Kitabı oku: «Un Fantasma Sotto Il Vischio»

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Un Fantasma sotto il Vischio

Indice

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Epilogo

L’autrice

Libri di Rebekah Lewis

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio e non devono essere considerati come reali. Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o a persone, in vita o defunte, è puramente casuale.

Cover Art e modifiche successive © Victoria Miller

“Mistletoe and Spirits” © 2020 Rebekah Lewis

“Un Fantasma sotto il Vischio” traduzione italiana © 2020 Chiara Vitali

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzata, riprodotta elettronicamente o stampata senza autorizzazione scritta, fatta eccezione per brevi citazioni inserite nelle recensioni.

www.Rebekah-Lewis.com

Pubblicato da Tektime

www.traduzionelibri.it


Creato con Vellum

Per il 2021

Ti prego, cerca di essere un anno migliore.

Capitolo 1

La libreria di Main Street era incuneata tra una gelateria e un negozio di giocattoli. Serrande di metallo erano state abbassate sopra le porte e le finestre, e contribuivano a oscurare l’interno già buio. Josephine Locke, detta Jo, intrecciò le mani, in parte per tenerle al caldo dentro i guanti, e in parte perché non sapeva cosa farne. L’avvocato, un certo signor Colin Wentworth, armeggiava con la sua valigetta in cerca delle chiavi dell’edificio. Quell’uomo sembrava decisamente anziano, ma rifiutava qualsiasi offerta di aiuto. Quindi Jo rivolse di nuovo l’attenzione all’edificio che aveva ereditato.

Alta due piani per uniformarsi al resto dei palazzi, la Libreria Locke era ubicata lungo la strada di un piccolo paesino degli Stati Uniti, identica a quelle che si vedevano nei film. Il che sembrava giusto, considerando il fatto che aveva ereditato quel posto da una zia che non aveva mai incontrato, e sicuramente una cosa del genere succedeva solo nei romanzi. Eppure eccola lì, nella sonnolenta cittadina di Little Comfort, in Massachusetts, un minuscolo villaggio ricoperto di neve e ghiaccio il cui nome offriva esattamente ciò che prometteva. Jo era terribilmente impreparata a quel clima, avendo vissuto in Florida per tutta la vita. Il suo intero guardaroba invernale, indossato contemporaneamente, non l’avrebbe tenuta al caldo, lì.

«Oh, dove sono finite le chiavi?» mormorò il signor Wentworth, frugando ancora tra le sue cose. Jo fissò la parte posteriore della testa calva di quell’ometto. Sarebbe morta di freddo prima che lui trovasse quelle maledette, perché era troppo testardo per accettare di farsi aiutare. «Ah ah!» disse l’avvocato, sollevando il portachiavi nella mano guantata e stringendolo vittoriosamente. «Sapevo che erano qui.»

Jo sorrise educatamente, saltellando sulle punte dei piedi per tenersi in movimento, mentre cercava di riscaldarsi un altro po’. Non fece commenti mentre l’avvocato sbloccava la serranda e poi la porta. Lottò per sollevare la pesante barriera di metallo, e lei non ce la fece più. Poteva anche non volere il suo aiuto, ma glielo avrebbe dato lo stesso.

«No, no, non si preoccupi. Ce la faccio benissimo» iniziò il signor Wentworth, ma questa volta Jo non lo avrebbe assecondato.

«Le credo, ma ho bisogno di qualcosa da fare per continuare a muovermi.» Non ci sarebbe stato un freddo del genere tutto l’anno, vero?

Con la serranda alzata, l’anziano avvocato spalancò rapidamente la porta d’ingresso e la tenne aperta per lei. «Una ragazza così dolce. Capisco perché sua zia le abbia affidato il suo adorato negozio.»

