoi tenenti ed uscendo di corsa dalla stanza.

MacGil ri rigirò verso la finestra con la testa che gli esplodeva. Avvertiva che la guerra era all’orizzonte, che avanzava verso di lui con l’inevitabilità di una tempesta invernale. Inoltre percepiva che non c’era nulla da fare per evitarla. Si guardò attorno: il castello, la pietra, l’intatta corte reale che si dipanava sotto di lui, e non poté fare a meno di pensare a quanto tutto questo sarebbe durato.

Cosa avrebbe dato per un altro bicchiere.

Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
10 ekim 2019
Hacim:
321 s. 3 illüstrasyon
ISBN:
9781939416742
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