Kitabı oku: «Un Amore come il Nostro », sayfa 8
CAPITOLO UNDICI
Keira passò il resto della serata in preda a un piacevole stordimento. C’era qualcosa nella compagnia di Shane che la faceva sentire spensierata e rilassata. Era eccitante avere qualcuno con cui flirtare, sentire quei brividi di desiderio, anche se sapeva che come risultato il suo lavoro ne stava soffrendo.
Il giorno seguente Shane la portò al Campionato annuale di Barbecue Irlandese, un evento che si rivelò molto utile alla sua scrittura, dato che era pieno di uomini competitivi che cercavano di impressionare giovani donne grazie solamente alla loro abilità a infilarsi copiose quantità di carne in bocca.
Dopo alcune ore al Campionato di Barbecue, diventa impossibile distinguere gli uomini con le loro facce arrossate, le bocche unte e le pance rotonde dai maiali che stanno divorando. Se una donna tornasse a casa con le braccia strette attorno a un arrosto di maiale dichiarando il loro eterno amore, non credo che ne rimarrei sorpresa.
Quando Nina ricevette l’email con l’aggiornamento, insieme a certe fotografie che Keira aveva scattato a un gruppo di uomini paffuti e ubriachi che stringevano cosce di pollo grigliate, con un aspetto tra l’allegro e il minaccioso, ne fu deliziata.
Vai avanti su questa strada, Keira! E voglio anche vedere che cosa succederebbe se provassi a uscire con uno di loro. È il momento di sporcarsi le mani!
Il pensiero di un appuntamento con uno di quei balordi disgustò Keira. Quindi trovò la migliore alternativa possibile: l’Evento di Speed Dating di Lisdoonvarna! Non aveva mai fatto niente di simile allo speed dating. Il pensiero la inorridiva. E quello era speed dating su larghissima scala. Cinquanta partecipanti! Le servirono due bicchieri colmi di Sauvignon Blanc per farsi abbastanza coraggio e andare oltre alla semplice osservazione. Ma non appena si fu tuffata, scoprì che era una strada molto rapida per procurarsi informazioni utili. Nina aveva avuto ragione, sporcarsi le mani era un buon approccio.
Keira aveva tre minuti per parlare con ogni uomo, prima che una campanella squillasse per segnalare che dovevano passare a un altro partecipante. Verso la fine riuscì a ridurre la sua frase d’apertura a un semplice: “Sono una giornalista. Questo è un registrato, per te va bene?”
Si rivelarono ore estenuanti passate ad ascoltare uomini che blateravano delle loro varie carriere, speranze e sogni.
Ogni volto si confonde con il seguente. Sono sicura di aver già parlato con Craig, l’idraulico di Dublino. Ma no, Craig è quello seduto dall’altra parte della sala, probabilmente impegnato a ripetere la sua tiritera su quanto è bravo con le mani a una donna che sembra indifferente al suo fascino quanto lo sono stata io. Che significa che questo con cui sto parlato è un altro uomo. “Mi dispiace, non mi ricordo il tuo nome,” ammetto. Lui è Carl. Anche lui è un idraulico di Dublino. Ed è solo uno delle decine di idraulici che ho incontrato questa sera…
Nina reagì positivamente anche a quel pezzo. Bryn, d’altra parte, rispose con: Avresti dovuto provarci, sorellina. Scommetto che quel Craig era davvero bravo con le mani.
Quando l’evento di speed dating si concluse, Keira avrebbe dovuto partecipare a un ballo mentre gli organizzatori calcolavano gli incontri conclusi favorevolmente, ma quella parte la saltò. Non aveva voglia di ballare con nessun Craig o Carl, né con un idraulico, che vivesse a Dublino o altrove. Perché c’era qualcun altro con cui avrebbe voluto passare la serata, e non solo ballando. E anche se finse che il motivo per cui aveva deciso di non aspettare le offerte degli uomini era che aveva paura di non essere piaciuta a nessuno, in realtà era perché era interessata solo un’unica opinione.