Jo fece del suo meglio per non ridere. Era contenta che lui potesse capire il perché, dato che lei, poco ma sicuro, non ne aveva idea. Non aveva mai incontrato la zia Miriam. A essere del tutto sinceri, nemmeno il suo nome le aveva detto qualcosa quando il signor Wentworth l’aveva chiamata e lei quasi gli aveva riattaccato il telefono in faccia. Poi si era ricordata della sorella con cui sua madre non aveva rapporti da anni, che si era trasferita dopo il liceo e non era più tornata a casa, nemmeno per fare una visita. Gli eventi che avevano portato a quell’allontanamento erano tanto misteriosi quanto il modo in cui Jo era finita per essere l’unico membro della famiglia nominato nel testamento della zia Miriam. La donna non si era mai sposata e non frequentava nessuno, al momento della sua morte, e non aveva figli, naturali o adottati. Non aveva mai nemmeno incontrato Jo. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che il nome della zia era stato pronunciato da un membro della famiglia, ma sicuramente non era successo da quando Jo era piccola.

«Mia cara» disse in maniera un po’ brusca il signor Wentworth. «Viene dentro o resta fuori al freddo?»

Entrando nel locale, mentre la porta si chiudeva alle sue spalle, Jo non poté fare a meno di guardarsi intorno meravigliata. Scaffali pieni di gloriosi assortimenti di libri tascabili e con la copertina rigida che avevano bisogno di una buona spolverata. Ragnatele che si estendevano agli angoli della stanza, su cui, per fortuna, non vide nulla dotato di otto zampe. Fin dove riusciva ad allungare lo sguardo, per lo meno. Dietro la cassa, in fondo al negozio, un cartello di fianco a una porta indicava le scale che portavano all’appartamento al piano di sopra. Un’altra serie di porte nell’angolo più lontano conduceva a un magazzino o a un bagno. O forse a entrambi.

«Tutto questo mi appartiene, adesso?» chiese, mentre il basso avvocato l’accompagnava in fretta verso un angolo lettura vicino alle grandi vetrine sul davanti del negozio. Jo si sedette al suo fianco mentre l’uomo deponeva le cose che aveva con sé sul tavolo alla sua destra. «Non so nulla sulla gestione di un’impresa» lei ammise.

In effetti, fino a quel momento aveva lavorato come cameriera, vivendo di mance e di magri stipendi. La sua laurea in Lettere e Filosofia, conseguita in un’università statale, non l’aveva aiutata a trovare un lavoro migliore, e, onestamente, non sapeva cosa voleva fare della sua vita. Però le piaceva leggere. Quel lascito poteva essere una benedizione sotto molti punti di vista, considerando che era stata licenziata per non essersi presentata al lavoro mentre cercava di ragionare con il suo padrone di casa, tentando di non farsi sfrattare perché era in ritardo sull’affitto. Di nuovo. Un lavoro e un posto dove stare, e in più un’eredità?

O quella storia era ciò che si definiva un miracolo di Natale la settimana prima delle feste, o era una fregatura.

Jo si aspettava che fosse una fregatura.

«Non si preoccupi, mia cara. Una ex dipendente del negozio l’aiuterà a rimettere in piedi l’attività, se è quello che desidera, oppure a vendere l’edificio se non vuole restare.»

«Oh, non c’è bisogno che si preoccupi durante le feste. Può aspettare...»

Il signor Wentworth scosse la testa. «Sua zia è stata chiara nel testamento: voleva che lei fosse in grado di subentrare immediatamente, nel caso fosse venuta a mancare.»

Tuttavia, sembrava che ci fossero un sacco di problemi da affrontare. «Questa donna verrà ricompensata per il suo lavoro, vero?» Jo avrebbe usato la sua eredità, una volta ricevuta, se non ci avessero pensato in anticipo.

Il vecchio sorrise dolcemente. «Sua zia le ha lasciato una bella somma di denaro. La signora Taylor ha chiamato per chiedere del negozio e, quando ha saputo che l’aveva ereditato lei, si è offerta di dare una mano.» Si grattò il mento. «Ma sul conto aziendale dovrebbero esserci abbastanza soldi per pagare uno o due dipendenti in più.»

Era una buona notizia, nonostante tutta quella storia la spaventasse un po’. Sua zia era morta alla fine di novembre. Contenitori pieni di decorazioni natalizie erano aperti accanto al bancone anteriore, e Jo fece scorrere le dita sull’albero lì accanto, non ancora addobbato. «Era... era qui quando...» non riuscì a concludere la frase. Zia Miriam era morta a causa di un ictus, ma Jo non aveva indagato troppo sulle circostanze in cui era avvenuto.

