Kitabı oku: «Un Regno D’acciaio », sayfa 4

Yazı tipi:

“Oggi sei diventato uomo, fratello mio,” gli disse con sincerità, mettendogli un braccio attorno alle spalle. “Nostro padre ne sarebbe orgoglioso.”

Godere sorrise con fare impacciato.

“Volevo solo avvisarti,” le disse.

Lei gli sorrise.

“Hai fatto ben di più.”

Di seguito sopraggiunsero Elden, O’Connor, Conven e decine di membri della Legione.

“Mia signora,” disse Elden. “I nostri uomini hanno combattuto valorosamente oggi. Ma sono triste di dover annunciare che comunque ne abbiamo persi molti.”

Gwen guardò oltre Elden e vide i corpi morti disseminati per la Corte del Re. Migliaia di McCloud, ma anche decine di reclute della Legione. Anche una manciata di membri dell’Argento erano morti. Questo le riportò alla memoria ricordi dolorosi della volta che la loro città era stata invasa. Le era doloroso guardare.

Si voltò e vide una decina di McCloud, prigionieri ancora vivi, a testa bassa e con le mani legate dietro alla schiena.

“E quelli chi sono?” chiese.

“I loro generali,” rispose Kendrick. “Li abbiamo tenuti in vita. È tutto ciò che rimane del loro esercito. Cosa ordini di farne?”

Gwen li osservò lentamente, fissandoli negli occhi uno per uno. Tutti ricambiarono lo sguardo, con atteggiamento orgoglioso e disobbediente. Avevano i volti grezzi, da tipici McCloud, neanche un briciolo di rimorso.

Gwen sospirò. C’era stato un tempo in cui aveva pensato che la pace fosse la risposta a ogni cosa, che se fosse stata sufficientemente gentile e carina con i suoi vicini, mostrando loro la necessaria benevolenza, allora anche loro si sarebbero comportati allo stesso modo con lei e con la sua gente.

Ma più governava e più vedeva che gli altri interpretavano le dimostrazioni di pace come segno di debolezza, come qualcosa da cui prendere vantaggio. Tutti i suoi sforzi di pace erano culminati in questo: un attacco a sorpresa. E nientemeno che nel Giorno del Pellegrinaggio, il giorno più sacro dell’anno.

Gwendolyn si sentì indurire. Non aveva più la medesima ingenuità, la medesima fede nell’uomo di un tempo. Sempre di più aveva fiducia solo in una cosa: un regno d’acciaio.

Mentre Kendrick e gli altri la guardavano, Gwendolyn alzò la voce: “Uccideteli tutti,” disse.

Sgranarono gli occhi sorpresi, pieni di rispetto per lei. Era evidente che non se l’aspettavano dalla loro regina, che si era sempre data da fare per la pace.

“Ho sentito bene, mia signora?” le chiese Kendrick con voce scioccata.

Gwendolyn annuì.

“Sì,” rispose. “Quando avete finito, raccogliete i cadaveri e buttateli fuori dai cancelli.”

Gwendolyn si voltò e si allontanò, attraversando il cortile della Corte del Re. Alle sue spalle si levarono le grida dei McCloud che nonostante tutto la fecero trasalire.

Attraversò la città disseminata di cadaveri, ma anche dell’esultanza, della musica e delle danze di migliaia di persone che tornavano alle loro abitazioni, riempiendo nuovamente la città come se non fosse successo niente di male. Mentre li guardava il suo cuore si riempì di timore.

“La città è nostra di nuovo,” disse Kendrick, affiancandola.

Gwendolyn scosse la testa.

“Solo per poco.”

Lui la guardò sorpreso.

“Cosa intendi dire?”

Lei si fermò e lo fissò.

“Ho visto le profezie,” rispose. “Gli antichi scritti. Ho parlato con Argon. Ho fatto un sogno. Sta per arrivare un attacco. È stato un errore tornare qui. Dovremmo sfollare tutti subito.”

Kendrick la guardò con volto cinereo e Gwen sospirò scrutando la sua gente.

“Ma loro non mi vogliono ascoltare.”

Kendrick scosse la testa.