*
Mentre guardava dall’altra parte del bancone verso Orin, Keira si domandò se fosse così che era avere un padre. Era la fine della seconda settimana della sua permanenza e stavano mangiando insieme la loro colazione a base di toast, uova e salsiccia; era diventata una specie di tradizione per entrambi. Dato che gli altri ospiti del Bed & Breakfast andavano e venivano, la costanza di Keira aveva permesso a una relazione familiare di sbocciare tra di loro. Il suo stesso padre se ne era andato quando era ancora troppo piccola per capire come fosse.
“Dove ve ne andate tu e Shane, oggi?” chiese Orin, appoggiando la tazza di caffè sul piattino.
Sentendo il suo nome, Keira fu pervasa da un calore. Tra di loro non era successo niente, non esternamente, comunque. Emotivamente le cose sembravano essere diventate più profonde. La loro connessione diventava più forte ogni volta che si vedevano. Ogni giorno si ritrovava ad attendere con ansia il momento del loro incontro, anticipando con entusiasmo le loro escursioni. Era come se ogni istante la allontanasse sempre di più da Zachary e la spingesse più vicina a Shane.
Keira controllò i suoi appunti. “Andiamo a Dingle,” disse. Poi alzò lo sguardo, aggiungendo: “A meno che non sia un nome inventato?” Non era mai certa di niente, quando si trattava di Shane.
Orin ridacchiò. “Esiste davvero un posto che si chiama Dingle. Magnifico, ti piacerà.”
Keira non avrebbe mai smesso di trovare buffi quei nomi. Si era riempita il telefono con le foto di nomi di strade e cartelli segnaletici di città, e le mandava indiscriminatamente a Nina e Bryn.
Proprio in quel momento sentì il telefono che vibrava e lo controllò, scoprendo che aveva ricevuto una mail da Joshua. Mugugnò tra sé e sé. I suo continui richiami stavano diventando insopportabili. A quell’ora non avrebbe nemmeno dovuto essere sveglio; erano le prime ore del mattino a New York! Probabilmente erano i ritmi folli di sonno-veglia causati dagli antidolorifici.
Keira, sei in Irlanda da due settimane e non mi hai praticamente mandato niente. Solo pochi paragrafi. Semplici frasi. Dove è la storia?!? Non mi interessa quanto sono buoni i tuoi schemini secondi Nina se non riesci a trasformarli in una storia avvincente. Se potessi licenziarti e prendere il tuo posto, finirei questo incarico in pochi giorni. Stai solo sfruttando il fatto che mi trovo nella posizione di farlo scrivere a te. Ma non dimenticarti che ci sono sempre incarichi futuri, Keira. Presto saremo di nuovo insieme in quella sala conferenze e farò tutto ciò che è in mio potere per farti cacciare via dal Viatorum. Non troverai mai più lavoro come scrittrice!
Keira mise via il telefono in fretta. Aveva iniziato ad abituarsi a quei messaggi ingiuriosi da parte sua, e il loro impatto era sempre meno pesante. Inoltre Joshua era molto meno spaventoso dall’altro capo del computer di quanto non lo fosse di persona. Non essere faccia a faccia con lui durante le sue sfuriate lo rendeva molto più facile da ignorare. Ma non sarebbe riuscita ad andare avanti così all’infinito. Ignorare il suo capo era una soluzione a breve termine al problema estremamente reale e a lungo termine di aver scritto molto poco di utile fino a quel momento. Aveva paura che un giorno avrebbe deciso di usare il telefono per insultarla. E poteva succedere da un momento all’altro…
“Dovrei riuscire a scrivere un po’ prima dell’arrivo di Shane,” disse a Orin.
Anche quello era diventato uno dei loro rituali. Facevano colazione e poi Keira tornava al piano di sopra per “scrivere un po’”, prima di uscire con Shane per un altro tour dell’Irlanda. Solo che ciò che faceva veramente dopo la colazione era sedersi nella sua camera a fissare lo schermo del portatile fino all’arrivo di Shane per quello che a tutti gli effetti era un appuntamento.
Orin annuì, premuroso come sempre. Keira salì in camera.
Si sedette accanto alla finestra, guardando la strada lastricata al di sotto e i residui della festa della sera precedente che ancora volteggiavano nel vento, con il portatile chiuso sulla scrivania al suo fianco. Per essere una donna lasciata da poco e a un soffio dal licenziamento era incredibilmente felice del modo in cui la sua vita stava andando in quel periodo.
