Kitabı oku: «In Ginocchio Da Te»

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In ginocchio da te

Copyright © 2018, Ines Johnson. All rights reserved.

This novel is a work of fiction. All characters, places, and incidents described in this publication are used fictitiously, or are entirely fictional. No part of this publication may be reproduced or transmitted, in any form or by any means, except by an authorized retailer, or with written permission of the author.

Edited by CHV Translations

Manufactured in the United States of America

First Edition October 2018

Indice

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Capitolo 13

Capitolo 14

Capitolo 15

Capitolo 16

Capitolo 17

Capitolo 18

Capitolo 19

Capitolo 20

Capitolo 21

Epilogo

Capitolo Uno

Il suono degli zoccoli che colpivano il terreno faceva venire in mente quello del fuoco d'artiglieria. Era un suono che Dylan Banks conosceva fin troppo bene. Aveva trascorso gli ultimi cinque anni in una zona di guerra. In qualsiasi momento durante quel periodo, avrebbe potuto alzare lo sguardo e vedere cieli azzurri, colline di sabbia ondulate o campi di fiori in colori pastello. Era un gioco crudele. La guerra non avrebbe dovuto essere bella.

Il cielo era blu in quel posto. C'erano distese di terreni agricoli. Il rumore degli zoccoli dei cavalli che trottavano e galoppavano non era l'unica cosa che gli ricordasse la guerra. Anche i suoi uomini si trovavano lì. Perlomeno quelli che erano riusciti ad uscirne vivi.

Quelli che si erano salvati avevano perso molte cose. La famiglia, gli amici, una parte del loro corpo, una parte della loro anima. Ma quel posto, il Bellflower Ranch, li stava guarendo.

Si guardò intorno e vide l'insegna del ranch. Era un fiore viola con petali arrotondati. Il fiore assomigliava chiaramente ad un cuore. I veterani che adesso abitavano nel rifugio avevano iniziato a chiamare quel ranch Purple Heart Ranch, in onore delle cicatrici e delle ferite che ciascuno di loro aveva portato a casa con sé.

Dylan spinse il cavallo e se stesso ad andare più veloci. L'aria dolce della primavera gli colpì il viso. Spingeva il proprio corpo oltre quello che i dottori gli avevano detto che sarebbe riuscito a fare. I suoi fianchi dovevano lavorare, per assorbire e controllare il movimento del cavallo. Sentiva i muscoli potenti dell'animale che stimolavano i suoi, dandogli la forza della quale aveva bisogno per guarire.

Non aveva creduto che fosse possibile guarire, quando si era svegliato in un ospedale militare ed aveva scoperto di non essere più un uomo completo. Tuttavia, adesso stava riavendo indietro una parte di sé, al Purple Heart Ranch. Stava succedendo a tutti loro.

Quel posto era diventato un rifugio per i feriti. Un posto dove non avrebbero avuto bisogno di nascondersi dai propri incubi nel sonno o ad occhi aperti. Non era stato in buoni rapporti con Dio dopo il congedo, ma quando aveva messo piede nel ranch ed era salito in sella al primo cavallo, si era reso conto che Dio gli aveva dato un nuovo scopo.

I medici militari gli avevano salvato la vita, ma l'ippoterapia gliel'aveva restituita. La pratica dell'equitazione come terapia per le difficoltà di movimento era stata ciò che aveva riportato veramente Dylan alla vita, dopo la guerra e le ferite.

Amava cavalcare. Amava stare al ranch. Amava il fatto di non dover più cercare rifugio sotto un bel cielo. Dopo l'inferno che lui e gli altri uomini avevano visto, il Purple Heart Ranch era il posto più vicino al Paradiso che potesse trovare.

Tirando le redini, Dylan portò il cavallo ad un trotto lento. Ripercorsero la strada fino alla zona di allenamento, dove Dylan smontò. Se prima aveva provato una fitta di dolore, avvertì una decisa pulsazione quando sollevò la coscia sopra il dorso del cavallo. La protesi sporse come un pollice infiammato quando lo fece, mentre i muscoli dei fianchi e delle cosce gridavano.