“E se ti stessi sbagliando?” le disse. “Se stessi magari guardando troppo accuratamente le profezie? Abbiamo l’esercito migliore e più forte al mondo. Niente può raggiungere i nostri cancelli. I McCloud sono morti e non ci sono rimasti altri nemici nell’Anello. Non hai nulla da temere. Lo Scudo è attivo e forte. E abbiamo anche Ralibar, ovunque lui sia. Non c’è davvero nulla di cui avere paura. Nessuno di noi deve temere nulla.”

Gwendolyn scosse la testa.

“È proprio il genere di momento in cui si dovrebbe temere di più,” rispose.

Kendrick sospirò.

“Mia signora, questo è stato solo un attacco isolato,” le disse. “Ci hanno sorpresi nel Giorno del Pellegrinaggio. Non lasceremo mai più la Corte del Re priva di sorveglianza. Questa città è una fortezza. Ha tenuto per migliaia di anni. E non è rimasto nessuno da dover abbattere.”

“Ti sbagli,” gli rispose.

“Va bene. Ammesso che mi sbagli, la tua gente non se ne andrà comunque. Sorella mia,” disse Kendrick con voce dolce e implorante, “ti voglio bene. Ma parlo da comandante. Da comandante dell’Argento. Se provi a costringere il tuo popolo a sfollare, a far fare loro ciò che non vogliono fare, ti troverai una rivolta tra le mani. Loro non vedono il pericolo che vedi tu. E ad essere onesto, neanche io.”

Gwendolyn guardò la gente e capì che Kendrick aveva ragione. Non l’avrebbero ascoltata. Neanche suo fratello le credeva.

E questo le spezzava il cuore.

*

Gwendolyn si trovava sola sul parapetto più alto del castello e teneva Guwayne stretto in braccio mentre guardava il tramonto dei due soli che scendevano all’orizzonte. In basso sentiva le grida sommesse e i festeggiamenti della sua gente che si preparava a una grande notte di celebrazione. In lontananza poteva ammirare la veduta delle interminabili terre che circondavano la Corte del Re, un regno al picco della sua potenza. Ovunque prosperava l’abbondanza dell’estate, infiniti campi di verde, frutteti, una terra ricca e prospera. Il territorio era florido, ricostruito dopo così tante tragedie, e lei stessa poteva vedere un mondo di pace.

Gwendolyn aggrottò la fronte, chiedendosi come una qualsiasi forma di oscurità potesse ora raggiungerli. Forse il buio che aveva immaginato era già sopraggiunto sotto forma di McCloud. Forse era già stato debellato grazie a Kendrick e agli altri. Forse Kendrick aveva ragione. Magari era lei che era diventata troppo sospettosa da quando era diventata regina, vedendo forse troppe tragedie. Forse, come diceva Kendrick stesso, stava guardando troppo a fondo nelle cose.

Dopotutto per far evacuare le persone dalle loro case, condurle al di là del Canyon, imbarcarle su delle navi e andare alle lontane Isole Superiori sarebbe stata una mossa drastica, una mossa riservata a un momento di gravissima calamità cosa sarebbe successo se lei avesse agito in tal modo e non fosse poi accaduto nulla all’Anello? Sarebbe sempre stata ricordata come la regina che andava in panico senza alcun pericolo in vista.

Gwendolyn sospirò, stringendo Guwayne che si dimenava tra le sue braccia, chiedendosi se stesse forse perdendo la testa. Sollevò lo sguardo e scrutò il cielo per cercare qualsiasi segno di Thorgrin, sperando e pregando. Almeno sperava di vedere Ralibar, ovunque egli si trovasse. Ma neppure lui era più tornato.

Gwen si trovò di fronte un’altra volta un cielo vuoto e ne fu contrariata. Ancora una volta avrebbe dovuto contare solo sulle proprie forze. Addirittura la sua gente, che l’aveva sempre sostenuta, che l’aveva guardare come fosse una dea, ora sembrava non fidarsi più di lei. Suo padre non l’aveva mai preparata a questo. Senza il sostegno del suo popolo, che genere di regina sarebbe mai stata? Priva di potere.

Gwen avrebbe voluto disperatamente rivolgersi a qualcuno per conforto, per risposte. Ma Thorgrin era partito, sua madre non c’era più, allo stesso modo sembrava che chiunque lei conoscesse e amasse l’avesse abbandonata. Si sentiva a un bivio e non era mai stata così confusa.

