Kitabı oku: «Tornanti», sayfa 2

Yazı tipi:

DUE

BUFFALO, WYOMING

18 settembre 1976, ore 10 di mattina

Susanne

Susanne sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa, ma non si sentiva tale.

Trish stava ancora ronfando e Perry era parcheggiato davanti alla TV a guardare il college football. Dette un’occhiata a suo figlio. Stava a pancia in giù sul tappeto marrone a pelo lungo, con indosso solo le mutande di Superman. Il mento tra le mani, le ginocchia piegate, i piedi che dondolavano nell’aria. Un mini Burt Reynolds sul suo tappeto di pelle d’orso, pensò, e ridacchiò. Nessuno dei due figli era pronto per la partenza. Nessuno dei due aveva preparato i bagagli. Nemmeno lei, se era per questo.

Sorseggiò una tazza calda di quella che Patrick chiamava la sua “acqua color caffè”. Erano le dieci di mattina ed era seduta al tavolo della cucina con indosso un caftano rosso vivo che si era fatta lei stessa. Un programma radiofonico locale che promuoveva vendite di seconda mano stava offrendo cuccioli, forniture per recinzioni e finimenti per cavalli da tiro. Rivaleggiava con la TV nell’altra stanza e il russare di Ferdinand, il loro levriero irlandese trovatello che mangiava come una betoniera e puzzava perennemente come se si fosse rotolato sopra un cane della prateria morto. Attraverso la finestra panoramica in fondo al soggiorno e sala da pranzo, Susanne poteva vedere le foglie autunnali dorate sui pioppi nel cortile posteriore, che brillavano con il sole e la brezza. Nonostante l’incalzare del ticchettio dell’orologio, non si mosse. Sentiva una tremenda mancanza di sua madre e di sua sorella, che la paralizzava. Aveva già esaurito il suo budget mensile per le chiamate interurbane parlando con loro nelle prime due settimane del mese. Le lettere sarebbero anche andate bene, ma ne riceveva solo una su tre che inviava loro. Le capiva. L’una aveva l’altra e la propria famiglia, gli amici e la comunità. Era lei quella a essere sola.

Perché Patrick aveva dovuto farli andare a vivere così lontano da tutti quelli a cui tenevano? A parte loro stessi, ovviamente. Sembrava che stesse cercando di ritrovare un elemento, il posto, del sogno che aveva abbandonato per seguire la facoltà di medicina: fare felicemente il biologo della fauna selvatica o la guardia forestale, anche se poco pagato. Certo, si era fatta qualche amica a Buffalo, ma non era come dove viveva prima. Beh, tranne che con Evangeline Sibley. La moglie incinta dell’allevatore era una buona alternativa a sua sorella. E Patrick era a sua volta un grande amico del marito di Vangie, Henry. A parte lei, le donne native del Wyoming erano semplicemente troppo mascoline e amanti della vita all’aria aperta per Susanne. La maggior parte di loro non aveva mai visto un tubetto di rossetto o una scatolina di fard. Andavano a caccia e a pesca con, o senza, gli uomini. Susanne era orgogliosa di essere una donna del Sud. Non voleva essere come loro, ma in qualche modo si sentiva comunque... non abbastanza, debole... in loro compagnia.

Come a confermare i suoi pensieri, il conduttore radiofonico annunciò: «Becky Wills è stata sorteggiata per una licenza di caccia all’alce vicino a Jackson e cerca qualcuno che tenga i suoi ragazzi, di tre, cinque e sette anni, per una decina di giorni mentre lei e suo marito sono fuori città a cacciare.»

Solo nel Wyoming una donna avrebbe fatto un annuncio alla radio per trovare qualcuno che facesse da babysitter ai suoi figli per poter andare a caccia. Susanne non avrebbe mai lasciato i suoi figli con degli estranei. Non in Texas, almeno. Avrebbe potuto trovarsi nella necessità di farlo se avesse dovuto lasciare la città in fretta per un’emergenza, ma di sicuro non sarebbe stato per andare a caccia.