Mark, l'allenatore, si trattenne. Non era così stupido da offrire aiuto a quei fieri guerrieri, ma sapeva anche quando ignorare il loro orgoglio e farsi avanti, per offrire loro una maggiore attenzione.

Anche se Dylan era indolenzito, quel giorno non aveva bisogno di quell'ulteriore attenzione. Scese a terra con cautela, usando soprattutto la forza della parte superiore del corpo. Rimase goffamente in piedi per un istante, fino a ritrovare l'equilibrio, poi annuì a Mark.

L'allenatore si limitò a scuotere la testa, senza prendersi il disturbo di discutere o commentare. Ma un altro uomo lo fece.

“Sei andato un po' più lontano di quanto avresti dovuto, soldato.”

Dylan abbassò lo sguardo sul dottor Patel. Anche se Dylan lo sovrastava di circa mezzo metro, il dottor Patel aveva comunque un aspetto imponente. Sorrise, ma i suoi occhi erano severi e penetranti, e non si perdevano niente. La sua voce aveva un tono di rimprovero, ma allo stesso tempo era paterna, con l'accento cadenzato della sua madre patria, l'India.

“Posso farcela,” disse Dylan muovendosi verso l'uomo. Cercò di nascondere la smorfia, quando la protesi alla gamba cercò di piegarsi.

Dylan sapeva di non essere riuscito ad ingannare lo psicologo, che lo osservava con un sopracciglio sollevato. “Solo perché ce la puoi fare non significa che tu debba farlo.”

L'uomo più anziano si avvicinò ma, come Mark, sapeva di dover evitare di offrire assistenza, se non era assolutamente necessario. Dylan si assicurava che non fosse mai necessario. Il problema non richiedeva una mano, solo un riequilibrio del suo peso.

Probabilmente il gancio della protesi si era allentato. Restò fermo e schiacciò, spingendo il moncherino fino a quando sentì gli scatti rivelatori del gancio che si ricollegava alla protesi.

“Io e la mia dolce metà ce la caviamo bene,” disse Dylan allungandosi alla sua altezza naturale. La protesi alla gamba gli dava qualche centimetro in più. Almeno quello era un beneficio.

“Il tuo corpo sta guarendo,” disse il dottor Patel. “Tutti gli uomini che si trovano qui stanno andando bene per quanto riguarda il corpo. Ma dovete guarire anche i vostri cuori. L'amore cura le ferite interne.”

Dylan aveva già sentito questo discorso da quell'uomo. Aveva acconsentito alla psicoterapia. Dopo tutto quello che aveva passato, doveva ammettere di aver bisogno di qualcuno con cui parlare degli orrori della battaglia. Ma non gli piaceva, quando il buon dottore mirava al cuore.

“Forse dovresti far venire quassù la tua famiglia?” suggerì il dottor Patel.

Dylan scosse la testa. Non aveva alcun desiderio di vedere la sua famiglia. E loro avevano detto chiaramente che, ora che era un mezzo uomo, stavano bene senza di lui.

“O forse uscire dal ranch per un appuntamento?” propose lo psicologo.

Nessuno dei veterani che vivevano al ranch usciva per degli appuntamenti. Beh, a parte Xavier Ramos. Ramos aveva ancora le proprie membra e il proprio aspetto. Le donne con le quali usciva non vedevano mai la sua ferita, a meno che lui non si togliesse i vestiti.

“Tuttavia, sono ancora scettico riguardo agli appuntamenti tramite app sui cellulari e programmi del computer,” disse il dottor Patel. “Nel mio Paese, ci affidiamo ai nostri anziani per trovaci le compagne di vita.”

Dylan aveva incontrato alcune volte la signora Patel. Vedere i coniugi insieme gli riscaldava il cuore. Si prendevano estremamente cura l'uno dell'altra, rivolgendosi sorrisi nascosti e preoccupandosi di piccole cose.