Gwen chiuse gli occhi e chiamò Dio perché l’aiutasse. Cercò con tutta la sua volontà di invocarlo. Non era mai stata una che pregava moltissimo, ma la sua fede era forte e lei era certa che Dio esistesse.

Ti prego, Dio. Sono così confusa. Mostrami come meglio proteggere il mio popolo. Mostrami come meglio proteggere Guwayne. Mostrami come essere una grande sovrana.

“Le preghiere sono qualcosa di grandioso,” disse una voce.

Gwen si voltò di colpo, immediatamente sollevata di udire quel suono. Lì, a pochi metri da lei, c’era Argon. Era vestito come al solito con la sua tunica bianca con il cappuccio, teneva in mano il suo bastone e guardava l’orizzonte invece che lei.

“Argon, ho bisogno di risposte. Ti prego. Aiutami.”

“Abbiamo sempre bisogno di risposte,” rispose lui. “Eppure non sempre ne riceviamo. Le nostre vite sono intese per essere vissute. Il futuro non ci può essere sempre raccontato.”

“Ma ci possono essere dati degli indizi,” disse Gwendolyn. “Tutte le profezie che ho letto, tutti i papiri di carta, la storia dell’Anello: si parla ancora di un grande periodo buio che verrà. Devi raccontarmi. Succederà?”

Argon si voltò a guardarla, gli occhi infuocati, più oscuri e spaventosi che mai.

“Sì,” le rispose.

La determinatezza della sua risposta la spaventò più di ogni altra cosa. Lui, Argon, che parlava sempre per indovinelli.

Gwen tremò dentro di sé.

“Capiterà qui, alla Corte del Re?”

“Sì,” le rispose ancora.

Gwen sentiva che il suo senso di timore si faceva più intenso. Si sentiva anche sicura e convinta di aver sempre avuto ragione.

“L’Anello verrà distrutto?” gli chiese.

Argon la guardò e annuì lentamente.

“Sono rimaste poche cose che posso ancora raccontarti,” le disse. “Se lo scegli, questa può essere una di queste.”

Gwen ci pensò a lungo e intensamente. Sapeva che la saggezza di Argon era preziosa. Eppure questa era una cosa che aveva veramente bisogno di sapere.

“Raccontami tutti,” gli disse.

Argon fece un respiro profondo e si voltò a guardare l’orizzonte per un tempo che sembrò eterno.

“L’Anello verrà distrutto. Tutto ciò che conosci e ami verrà spazzato via. Il posto dove ora ti trovi non sarà altro che braci ardenti e cenere. Tutto l’Anello verrà ridotto in cenere. La tua nazione sparirà. Il buio sta sopraggiungendo. Un buio più intenso che mai prima d’ora nella nostra storia.”

Gwendolyn percepiva la verità delle sue parole riverberare dentro di sé, sentì il timbro profondo della sua voce risuonarle nel profondo. Seppe subito che ogni singola parola era vera.

“Il mio popolo non lo capisce,” disse con voce tremante.

Argon scrollò le spalle.

“Sei una regina. A volte è necessario usare la forza. Non solo contro i propri nemici, ma anche addirittura contro il proprio popolo. Fai quello che sai. Non cercare sempre e per forza l’approvazione della tua gente. L’approvazione è un elemento sfuggente. A volte, quando la gente ti odia più che mai, è segno che stai facendo la cosa giusta per loro. Tuo padre è stato benedetto da un regno di pace. Ma tu, Gwendolyn, dovrai affrontare una prova ben più ardua: tu avrai un regno d’acciaio.”

Quando Argon si voltò per allontanarsi, Gwendolyn si fece avanti e si allungò per fermarlo.

“Argon,” lo chiamò.

Lui si fermò, ma senza voltarsi.

“Dimmi solo un’altra cosa. Ti imploro. Rivedrò mai più Thorgrin?”

Argon fece una pausa, un lungo e pesante silenzio. In quel cupo silenzio lei sentì il proprio cuore spezzarsi in due, sperando e pregando che le desse solo quella risposta in più.