Keira aprì il documento, quello che conteneva l’invettiva iniziale che aveva scritto, seguita da appunti e interviste inutilizzabili. C’era anche un lungo passaggio sul dolore della perdita di Zachary, anche se ormai quasi non si riconosceva più in quel brano. Le sensazioni che lo avevano causato erano già svanite. Per quanto detestava ammetterlo, Joshua aveva avuto ragione quando aveva rifiutato la sua idea di incorporare la fine della relazione nell’articolo.
E tuttavia pretendeva ugualmente che fosse un racconto personale. Che significava che Keira doveva fingere di detestare l’Irlanda, di credere ancora che il romanticismo era morto e l’amore era solo il relitto di secoli passati. Ma mentire non era tanto semplice. Con le dita sulla tastiera, non riusciva a farsi venire in mente una sola parola. Tutto ciò a cui pensava era la coppia che aveva vinto la corsa dei cavalli con il carretto, l’uomo divorziato al bar, i genitori di Shane e il loro infinito affetto. Passione. Amore. Era ovunque. E lei si stava lasciando conquistare.
Ciò che le serviva davvero era trovare qualcuno di solo attraverso il quale avrebbe potuto incanalare le sue parole. Fu così che trovò improvvisamente l’ispirazione. Abbandonato il portatile, corse giù per le scale alla ricerca di Orin. L’uomo stava leggendo il giornale al bancone del bar, davanti ai piatti vuoti della loro colazione.
“Sei stata veloce,” scherzò quando alzò lo sguardo e vide Keira che si avvicinava a grandi passi. “Non sei riuscita a concludere molto, quindi?”
Keira si sedette sullo sgabello di fronte a lui. “A dir la verità mi chiedevo se potessi domandarti quale è la tua storia.”
Orin si accigliò e spostò il giornale. “La mia storia? Che storia?”
“La tua storia amorosa,” spiegò Keira. “Lavori qui da solo. Niente moglie, giusto?”
“Quindi l’hai notato,” commentò Orin.
“Beh, come mai?” insistette lei. “Come è la tua storia? Voglio dire, tutti gli anni sei invaso dai partecipanti al Festival dell’Amore. Eppure non hai nessuno qui con te.”
L’espressione di Orin si fece triste all’improvviso; era chiaro che la sua mancanza di fortuna in amore era un problema per lui.
Keira sentì una scintilla di sollievo scoprendo che almeno qualcuno in quella città era sfortunato in amore. Forse aveva ancora l’opportunità di cambiare la sua situazione. Se si fosse messa nei panni di Orin, che era stato dimenticato dall’amore, forse sarebbe riuscita a catturare la voce che Joshua voleva da lei per l’articolo. Avrebbe potuto interpretare un personaggio. Almeno così sarebbe riuscita ad alleviare il senso di colpa che provava dovendo fare a pezzi quel posto.
“Non mi sono mai sposato,” disse tetro Orin. “Non ho mai trovato la ragazza giusta.”
Keira soppresse il suo sorriso, ma era segretamente felice di aver trovato finalmente del materiale.
“William non è mai riuscito a trovare la persona che faceva per te?” domandò.
Orin scosse il capo. “Ci ha provato, davvero. Ma io sono un uomo esigente, Keira. Ho incontrato delle brave ragazze mai poi c’era sempre qualcosa che rovinava tutto, qualcosa di stupido che iniziava a infastidirmi. Le lasciavo e poi tornavo da William e gli dicevo: ‘sì, ci siamo quasi, ma puoi accertarti che la prossima non si mangi le unghie?’. Allora William me ne trovava una che non si mangiava le unghie e io gli dicevo: ‘quasi perfetta, ma me ne puoi trovare una che non si tinga i capelli?’ E avanti così fino a ritrovarmi a sessant’anni da solo.”
Keira annuì, mantenendo la sua espressione tra il neutrale e il compassionevole. Scribacchiò la storia di Orin nel suo taccuino e cercò di trovare un modo di infilare il suo racconto in quello che doveva creare.
“Quindi il concetto del ‘Vero Amore’ per te non si è mai materializzato,” sottolineò lei. “Quando hai deciso che non sarebbe mai successo?”
