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Rapporto della BEI sugli investimenti 2021/2022 - Risultati principali

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La mancata trasformazione delle imprese può rappresentare un ostacolo per la convergenza a livello europeo

In generale, nel territorio europeo la concentrazione di imprese che non hanno adottato alcun provvedimento in materia di digitalizzazione o di clima, oppure che non sono attive in nessuno dei due ambiti, non è omogenea. Il confronto tra i dati relativi alle regioni della coesione (quindi quelle “meno sviluppate” e “in transizione”) e le regioni più sviluppate indica che le transizioni digitale e climatica possono rappresentare un potenziale ostacolo per la convergenza europea, dal momento che le imprese delle regioni a reddito più basso appaiono meno pronte ad adattarsi e a cogliere le opportunità che si presentano.

Le imprese dei paesi e delle regioni a basso reddito hanno meno probabilità di aumentare il proprio grado di digitalizzazione e di introdurre innovazioni in risposta alla pandemia. L’aumento del livello di digitalizzazione è stata una delle principali soluzioni scelte dalle imprese per reagire alla situazione generata dalla pandemia, anche se il fenomeno non è stato altrettanto evidente nelle regioni meno sviluppate e in transizione. Sulla base dei dati, analoghe osservazioni valgono anche per l’innovazione.

Le imprese delle regioni a basso reddito sono in ritardo nell’innovazione verde e sono meno ottimiste in merito alle opportunità potenzialmente offerte dalla transizione climatica. Finora sono state prevalentemente le imprese dell’Europa occidentale e settentrionale a registrare brevetti cosiddetti “verdi”. D’altra parte le imprese delle regioni della coesione, caratterizzate da una minor capacità di affrontare i cambiamenti climatici (misurata in base all’occupazione di personale dedicato, all’utilizzo di obiettivi climatici e all’effettuazione di audit energetici) e da un maggiore scetticismo in relazione alle opportunità di transizione, sono più inclini a considerare la transizione climatica come un rischio.

Le imprese che hanno investito nel clima e nella digitalizzazione sono anche quelle che più spesso vedono nella scarsa disponibilità di competenze un ostacolo agli investimenti, e che durante la pandemia hanno puntato maggiormente sulle spese per la formazione. Sebbene la scarsa disponibilità di competenze sia spesso annoverata tra gli ostacoli da tutte le imprese, a prescindere dalla tipologia, sono verosimilmente soprattutto le imprese innovative, digitali e sensibili alle questioni climatiche ad incontrare tale ostacolo. Anche in questo caso sono le percezioni delle imprese a guidare gli investimenti trasformativi. La quota di imprese green e digitali (ossia quelle con investimenti sia nel clima che nella digitalizzazione) che hanno investito anche nella formazione è aumentata di 9 punti percentuali durante la pandemia, mentre la quota di imprese non green e non digitali con investimenti nella formazione è diminuita di 12 punti percentuali. La più alta frequenza degli investimenti nella formazione è altresì correlata all’aspettativa di un maggiore ricorso alle tecnologie digitali a seguito della pandemia nonché alle opportunità eventualmente riconosciute nella transizione climatica.

Gli investimenti nella formazione sono più frequenti presso le imprese che vedono le transizioni verde e digitale come fonte di opportunità

Differenza in punti percentuali tra la quota di imprese con investimenti nella formazione e la media complessiva dell’UE: ripartizione in base alle caratteristiche dell’impresa


Fonte: EIBIS 2021.

Durante la pandemia l’azione trasformativa delle imprese ha già dispiegato i suoi effetti sull’occupazione a livello regionale. Infatti, nel periodo in questione, nel complesso l’occupazione presso le imprese che hanno investito nel clima e nella digitalizzazione ha evidenziato un tendenziale aumento, mentre nelle realtà prive di tali investimenti si è più spesso registrata una perdita di posti di lavoro, a prescindere dalla categoria di regione di appartenenza.