Come faceva a legare con donne come Becky Wills? Ed erano tutte come lei.

Trish entrò in cucina, stropicciandosi gli occhi. Dalle sue due lunghe e bionde trecce alla francese fuoriuscivano dei capelli, formando una cornice disordinata intorno al viso e alla testa. «Cosa c’è per colazione?»

Ferdinand si alzò. Incurvò la schiena, stiracchiando il corpo smilzo e dall’aspetto trasandato, grande quanto quello di un pony. Poi fece un balzo da levriero e volò verso Trish. Lei lo abbracciò al collo e gli fece le moine.

«Perry, Ferdie e io abbiamo mangiato due ore fa. Nella dispensa ci sono i cereali Life.»

Trish strinse gli occhi e arricciò il naso, ma prese una ciotola e un cucchiaio, posandoli un po’ troppo pesantemente sulla spessa lastra del tavolo. Susanne sussultò. Il tavolo e la dispensa abbinata a fianco erano speciali per lei. Pregiato legno di noce lucido, rifiniture in ottone, ante in vetro. I primi mobili nuovi che lei e Patrick avevano acquistato. Fortunatamente, la tovaglietta assorbì l’impatto dell’urto. Trish tornò per i cereali e il latte.

«Tuo padre è in ospedale. Vorrà partire appena torna.»

«Senti, che vada pure.»

«Trish.» Il tono della sua voce diceva: basta con questa storia. La figlia sospirò. «Ti posso ancora sculacciare, sai? Non sei troppo grande.» Susanne non ne andava orgogliosa, ma aveva rotto stecche, cucchiai di legno, spazzole per capelli e bastoncini sul sedere dei suoi figli. Non avevano avuto una grande efficacia.

«Se riesci a prendermi.»

Susanne indicò i capelli della figlia. «A questo servono le trecce.»

Trish versò cereali e latte nella ciotola. Sbatté il cucchiaio contro i denti, poi fece una gran bevuta rumorosa. «A che ora sarà qui?»

«Comportati bene, Trish. Sarebbe già dovuto arrivare.»

«Grazie per avermi svegliata.»

Susanne finse di non notare il sarcasmo. «Prego.»

Il telefono squillò. Sperando che fosse sua madre o sua sorella, Susanne si lanciò per rispondere. Ma la figlia fu più veloce.

«Casa Flint, parla Trish», si presentò l’adolescente, come i suoi genitori le richiedevano, roteando gli occhi al cielo. Ascoltò per un momento. «Non è qui in questo momento. La faccio parlare con mia madre.» Porgendo il telefono a Susanne, disse: «Vogliono lasciare un messaggio, sai, no?»

«Non dire “sai, no”. Non lo so, a meno che tu non me lo dica», brontolò Susanne, e strappò il telefono alla figlia. «Sono Susanne Flint.»

«Salve, signora Flint. Sono Hal Greybull, il medico legale della contea.»

«Salve, dottor Greybull. Ci siamo incontrati a quella colazione con i pancake per i vigili del fuoco, mi pare?»

«Sì, effettivamente. Ho appena cercato Patrick in ospedale e non l’ho trovato. Può farmi chiamare da lui?»

«Mi dispiace. Starà tornando a casa. Saprà di cosa si tratta?»

«Ho qualche ultima domanda da fargli prima di rilasciare il referto dell’autopsia della Jones.» Le diede un numero di telefono.

Susanne sapeva di che caso si trattava. Suo marito era di malumore da quando non era riuscito a salvare la vita dell’anziana donna. Patrick era un medico brillante e lei sapeva che aveva fatto del suo meglio. A volte le brutte cose accadevano e basta. Senza motivo. La gente viveva, moriva e i medici non erano Dio, ma pochi lo capivano. «Nessun problema.»

«Grazie.»