Orin sembrò perplesso. “Non mi sono mica arreso.” Apparve persino offeso da quel suggerimento. “Ho ancora la speranza.” Poi la sua espressione si fece ancora più triste e aggiunse: “Pensi che sia sciocco da parte mia?”
Keira lo guardò, divisa tra il bisogno di essere ispirata dalle sue sventure e quello di consolare un amico. Sospirò e mise giù il taccuino. “Non è sciocco, non lo è per niente.”
“Non credi che forse l’amore non sia per tutti?” chiese Orin, con una luce speranzosa negli occhi. “Che forse non tutti possono essere felici?”
Keira scosse la testa e lo guardò comprensiva. “Io penso che William possa fare miracoli se solo gliene si dà l’occasione.” Si rese conto, mentre lo diceva, che lo credeva davvero. I successi del sensale erano ovunque. Ne aveva fatto un mestiere. E più importate ancora, aveva reso felici e soddisfatte centinaia di persone. “Penso che ci sia qualcuno per tutti,” aggiunse. “Magari a volte si tratta solo di aspettare il momento giusto di incontrarli.”
Proprio allora la porta si aprì e Shane entrò. Keira si raddrizzò di colpo, quasi sorpresa dalla sua apparizione in quel preciso istante. Sembrava un po’ troppo fortuito.
Indossava una maglietta bianca con sopra un orso disegnato come un cartone animato e dei jeans. Semplice, ma bellissimo. Keira non riuscì a impedirsi di guardarlo in estasi. Aveva preso l’abitudine di usare un fondotinta più coprente solo per nascondere il suo rossore quando lui era nei paraggi.
“Sei pronta?” chiese Shane a Keira, avvicinandosi e prendendo un pezzo di toast scartato dal suo piatto.
Keira annuì.
“Keira stava provando a tirarmi su di morale,” spiegò Orin.
“Oh?” domandò lui. “Perché devi farti tirare su di morale?”
“Perché sono un vecchio sciocco e solo,” disse.
A quella battuta Keira si sentì in colpa. Non avrebbe mai dovuto usare Orin in quella maniera, cercando di farlo sentire male per la sua situazione e mancanza di fortuna in amore per il proprio tornaconto. Quell’articolo era tossico per lei. Tutto il lavoro lo era. Si sentì più che mai un impostore.
Scese dallo sgabello e si chinò in avanti, baciando Orin al centro della fronte. Lui sembrò perplesso.
“Per che cosa era?” volle sapere, arrossendo.
“Non sei un vecchio sciocco,” disse. “Sei un uomo gentile e molto caro. C’è qualcuno là fuori per te. Basta che continui a tenere la mente e gli occhi aperti. La troverai presto.”
Orin sorrise. Poi Keira prese Shane sottobraccio e uscirono insieme dal pub.
*
“Mi prendi in giro?” disse Keira, ridendo. Stava guardando il fianco di un enorme cavallo color cioccolato che secondo Shane avrebbe dovuto cavalcare per tutta la campagna intorno a Dingle.
“Perché no?” chiese Shane. “Non sei mai andata a cavallo prima? Pensavo che l’America fosse la patria dei cowboy! Cowgirl, nel tuo caso.”
Keira gli lanciò uno sguardo di ghiaccio. “Non vengo dal Midwest. Sono di New York. Siamo molto acculturati lì, per tua informazione.”
Shane incrociò le braccia. “Senti, se vuoi fare la pappamolle…”
“Non sono una codarda!” protestò Keira, abboccando subito. “Posso andare a cavallo bene come chiunque altro. Forse.”
Shane ghignò. “Allora fatti dare una mano a salire.”
Keira sospirò, scuotendo la testa. Come faceva a infilarsi sempre in quelle situazioni? Shane si inginocchiò e intrecciò le mani su un ginocchio per farle da gradino. Keira appoggiò il piede sulla staffa di fortuna e mise le mani sulla schiena del cavallo.
“Pronta?” disse lui. “Al mio tre. Uno, due, tre.”
Keira si sentì lanciare per aria. Gettò la gamba dall’altra parte, piegandosi fino a quando non fu sulla schiena del cavallo. Emise un gridolino deliziato.
“Ce l’ho fatta!” esclamò.
“Molto bene,” rispose Shane. Si avvicinò alla propria cavalla, una grigia e pezzata, e le montò sopra rapidamente.