Dylan aveva sempre immaginato di essere altrettanto fortunato. Tuttavia, la donna alla quale aveva dato l'anello glielo aveva restituito prima ancora che lui lasciasse l'ospedale. La sua ferita non gli aveva permesso di correrle dietro. Nemmeno il suo orgoglio glielo avrebbe permesso. Il suo cuore non ne aveva fatto una priorità.

“Al momento non sto cercando l'amore,” disse Dylan. Tralasciò strategicamente le parole per niente.

Non sarebbe mai più andato alla ricerca dell'amore. Se la sua stessa famiglia non riusciva ad amarlo, se la sua fidanzata l'aveva lasciato dopo aver visto cosa era diventato, come avrebbe potuto un'estranea amare l'uomo che sarebbe stato per il resto dei suoi giorni?

“Questo è il punto dei matrimoni di convenienza,” disse il dottor Patel. “Prima trovi il partner. L'amore arriva con il tempo.”

“Sei pronto ad iniziare la nostra sessione?” chiese Dylan, indicando la strada verso l'ufficio del dottor Patel, per cambiare argomento. “Ho avuto qualche incubo.”

A differenza di alcuni degli altri veterani nel ranch, Dylan non aveva mai incubi. Il suo era un sonno senza sogni e nero.

Ancora una volta, il dottor Patel non si lasciò ingannare, ma lasciò che Dylan lo guidasse verso l'ufficio. Dylan sapeva che le intenzioni del vecchio erano buone, ma quella non era una strada che desiderava percorrere. Era già stato ferito a sufficienza in quella vita.

Capitolo Due

Maggie abbassò lo sguardo sull'animale addormentato sul tavolo chirurgico. Le luci brillanti della sala operatoria illuminavano la stanza, senza gettare ombre sull'operazione. La lama che aveva in mano non stava compiendo la sua solita magia, e lei non aveva più assi nella manica. Il cane avrebbe perso entrambe le zampe posteriori.

Anche se l'animale era addormentato, il labbro inferiore tremava, come se la bestia sapesse cosa stava per succedergli. Sembrava che cercasse di mantenere il contegno di fronte alle avversità. Lei, tra tutta la gente, riusciva a capirlo. La vita aveva malmenato quel piccoletto e lo aveva risputato fuori ad affrontare tutto quanto da solo.

Non aveva targhette. Niente collare. Era stato lasciato sulla soglia della clinica veterinaria a un certo punto della prima mattina. Maggie era arrivata ed aveva visto l'animale sanguinante sui gradini immacolati. L'aveva guardata con diffidenza, troppo stanco per ringhiare. Aveva semplicemente chiuso gli occhi rassegnato, mentre aspettava che lei cercasse di fargli qualcosa di peggio. Ciò che lei fece fu raccoglierlo e mettersi al lavoro.

Quel cane avrebbe potuto raccontare la storia della vita di Maggie stessa. Anche se non era mai stata colpita fisicamente, aveva avuto più del dovuto in quanto a impatti emotivi.

Era stata abbandonata dai genitori quando frequentava la scuola elementare. Letteralmente, mentre si trovava alla scuola elementare. L'avevano semplicemente lasciata lì e non erano mai venuti a prenderla.

Era stata data in affido, nell'attesa del loro ritorno. Non erano mai tornati.

All'inizio, l'aveva accettato come qualcosa di dovuto. Sapeva che molti animali abbandonavano i figli ancora piccoli. Ma quel ragionamento non aveva retto a lungo, mentre continuava a vedere i genitori che andavano a prendere i loro bambini a scuola, li caricavano in macchina e li portavano a casa. Osservava i fratelli o i bambini dello stesso ambiente o con gli stessi interessi che formavano dei branchi e restavano uniti, predando chiunque fosse solo.

Maggie era sola. Gli altri bambini in affido non l'avevano accettata nel loro gruppo, oppure venivano adottati e non tornavano più. Maggie non aveva mai avuto un branco; almeno non un branco umano.

Nessun adulto aveva mai preso le sue difese. Era stata lasciata a marcire nel sistema, senza trovare mai una famiglia che la adottasse come propria. Era stata presa in affido, o in altre parole usata per un ritorno economico o per avere manodopera a basso costo, fino a quando era diventata maggiorenne, si era rialzata e tirata fuori da quel circolo vizioso.