“Sì,” le rispose.

Gwen rimase lì, con il cuore che le martellava nel petto, desiderosa di sapere di più.

“Non puoi dirmi niente di più?”

Si voltò guardandola negli occhi, con sguardo triste.

“Ricorda la scelta che hai fatto. Nessun amore è destinato a durare per sempre.”

In alto Gwen udì il verso di un falco e sollevò lo sguardo pensierosa.

Poi si voltò nuovamente verso Argon, ma lui era già sparito.

Strinse Guwayne a sé e osservò il suo regno dall’alto, dando un’ultima lunga occhiata, desiderosa di ricordarlo così com’era, ora che era ancora vibrante e vivo. Prima che tutto divenisse cenere. Si chiese con timore quale grande pericolo potesse essere in agguato oltre quella patina di abbondanza. Tremò sapendo, senza alcun dubbio, che l’avrebbe scoperto molto presto.

CAPITOLO SETTE

Stara gridava mentre precipitava, dimenandosi, con accanto Reece, Mati e Srog: tutti e quattro stavano cadendo dalle pareti del castello avvolti dal vento e dalla pioggia accecanti, scagliati verso terra. Stara si preparò all’impatto quando vide i grossi cespugli che le si avvicinavano rapidamente e si rese conto che probabilmente sarebbe sopravvissuta a quella caduta solo grazie ad essi.

Un attimo dopo si sentì come se tutte le ossa del suo corpo si spezzassero andando a sbattere violentemente contro il cespuglio – che parò appena il tonfo – continuando poi fino a terra. Si sentì senza fiato e fu certa di essersi rotta almeno una costola. Ma allo stesso tempo si ritrovò a sprofondare di diversi centimetri, rendendosi conto che il terreno era più molle e più fangoso di quanto si fosse aspettata, tanto da attutire la sua caduta.

Anche gli altri atterrarono accanto a lei e tutti iniziarono a ruzzolare nel fango. Stara non aveva previsto che sarebbero atterrati su un terreno in ripida discesa e prima di potersi fermare si ritrovò a scivolare insieme agli altri verso valle, tutti imprigionati in uno scivolo di fango.

Rotolarono e scivolarono e da subito l’acqua scrosciante li trasportò facendo loro discendere il versante della montagna a tutta velocità. Mentre scivolava Stara si guardò alle spalle e vide il castello di suo padre scomparire rapidamente alla vista, rendendosi conto che almeno se ne stavano andando, allontanandosi dai loro aggressori.

Riguardò poi verso il basso e cercò di scansare le rocce che si trovavano lungo la loro traiettoria. Scendevano così velocemente che Stara quasi non riusciva a respirare. Il fango era incredibilmente scivoloso e la pioggia scendeva con una tale violenza che il mondo le ruotava attorno a velocità vorticosa. Cercò di rallentare afferrando il fango con le mani, ma era impossibile.

Proprio quando si stava chiedendo se sarebbe mai finita, venne pervasa dal terrore ricordando dove quella discesa conduceva: proprio oltre lo sperone roccioso. Si rese conto che se non si fossero fermati presto, sarebbero morti tutti.

Stara vide che nessuno degli altri riusciva a fermarsi: tutti si dimenavano e sbuffavano facendo del loro meglio, ma senza risultato. Stara guardò oltre e vide con orrore che la caduta si stava facendo sempre più vicina. Senza alcun modo per fermarsi stavano tutti per raggiungere il ciglio del burrone.

Stara vide improvvisamente che Srog e Mati viravano verso sinistra, in direzione di una piccola caverna arroccata sul ciglio del precipizio. In qualche modo erano riusciti a colpire le rocce con i piedi fermandosi un momento prima di volare nel vuoto.

Anche lei cercò allora di affondare i talloni nel fango, ma non funzionò: non fece che ruotare e ruzzolare ulteriormente e vedendo che il burrone si faceva sempre più vicino gridò, sapendo che in un attimo si sarebbe trovata oltre il ciglio.