Susanne rimise giù il telefono. La sua mente andò alla notte in cui Bethany Jones morì. Patrick aveva pianto tra le sue braccia. Lei aveva gli occhi che le bruciavano. Era stata così fortunata a trovare un marito come lui, in molti modi. Forse il Wyoming non sarebbe stato per sempre.

Il cucchiaio di Trish cadde rumorosamente sul tavolo, fuori dalla tovaglietta. Con la bocca piena, chiese: «Comunque, perché papà ci fa andare a caccia di cervi con lui?»

Bella domanda. Una a cui preferì non rispondere. Le discussioni con le ragazzine adolescenti andavano evitate a tutti i costi. «Togli quel cucchiaio bagnato dal mio tavolo.»

Trish lo fece, lentamente.

Susanne fu colpita da un pensiero. Capiva perché Patrick voleva andarci. Amava cacciare. Capiva anche quanto volesse trascorrere del tempo con i figli e fare insieme a loro quella attività che amava. Ma perché lei doveva andare con loro? Lei era sempre con i bambini. Enumerò mentalmente i punti a sfavore della caccia. Odiava, in nessun ordine particolare, avere freddo, dormire sul terreno duro, sparare, i cavalli e le cose morte. In un lampo, comprese perché non aveva fatto fare i bagagli ai bambini o finito di preparare le sue cose.

Non ci sarebbe andata.

«Mamma, mi hai sentita? Ti ho chiesto perché papà ci fa andare con lui?»

La porta d’ingresso si aprì e si chiuse. Patrick era a casa. Ferdinand trotterellò di sotto per andare ad accoglierlo. Susanne lo udì salutare, poi mandare fuori il cane.

«Chiedi a tuo padre.»

Perry era così preso dalla TV che non aveva sentito suo padre entrare. Se se ne fosse accorto, sarebbe saltato in piedi e avrebbe spento il televisore. Patrick e Susanne di solito limitavano i bambini a guardare Il mondo sottomarino di Jacques Cousteau o Mutual of Omaha’s Wild Kingdom, e un cartone animato a settimana. Con il suo morale a terra, Susanne aveva chiuso un occhio e lasciato Perry guardare la TV più del consentito.

La testa dai capelli castano chiaro di Patrick apparve in cima alle scale, che davano sul soggiorno, e su Perry. «Tutti pronti per la caccia?» Il suo bel viso appariva tirato e gli occhi azzurri infossati, ma la sua voce era allegra.

«Ehi, tesoro», disse Susanne. «Una lunga notte?»

Trish tornò ai suoi cereali. Ogni risucchio di latte e ogni sbattere di denti sollevava l’ira di Susanne. Si sentiva sull’orlo di un brutto sbalzo d’umore, per cui si incollò un sorriso sul viso.

«Incredibilmente dura. Ti racconterò tutto mentre andiamo in montagna.» Mentre si avvicinava a Susanne, Patrick si chinò per evitare una lampada che pendeva dal basso soffitto, aggrottando la fronte. Era alto non più di un metro e ottanta, ma la lampada era posizionata in modo strano. «Perché Perry sta guardando il football?»

Udendo il proprio nome, Perry finalmente notò la presenza di suo padre e balzò in piedi. Indietreggiò fino alla TV e la spense.

«Gliel’ho lasciata accendere un attimo mentre mangiava.» Susanne incrociò le dita in grembo e sperò che i bambini non facessero la spia.

Patrick baciò sua moglie sulla guancia, poi posò il portafogli e le chiavi sul bancone della cucina. «Le borse sono pronte per essere caricate sul pick-up?»

Perry si avvicinò al tavolo. Abbassò il capo. «Non ancora.»

«Ehi, campione, pensavo fossi emozionato di essere finalmente abbastanza grande per cacciare.»

«Lo ero. Sono. Sarò pronto in fretta. Ma, papà, come mai non posso giocare a football? Sono abbastanza grande anche per questo.»