Ma quel povero cane non poteva più reggersi sulle quattro zampe a causa della ferita. Non avrebbe corso mai più. Nessuno avrebbe voluto un cane disabile. Non aveva nessuno a difenderlo e ora sarebbe stato colpito in modo permanente.

Maggie posò la lama e raccolse la siringa piena di liquido blu. Il pentobarbital sarebbe stato un atto di pietà per quella povera creatura. Lei lo sapeva. Aveva visto innumerevoli casi che iniziavano con una ferita o una malattia differente e finivano di nuovo lì su quel tavolo, sotto quelle luci, al centro della sala operatoria senza nessuno a guardare o che si interessasse allo spettacolo.

“Facciamo presto con questo, Maggie. Alle 14 ho un tè sul campo da golf.”

Il dottor Art Cooper era il proprietario della sala operatoria nella quale Maggie stava operando. Aveva un copione per i momenti come quello, e la storia finiva sempre allo stesso modo.

“Fai l'iniezione al bastardo, così posso chiudere bottega.” Disse quelle parole senza alzare lo sguardo su di lei o sull'animale in fin di vita.

Un suono fuori dalla porta fece alzare gli occhi al dottor Cooper. Assunse un'espressione interessata, quando una delle nuove infermiere veterinarie entrò. Ovviamente, le sorrise. Doveva fingere di essere un essere umano decente.

Un attimo dopo, la sua espressione passò da interessata ad eccitata, quando una cliente gli presentò un gatto vecchio, puzzolente e artritico. La donna era un'ottima cliente; veniva per ogni controllo che lui suggeriva, comprava le marche più costose di cibo per animali che lui proponeva in quel mese ed era sempre pronta a dare un'occhiata alle ultime offerte di assicurazioni per animali domestici.

Non appena la donna e il suo gatto se ne andarono, l'espressione animata scomparve dal viso del veterinario e fu sostituita dal disgusto.

Maggie odiava quell'uomo. Com'era possibile che qualcuno lavorasse con gli animali e non si interessasse a loro? Non erano altro che una parcella per lui. In quanto tecnico veterinario, lei aveva il vantaggio di non guadagnare abbastanza da diventare così insensibile.

In verità non godeva proprio di nessun lusso. Sicuramente non abbastanza da prendersi cura di un altro animale ferito. Maggie abbassò lo sguardo sul cane addormentato sul tavolo. Una singola lacrima scivolò lungo la guancia dell'animale e Maggie si sentì salire le lacrime agli occhi.

Alzò lo sguardo sul dottor Cooper ed abbozzò un sorriso che rivaleggiava con la performance dell'uomo. “Perché non va avanti ed esce? Mi posso occupare io di tutto e chiudere al posto suo.”

Il dottor Cooper la guardò con sospetto. Poi abbassò lo sguardo sul cane. “Non avremo un altro problema, vero? Hai già trasgredito una volta, un'altra e ti licenzio .”

Una caratteristica dell'essere un dottore, è che sono delle persone in gamba. L'ultima volta che era stato chiesto a Maggie di sopprimere un cane, lei l'aveva fatto sgattaiolare fuori dalla porta posteriore della clinica. Adesso stava riposando comodamente a casa sua. Probabilmente nel suo sgabuzzino, sopra una pila di sue scarpe.

“Questo animale avrà una qualità di vita pessima,” stava dicendo il dottor Cooper. “Ci vorrebbero centinaia di dollari al mese per mantenerlo.”

Una sola vita non valeva così tanto, avrebbe voluto dire lei. Ma non lo fece. Invece, disse la verità. “Capisco. Ho imparato la lezione. Ho bisogno di questo lavoro per prendermi cura degli animali che ho.”

Aveva quattro cani, tutti con ferite o malattie gravi la cui cura le costava più dell'affitto. Se avesse perso quel lavoro, non avrebbe avuto i soldi per prendersi cura di loro o per tenersi un tetto sopra la testa.