«Sì. Un fattorino l’ha trovata la mattina in cui è accaduto il fatto: sua zia non aveva aperto la porta, e lui l’ha vista sdraiata sul pavimento attraverso la finestra.»

«Oh no.» Il cuore di Jo si strinse mentre un brivido la investiva. Sua zia era morta da sola. Che cosa terribile. La faceva sentire ancora peggio il fatto di non conoscerla, e che la sua famiglia non le fosse stata più vicina. La madre di Jo non si era propriamente aperta su quella situazione, anche adesso che zia Miriam era morta. In effetti, aveva reagito a malapena alla notizia. Visto che anche il padre e i nonni di Jo erano morti, non c’era davvero nessuno a cui chiedere spiegazioni.

«Vuole dare un’occhiata all’appartamento al piano di sopra?»

Sollevata dal cambio di argomento, Jo annuì. «Sì, grazie.»

Il primo piano era occupato da un monolocale. C’era una piccola zona cucina, un bagno con vasca, una cabina armadio e un ampio soggiorno. Un letto matrimoniale, spogliato di coperte e lenzuola, occupava lo spazio di fronte a un caminetto. Sul muro sopra di esso era appesa una televisione. Dietro, un tavolino e delle sedie costituivano la zona pranzo, e una lavatrice e un’asciugatrice erano state infilate nell’angolo. Non era grande, ma era perfetto. Jo non era riuscita a portare tutto con sé, ma, onestamente, non possedeva molte cose. Avrebbe trovato facilmente un po’ di biancheria da letto e alcuni asciugamani nuovi.

«Spero che il fatto che sua zia sia morta nell’edificio non le dia troppo fastidio. Almeno non è successo nel letto.»

La bocca di Jo si spalancò a quel commento. «Ha detto che dovevo firmare dei documenti?» Prima avesse sistemato tutta quella faccenda, prima lui se ne sarebbe andato e lei avrebbe potuto iniziare a pulire e portare dentro le scatole che aveva in macchina.

Circa mezz’ora dopo, Jo era beatamente sola, con le chiavi in mano e un fascicolo di fotocopie fatte nel negozio al piano di sotto. Un’altra ora dopo, scaricata la macchina e acquistati lenzuola e asciugamani da un negozio in fondo alla strada, era al piano di sopra a spolverare e pulire i mobili. Per quanto il negozio stesso avesse bisogno di una bella pulita, non aveva voglia di salire le scale per andare a letto e ricordarsi solo a quel punto che anche quella stanza aveva bisogno di essere sistemata.

Con la musica che suonava dal cellulare, Jo si mise a cantare e ballare mentre riordinava l’appartamento - il suo appartamento, adesso. Annuì, guardandosi intorno. Era perfetto per lei. Dopo aver trovato l’aspirapolvere e aver lavato il bagno e la cucina, decise di fare una doccia e finirla lì con le pulizie. Era scesa la sera, e il suo stomaco brontolava.

Si sarebbe data una rinfrescata e avrebbe trovato un posto dove mangiare qualcosa prima che fosse troppo tardi. La mattina avrebbe dovuto passare in rassegna il frigorifero e la dispensa, e fare una lista della spesa per il giorno seguente. Le due scatole di bibite, l’acqua e il cibo che aveva portato con sé non sarebbero durati a lungo.

Quando Jo scese le scale, una corrente fredda la sfiorò. Rabbrividì e afferrò il cappotto che aveva gettato sul bancone della cassa. Un tonfo la fece sobbalzare ed emettere un gridolino. Voltandosi, fissò un libro che giaceva in mezzo al pavimento. Era caduto da uno degli scaffali?

Lo raccolse. A casa per le vacanze: un Libro di Ricette per Natale. Un rapido esame della mensola più vicina non rivelò né libri a tema natalizio né di cucina.

Strano.

Scrollando le spalle, Jo si assicurò di avere con sé la borsa e le chiavi e uscì per cercare qualcosa da mangiare.

Capitolo 2

Brett Jacobs asciugò il bancone del bar e sospirò. Serata fiacca. Ma d’altra parte era martedì. Considerato che venivano dopo l’estenuante inizio della settimana lavorativa e prima della pausa infrasettimanale, i martedì erano sempre tranquilli. Eppure, essere lì era sempre meglio che stare seduti a casa senza nient’altro da fare se non guardare una partita in televisione o un qualche film noioso con tanta azione ma niente sostanza. Non era mai stato un festaiolo o un giocatore. Quando non lavorava leggeva romanzi di fantascienza, ma ultimamente anche la lettura lasciava troppo tempo a disposizione dei suoi pensieri.