«Perché non voglio che ti spacchi il cranio. Ne abbiamo già parlato. Potrai giocare quando sarai alle superiori.» Distolse lo sguardo dal figlio e lo portò su Trish e Susanne. «Ora preparatevi. Tutti voi. Stiamo sprecando la luce del giorno e si va a caccia!» Disse le ultime parole quasi cantando e mancò poco che inciampasse per la fretta.

«Devo proprio?» chiese Trish, con la voce dolce per convincerlo.

Suo padre si fermò. «Farò finta che tu non me l’abbia chiesto. Muovetevi.»

I ragazzi se ne andarono in fila, Perry in punta di piedi ed eccitato, Trish con le spalle curve e la faccia imbronciata.

«Che cos’ha?» chiese Patrick. Si versò una ciotola di cereali e una tazza di caffè.

«È una ragazza di quindici anni. Vuole stare con i suoi amici. E, visto come corre ogni volta che squilla il telefono, penso che potrebbe esserci di mezzo un ragazzo.»

«È troppo giovane per avere un ragazzo.»

«La stessa età che avevo io quando ho iniziato a uscire con te.»

«È esattamente questo il punto.»

Susanne gli sorrise. «Forse è come me sotto molti punti di vista.»

«Cosa intendi dire?»

Era impossibile che quello che stava per dirgli gli andasse bene, ma doveva dirglielo. «Odio la caccia.»

«Non odi la caccia.»

Si fece forza. «Sì, invece. Non mi piacciono per niente i fucili. E i cavalli. Cindy inciampa continuamente. Mi spaventa. E ho deciso che non verrò a questa gita.»

La ciotola di Patrick cadde sul pavimento e si ruppe, facendo schizzare latte e cereali sul linoleum e sugli armadietti, arrivando fino al tappeto. «Tu hai cosa?» Gli occhi che le rivolse erano tempestosi.

No, non la stava affatto prendendo bene.

TRE

BUFFALO, WYOMING

18 settembre 1976, ore 11 di mattina

Trish

Trish sollevò la cornetta del telefono a ciambella giallo che i suoi genitori le avevano regalato per il suo quattordicesimo compleanno. Compose il numero, fece confusione e lo compose di nuovo. Mentre la linea squillava, si sedette sulla sua sedia a uovo sospesa e si dondolò, ammirando il fondo dei suoi jeans a zampa di elefante. Sua madre non le permetteva di indossare i sandali con la zeppa che desiderava ardentemente, ma i pantaloni non stavano male con i suoi finti stivali Dingo.

Sentì voci alterate al piano di sopra. Piantando i piedi nel tappeto, trattenne il respiro per poter sentire.

«Ho detto che non vengo.» La voce di sua madre era ferma. Non teneva testa a suo padre tanto spesso, ma quando lo faceva, lo faceva alla grande.

«Vuoi rovinare la vacanza a tutti?» chiese suo padre.

La voce di una donna all’orecchio interruppe il suo origliare. «Pronto?»

«Posso parlare con Brandon, per favore?» chiese Trish, usando il tono educato che riservava agli adulti non della famiglia e parlando a bassa voce in modo che i suoi genitori non la sentissero. Ma di che si preoccupava? Suo padre aveva appena urlato qualcosa a sua madre. Quando i due litigavano, erano in un mondo a parte.

«Chi lo desidera?» La donna sembrava scettica.

«Trish Flint.»

«Flint?» La signora Lewis enfatizzò la t finale, emettendo un suono che parve a Trish quello di una cavalletta sputata fuori, come quando gliene era volata una piccola in bocca.

«Sì.»

