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Rapporto della BEI sugli investimenti 2021/2022 - Risultati principali

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La pandemia ha indotto molte imprese ad accelerare la trasformazione

Molte imprese si sono adoperate maggiormente ai fini della trasformazione, in particolare di quella in senso digitale. Secondo i risultati del supplemento dell’Indagine EIBIS, il 27% delle PMI europee dei settori manifatturiero e dei servizi afferma di aver sfruttato la crisi come opportunità per accelerare i propri piani di trasformazione. Circa il 46% delle imprese dell’UE si dichiara più digitale, e il 34% delle imprese che ancora non utilizzano tecnologie digitali avanzate ha comunque sfruttato la crisi come opportunità per avviare il proprio percorso di digitalizzazione. Emerge tuttavia chiaramente che durante la pandemia le imprese hanno intrapreso la parte più agevole del percorso verso la digitalizzazione. L’adozione di tecnologie digitali avanzate, infatti, nel complesso non ha registrato progressi nel periodo 2020-2021, rimanendo ferma al 61% delle imprese dell’UE.

Le imprese europee sono inoltre impegnate nella riorganizzazione delle proprie catene di approvvigionamento in risposta alle pressioni globali. Dai dati aggregati, già oggi emergono nuove tendenze nell’ambito delle catene di approvvigionamento, ad esempio una maggiore diversificazione e una minor concentrazione geografica dei fornitori. I dati EIBIS indicano che oltre il 30% delle imprese esportatrici e manifatturiere ha sviluppato nuovi prodotti, servizi o processi in risposta alla pandemia, e che quasi il 15% ha adottato provvedimenti volti ad accorciare la catena di approvvigionamento.

L’impegno delle imprese a favore della transizione climatica ha nuovamente raggiunto livelli record nel 2021, e la leadership dell’UE in questo senso sembra cominciare a dare i suoi frutti. Sebbene la percentuale di imprese che ha effettuato investimenti nel contrasto dei cambiamenti climatici sia rimasta invariata, quella delle realtà che invece intendono intraprendere investimenti legati al clima, dopo la battuta d’arresto del 2020, è ormai salita dal 41% al 47%. Negli Stati Uniti, invece, solo il 28% delle imprese ha già effettuato simili investimenti, e solo il 40% intende intraprenderli. Anche la pressione normativa per la rendicontabilità in materia di emissioni di carbonio e di esposizione al rischio climatico sembra fare effetto, dal momento che il 46% delle imprese dell’UE ha adottato obiettivi di controllo delle emissioni di anidride carbonica e del consumo di energia, e che simili decisioni hanno un legame diretto con gli investimenti. Gli investimenti aziendali risultano infatti maggiormente probabili laddove la transizione climatica è vista come opportunità. Per contro, non si assiste ancora ad un processo di internalizzazione o valutazione del prezzo dell’esposizione ai rischi della transizione in senso negativo.

Le imprese esportatrici e manifatturiere sono quelle che prevedono un maggiore impatto della pandemia sulle catene di approvvigionamento e che quindi hanno già adottato provvedimenti in proposito più spesso di altre realtà

(% di imprese)


Fonte: EIBIS 2021.

Finora è andata bene, ma i rischi di asimmetria sono dietro l’angolo

L’occupazione risente dell’apparente divario tra le imprese che digitalizzano a un ritmo più serrato e quelle che invece procedono più lentamente in tal senso

Se è vero che la crisi COVID ha indotto le imprese dell’UE ad adottare tecnologie digitali, è anche vero che negli Stati Uniti il fenomeno ha assunto dimensioni più rilevanti. Rispetto al 58% degli Stati Uniti, infatti, sono circa il 46% le imprese dell’UE che hanno aumentato il proprio grado di digitalizzazione in risposta alla pandemia. Anche la percentuale di imprese statunitensi che hanno già adottato tecnologie digitali avanzate è più elevata: 66% contro 61% nell’Unione europea.

Nell’Unione europea le imprese che avevano già introdotto tecnologie digitali avanzate sono state maggiormente propense a portare avanti il processo di digitalizzazione in conseguenza della pandemia, rendendo così ancora più difficile per le imprese più lente su questo fronte il recupero del ritardo accumulato. Se da un lato quasi la metà delle imprese che avevano già introdotto tecnologie digitali avanzate ha dichiarato di aver incrementato il proprio grado di digitalizzazione in conseguenza della pandemia, dall’altro solo un terzo delle imprese meno avanzate in questo senso ha affermato lo stesso. In Europa il 26% delle imprese non rientra in “nessuna delle due categorie”; si tratta quindi di imprese che non sono né digitalmente avanzate né inserite in un percorso di maggiore digitalizzazione in conseguenza della pandemia. La percentuale di imprese statunitensi in posizione analoga è invece del 18% soltanto.

Nell’UE un terzo dell’occupazione dipende da imprese che non utilizzano tecnologie digitali avanzate né hanno incrementato il proprio grado di digitalizzazione in conseguenza della pandemia.


Fonte: EIBIS 2021, Eurostat, Servizio Statistiche strutturali sulle imprese dell’OCSE (OECD Structural Business Statistics) e US Census Bureau (Ufficio del censimento degli Stati Uniti).

