Kitabı oku: «Contatto Per La Felicità»

Yazı tipi:

Contatto

per la

Felicità

Juan Moisés de la Serna

Traduzione italiana Cinzia Pasqualino

Edizioni Tektime

2020

“Contatto per la Felicità”

Scritto da Juan Moisés de la Serna

1a edizione: marzo 2020

© Juan Moisés de la Serna, 2020

© Edizioni Tektime, 2020

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

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Prologo

La felicità per alcuni è uno stato, per altri è il cammino, ma quando arriva l`amore, ogni sofferenza viene dimenticata.

Un romanzo intimo di persone sconosciute tra loro, con sentimenti contrastanti che confluiscono in un unico punto, l’AMORE.

Dedicato ai miei genitori

Nella vita in alcuni momenti

dobbiamo decidere

che cosa vogliamo fare

quali passi compiere.

Potrebbe non essere facile

l’ambiente è ostile

ma se lottiamo

possiamo farcela.

Impegnarsi è importante,

ogni giorno dobbiamo fare

degli sforzi, andare avanti

e quindi arrivare alla vittoria.

Basta non fermarsi

quando si decide

di combattere con tutte le proprie forze

per realizzare il proprio obiettivo e raggiungerlo.

AMORE

Índice de contenido

Prologo

CAPITOLO 1. PRIMO GIORNO

CAPITOLO 2. IL SECONDO GIORNO

CAPITOLO 3. L’ORIGINE

CAPITOLO 4 VIAGGIO IN TRENO

CAPITOLO 5. NUOVA CITTÀ: PRIMO GIORNO

CAPITOLO 6. NUOVA CITTÀ: SECONDO GIORNO

CAPITOLO 1. PRIMO GIORNO

Arrivai in città, all’inizio senza conoscerne realmente il motivo, ma ero sicuro di avere qualcosa da fare lì, perché fino ad allora ogni volta che andavo in un posto era per aiutare qualcuno, anche se questa persona non era consapevole che io ero il canale utilizzato.

Alloggiai in un motel della periferia e presi la prima linea di autobus che vidi per percorrere le strade di quella città sconosciuta. All’inizio quando senti parlare di un posto nuovo, ti informi dei luoghi più significativi e turistici che si possono visitare, ma la cosa più importante per me era conoscere i luoghi religiosi e gli ospedali, dove poter compiere la mia missione.

Con una cartina in mano, guardavo le strade, per memorizzare quali fossero le fermate che mi interessavano su quella linea, così ogni volta che ci fermavamo per far scendere o salire i passeggeri, facevo un segno sulla cartina e cercavo gli edifici vicini che mi interessavano.

Avevo imparato che quando si ha poco tempo, bisogna sfruttarlo al meglio per compiere la propria missione. E così feci, cercai quei luoghi dove si riunivano le persone di fede, per non doverle cercare casa per casa.

Arrivai all’ultima fermata dell’autobus e scesi, era davvero lungo il viaggio del ritorno, ma prima di prendere l’autobus per tornare al motel decisi di camminare un po’ e conoscere la gente, perché nonostante vivessi in un grande paese con una propria idiosincrasia, ogni città ha il suo stile e dentro di essa, ogni zona ha la sua identità.

Si trattava di un quartiere popolare in linea con i grandi edifici che come alveari davano rifugio a migliaia di persone. Gli scarsi spazi verdi che lo circondavano e la mancanza di attrezzature per il tempo libero, davano l’idea che i suoi abitanti erano troppo occupati nella loro costante evoluzione del lavoro per perdere tempo seduti in un parco a leggere il giornale.

Camminai un po’ e notai i veicoli, erano piuttosto vecchi e nonostante il loro aspetto trascurato venivano utilizzati ogni giorno. Sicuramente venivano usati per trasportare intere famiglie, lasciando tutti a lavoro o a scuola prima di finire all’interno di alcuni edifici adibiti esclusivamente a parcheggi.