Maggie prese la siringa e le diede qualche colpetto con l'indice.

Il dottor Cooper guardò l'ora. Quindi riportò lo sguardo su di lei. Il suo tè ebbe la meglio, come Maggie sapeva che sarebbe successo. Lui girò sui tacchi dei costosi stivali di coccodrillo e uscì dalla porta.

Maggie trasse un sospiro di sollievo e posò la siringa. Fasciò il cane. Il danno era stato fatto molto prima che lei lo raggiungesse e la guarigione era già iniziata. Ora lei doveva solo curargli l'anima insieme al corpo.

Maggie lo avvolse in una coperta, poi si avviò sul retro. Era quasi fuori dalla porta, quando svoltò un angolo. Il dottor Cooper alzò gli occhi dall'orologio su di lei. E ovviamente, fu allora che il cane decise di risvegliarsi dai farmaci e di abbaiare.

Fu un abbaiare basso e disorientato che lei avrebbe potuto mascherare come un brontolio di stomaco. Aveva di nuovo saltato il pranzo. Ma non aveva scuse per il rivolo liquido che uscì dalla coperta e finì sugli stivali costosi del dottor Cooper. In effetti, ne fu piuttosto contenta.

Quello era un bravo cagnolino. Maggie non sapeva bene come avrebbe fatto a nutrirlo e a prendersi cura di lui, ora che era senza lavoro, ma lo avrebbe tenuto.

Capitolo Tre

Dylan si diresse di nuovo verso le scuderie, dopo la sessione con il dottor Patel. Quel bravo dottore non gli aveva fatto troppe pressioni riguardo ai falsi incubi. Per la verità, non aveva neppure continuato la discussione sugli appuntamenti. Quello che aveva fatto era peggio: aveva coinvolto Dylan in una chiacchierata riguardo alla rottura del suo fidanzamento.

Hilary Weston era la ragazza della porta accanto. Tuttavia, la porta accanto significava un piano più in basso dell'attico di uno degli edifici residenziali più esclusivi di New York City. Visto che lui passava la vita sopra di lei e la vedeva pavoneggiarsi al piano di sotto, era inevitabile che un giorno lei finisse tra le sue braccia.

Hilary era stata la prima volta di Dylan in tutti i sensi. La sua prima cotta. La sua prima ragazza. La sua prima... tutto.

Non era stata felice, quando lui le aveva annunciato di volersi arruolare. Con i soldi della famiglia e il suo fondo fiduciario, Dylan avrebbe potuto riposare sugli allori per qualche altra vita. Ma si era sentito chiamato.

Era partito con la promessa di prestare servizio solo per un mandato e poi tornare per un matrimonio grandioso come lo desiderava lei. Avevano scherzato, dicendo che le ci sarebbe voluta tutta la durata del suo mandato, per organizzare l'evento mondano del decennio. Ma quando Dylan era ritornato coperto di lividi e senza una gamba, Hilary aveva fatto altri progetti.

Il fatto che lui si potesse prendere cura di lei dal punto di vista economico non era importante, visto che era lei stessa un'ereditiera di diritto. Non le era importato che lui fosse un eroe di guerra. Lei era la beniamina della società, costantemente sulle pagine delle riviste di gossip. Le apparenze contavano per Hilary Weston, e un soldato ferito coperto di lividi e senza una gamba non era una cosa bella da vedere.

Hilary aveva lasciato che la porta sbattesse dietro di sé, quando era uscita dalla stanza dell'ospedale militare. Si era fidanzata con un altro uomo e lo aveva sposato, il tutto negli ultimi sei mesi. Dylan aveva sentito che quel tipo era una star dei reality e ora lo era anche Hilary.

Gli piaceva pensare di aver schivato un proiettile, ma aveva dovuto rinunciare al rapporto con lei nella vita reale. Il rifiuto della ragazza gli bruciava.

Comunque, quella vita era finita. Adesso era questa la sua nuova realtà. Una realtà nella quale prosperava.