“Hai un talento naturale,” commentò Keira.
“Certo che sì,” replicò Shane. “Sono cresciuto in una fattoria. Vado a cavallo da tutta la vita.”
Keira sorrise, aggiungendo quel talento alla lista degli altri che Shane possedeva. Trovava la sua compagnia particolarmente emozionante perché aveva vissuto una vita completamente diversa dalla propria. La vita di quell’uomo era stata piena di avventure in mezzo alla natura. La sua era stata tutta strade affollate e grattacieli. Non che avrebbe voluto scambiarle, non sarebbe mai sopravvissuta crescendo in un posto come quello, ma era felice che le loro esperienze passate fossero così differenti. Significava che avevano diverse capacità e caratteristiche.
“Va bene, allora seguimi,” disse lui.
Spinse i talloni nei fianchi del cavallo e quello iniziò a trottare in avanti. Keira fece lo stesso, imitandolo.
Partirono lentamente e i loro cavalli avanzarono delicatamente tra i campi, lungo sentieri battuti unicamente da zoccoli. Gli alberi si stagliavano ai loro lati, creando ombre screziate sul terreno.
“È davvero bello qui,” disse Keira, spezzando il silenzio per la prima volta.
“Pacifico, vero?” concordò Shane. “Non c’è niente come una cavalcata per la campagna per schiarirsi la mente.”
“Hai bisogno di schiarirti la mente?” chiese Keira, cogliendo un che di triste nella sua voce. Si domandò se sentisse di nuovo nostalgia di casa. O se stesse pensando a Deirdre e John.
“Parlavo di te,” rispose Shane ridendo.
Keira si accigliò, confusa. “Che cosa ti fa pensare che io abbia bisogno di schiarirmi la mente?”
Shane esplose in una risata. “Stai scherzando, vero? Cammini con la testa tra le nuvole in questi giorni. Si vede che l’Irlanda ti è entrata sotto la pelle.”
Keira si sentì arrossire. Non era solo l’Irlanda a esserle entrata sotto la pelle.
“Voglio dire, che cosa è successo alla stressata principessa newyorkese che ho conosciuto due settimane fa?” continuò Shane. “Dovresti scrivere l’articolo ma ti comporti come se fossi in vacanza! No, non è esatto. Ti comporti come una di quelle hippie che passano tutto il tempo a meditare e non hanno bisogno di un lavoro perché coltivano le loro verdure nel giardino.”
Keira fece un verso di finta disapprovazione. “Non è assolutamente vero.”
“Non mi credi?” la prese in giro Shane. “Guardati allo specchio la prossima volta che ci passi vicino. Non ti riconoscerai.”
Keira non disse niente. Shane probabilmente era più vicino alla verità di quanto si rendesse conto.
Raggiunsero un ruscello e i cavalli lo attraversarono rumorosamente, schizzando acqua al loro passaggio. Le scarpe di Keira si infradiciarono. Erano un paio di costose scarpe scozzesi di pelle ma sorprendentemente a lei non importò. Le scarpe bagnate erano un piccolo prezzo da pagare per un’esperienza tanto magica, e anche se la pelle si sarebbe rovinata e macchiata di fango, le avrebbe ricordato per sempre quel momento.
“Quindi quando ti farai coraggio e chiederai a William di trovare la persona giusta per te?” le chiese Shane.
Lei corrugò le sopracciglia. “Pensi che dovrei?”
La sua domanda l’aveva confusa. Aveva creduto che si stessero avvicinando, o aveva solo visto quello che aveva voluto vedere?
“Per ispirare il tuo articolo,” chiarì Shane. “Non è per questo che sei qui? Per vedere se funziona?”
“Oh,” disse Keira, cercando di non mostrare troppo apertamente il suo sollievo.
Rifletté sul suggerimento di Shane. Forse era quello che avrebbe dovuto fare. Se William le avesse trovato la persona giusta per lei sarebbe stato inevitabilmente un disastro perché era Shane l’uomo che voleva. Forse un pessimo appuntamento le avrebbe dato materiale a sufficienza da mettere nell’articolo. Ma allo stesso tempo, l’idea di uscire con qualcuno la faceva sentire strana. Era come se tradisse Shane, anche se non erano davvero una coppia.