Intere torri venivano usate quotidianamente da migliaia di lavoratori che sapevano che per strada non avrebbero trovato un posto libero per parcheggiare.

Continuai a camminare, mi accorsi e rimasi sorpreso che non c’era quasi nessuna traccia di sporco per le strade, cosa che avevo già notato nei quartieri popolari di altre città. Più la popolazione è umile, più si prendono cura delle aree comuni, come se sapessero che nessuno verrà a sistemare ciò di cui non si prendono cura.

Continuai e trovai una piccola chiesa in mezzo a un campo aperto, era un piccolo edificio all’ombra di due grandi case. Entrai, ma mentre mi avvicinavo vidi che c’era un cartello sulla porta, che annunciava il giorno e l’ora della funzione, specificando che rimaneva chiusa per il resto del tempo.

Mentre scendevo le scale davanti alla chiesa, pronto per tornare al motel, una vecchia signora che passava di lì, con indosso un vestito floreale piuttosto appariscente, mi salutò dicendo,

«Giovane, è presto per la messa, perché mancano ancora due ore.»

«Sì, signora, è che sono nuovo della città e mi sono avvicinato per vedere se fosse aperta e visitarla.»

«Da molto tempo non si apre al di fuori dell’orario delle celebrazioni. Prima, quando ero bambina, la casa del Signore era sempre aperta in qualsiasi momento, si poteva passare e pregare, stare un po’ in silenzio e poi andare per la propria strada, ma ora è diverso, tutti hanno troppa fretta per rendersi conto che c’è una chiesa. Mi sembra che anche il sacerdote abbia fretta ed è per questo che non ha nemmeno il tempo di aprire prima dell’orario.»

La ringraziai per l’informazione e, visto che la signora mi era simpatica, le chiesi cordialmente,

«Posso farle un regalo?»

«Non sono vecchia come sembro, a quale donna non piace ricevere un regalo, anche se non so quale sia il motivo,» mi rispose sorpresa.

«Non ho alcun motivo per condividere la mia giornata, voglio solo che sia felice.»

«Ah, allora sì.»

Detto questo, e senza aspettare ancora, le misi la mano destra sulla fronte e dopo pochi secondi, la tolsi e le dissi,

«Questo è tutto, spero che abbiate una splendida giornata.»

Sembravo assorta, con uno strano sorriso di felicità, come quello di una bambina quando è tra le braccia di sua madre, mi ci volle un po’ per reagire ma ormai l’uomo se n’era già andato.

In fretta, ma senza correre, come potei, ritornai dal parrucchiere dove avevo lasciato solo pochi minuti prima una conversazione importante con le mie amiche, con le quali avevo condiviso buona parte della mattinata. Ma i miei obblighi verso mio nipote, al quale dovevo preparare il pranzo, mi avevano indotto a lasciare quel momento di svago e tornare a casa. Arrivando alla porta del parrucchiere la aprii ed entrando salutai tutti e una di loro vedendomi mi chiese,

«Cosa hai dimenticato? Pensavamo che già fossi tra i fornelli.»

Ancora prima di risponderle aggiunse,

«Ehi, piccola, sei rossa in viso, qualcuno ti ha fatto un complimento per strada e sei venuta per condividerlo con noi? » E tutte iniziarono a ridere.

«Ancora meglio,» dissi, e subito tutte rimasero in silenzio.

«Meglio di un complimento alla nostra età? Dicci, perché ci interessa» commentò la prima.

«Ho conosciuto un uomo…»

«Allora presentamelo,» disse un’altra, interrompendomi dal fondo, e tutte risero di nuovo.

«Seriamente, ragazze, questo aveva uno sguardo speciale.»

«Vai avanti, continua piccola» ripeté la donna sullo sfondo e tutte risero di nuovo.

«E poi con la sua mano mi ha toccato e ho sentito un calore…»

«Ehi ragazza! C’è gente perbene davanti a te, stai diventando tutta rossa» disse la prima, interrompendomi e tutte risero di nuovo.