Durante la pandemia le imprese digitali e green hanno evidenziato un tendenziale aumento dell’occupazione, in particolare nelle regioni meno sviluppate

Differenza in punti percentuali tra le imprese che hanno aumentato l’occupazione e quelle che invece l’hanno ridotta


Fonte: EIBIS 2020, 2021.

D’ora in poi l’Europa deve mantenere e potenziare lo slancio verso la trasformazione

Le politiche economiche adottate dall’Europa in risposta alla crisi hanno sostenuto la ripresa generando ottimismo

Sulla scorta di una ripresa più rapida del previsto e di condizioni di mercato maggiormente propizie, quest’anno le imprese europee prevedono di aumentare gli investimenti. Nel secondo trimestre 2021 gli investimenti reali nella maggior parte degli Stati membri dell’UE erano tornati ai livelli pre-pandemia del 2019. I dati EIBIS confermano tale tendenza; infatti la quota di imprese che hanno investito nell’ultimo anno è stata relativamente bassa (79%), ma si è registrato un saldo netto pari a +18% di quelle che prevedevano un aumento degli investimenti per il 2021, con una chiara inversione di tendenza rispetto all’anno precedente (-28%). Nel complesso, anche le imprese sono ottimiste circa le condizioni di investimento per il prossimo anno; con il consolidamento della ripresa, infatti, gli indicatori di fiducia in relazione al clima economico e alla disponibilità di finanziamenti interni che emergono dall’indagine EIBIS evidenziano un ritorno ai valori positivi.

Tuttavia, l’attuale ottimismo delle imprese e la ripresa degli investimenti dipendono in parte da aspettative di crescita che sono sostenute dalle politiche adottate dall’UE in risposta alla crisi nonché dalla volontà degli Stati membri di affrontare la pandemia in maniera concordata e congiunta. La pandemia è tutt’altro che finita, e di conseguenza il livello di incertezza in termini strategici e macroeconomici rimane elevato, tanto che il 73% delle imprese continua a considerarlo un ostacolo agli investimenti. Inoltre, l’abolizione di determinate misure di sostegno introdotte a seguito della pandemia e l’attuazione del quadro strategico post-crisi possono mettere alla prova la resilienza delle imprese. Oltre al fatto che non si possono escludere postumi della crisi a carico dell’economia europea a livello settoriale e regionale, va rilevata la difficoltà di molte imprese nell’adattamento ai cambiamenti strutturali; entrambe queste circostanze sottolineano la necessità di una strategia che consenta di abolire gradualmente le varie forme di sostegno senza per questo compromettere la ripresa.

Le imprese europee prevedono un aumento degli investimenti


Fonte: EIBIS 2021.

Anche le imprese sono ottimiste circa le condizioni di investimento per il prossimo anno

Differenza percentuale tra le imprese dell’UE che prevedono un miglioramento e quelle che si attendono un deterioramento nei prossimi 12 mesi


Fonte: EIBIS 2021.

A livello di politiche economiche è fondamentale gestire bene il passaggio dagli aiuti d’urgenza a un contesto in grado di favorire le trasformazioni strutturali

Ai fini della ripresa e di una positiva trasformazione strutturale è essenziale mantenere il coordinamento delle politiche di bilancio a livello di Unione europea. Grazie all’attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita[3], gli Stati membri hanno potuto adottare apposite misure per limitare, nell’immediato, l’impatto della pandemia. Tuttavia, la semplice disattivazione della clausola di salvaguardia generale e il ripristino del Patto nella sua forma originaria richiederebbero aggiustamenti di bilancio non solo difficilmente realizzabili, ma anche potenzialmente deleteri per la ripresa, senza contare che simili manovre potrebbero compromettere gli investimenti pubblici nella mitigazione dei cambiamenti climatici e nell’adattamento agli stessi, oltre che nella digitalizzazione, in particolare negli Stati membri più colpiti dalla pandemia, che poi sono anche quelli il cui indice di indebitamento ha fatto registrare i più cospicui aumenti.