Improvvisamente sentì una mano brusca afferrarle la camicia sulla schiena facendola rallentare e alla fine fermandola. Stara sollevò lo sguardo e vide Reece. Si teneva stretto a un alberello con un braccio avvinghiato attorno al tronco, sul limitare del precipizio, e con l’altra mano teneva lei con forza mentre acqua e fango continuavano a scorrere e a spingerla. Stara stava continuando a scivolare e si trovò quasi a penzolare oltre il ciglio. Reece l’aveva in parte fermata, ma rischiava ancora di precipitare.

Reece non poteva continuare a tenerla e lei sapeva che se non l’avesse lasciata andare sarebbero precipitati insieme. Sarebbero morti tutti e due.

“Lasciami andare!” gli gridò.

Ma lui scosse la testa ostinato.

“Mai!” le rispose, con l’acqua che gli scendeva sul viso.

Improvvisamente Reece lasciò andare l’albero e afferrò i suoi polsi con entrambe le mani. Allo stesso tempo si avvinghiò all’albero con le gambe, tenendosi da dietro. Tirò poi Stara a sé con tutte le sue forze, sostenuto solo dalle proprie gambe.

Con un ultimo movimento sbuffando e gridando riuscì a trascinarla fuori dalla corrente, di lato, mandandola a rotolare verso la grotta dove si trovavano gli altri. Anche lui ruzzolò insieme a lei, portandosi fuori dalla corrente e aiutandola a strisciare facendosi strada.

Quando raggiunsero la salvezza della caverna Stara collassò esausta a faccia in giù nel fango, completamente grata di essere viva.

Mentre giacevano lì, respirando affannosamente e zuppi d’acqua, si chiese non tanto quanto vicina fosse andata alla morte, ma piuttosto un’altra cosa: Reece la amava ancora? Si rese conto di essere più interessata a questo che all’essere o meno in vita.

*

Stara sedeva rannicchiata attorno al piccolo fuoco all’interno della grotta, gli altri vicini a lei, finalmente iniziando a sentirsi un po’ asciutta. Si guardò attorno e si rese conto che tutti e quattro sembravano reduci di guerra: le guance scavate, tutti con gli occhi fissi nelle fiamme, sfregandosi le mani e cercando di ripararsi dagli incessanti umidità e freddo. Ascoltavano il vento e la pioggia, elementi costanti delle Isole Superiori, che imperversavano all’esterno. Sembravano non smettere mai.

Era notte ora e avevano aspettato l’intera giornata per accendere quel fuoco per paura di essere visti. Alla fine si erano trovati tutti così infreddoliti, stanchi e immiseriti che avevano rischiato. Stara sentiva che era passato abbastanza tempo dalla loro fuga. Inoltre non c’era modo che quegli uomini osassero avventurarsi verso il dirupo. Era troppo ripido e umido e se l’avessero fatto sarebbero morti nel tentativo.

Loro quattro comunque erano intrappolati lì, come dei prigionieri. Se avessero messo piede fuori dalla grotta alla fine un esercito di abitanti delle Isole Superiori li avrebbe trovati e uccisi. Suo fratello non avrebbe avuto misericordia di lei. Non c’era alcuna speranza per loro.

Sedeva accanto a Reece – pensieroso e distaccato – e si interrogava sugli eventi. Aveva salvato la vita di Reece nella fortezza, ma lui aveva salvato la sua vicino al burrone. Le voleva ancora bene come un tempo? Allo stesso modo in cui lei teneva a lui? O era ancora amareggiato per ciò che era accaduto a Selese? La biasimava per questo? L’avrebbe mai perdonata?

Stara non poteva immaginare il dolore che lui stava attraversando mentre sedeva lì, la testa tra le mani, guardando le fiamme come un uomo perduto. Si chiese cosa gli stesse passando in mente. Sembrava un uomo cui non fosse rimasto nulla da perdere, un uomo che era stato al limite della sofferenza e non era più tornato indietro. Un uomo distrutto dalla colpa. Non sembrava più l’uomo che lei conosceva un tempo, l’uomo così pieno di gioia e amore, con il sorriso pronto, quello che l’aveva sommersa d’amore e affetto. Ora pareva invece che qualcosa fosse per sempre morto dentro di lui.