Dylan si riscosse da quei ricordi amari e si guardò intorno nel ranch. Aveva rinunciato alla vita nell'alta società per spalare il letame nei box e coltivare la terra. Era stata la decisione migliore della sua vita.

Il ranch era a malapena avviato, prima che lui vi riversasse ciò che corrispondeva ad una piccola parte della sua eredità. I suoi genitori avevano esitato ad accettare l'idea, fino a quando non si erano resi conto che il loro figlio invalido sarebbe stato al sicuro, nascosto ai loro occhi e a quelli della società. Come Hilary, i Banks tenevano molto a salvare le apparenze. Un soldato decorato che serviva il proprio Paese andava bene, ma non un amputato che se ne andava in giro zoppicando.

Per la seconda volta quel giorno, il rumore di zoccoli gli ricordò il fuoco dell'artiglieria. Tuttavia, Dylan non soffriva di stress post-traumatico nel senso normale del termine: era influenzato solo dal trauma della sua famiglia. Quindi, quando vide Sean Jeffries che cavalcava al trotto, poté solo sorridere a quell'uomo.

Jeffries era ritornato a casa dalla guerra con tutte le membra, ma come tutti gli uomini al ranch, aveva lasciato un pezzo di sé nella zona di guerra. Abbassò la testa in segno di saluto, tirando giù il cappello da cowboy sulla fronte bruna. Delle ombre scure coprivano il suo volto. Gli occhiali da sole nascondevano completamente i lineamenti dell'uomo scuro sul destriero. A Jeffries non piaceva che la gente guardasse le cicatrici sul suo viso.

Eppure, quell'uomo manteneva una postura eretta e la testa alta. La vita sembrava diversa in groppa a un cavallo. La terapia non aiutava solo a guarire le ferite fisiche, ma anche a migliorare l'equilibrio, il controllo e la coordinazione della mente. Avere il controllo di un grosso animale e recuperare il controllo di sé aumentava l'auto-stima e dava un senso di libertà.

Il ranch non offriva solo l'ippoterapia. Il giardinaggio favoriva le funzioni sensoriali e tattili. Compiti quali spingere una carriola, rastrellare, zappare, strappare le erbacce, piantare e persino disporre i fiori, tutto aiutava a costruire o ricostruire le abilità motorie.

Reed Cannon era in ginocchio nei giardini. Rimuoveva la terra e piantava fiori, disponendoli ad intervalli regolari. Le dita di una mano lavoravano nel terreno fertile, mentre le altre rimanevano rigide. La mano rigida era una protesi. Aveva perso quella vera nella stessa esplosione che si era portata via la gamba di Dylan.

Dylan avanzò attraverso il giardino, superando le campanule viola che davano il nome al ranch. Non c'erano solo i fiori e gli orti in quel rifugio: c'era anche un giardino delle farfalle, che offriva pace e tranquillità ai veterani. Quel posto non serviva solo a guarire mentalmente e fisicamente, ma anche emotivamente. Dylan e gli altri avevano tracciato dei sentieri per le sedie a rotelle, per renderlo accessibile a tutti.

Anche i veterani più anziani venivano al ranch in cerca di aiuto, a farsi curare per acer combattuto guerre ormai lontane, ma le cui cicatrici erano ancora fresche. Dylan sperava che prima o poi sarebbero riusciti ad aprire il ranch ai giovani problematici e a fornire loro l'aiuto di cui avevano bisogno per avere la possibilità di un brillante futuro. Quindi no, non si lamentava di aver rinunciato all'alta società. Era questa la società che voleva creare.

Quando Dylan si allontanò dai giardini, l'odore di bestiame colpì le sue narici. Francisco DeMonti si muoveva tra le pecore. Occuparsi di piccoli animali aiutava gli uomini ad imparare di nuovo a stabilire rapporti con gli altri. Gli animali erano degli esemplari perfetti: molti offrivano un amore incondizionato, specialmente se c'era del cibo nella mano tesa.

Fran non aveva cicatrici visibili. Le sue ferite erano tutte interne e c'erano ancora buone probabilità che lo potessero uccidere.