Trish poteva sentire la donna respirare mentre rifletteva sulla sua richiesta. La signora Lewis era un’infermiera e Trish aveva udito i suoi genitori parlare del suo licenziamento il mese prima. Doveva aver rubato qualcosa e il padre di Trish l’aveva colta sul fatto. Non doveva avere molta simpatia per lui. Questo voleva dire che non vedeva di buon occhio nemmeno la figlia? Non aveva il tempo di cercare di farsela amica, se non chiamava subito Brandon, non avrebbe avuto la possibilità di parlargli prima che suo padre la costringesse a marciare fuori dalla porta per quella stupida gita in campeggio.

«Un attimo, per favore.»

Un forte rumore metallico disse a Trish che la signora Lewis aveva lasciato cadere la cornetta sul bancone. Poco gentile, signora. Iniziò a contare. Se fosse arrivata a cento senza che la donna avesse fatto venire Brandon al telefono, avrebbe riattaccato. Suo padre non sarebbe stato contento se fosse sceso e l’avesse trovata al telefono invece di fare i bagagli.

La madre di Trish gridò così forte che anche i vicini potevano udirla, cosa che normalmente non avrebbe fatto. «Odio la caccia. E i fucili. E il campeggio. E sentirmi dire cosa fare. E tu sapevi tutto questo prima di decidere di fare questa gita.»

Brava, mamma! Se lei non ci va, papà non costringerà nemmeno me! Poi si ricordò che quel fine settimana c’erano un sacco di attività in parrocchia. Se fosse rimasta a casa, sua madre l’avrebbe fatta andare là. Obbligava i figli a partecipare a tutto quello che organizzava la loro chiesa. La scuola domenicale, lo studio della bibbia durante le vacanze e ora il gruppo giovanile. L’unica cosa che le piaceva dello studio della bibbia era che poteva memorizzare i versi per vincere dei premi, perché vinceva sempre: settimane in campeggio, autolavaggi, prodotti da forno. La famiglia di Brandon apparteneva alla stessa parrocchia, ma non si faceva quasi mai vedere. Che cosa era meglio: evitare quello o non dover cacciare?

Suo padre si stava innervosendo sempre di più. «Non vedevo l’ora di fare questa gita. Non passo mai del tempo con i bambini.»

Niente faceva più paura della voce di suo padre quando era arrabbiato. Trish rabbrividì, ma Susanne non aveva paura di Patrick.

«Io sì. Potrei prendermi una pausa.»

Bello, mamma. Ti voglio bene.

Poi udì Brandon: «Senti... ciao.» Aveva un tono sorridente.

Trish sentì calore al viso. Non riusciva a credere di aver trovato il coraggio di chiamarlo. Non aveva mai chiamato un ragazzo prima. Dimenticò completamente il litigio dei genitori. «Senti, ciao a te.»

«Come butta?»

Con Brandon, Trish si sentiva così fuori moda. Andava matta per il modo in cui parlava. Come se fosse californiano o qualcosa del genere, anche se era nato e cresciuto a Buffalo. «Mio padre ci porta a caccia con l’arco. Per i cervi, sai, no?»

«È lontano.»

Trish valutò se dire che era d’accordo con lui. Brandon era un vero fusto e più grande di lei, due anni più avanti a scuola. Piaceva a tutte le ragazze. Era piuttosto sicura di piacergli, ma l’aveva chiamata solo poche volte e non le aveva mai chiesto di andare con lui da qualche parte né altro. Le sue amiche ritenevano che fosse importante lasciare i ragazzi parlare di se stessi e comportarsi come se si amassero le stesse cose che facevano loro. Ma Trish non era molto brava a fingere, e questo poteva rovinare le cose.

«Non lontano. Ma ci farà perdere la scuola e tutto il resto.»

«“Miss voti perfetti” rischia di prendere un otto?»

Trish udì un clic sulla linea telefonica. «Qualcuno ha appena preso su la cornetta?»

«Non credo», rispose Brandon. «Pronto, pronto, c’è qualcuno?»

Non ci fu risposta.

Trish ruotò la sedia verso la finestra e parlò più piano. «Anche mia madre non vuole andarci, ma lascia che mio padre mi ci porti. È tipo complice di un rapimento. Dovrei scappare e basta.»