Le imprese che non registrano alcun progresso dal punto di vista della digitalizzazione tendono ad essere meno trasformative sotto molti aspetti. Il profilo di digitalizzazione delle imprese è fortemente legato alle loro dimensioni, dal momento che il 41% delle piccole imprese e delle microimprese europee non rientra in “nessuna delle due categorie”. Si tratta di realtà meno propense non solo a considerare la pandemia come stimolo a sviluppare le rispettive gamme di prodotti, ma anche a pianificare qualsiasi tipo di investimento nei prossimi tre anni. Le stesse imprese tendono peraltro ad essere meno innovative (con investimenti proporzionalmente inferiori nel settore della ricerca e sviluppo o R&S) e meno produttive; inoltre offrono retribuzioni meno interessanti e più difficilmente hanno creato posti di lavoro dall’inizio del 2020. Si tratta insomma di realtà imprenditoriali che non sembrano comprendere la necessità di innovare e intraprendere una trasformazione digitale.

L’aumento del divario digitale rappresenta un’insidia per il mercato del lavoro. In Europa il 33% dei posti di lavoro è associato a imprese assolutamente non attive sul piano digitale, contro il 20% circa negli Stati Uniti. Anche queste imprese, per così dire “affette da sonnambulismo”, tendono ad offrire retribuzioni meno interessanti e più difficilmente creano posti di lavoro. Durante la pandemia hanno anche mostrato una minor propensione ad organizzare formazioni per i propri dipendenti.

Le imprese che non utilizzano tecnologie digitali avanzate e non hanno incrementato il proprio grado di digitalizzazione offrono retribuzioni meno interessanti

Retribuzione mediana per dipendente a seconda della categoria di adozione del digitale (scala logaritmica)


Fonte: EIBIS 2021.

Le imprese digitali avanzate che hanno incrementato il proprio grado di digitalizzazione sono riuscite a creare posti di lavoro nonostante la pandemia

Impatto sull’occupazione per categoria di adozione del digitale (a sinistra: % di imprese; a destra: saldo netto in punti percentuali)


Fonte: EIBIS 2021.

Molte imprese stanno lentamente abbracciando la transizione climatica

Per quanto riguarda la transizione climatica, le imprese possono analogamente essere suddivise in tre gruppi: quelle che hanno già investito, quelle che intendono intraprendere (ulteriori) iniziative e quelle che optano per un atteggiamento attendista. Le imprese che non investono, non intendono farlo, né fissano obiettivi rappresentano il 25% del totale e si compongono prevalentemente di realtà di piccole dimensioni piuttosto che di grandi aziende. Anche le differenze tra i vari paesi sono notevoli. Tuttavia le imprese che optano per un atteggiamento attendista sono molto meno numerose in Europa che non negli Stati Uniti, dove queste realtà rappresentano il 45% del totale.

Le iniziative adottate dalle imprese in riferimento al clima dipendono dalla relativa percezione dei rischi e delle opportunità legati ai cambiamenti climatici. L’analisi di regressione indica infatti che la percezione e la consapevolezza delle imprese in merito all’impatto dei cambiamenti climatici e della transizione sulle proprie attività rappresentano i principali fattori determinanti in termini di investimenti. Quindi, se un’impresa riconosce un’opportunità in questo senso, la probabilità che decida di effettuare investimenti legati al clima appare quasi raddoppiata rispetto a quanto avviene per le imprese che non prevedono alcun impatto (60% contro 31%). La percezione della transizione come fonte di rischio, invece, non rappresenta un elemento altrettanto favorevole per gli investimenti. Un fattore apparentemente importante in relazione agli investimenti in ambito climatico è il superamento degli ostacoli all’informazione: le imprese si mostrano infatti molto più propense a investire se dispongono di personale dedicato, fissano obiettivi in materia di clima o effettuano audit energetici.

 

Le imprese dell’UE che optano per un atteggiamento attendista in relazione alla transizione climatica rappresentano un quarto del totale, mentre negli Stati Uniti la corrispondente quota è più consistente

(% di imprese)


Fonte: EIBIS 2021.

Un’ampia percentuale di imprese dei settori in transizione, ossia di quelli che non si definiscono né “green” né “brown”, non si aspetta alcuna ripercussione sulla propria attività a seguito dell’azzeramento delle emissioni nette. Per contro, come è ovvio, le imprese dei settori “green” o “brown”, ovvero quelle più direttamente interessate dalle conseguenze della transizione climatica, tendono ad avere una visione rispettivamente positiva o negativa della transizione stessa. Le imprese di altri settori, invece, nel loro complesso saranno magari meno interessate dalle conseguenze della transizione, oppure, semplicemente, non sono in grado di valutarne l’impatto. E in assenza di un impegno finalizzato a valutare la necessità di investimenti legati al clima la sempre più rapida transizione climatica potrebbe comportare una situazione di difficoltà per molte imprese. È inoltre meno frequente tra le imprese dei settori in transizione la creazione di capacità manageriali associate alla transizione verde.

L’assenza di iniziative aziendali per il clima è spesso sintomo di una scarsa capacità di trasformazione. Le imprese che optano per un atteggiamento attendista non solo difficilmente esportano o presentano caratteri di innovatività, ma non applicano nemmeno prassi manageriali più avanzate. Anche la probabilità che si tratti di imprese non redditizie e soggette a vincoli di finanziamento è leggermente più alta. Sebbene nel complesso le correlazioni descritte siano importanti, l’analisi condotta dalla BEI mostra anche che la consapevolezza e la percezione dei rischi climatici, al pari dell’informazione, rappresentano altrettanti fattori decisivi in relazione agli investimenti in ambito climatico.

La consapevolezza dei rischi e delle opportunità influenza gli investimenti legati al clima

Percentuale di imprese che hanno realizzato investimenti legati al clima: ripartizione in base alla percezione del rischio


Fonte: EIBIS 2021.