“Hai fatto una buona cavalcata, stamattina?” chiese Fran uscendo dal recinto e raggiungendo Dylan sul sentiero che portava agli edifici principali.

Dylan annuì.

“Ho ricevuto una chiamata da un vecchio amico al centro veterani,” disse Fran. “Si chiedono se potremmo ospitare ancora un paio di soldati.”

“Abbiamo spazio.”

C'erano degli alloggi nel ranch, anche se la maggior parte dei soldati non rimaneva, una volta completata la terapia o la riabilitazione. Molti avevano delle famiglie alle quali ritornare, oppure scoprivano che la vita a lungo termine in un ranch non faceva per loro. I cinque veterani che avevano fatto del ranch la loro casa non godevano di quel lusso o non volevano tornare. Per loro, quella adesso era casa propria.

“Prenderemo chiunque abbia bisogno di aiuto,” disse Dylan.

E potevano farlo, con costi minimi o nessun costo. Tra le loro pensioni, che Dylan non lasciava spendere a nessuno, gli aiuti del governo, che lui usava per far avere a tutti i lavoratori un aumento di salario, e il suo fondo fiduciario, che copriva il grosso delle spese, non avrebbero mai avuto bisogno di mandare via qualcuno. A differenza del modo in cui la sua famiglia lo aveva trattato.

“Passate una buona serata, ragazzi,” gridò il dottor Patel. L'uomo si diresse verso la macchina con una valigetta in una mano e la Bibbia nell'altra. Oltre ad essere uno psicologo autorizzato, era anche un uomo di Chiesa.

“Stai andando in chiesa?” chiese Fran.

“Esattamente.” Il dottor Patel sorrise. “C'è posto sul sedile del passeggero, se mi vuoi accompagnare.”

“Un'altra volta,” disse Fran.

Dylan restò zitto. Non aveva ancora risolto il suo rapporto con l'uomo dei piani alti e non si sentiva ancora pronto a iniziare, al momento. Tuttavia il dottor Patel si limitò a rivolgere ad entrambi il suo sorriso comprensivo. Se Dylan non avesse rispettato così tanto quell'uomo, si sarebbe sentito infastidito dal suo atteggiamento eternamente ottimista, dalla sua pazienza perpetua di fronte alle avversità e dalla costante sicurezza in ogni occasione.

Mentre lo psicologo apriva la portiera della macchina, sopraggiunse un'altra automobile. Si trattava di un costoso modello di lusso. Per un attimo, Dylan si chiese se fosse suo padre, ma sapeva che lui non avrebbe mai lasciato Manhattan per venire in quell'America nel bel mezzo del nulla.

L'uomo che scese dalla macchina indossava un completo costoso, ma confezionato e non sartoriale. Suo padre non avrebbe mai portato qualcosa che non fosse stato fatto a mano appositamente per lui. Dylan identificò l'uomo come Michael Haskell, l'amministratore del ranch.

Haskell era un uomo pragmatico che andava dritto al punto. Non avrebbe perso tempo in convenevoli e dettagli insignificanti. Dylan affittava la terra da un anno circa, aspettando di concluderne l'acquisto. Restava ancora qualche piccolo dettaglio, prima che il contratto fosse nelle sue mani.

“Abbiamo un problema,” disse Haskell. “In origine la terra è stata riservata ad un utilizzo familiare. L'acquisto non potrà essere concluso, se non ci saranno delle famiglie qui.”

“Questa unità di soldati è una famiglia,” disse Dylan.

“Questa unità è un gruppo di uomini,” disse Haskell. “Nessuno dei quali è sposato.”

Dylan non riusciva a capire quale fosse il problema. Stava comprando della terra, non un parco divertimenti. Che importanza aveva chi ci viveva?

“Come possiamo risolvere questa faccenda?” chiese Fran, che era sempre pratico. “Possiamo far cambiare il piano regolatore.”

“Ci vorrebbero mesi per farlo cambiare e dovreste lasciare libero questo posto, mentre lo fate,” disse Haskell. “Suppongo che nessuno di voi abbia intenzione di sposarsi presto, vero?”

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