«Esatto. Non lasciare che l’uomo ti metta i piedi in testa.» Trish udì una risata nella sua voce.

«Mi stai prendendo in giro?»

«Sì, un pò. Rilassati. Sarà un bel viaggio. Che culo.»

«Cioè, se lo dici tu.» Si sentiva stupida a cercare di parlare come lui, e non era nemmeno sicura di farlo bene.

«Dove andate?»

«Non lo so. Da qualche parte vicino ad Hunter Corral è quello che ha detto a mia madre.»

«Vi portate tutto con lo zaino?»

«A piedi?»

«No, a cavallo, scema.»

«Oh. Sì. A cavallo. E poi ci accampiamo.»

«Ganzo.»

«Forse dovresti andarci tu al posto mio.»

«O potrei semplicemente venire lassù per un saluto.»

«Quello sarebbe una figata.» Una vampata di calore le fece arrossire di nuovo le guance.

La voce di suo padre tuonò dal fondo delle scale. «Trish, perché la tua borsa non è vicino alla porta? Bisogna che tu venga fuori immediatamente.»

«Devo andare, Brandon.» Si fermò, quasi trattenendo il respiro, sperando che lui si dichiarasse e rendesse le cose ufficiali tra loro. Sarebbe valso qualche secondo in più e l’ira di suo padre.

Tutto quello che disse fu: «Vai, che vai alla grande.»

Parte dello sballo che aveva provato parlando con lui evaporò. Se fosse tornata e avesse scoperto che stava uscendo con Charla Newby, non avrebbe mai perdonato suo padre. Charla. Le faveva venire il vomito. Capelli neri lunghi e ricci, e grandi occhi scuri. Prima classificata nel barrel racing al rodeo giovanile di quell’anno. Charla poteva avere tutto quello voleva, e ultimamente Trish aveva sentito dire che voleva Brandon. «Ehm, sì. Ci becchiamo poi.»

Riappese e affrontò il genitore infuriato, che ora era davanti alla porta della sua camera. Però non appariva così minaccioso con la carta da parati a fiori blu come sfondo.

«Eri al telefono?»

«Scusa. Dovevo parlare con un’amica perché si faccia dare i compiti per me. Visto che sto perdendo le lezioni.»

«Datti. Subito. Una mossa.»

Si fece coraggio e disse tutto d’un fiato: «Papà, se la mamma non viene, non ci vengo nemmeno io».

«Oh sì che ci vieni, signorina.»

«Ma non mi piace cacciare.»

Era vero. Non le dispiaceva sparare ai bersagli. Suo padre pensava che saper sparare fosse un’abilità necessaria nella vita e le aveva insegnato a farlo quando aveva undici anni. Perry aveva cominciato ancora prima. «Tutto parte dalla sicurezza, e la sicurezza inizia con la conoscenza», aveva detto. Le aveva fatto caricare e manovrare una carabina, una rivoltella e un fucile, tutto da sola. Sua madre aveva insistito sul fatto che, se voleva insegnare loro a sparare, avrebbe dovuto insegnare anche a difendersi in altri modi. Il padre, allora, aveva organizzato vere e proprie lezioni, con tappetini sul pavimento del soggiorno e i suoi tre allievi, contando anche la madre, di fronte a lui. Li istruiva per bene. «Qualunque cosa vi faranno fuori da qui sarà sempre peggio di quello che vi farò io qui. Quindi lottate, lottate, lottate.» Poi li addestrava sulle mosse di autodifesa. Dita negli occhi. Colpi di testa al naso. Calci all’inguine.

Onestamente, suo padre era piuttosto violento. E un super fanatico.

In definitiva, non le piaceva combattere. Ma sparare era divertente ed era brava in quello. Le piaceva di più la pistola. Non le rinculava contro la spalla. Negli ultimi tempi, l’ossessione di suo padre era il suo nuovo arco compound e lei e Perry si erano esercitati con lui.