Mi sentivo molto a mio agio senza sapere il perché, ma a quanto pare la mia gioia contagiava le altre, perché nonostante fossimo donne avanti con gli anni, normalmente quel luogo ci serviva per discutere di ciò che ci interessava, dei problemi dei giovani, della mancanza di lavoro, di quanto fosse cara la vita…

Invece, ora stavamo ridendo a crepapelle, senza pensare a nessuna delle ansie che dovevamo affrontare quotidianamente.

Me ne andai con la sensazione di essermi divertita e di sentirmi molto bene, le mie amiche mentre mi salutavano mi dicevano che quando avrei avuto un altro giorno come questo non avrei dovuto esitare a tornare di nuovo e di chiedergli il numero di telefono, c’erano diverse candidate disposte a farsi toccare.

Camminavo per la strada come se fossi su una nuvola, ricordando e ridendo delle battute che erano state fatte dalle mie amiche, era una sensazione meravigliosa che mi avvolgeva.

A cinquant’anni, non ricordo un momento così piacevole come questo, nonostante abbia vissuto dei bei momenti, il giorno del mio matrimonio, quando ebbi mia figlia o quando questa ebbe mio nipote.

Forse quelle tre erano le più straordinarie, ma tutte e tre erano gioie da condividere con gli altri, ma ora era diverso, sentivo una felicità interiore ed ero capace di trasmetterla, come se avessi una fontana alla quale si era rotta il rubinetto e la felicità sgorgava dentro di me.

Arrivai al portone di casa mia, aprii un cancelletto di ferro, questa era una misura di sicurezza che la comunità aveva adottato per impedire alle persone dedite ai furtarelli di entrare, o almeno per rendere le cose un po’ più difficili. Comunque, ogni settimana, qualcuno si lamentava che era stato derubato, anche se era un quartiere povero.

In realtà, nelle case avevamo l’essenziale per vivere, senza alcun tipo di lusso, nonostante entrassero e rubassero quello che trovavano, potevano prendere un tostapane o una radio.

Mentre stavo prendendo l’ascensore,mi imbattei in uno di quei ragazzi difficili da trattare, un rifugiato come li chiamavo io, che trascorreva la vita lontano dagli altri per non far loro del male, perché sembravano molto scontrosi e maleducati.

Normalmente, in un altro momento mi sarei intimidita e avrei lasciato che salisse da solo per poi prendere l’ascensore appena libero, ma stavo troppo bene per avere paura, così quando l’ascensore scese, gli aprii la porta per farlo entrare. Dalla reazione e dall’espressione del suo viso egli rimase sorpreso.

«Le buone maniere sono per gli altri» dissi con un sorriso.

L’uomo mettendo una mano sulla testa tenne la porta e disse,

«Per favore, entrate prima voi.»

Lo ringraziai e passai, seguita da questi, una volta dentro, mi chiese,

«Dove andate oggi?»

«Beh, vado a trovare mio nipote, che sono sicura sarà arrabbiato perché non ha il suo cibo pronto, sapete, con i bambini.» «Non ancora,» mi rispose l’uomo con un leggero sorriso.

«Non si preoccupi, troverà chi l’amerà e vedrà quanto sarà felice quando avrà dei figli,» dissi con un ampio sorriso.

«Voi credete? A dire il vero, lo spero, ma a causa delle mie dimensioni le persone tendono a pensare che non sono facile da trattare e quasi scappano da me.»

Ciò mi sorprese, credevo che fosse lui a mantenere una certa distanza dagli altri e invece aveva un carattere affabile e simpatico, disposto a dialogare con chi gli dedicava qualche minuto.

«Se posso darti un consiglio, dovresti cambiare il tuo modo di vestire, mi piace di più il blu o il bianco per te,» gli dissi facendogli l’occhiolino.

L’ascensore arrivò al mio piano, uscii non senza salutare quel vicino con cui non avevo mai scambiato una sola parola e ora mi sembrava tanto simpatico. Aprii la porta e sentii mia figlia rimproverare mio nipote e lamentarsi del mio ritardo.