Quindi tornò a lavorare...

Non era una brutta cosa. Un lavoro nell’unico bar di una piccola città aveva i suoi vantaggi; essere intrappolato lì un martedì fiacco, però, non era uno di essi. Guardò l’orologio e gemette. Erano solo le dieci di sera. Il bar chiudeva all’una di notte durante la settimana lavorativa, quindi doveva restare solo qualche ora in più. Almeno quello.

Uno dei tre clienti presenti, un meccanico che lavorava in un’officina auto, alzò alla fine del bancone il bicchiere vuoto della sua Pilsner e Brett si avvicinò. Versò all’uomo un’altra birra chiedendogli come fosse andato il lavoro quel giorno, e quando quello grugnì in risposta, Brett colse il suggerimento e tornò verso l’estremità vuota del bancone. Una serata fiacca non era troppo male quando veniva riempita da conversazioni, ma alcune notti le persone volevano solo essere lasciate in pace con il loro alcol e i loro pensieri.

C’era un limite alle volte in cui Brett poteva pulire il bancone del bar. Sperava che le cose diventassero più interessanti, e lo facessero in fretta.

La porta si aprì, lasciando entrare la frizzante aria invernale assieme a un nuovo cliente. Brett alzò lo sguardo, aprendo la bocca per salutare chiunque fosse entrato, e il suo respiro si fermò. Una splendida ragazza stava tremando sull’ingresso mentre la porta si chiudeva alle sue spalle. La neve scintillava sopra i suoi lunghi capelli scuri, indossava un paio di jeans, un maglione bianco ed era avvolta in un cappotto blu acceso. I guanti rosa shocking erano intonati al cappello e alla sciarpa. Non alzò nemmeno lo sguardo mentre si dirigeva verso il retro del locale e scivolava in uno dei separé.

Chi era? Brett prese un menu dall’estremità del bar, insieme a un sottobicchiere, e si diresse verso di lei. Nelle serate tranquille come quella, faceva lui da cameriere per i cinque separé addossati al muro di fondo e gli otto tavoli alti al centro della stanza. Gli dava qualcosa in più da fare, quindi non era un problema. Soprattutto non quando avrebbe potuto parlare con una bella ragazza, probabilmente in visita alla famiglia o di passaggio. Ignorò la delusione al pensiero di una sua semplice visita. Ma, dato che lavorava a tempo pieno, non avrebbe dovuto preoccuparsi di uscire con qualcuno, in quel momento.

Si fermò all’estremità del tavolo mentre lei si toglieva i guanti e iniziava a digitare sul suo cellulare. Non lo guardò nemmeno. Brett le posò il menu accanto e lei sussultò, alzando brevemente lo sguardo prima di riportare la sua attenzione sul telefono. «Mi dispiace» gli disse. «Non ti ho visto. Dammi solo un momento per inviare questo messaggio. So che è maleducato da parte mia.»

Lui si limitò a posare il sottobicchiere al centro del tavolo. Ogni cliente lo avrebbe comunque spostato nel punto in cui voleva il drink. «Nessun problema. Benvenuta all’Unico Bar. Io sono Brett. Posso portarti intanto qualcosa da bere?»

«Questo posto si chiama davvero così?» La ragazza ridacchiò, mise da parte il telefono e alla fine lo guardò. Le sue labbra si separarono e, se Brett non si stava sbagliando, anche i suoi occhi si spalancarono un po’. Un sorriso gli apparve sulle sue labbra mentre aspettava che lei gli dicesse cosa voleva bere. Era troppo carina per quella città, poco ma dannatamente sicuro. «Oh, io...» disse, tremando di freddo. «Fai dei cocktail o si può ordinare solo birra?» Il suo naso si arricciò alla parola birra e lui ridacchiò.

«Non sei una fan del luppolo, vero?» Poi aggiunse: «E, sì, siamo l’unico bar su Main Street, quindi aveva senso chiamarlo così, visto che lo avrebbero fatto tutti comunque.»