Ma poi l’aveva fatta andare a caccia di antilopi con lui l’anno prima. Non aveva voluto sparare da sola, così il padre si era messo dietro di lei e l’aveva aiutata a tenere il fucile. Aveva persino messo il proprio dito sopra il suo sul grilletto. Il loro primo colpo in tandem aveva colpito l’animale, ma, probabilmente grazie a lei, non l’aveva ucciso. Suo padre gli aveva allora dato rapidamente il colpo di grazia per porre fine alle sue sofferenze. Il pensiero di aver ferito un animale e che avesse sofferto, anche solo per un secondo, a causa sua? Era stato orribile. Aveva pianto tanto. Dopo che si era calmata, avevano dovuto eviscerarlo. Suo padre le aveva fatto guardare tutto il processo. Disgustoso. Disgustoso e triste. E ci era voluta un’eternità. Poi avevano dovuto trascinarlo e caricarlo sul pick-up e portarlo a casa. Che schifo! E per settimane avevano mangiato solo antilope. Il gusto era buono, ma aveva finito per stufarla, e le ricordava come era morto l’animale a ogni singolo pasto.

Suo padre stava ancora parlando. «Non è necessario che ti piaccia cacciare. Vieni lo stesso.»

«Non voglio.»

«Non ti ho chiesto se volevi.» La sua voce cambiò da cupa ad allegra. «Ma sarà divertente. Vedrai.»

La figlia cambiò il proprio tono da ribelle a triste. «I miei amici vanno tutti a una festa di compleanno.»

«Peccato per loro che non abbiano padri in gamba che li portino a caccia di cervi.»

Dal momento che la tristezza non funzionava, Trish alzò gli occhi al cielo. «Perderò una settimana di scuola.»

«Non una settimana intera. Ho detto a tua madre che rimarremo fuori solo quattro giorni.»

Il cuore di Trish sobbalzò. «Solo quattro giorni?» Fece il gesto di esultazione del pugno pompato. «Sì.»

«Non fare quei gesti.» Si voltò prima di arrivare alla porta, guardandola da sopra la spalla. «Vado ad agganciare il trailer. Ci vediamo giù al cancello per aiutarmi a caricare i cavalli. E porta la tua borsa e tuo fratello.»

Lei saltò in piedi e si mise sull’attenti. «Sì, signor sergente, ai suoi ordini, signor sergente.»

«Molto divertente. E mettiti qualcosa che vada bene per la montagna», rispose il padre, e se ne andò.

Pochi secondi dopo, la porta d’ingresso sbatté dietro di lui.

Borbottando, Trish tirò fuori a casaccio qualche indumento dai suoi cassetti e li infilò in una borsa. Poi saltò su una gamba e si sfilò gli stivali. Lanciò il suo bel completino sui finti Dingo, facendo un mucchio disordinato sul pavimento in mezzo alla stanza. Dopo essersi messa una maglietta, jeans e stivali da cowboy, fece un ultimo cambiamento, rimuovendo gli elastici neri dalle trecce e sostituendoli con quelli a sfera con le faccine sorridenti che ancora le piacevano, ma che non poteva più portare in pubblico. Poi si mise la borsa sulla spalla. Forse non avrebbe avuto bisogno di tutta quella roba. Ma non le importava. A volte in montagna faceva un freddo boia in settembre. Avere freddo era una rottura.

Si precipitò fuori dalla sua stanza, sospirando, e per poco non si scontrò con la madre nel corridoio. Era buio, poiché tutta la parte posteriore del pianterreno era sottoterra e non aveva finestre. Solo la parte anteriore le aveva. Era una specie di dugout gigante, che conosceva solo perché suo padre l’aveva fatta giocare a baseball due estati prima. Nella squadra maschile, perché non c’era una squadra femminile. Era stato mortificante.