«Sono qui, calmati, mi prenderò cura di tutto,» dissi ad alta voce per farle capire che l’avevo sentita.

«Ma hai visto che ore sono? — mi rispose nervosa —. Hai idea di quanto sia tardi? Se non hai intenzione di occuparti del bambino, dimmelo e vedrò come posso lasciarlo a scuola. Sai che devo andare al lavoro e non posso occuparmi di tutto.»

«Beh, ho fatto un po’ tardi con le mie amiche, tutto qui,» dissi con un tono conciliante.

«Certo che sei oziosa come sempre, ma una di noi deve lavorare,» mi rimproverò.

«Ultimamente ho pensato di cercare un lavoro,» dissi pensierosa sapendo che ciò avrebbe potuto risolvere in qualche modo la delicata situazione finanziaria della casa.

Quel mio commento fece ammutolire mia figlia, perché sperava che mi scusassi o protestassi per le tante faccende che avevo in casa, che alla fine ci facevano litigare per ore.

Da parte mia le rinfacciai il fatto di essermi sacrificata quando ero giovane, affinché andasse avanti, dandole gli studi che altri non ebbero.

Da parte sua, mi accusò di essere egoista, ricordandomi che pagava le bollette con il suo lavoro, il che le impediva di frequentare il figlio quanto voleva senza avere la possibilità di pagare qualcuno con chi lasciarlo.

Ma qualcosa era cambiato nella nostra discussione, lei era rimasta in silenzio, pensosa, e dopo un attimo mi disse,

«Va bene, non preoccuparti, farò una cosa veloce e troveremo una soluzione. A proposito, dimentica l’idea di lavorare, non hai né l’età né la necessità, finché io sono in questa casa voglio che tu stia tranquilla.»

Ciò mi sorprese, mi rimproverava sempre di quanto fosse costoso mantenermi con tutte le spese che avevo mensilmente e invece ora sembrava scusarsi.

«Non preoccuparti, figlia mia, ora mi cambio e poi vado a cucinare, a proposito, dov’è il mio re?» Chiesi, mentre cercavo con lo sguardo mio nipote.

Mi guardò divertito e si nascose sperando di spaventarmi all’improvviso, ma io lo conoscevo bene e sapevo dove si nascondeva, così mi girai e lo trovai accovacciato dietro una porta e gli dissi,

«Ti ho trovato.»

E po’scappò verso sua madre, ridendo. Mi sembrava incredibile, non provavo da molto tempo la sensazione di vivere di nuovo con la mia famiglia. Nonostante d’anni vivessimo nello stesso tetto, non era lo stesso di adesso.

«Vuoi dell’aglio?» Sentii mia figlia che me lo domandava.

«Pochissimo, sai che non mi sento molto bene» risposi mentre mi stavo cambiando.

Quando tornai in sala da pranzo, aveva già servito il cibo e mia figlia mi disse,

«Sai a cosa stavo pensando? Questo weekend libero, se vuoi possiamo andare io e mio figlio da qualche parte, e ti lasciamo il giorno libero e fare quello che vuoi.»

«Preferirei passare del tempo con voi, da un po’ che non usciamo come una famiglia da qualche parte, anche solo andare a giocare al parco.»

Deve essere piaciuto a mia figlia, perché si avvicinò a me e mi diede un delicato bacio sulla testa.

«Voglio andare a vedere le anatre» disse mio nipote brevemente.

«Ma devi sapere — gli risposi —. Che le anatre sono molto intelligenti e sanno chi mangia tutto e chi no, vuoi che sappiano che mangi poco?»

«No, oggi mangerò tutto,» disse con un grande sorriso.

Era meraviglioso perché per la prima volta dopo tanto tempo, noi tre eravamo seduti a tavola per mangiare, quando normalmente mia figlia mangiava in piedi o prendeva qualcosa da mangiare in uno snack bar e lo faceva mentre andava al lavoro.