Lei gli sorrise timidamente mentre si stringeva il cappotto. Sembrava troppo minuta per quella zona del paese. Sicuramente non era di quelle parti. «Effettivamente un nome così funziona bene. Quanto alla birra, purtroppo non ha mai iniziato a piacermi.»

«Non c’è nulla di sbagliato in questo. Cosa posso portarti?» Il nervosismo lo colse mentre si crogiolava nell’attenzione che lei gli stava riservando. Era passato così tanto tempo da quando aveva provato a uscire con qualcuno, che all’improvviso non riusciva a sopportare di parlare con una donna attraente?

«Una vodka al mirtillo?» Strinse le mani in modo supplichevole mentre glielo chiedeva. Chi era lui per negarle una richiesta così semplice?

Le fece l’occhiolino. «Arriva subito. Se hai fame, dai un’occhiata al menu e ti faccio preparare qualcosa dal cuoco.» Todd probabilmente si stava annoiando a morte in cucina, quella sera. Sarebbe stato entusiasta di cucinare. Anche un semplice toast sarebbe stato eccitante.

Dopo che lei lo ebbe ringraziato, Brett si voltò per tornare al bar, notando che anche i suoi clienti stavano fissando il separé. Una sensazione di fastidio lo attraversò. Sperò di non dover sbattere fuori qualcuno per aver dato fastidio a quella ragazza mentre lei si godeva il suo drink e qualcosa da mangiare per cena. D’altro canto, era entrata in un bar da sola. Chi sapeva cosa stesse cercando durante il suo soggiorno lì?

Non era un tipo geloso. Sarebbe stato assurdo, considerando che l’aveva conosciuta pochi istanti prima e non sapeva nemmeno il suo nome. In verità, quella era probabilmente una buona cosa. Un uomo avrebbe potuto perdersi in quei suoi occhi nocciola e desiderare cose che non aveva diritto di volere.

Mentre le preparava da bere, Brett di tanto in tanto alzava lo sguardo per vedere se appoggiava il menu per far capire che era pronta per l’ordinazione. Quando mise il drink su un vassoio rotondo per portarglielo attraverso il locale, lei posò il menu e lo guardò con un sorriso. Lo trafisse.

Cristo santo, è davvero carina.

Arrivato al tavolo, Brett mise la bevanda sopra il sottobicchiere. Quindi si mise il vassoio sotto il braccio e tirò fuori dalla tasca posteriore il blocco delle ordinazioni e una penna. «Cosa posso portarti?»

«Com’è il cheeseburger con il bacon?»

Il suo sorriso si allargò. «Oddio. Non hai vissuto finché non hai mangiato uno degli hamburger grondanti di Todd. Te lo consiglio vivamente.» Era il suo piatto preferito del menu. «Insieme alle patatine fritte con il formaggio della casa.»

Alla menzione del cibo, lo stomaco le brontolò rumorosamente e lei si coprì il viso, appoggiandosi al tavolo. «Oh mio Dio. È così imbarazzante. È stata una giornata molto lunga e ho perso la cognizione del tempo. Ho dimenticato di mangiare.»

«Capita a tutti, ogni tanto, di fare tardi per cena.»

«No» gli rispose, sbirciando da sopra la mano. Le sue unghie erano tagliate corte e senza smalto. A pensarci bene, non era nemmeno molto truccata.

In qualche modo, Brett trovò quella cosa confortante. La sua ex ragazza non passava nemmeno una giornata a casa senza coprirsi la faccia di trucco e ciglia finte. Non che avesse qualcosa contro il trucco, ma non lo aveva mai capito. Forse perché era un uomo e non pensava che fosse una necessità quotidiana.

«È tutto il giorno che mi dimentico di mangiare. Quel dannato avvocato mi ha trascinata nella libreria di mia zia - beh, ora la mia libreria, immagino - e poi ho pulito e riordinato l’appartamento al piano di sopra. Ho capito che avevo bisogno di qualcosa da mettere sotti i denti, e dato che questo è il posto più vicino che serve da mangiare, eccomi qui.»

Le braccia gli caddero lungo i fianchi. Tenne in mano il blocco e la penna, ma il vassoio gli cadde a terra, provocando un baccano tremendo mentre atterrava. Recuperandolo rapidamente, lo mise sul bordo del tavolo e si lasciò cadere nel separé di fronte a lei. «Non ci credo. Ti stai trasferendo nella libreria della signora Miriam, vero?»