Stara sollevò lo sguardo, timorosa di incontrare gli occhi di Reece, ma avendo allo stesso tempo bisogno di vedere il suo volto. Sperava segretamente che lui si sarebbe voltato a guardarla e che la stesse pensando. Ma quando lo vide le si spezzò il cuore constatando che lui non la stava guardando per niente. Fissava semplicemente le fiamme con l’espressione più sola che mai stampata in viso.

Stara non poté evitare di chiedersi per la milionesima volta se qualsiasi cosa fosse esistita tra loro fosse ora finita per sempre, rovinata dalla morte di Selese. Per la milionesima volta maledisse i suoi fratelli e suo padre per aver messo in moto un piano così subdolo. Aveva sempre voluto Reece per sé ovviamente, ma non avrebbe mai accettato il sotterfugio che aveva ora portato alla morte di Selese. Non aveva mai desiderato che Selese morisse o che le fosse fatto del male. Aveva solo sperato che Reece le desse la notizia in modo gentile e che lei, sebbene contrariata, avrebbe capito, certo senza togliersi la vita, né distruggere quella di Reece.

Ora tutti i piani di Stara, il suo intero futuro, erano crollati davanti ai suoi occhi a causa della sua orribile famiglia. Mati era l’unica persona razionale rimasta nella sua linea di sangue. Ma Stara si chiedeva comunque cosa ne sarebbe stato di lui, di tutti loro quattro. Sarebbero rimasti a marcire lì, morendo in quella grotta? Alla fine dovevano cercare di andarsene. E gli uomini di suo fratello, lo sapeva bene, erano inarrestabili. Non si sarebbe fermato fino a che non li avesse uccisi tutti, soprattutto dopo che Reece aveva assassinato suo padre.

Stara pensava che avrebbe provato un po’ di tristezza per la morte di suo padre, eppure non ne sentiva neanche un poca. Odiava quell’uomo, l’aveva sempre odiato. Almeno si sentiva sollevata, addirittura grata che Reece l’avesse ucciso. Era stato un guerriero e un re bugiardo e privo di qualsiasi onore per tutta la vita e non si era per niente rivelato un buon padre per lei.

Stara guardò tutti quei tre guerrieri seduti con espressione devastata. Erano in silenzio da ore e si chiese se nessuno di essi avesse un piano. Srog era gravemente ferito e anche Mati e Reece erano stati colpiti, anche se le loro ferite erano minori. Sembravano tutti congelati fino al midollo, abbattuti dal tempo di quel luogo e dagli eventi che si erano rivoltati contro di loro.

“Abbiamo intenzione di stare seduti in questa grotta e morire qui?” chiese Stara spezzando il fitto silenzio, non più capace di sopportare quella monotonia e quella tristezza.

Lentamente Srog e Mati la guardarono, ma Reece non sollevò lo sguardo.

“E dove suggerisci di andare?” chiese Srog sulla difensiva. “Tutta l’isola pullula di uomini di tuo fratello. Che possibilità abbiamo contro di loro? Soprattutto ora che sono infuriati per la nostra fuga e per la morte di tuo padre?”

“Ci hai messo in un bel casino, cugino mio,” disse Mati sorridendo e mettendo una mano sulla spalla di Reece. “Hai compiuto un gesto coraggioso. Forse il più coraggioso che io abbia mai visto in vita mia.”

Reece scrollò le spalle.

“Mi ha portato via la mia sposa. Meritava di morire.”

Stara rabbrividì alla parola sposa. Le spezzò il cuore. La scelta di quella parola le fece capire tutto chiaramente: Reece era ancora innamorato di Selese. Non voleva neanche guardare Stara in faccia. Le veniva voglia di piangere.

“Non preoccuparti cugino,” gli disse Mati. “Sono felice che mio padre sia morto e sono ancora più felice che sia stato tu a ucciderlo. Non ti biasimo. Ti ammiro. Anche se in tutta questa baraonda ci hai fatti quasi uccidere tutti.”

Reece annuì, chiaramente apprezzando le parole di Mati.

“Ma nessuno ha risposto alla mia domanda,” disse Stara “Che piano abbiamo? Di morire tutti qui?”

“Qual è il tuo piano?” le chiese Reece con voce cruda e severa.

“Non ne ho uno,” rispose. “Ho fatto la mia parte. Ho fatto in modo di portarci in salvo da quel posto.