Ma oggi, anche rubando parte del suo tempo prezioso, si era seduta e mio nipote, con il quale doveva sempre lottare per farlo mangiare, mangiava tutto quello che sua madre gli dava e senza nemmeno protestare. Una volta finito di mangiare, andai a lavarmi e mia figlia andò a lavorare.

Ero già in ritardo, anche se non mi interessava, perché mi era piaciuto molto come la mattina si era conclusa, anche se all’inizio ero piuttosto furiosa, perché quando arrivai mio figlio era solo in casa quando mia madre doveva stare con lui.

Quando glielo chiesi, mi disse che era venuto con uno dei suoi piccoli amici, un nostro vicino di casa, e che sua madre li aveva portati entrambi; sebbene mi andasse bene, visto che era a casa sua, non mi piaceva molto, perché se qualcuno è responsabile di un compito, deve compierlo, e di più quando si tratta di mio figlio.

Ma stranamente tutto quel cattivo umore era svanito quando aveva aperto la porta, come se fosse entrata una boccata d’aria fresca e mi aveva fatto dimenticare tutte le mie preoccupazioni.

Anche se di solito lasciavo mio figlio a fare i compiti, oggi avevo appena avuto il tempo di salutarlo e scappare al lavoro. Per fortuna era vicino a dove vivevo, così dovetti camminare un po’ più velocemente per recuperare il tempo che avevo speso per preparare il pranzo.

Uscii di casa per andare a lavorare, al supermercato del quartiere, e quando arrivai lì incontrai il direttore che mi disse,

«Salve, signorina, vedo che oggi è raggiante, sono contento, questo è l’atteggiamento che voglio dai miei dipendenti.»

Raggiante? Non sapevo molto bene a cosa si riferisse, probabilmente avrebbe voluto che facessi gli straordinari, ed è per questo che mi aveva fatto un tale complimento. Non gli diedi molta importanza, mi misi la divisa da lavoro e iniziai mettendomi alla cassa.

«Beh, si può dire che è una bella giornata di oggi,» disse un uomo anziano che vedevo ogni giorno comprare la stessa cosa.

«Sapete, oggi vi consiglio un’offerta che abbiamo, se siete interessato potete aggiungerla alla vostra dieta.»

«Come sapete che sono a dieta?» Chiese l’uomo sorpreso.

«Io sono molto attenta, e voi vi tenete piuttosto bene, quindi fate qualcosa.»

«Oh, grazie, l’avete notato, ma non si tratta solo di cibo, percorro circa otto chilometri ogni giorno, potete crederci alla mia età?»

«Se me lo permettete, vi consiglio alcuni integratori che contengono ferro. È bene sostituire i sali minerali che si perdono,» risposi con un sorriso.

«Sapete, sono molto contento che vi state occupando di me, finché verrò mi assicurerò che lo facciate. E in confidenza, se pensate che abbia bisogno di qualcos’altro, non esitate a dirmelo, perché nonostante il detto “Più vecchio è più saggio”, la verità è che la mia testa è troppo piccola e a volte non riesco a vedere tutto.»

«Perché vi prendete così tanto cura di voi stessi?» Chiesi al quanto stranita.

«Sapete, l’altro giorno ad una festa ho conosciuto una donna, ma ho avuto paura di chiederle di ballare. Anche lei sembra un po’ riservata, e voglio avere un bell’aspetto per questo venerdì.»

«Avete un’altra festa?» Chiesi sorpresa.

«Sì, ogni venerdì alle otto al centro sociale, potete venire se volete, di sicuro vi divertirete.»

«Grazie mille, ma non ho un partner,» risposi con rammarico.

«Sarei felice di esserlo — mi disse l’uomo, strizzandomi l’occhio —. Anche se, a dire il vero, sono già interessato a un’altra.»

«Glielo dirà?» domandai a bassa voce.

«Non lo so, è solo che mi vergogno un po’,» rispose imbarazzato.

«Provi con dei fiori, che aiutano sempre, e se non li accetta, perderà solo un po’ del suo orgoglio.»