Trish si aspettava di vedere un cesto della biancheria tra le braccia di sua madre. L’unica stanza nel corridoio oltre alla sua era la lavanderia, e dal momento che sua madre sosteneva di stare meglio senza vedere il disordine nella stanza di Trish, non ci entrava mai se poteva evitarlo. Ma non stava portando i panni da lavare. Nell’altra direzione c’era la scala centrale e oltre di essa una grande stanza aperta che i loro genitori chiamavano la stanza dei giochi. Trish là ascoltava i dischi. Perry faceva le sue cose, mentre lei lo ignorava. Ma sua madre non stava andando nemmeno nella stanza dei giochi. Stava andando da Trish.

«Non ho sentito squillare il telefono», disse Susanne, bloccandole il passaggio. I suoi lunghi capelli castani erano raccolti in una coda bassa sulla nuca. Era una bella donna con delle belle curve e briosa. Tanto che metà dei ragazzi della sua scuola avevano una cotta per lei. Trish sperava che tra quelli non ci fosse anche Brandon. Quanto sarebbe stato imbarazzante?

«Cioè, non ha squillato.»

«Ma ti ho sentita parlare con Brandon Lewis.»

«Eri al telefono?» Trish alzò la voce. «Eri al telefono?» Si ricordava del clic.

Susanne non rispose alla sua domanda. «Le brave ragazze non chiamano i ragazzi. Soprattutto i ragazzi più grandi.»

«Forse nell’età della pietra, ma siamo nel Wyoming nel 1976 e le ragazze possono chiamare i ragazzi.»

«Non ti chiamerà mai se lo fai tu al posto suo.»

Sua madre stava seriamente dicendo che lei non era una brava ragazza e che Brandon non l’avrebbe mai chiamata? «Grazie per la dritta, mamma. Devo andare. Papà vuole che lo aiuti a caricare. Dov’è il moccioso?»

«Non parlare così di tuo fratello.»

Trish aggirò sua madre. Quando arrivò in fondo alle scale, urlò: «Perry, dobbiamo andare. Dai.»

Apparve Perry, trascinando giù dietro di sé, un gradino alla volta, un borsone di tela verde militare e portando nell’altra mano la sua canna da pesca e la relativa cassetta. «Sto arrivando.»

«Cioè, se ti muovi così, avrò l’età di mamma quando arriverai giù.»

Sua madre sospirò dietro di lei. «Trish.»

«È vero.»

«Ascolta, dì a tuo padre che il medico legale vuole che lo chiami.»

«Perché non glielo dici tu?»

«Ooh, che intelligente, lo capirai», si intromise Perry, saltando sulle punte dei piedi con il viso gongolante.

«Sono troppo arrabbiata con tuo padre per parlare con lui.»

Trish si gettò la punta della treccia dietro la spalla. «Non devi essere tanto arrabbiata. Non ti ho sentita rompere niente.»

«Io non rompo niente.»

«L’hai fatto quella volta che hai tirato una tazza di caffè a papà», le ricordò Perry.

«E un’altra volta quando gli hai tirato un piatto», aggiunse Trish.

«Non so di cosa stiate parlando.» Tirò su con il naso e baciò ciascuno di loro sulla guancia.

Trish e Perry si guardarono con le sopracciglia alzate. La loro mamma faceva sempre finta di non ricordare ciò di cui non voleva parlare.

Susanne salì le scale fino al pianerottolo. «Tenete d’occhio vostro padre. E state attenti. Ci vediamo tra quattro giorni.»

Trish gemette. «Se sopravviveremo così a lungo.»

Perry strinse i pugni e li ruotò agli angoli degli occhi come se stesse piangendo. «Uè, Trish deve andare a caccia. Uè, uè.»

Trish spalancò la porta, lasciando entrare la brillante luce del sole autunnale. Ferdinand era proprio lì fuori, dimenando la sua lunga coda ricurva. «Dai, stupido. Andiamo e non pensiamoci più.»

₺147,24