“Sì, l’hai fatto,” ammise Reece continuando a guardare il fuoco piuttosto che il suo volto. “Ti devo la vita.”

Stara provò un barlume di speranza alle parole di Reece, anche se ancora lui non incrociava il suo sguardo. Si chiese se magari, dopotutto, non la odiasse poi così tanto.

“E tu hai salvato la mia,” gli rispose. “Dal ciglio del burrone. Siamo pari.”

Reece continuò a fissare le fiamme.

Stara attese che le dicesse qualcos’altro, che le confessasse che l’amava, che le dicesse qualsiasi cosa. Ma non disse nulla. Stara si ritrovò ad arrossire.

“È così dunque?” disse. “Non abbiamo nient’altro da dirci? È finita tra noi?”

Reece sollevò la testa guardandola per la prima volta negli occhi con espressione sbalordita.

Stara non poté sopportare oltre. Balzò in piedi e si allontanò dagli altri, portandosi al limitare della caverna dando loro le spalle. Fissava la notte, la pioggia e il vento e pensava: era tutto finito tra lei e Reece? Se era davvero così non aveva altra ragione per continuare a vivere.

“Possiamo fuggire fino alle navi,” disse Reece alla fine, dopo un interminabile silenzio, squarciando la notte con le sue brusche parole.

Stara si voltò a guardarlo.

“Fuggire alle navi?” chiese lei.

Reece annuì.

“I nostri uomini sono là sotto, al porto. Dobbiamo raggiungerli. È l’ultimo territorio MacGil rimasto in questo luogo.”

Stara scosse la testa.

“È un piano avventato,” disse. “Le navi verranno circondate, se non le hanno già distrutte. Dovremmo affrontare tutti gli uomini di mio fratello per raggiungerle. Meglio nascondersi da qualche altra parte sull’isola.”

Reece scosse la testa determinato.

“No,” disse. “Quelli sono i nostri uomini. Dobbiamo unirci a loro, a qualsiasi costo. Se verranno attaccati, allora moriremo combattendo con loro.”

“Sembra che tu non capisca,” ribatté Stara con uguale determinazione. “Alla luce del giorno migliaia di uomini di mio fratello pattuglieranno le coste. Non c’è modo di oltrepassarli.”

Reece si alzò in piedi spazzando via l’umidità, con il fuoco negli occhi.

“E allora non aspetteremo la luce del giorno,” disse. “Andiamo ora. Prima che sorga il sole.”

Anche Mati si alzò lentamente in piedi e Reece guardò Srog.

“Srog?” chiese Mati. “Ce la puoi fare?”

Srog sorrise e balzò in piedi mentre Mati gli porgeva una mano.

“Non vi voglio essere d’impaccio,” disse. “Andate senza di me. Io resterò qui nella caverna.”

“Ma morirai qua dentro,” disse Mati.

“Quindi vorrà dire che voi non morirete con me,” rispose.

Reece scosse la testa.

“Nessun uomo va lasciato indietro,” disse. “Tu verrai con noi, costi quel che costi.”

Reece, Mati e Srog si avvicinarono a Stara all’ingresso della grotta, guardando il vento ululante e la pioggia. Stara guardò i tre uomini, chiedendosi se fossero pazzi.

“Volevi un piano,” le disse voltandosi verso di lei. “Bene, ora ne abbiamo uno.”

Lei scosse la testa lentamente.

“Spericolati,” disse. “Così sono fatti gli uomini. Probabilmente moriremo mentre andiamo verso le navi.”

Reece scrollò le spalle.

“Un giorno moriremo comunque.”

Mentre stavano tutti lì guardando gli elementi e aspettando il momento perfetto, Stara attese che Reece facesse qualcosa, qualsiasi cosa: le prendesse la mano e le mostrasse, anche con un minimo gesto, che ancora le voleva bene.

Ma non fece nulla. Tenne le proprie mani lungo i fianchi e Stara si sentì irrigidire, spezzata dentro. Si preparò a imbarcarsi, non curandosi più di quale destino la stesse attendendo. Mentre uscivano tutti nell’oscurità si rese conto che senza l’amore di Reece non le era rimasto nulla da perdere.

Ücretsiz ön izlemeyi tamamladınız.