«Questo è tutto quello che mi era rimasto, signorina, il tempo me lo ha portato via, e qualcosa d’altro,» rispose con tono misterioso.

«Ascoltatemi, dei fiori, anche se è solo uno, ma non una rosa rossa,» dissi facendo l’occhiolino.

«Ah, no! Perché?» Chiese sorpreso.

«Non faccia il birbantello, sapete cosa significa.»

Ed entrambi facemmo quella risata nervosa di complicità che due amici hanno quando affrontano questioni personali e l’uomo felice se ne andò in direzione del negozio di fiori, come mi disse lui stesso, per preparare il suo colpo di venerdì prossimo.

Rimasi sola per un po’ mentre nessun cliente arrivava, sorpresa da quello che era successo.

Normalmente, avevo l’abitudine di non parlare con i clienti, perché era molto stressante per me dover comporre e pensare alla risposta che avrei dovuto dare.

L’unica cosa che usavo dire al cliente era il costo totale dell’acquisto, e lo facevo velocemente, dato che di solito c’erano uno o due clienti in attesa.

Ma ora, invece, era come se il tempo non avesse importanza, come se la cosa veramente importante fosse dedicare un po’ di tempo a quest’uomo che camminava sempre a testa bassa, invece, era entrato allegro e con un grande sorriso.

«Vediamo se è vero quello che il mio capo mi ha detto che ha avuto una buona giornata,» pensai tra me e me.

Il cliente successivo arrivò, era una delle donne più difficili da trattare, perché si lamenta di tutto. Ricordo ancora la discussione di ieri, perché alcuni yogurt avevano la data di scadenza di oggi. Si lamentava e sosteneva che con così poco tempo non sarebbe stata in grado di mangiarli tutti e che avrebbe dovuto buttarne via più della metà, così mi chiese una riduzione di almeno la metà del loro prezzo.

Il giorno prima, era perché mi ero confusa dandole il resto di un centesimo. Si arrabbiò molto dicendo che, se i prodotti erano già costosi, non potevo permettermi di non darle il resto.

Ma stranamente non mi sentivo spaventata o imbarazzata dalla sua presenza come in altre occasioni. Era una di quelle persone difficili da dimenticare e che avresti voluto non avere il piacere di incontrare, di quelle persone che, se le vedi per strada, preferisci cambiare marciapiede per non trovartela davanti. Aveva appena iniziato a indicare quando mi chiese,

«Ehi, quale profumo indossate oggi?»

Sorpresa, glielo dissi e lei mi parlò di nuovo dicendo,

«Ne comprerò una boccetta, sapete mi piace mettermi il profumo, ma in piccolissime quantità, preferisco che il mio odore si mescoli al profumo.»

«In questo modo la conosceranno dal suo odore» dissi con un sorriso forzato.

«Infatti, non mi piacciono quelle persone che per mancanza di igiene nascondono il loro odore dietro un litro di acqua di colonia.»

«Inoltre, dicono che sia afrodisiaco, intendo l’odore personale,» precisò.

«Sì, anch’io l’ho sentito dire, ma dicono che gli uomini siano piuttosto visivi, ecco perché indosso sempre abiti di taglia inferiore alla mia.»

Entrambe ridemmo piacevolmente a quel commento, forse quella donna sconosciuta l’avevo giudicata male o forse con troppa leggerezza.

Ora che la conoscevo un po’ meglio, sembrava una persona simpatica, e naturalmente una brutta giornata può averla chiunque persino lei, il che spiegherebbe gli scontri che abbiamo avuto in passato, niente che si debba ricordare.

Mi salutò con un sorriso e dopo un attimo di silenzio ascoltai attraverso gli altoparlanti che ero richiesta presso il servizio clienti. Ciò mi sconvolse, perché normalmente quando si ha bisogno di qualcosa da una cassiera si manda una ragazza ad avvertire ed evitare così il clamore che comporta l’uso degli altoparlanti.