Lo guardò sbattendo le palpebre. «Conoscevi mia zia?» Poi rise e disse: «Beh, ovvio che la conoscessi se viveva e lavorava proprio dall’altra parte della strada. Probabilmente tutti conoscono tutti, in questo posto.»

«Era una signora dolcissima. Veniva ogni lunedì sera e ordinava una ciotola di stufato irlandese.»

La ragazza fece scorrere la punta delle dita sul bicchiere e il suo sorriso svanì. Era per qualcosa che aveva detto? Poi sospirò e lo guardò. «Non l’ho mai incontrata. Non so perché l’abbia lasciata a me, sai? Spero di non far fallire definitivamente il lavoro di tutta la sua vita.»

A Brett ci volle tutto il suo controllo per non allungarsi e prendere una delle mani tra le sue. Lui stava lavorando e lei era una cliente. Non poteva anticipare le cose in quel modo. «Andrà tutto bene.» Gli venne in mente un’idea. Se lei fosse rimasta, perché non avrebbe dovuto conoscerla meglio? Le guardò la mano sinistra mentre batteva un dito contro il tavolo. Nessun anello all’anulare. «Hai bisogno di aiuto per trasferirti o per pulire il negozio?»

Il suo viso si illuminò notevolmente, ma poi scosse la testa. «Non posso approfittarne. Hai il tuo lavoro.»

Brett si mise a ridere. «Ho dei giorni liberi, sai.»

«Ci penserò.» Gli sorrise e poi annuì al menu che lui aveva rimesso sul tavolo quando si era seduto. «A proposito di quell’hamburger...»

Il calore gli avvolse il viso e il collo. Eccolo che stava flirtando invece di fare il suo lavoro. «Cristo, mi dispiace tanto.» Balzò in piedi e tenne la penna sul taccuino degli ordini. «Come ti piace prenderlo... volevo dire, come lo vuoi cotto, l’hamburger?» Si schiarì la gola, sperando che lei non avesse notato il doppio senso involontario. «E ci faccio mettere delle salse?»


Jo fece una risatina mentre quel simpatico barista tornava dietro al bancone per passare il suo ordine. Ovviamente ci stava provando con lei, ma non sapeva se avrebbe dovuto ricambiare o meno. E se gestire la libreria fosse stato troppo difficile e avesse dovuto venderla e andare via? Non che in quel momento volesse iniziare una relazione, in ogni caso. Inoltre, Brett non l’avrebbe trovata così attraente una volta appreso quanto fosse profondamente in rosso la sua carta di credito. Almeno, grazie a zia Miriam, forse sarebbe stata in grado di risolvere in fretta quel problema, dopo aver speso quanto necessario per riaprire il negozio e prepararlo a fare affari. La speranza era di poter riaprire dopo le vacanze. Oltretutto vivere al piano di sopra significava che non sarebbe mai più arrivata in ritardo a causa del traffico.

Non sapeva quanto tempo era rimasta pensierosa prima che Brett tornasse e le mettesse davanti un piatto gigante con al centro un enorme hamburger e una porzione di patatine fritte al formaggio. Le venne l’acquolina in bocca e non disse nulla per paura di sbavare. Invece, bevve un rapido sorso del suo drink e poi borbottò un rapido ringraziamento.

La porta si aprì e l’unico altro cliente rimasto nel bar se ne andò, lasciandola tutta sola con Brett e chiunque altro lavorasse in cucina. Lei lo guardò. E lui le sorrise. Era davvero un bel ragazzo, con capelli scuri che gli cadevano sulla fronte e una barba ben curata che gli conferiva un aspetto un po’ rude. Indossava una felpa grigia a maniche lunghe con sopra il nome del bar, abbinata a pantaloni cachi e scarpe nere.

Non essere sciocca, Jo. Puoi fare amicizia con un ragazzo carino senza necessariamente uscire con lui.

«Sei molto occupato?»

Brett si guardò intorno nel locale ormai vuoto. «Siamo assolutamente sommersi dal lavoro, in questo momento. Non so come farò a sopravvivere.»

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