La positiva attuazione del Recovery and Resilience Facility contribuirà a tutelare gli investimenti pubblici di qualità nei prossimi anni garantendo un fondamentale sostegno alla trasformazione strutturale dell’economia dell’UE senza incidere esageratamente sul debito pubblico. Il Dispositivo si distingue tra i vari programmi di sostegno dell’Unione europea per la sua entità e per l’ambizioso obiettivo di favorire, nello specifico, gli investimenti strutturalmente necessari. Infatti, nella distribuzione degli investimenti, gli Stati membri sono tenuti a destinare almeno il 37% al settore green e il 20% come minimo all’ambito digitale.

Il Dispositivo potrebbe avere un notevole impatto sulla convergenza economica a livello di Unione europea. Le stime elaborate dalla BEI utilizzando il modello macroeconomico Rhomolo indicano un probabile aumento del PIL di circa il 2% nel 2030 e dell’1,3% nel 2040, rispetto allo scenario di base, proprio grazie al Dispositivo. L’impatto stimato sul PIL è più elevato nell’Europa meridionale, dove si calcola che i miglioramenti strutturali possano comportare aumenti del PIL dell’ordine del 5% all’orizzonte 2030, poi più limitati nel periodo fino al 2040 (2,5%). Anche nell’Europa centrale e orientale l’impatto è comunque concreto e sensibile. Nell’Europa occidentale e settentrionale la variazione sarà probabilmente di poco inferiore all’1%, peraltro per metà riconducibile agli effetti di ricaduta transfrontalieri derivanti dal resto d’Europa.

 

L’eventuale reintroduzione della regola del debito nella sua forma originaria comporterebbe drastiche correzioni di bilancio per gli Stati membri più indebitati

Debito pubblico, avanzi primari, e avanzi necessari per rispettare la regola del debito (a sinistra: debito pubblico, % PIL; a destra: avanzo primario, % PIL)


Fonte: AMECO (Database macroeconomico annuale della Commissione europea), elaborazioni BEI.

Stime della BEI relative all’impatto del Recovery and Resilience Facility sul PIL macroregionale elaborate con il modello Rhomolo

Secondo le previsioni il Recovery and Resilience Facility inciderà soprattutto sul PIL dei paesi dell’Europa meridionale (aumento percentuale del PIL rispetto a uno scenario senza il suddetto Dispositivo)


Fonte: Commissione europea, elaborazioni BEI.

Nota: la parte più chiara di ciascuna barra indica l’impatto stimato sul PIL degli investimenti effettuati in altre regioni dell’UE (effetti di ricaduta).

Nell’ambito delle transizioni verde e digitale agli investimenti pubblici spetta un ruolo fondamentale, non ultimo come catalizzatori in grado di accelerare gli investimenti e la trasformazione nel settore privato. Come è emerso con la pandemia, in molte regioni la concreta introduzione delle infrastrutture digitali è ancora ben al di sotto del livello necessario. Durante la crisi sanitaria le imprese si sono mostrate più propense ad attivarsi per incrementare il proprio livello di digitalizzazione laddove era disponibile una connessione ad internet qualitativamente migliore, in modo da agevolare l’utilizzo di strumenti digitali e l’adozione di nuove modalità di lavoro. Le attuali tensioni nell’ambito del sistema energetico europeo, che si manifestano ad esempio attraverso aumenti del prezzo dell’energia, sono indice dell’urgente necessità di investire, in un decennio decisivo per la transizione climatica come quello in corso, sia nella produzione di energie rinnovabili che in reti di trasmissione di portata europea.

L’attuazione è un aspetto fondamentale. L’elaborazione e l’approvazione dei programmi ha rappresentato un enorme passo avanti, ma a questo punto diventano fondamentali le capacità di attuazione dei singoli paesi, dal momento che l’erogazione delle risorse è ormai subordinata all’effettiva realizzazione delle riforme e dei programmi di investimento proposti.