Quando arrivai c’era il direttore con un enorme sorriso che mi disse,

«Ascolta, abbiamo parlato tra di noi e abbiamo deciso che tu sarai la dipendente della settimana.»

«In tutti gli anni in cui sono stata qui, non lo sono mai stata» dissi sorpresa.

«Bene, guarda dove sei oggi» disse, ammiccando.

«Ma questo significa…»

«Sì, infatti, raccogli le tue cose, perché hai il resto della giornata libera.»

Mi sembrava un sogno che si avverava, avevo sempre invidiato la fortuna di alcuni di potersi permettere la giornata libera grazie all’essere il dipendente della settimana, ma fino a quel momento non era mai toccato a me.

Mi sentivo fortunata, toccata dalla provvidenza, capace di fare qualsiasi cosa, di realizzare i miei sogni e desideri.

Uscii dopo aver abbracciato i miei colleghi e persino un cliente che incrociai lungo il mio tragitto e regalai a tutti un bel sorriso. Andai in un negozio per bambini, perché volevo che la mia felicità fosse condivisa con i miei, e anche se il denaro non era abbastanza, volevo fare una sorpresa a mio figlio, così andai a comprargli un giocattolo.

Prima di entrare nel negozio, vidi una persona che vendeva i biglietti della lotteria. Ero sempre stata sospettosa di quei giochi che prendono lo stipendio e con esso anche le illusioni, perché gli anni passano senza vincere, né tu né nessun membro della tua famiglia, nonostante le chiacchiere dicano di aver udito di gente che ha vinto ma che nessuno conosce mai di persona.

Comprai un numero e lasciai il resto al venditore, che mi deliziò con una poesia come ringraziamento, questa nonostante fosse breve era molto bella e così glielo dissi.

Poi entrai nel negozio e dopo aver osservato a lungo decisi per un cubo di Ruben, anche se sapevo che mio figlio era più orientato verso i pupazzi di wrestling, ma pensai che fosse un buon passatempo e che lo avrebbe aiutato a concentrarsi sulle attività più complesse.

Beh, a dire la verità, non mi aspettavo che lo risolvesse, perché quando ero più giovane l’avevo provato diverse volte e non ci ero mai riuscita.

Chiesi all’impiegato di confezionarmelo come regalo e una volta pagato tornai a casa emozionata. Trovai mia madre seduta su una poltrona a guardare la TV e a lavorare a maglia una sciarpa, anche se non ne avevamo bisogno, perché avevamo già una collezione, ma lavorare a maglia le piaceva e la rilassava.

Dopo averla salutata, andai nella stanza di mio figlio, dove aveva trascorso il pomeriggio. Sebbene non ci fosse nessuno a sorvegliarlo, sapeva che la sera prima di cena gli avrei chiesto quali compiti gli erano stati dati a scuola e che avrei verificato se avesse fatto bene. Così divise il suo tempo come voleva tra lo studio e il riposo, se voleva poteva studiare e poi trascorrere il pomeriggio a giocare.

Quando arrivai stava colorando un album, guardandomi entrare fu sorpreso e guardò un orologio nel caso in cui fosse stato tardi senza rendersene conto e disse,

«Mamma, cosa fai qui a quest’ora? Stai bene?»

«Perfettamente, sono venuta solo per vederti prima, per sapere come stai,» risposi con un sorriso.

«Bene, grazie, ma vai via se no ti diranno qualcosa a lavoro,» disse in fretta.

Ero orgogliosa di scoprire di avere un figlio così responsabile.

«Senti, oggi non lavoro, mi hanno dato il pomeriggio libero, quindi se vuoi possiamo uscire per un momento al parco.»

«Devo fare ancora i compiti,» disse tristemente.

«Non ti preoccupare, ti aiuterò a finirli se mi accompagnerai.»

Lasciò rapidamente la matita colorata e si gettò intorno al mio collo con un grande sorriso e mi disse,

«Ti voglio bene mamma.»

Mi emozionai di nuovo, la verità era tutto ciò che una madre poteva desiderare, vedere mio figlio felice e dirmi quelle cose belle.

«Senti — gli chiesi —. Dato che ti sei comportato bene, ti ho portato una cosa.»

«Che cosa?» Chiese eccitato.

«Apri la confezione e vedrai,» dissi mentre gli davo il regalo.

Lo fece così in fretta e trovò un cubo a sei facce, ognuno di un colore diverso e guardandolo chiese,

«E a che serve?»

Mi sentii in difficoltà, perché sebbene avessi cercato di risolverlo, non sapevo quali fossero le istruzioni o come si risolvesse, quindi se mi avessi chiesto di fare una dimostrazione, non potevo farla.

«Beh… questo… — dissi prendendo il mio tempo per cercare le parole giuste —. Ogni lato del cubo deve avere tutte le facce dello stesso colore.»

Mio figlio lo guardò di nuovo e dopo un attimo disse,

«Mamma, già ce li ha, guarda tutte le facce gialle sono qui e da questa parte quelle rosse.»

«Sì, certo — dissi ridendo per la scoperta di mio figlio —. Aspetta un momento.»

Presi il cubo, mescolai i pezzi, glielo restituii, e gli dissi,

«Adesso devi sistemarlo.»

Lo prese tra le sue piccole mani cercando di indovinare come si muovevano quei pezzi e si rese conto che poteva fare solo movimenti orizzontali o verticali di una fila o colonna. Dopo averci provato più volte e in preda alla disperazione gli dissi,

«Per facilitarti il lavoro, puoi spostare più colonne o righe contemporaneamente.»

Mi guardò con la faccia di non essere troppo convinto e ricominciò a girare i pezzi. Sapevo che avrebbe trascorso una buona parte del pomeriggio, quindi gli dissi,

«Bene, metti da parte che dobbiamo andare, dirò alla nonna se anche lei vuole scendere.»

Andai in soggiorno e prima di dire qualcosa a mia madre, mio figlio mi chiamò e mi disse,

«Mamma, mamma, guarda.»

Rimasi meravigliata, perché erano passati solo pochi secondi da quando l’avevo lasciato, mi voltai e vidi con mia sorpresa che nelle sue mani aveva il cubo sistemato e un grande sorriso. Lo presi per guardarlo da tutti i lati e dopo aver verificato che tutti i colori fossero ben posizionati dissi,

«Perfetto, figliolo.» E lo baciai sulla guancia come ricompensa. Ora prendi la giacca che non voglio che ti raffreddi.»

«Esci anche tu?» Mi chiese mia madre ascoltando quello che avevo detto a suo nipote.

«Sì, andiamo al parco per un momento, mi hanno dato il pomeriggio libero.»

«Che cosa hai fatto questa volta?»

«Niente, mamma, sono solo l’impiegata della settimana.»

«Davvero? — Mi chiese, alzandosi e aprendo le braccia per abbracciarmi —. Sono così orgogliosa di te» mi disse stringendomi in un abbraccio.

Mi sentivo strana, litigavamo sempre e adesso mi sembrava che avesse un gran cuore, le sorrisi e le chiesi,

«Vuoi scendere?»

«No grazie, è troppo tardi per me, non vorrei prendere freddo.»

«Okay, riposa, non ci vorrà più di mezz’ora.»

«Sarò qui, voglio anche cogliere l’occasione per preparare la cena, vedrai cosa sto preparando, sarà molto speciale, la mia piccola è l’impiegata della settimana.»

Io e mio figlio uscimmo in strada, lì giocammo con una palla, più per correre e divertirci un po’, che per interesse sportivo verso il calcio.

Mi sedetti per un attimo mentre egli calciava contro un muro, quando arrivò una ragazza e si sedette accanto a me.

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Yaş sınırı:
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Litres'teki yayın tarihi:
07 nisan 2020
Hacim:
190 s.
ISBN:
9788835403456
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
İndirme biçimi:
Metin
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