“Perché non vai tu per primo?” Fu la sua proposta, distogliendo l’attenzione da sé e dai propri sentimenti confusi. “Vai a un appuntamento organizzato dal sensale e fammi prendere appunti.”
Shane scoppiò a ridere. “Sarebbe strano. E comunque non voglio avere appuntamenti in questo periodo.”
“Ah, no?” chiese Keira, provando una stretta allo stomaco. “Non stai cercando un’altra Tessa?”
“Chi?” replicò Shane.
La sensazione di delusione cocente dentro Keira crebbe. Ripensò a come Bryn l’avesse avvisata che Shane era un seduttore e come lei avesse subito deciso di ignorare il suo consiglio e avvicinarsi ugualmente a lui. Ma lo era, era ovvio; non ricordava nemmeno il nome delle sue conquiste!
“Fa niente,” disse lei.
Continuarono a cavalcare in silenzio.
“Oh, accidenti,” esclamò all’improvviso lei.
“Che c’è?”
Shane indicò verso l’alto. Keira guardò il cielo. Era grigio e le nuvole stavano avanzando rapidamente verso di loro.
“Sta per piovere,” dichiarò Shane. “Vuoi tornare indietro? Potremmo dover andare al galoppo.”
“Non so galoppare!” gridò Keira. “Sei matto?”
“O così o ci bagniamo tutti,” rispose Shane.
Keira sospirò. “Allora sarò costretta a bagnarmi.”
Fecero voltare i cavalli e ripresero la strada di casa, allo stesso passo lento con cui si erano mossi all’andata. In pochi istanti il cielo si aprì e un acquazzone iniziò a infradiciarli.
“Cosa pensi del galoppo adesso?” gridò Shane sopra il suono della pioggia che batteva sulle foglie degli alberi.
Keira gli lanciò un’occhiataccia. Tremava, già bagnata fino alle ossa. I cavalli presero a scuotere le criniere, schizzandoli ancora di più. Gli zoccoli alzavano fango freddo e umido sui loro vestiti.
Quando raggiunsero il ruscello che avevano superato in precedenza scoprirono che si era trasformato in un fiume, profondo almeno trenta centimetri quando prima era stato solo poche dita d’acqua. Scorreva molto in fretta.
“I cavalli non vorranno guadarlo,” urlò Shane sopra il rombo della forte pioggia.
“Che cosa vuoi dire?” gridò Keira. Si spinse ciocche di capelli bagnate via dal volto.
“È troppo veloce. Scapperanno via e rimarremo bloccati qui.”
“Allora cosa dobbiamo fare?” chiese lei in mezzo all’acqua.
“Dovremo solo aspettare che spiova,” disse Shane.
Keira non era felice. Il suo umore peggiorò quando vide dove si stava dirigendo Shane: verso un grande fienile diroccato di legno marcio. In qualche punto il tetto era bucato, lasciando entrare l’acqua. Solo la parte centrale della struttura gli avrebbe fornito qualcosa di vagamente simile a un riparo. Il calore era assolutamente fuori questione.
Shane l’aiutò a scendere da cavallo. Lei atterrò in una pozzanghera fangosa. Poi l’uomo legò gli animali.
“Non è un po’ crudele?” domandò Keira. “Lasciarli così sotto la pioggia?”
“Non è che possono entrare qui con noi,” rispose Shane, indicando la stretta sezione di tetto e il terreno asciutto al di sotto. Era largo meno di mezzo metro. I cavalli in ogni caso sarebbero stati solo mezzi coperti. “E comunque il loro pelo è impermeabile,” aggiunse lui. “Siamo noi quelli che si devono preoccupare.”
Le fece cenno di entrare. Keira rabbrividì mentre superava rami, foglie marce e rottami del tetto rotto. Non sembrava una mossa particolarmente furba, dava l’idea che l’edificio avrebbe potuto cadergli in testa se solo il vento fosse stato un po’ troppo forte.
Si fermò nell’area asciutta, stringendosi forte le braccia attorno al corpo per tenerle lontane dall’acquazzone che cadeva ai suoi lati. Una volta fuori dalla pioggia, si accorse di essere fradicia ovunque, fino alle mutande.
“Non riuscirò mai a scrivere il mio articolo bloccata qua,” si lamentò.
Almeno era di nuovo di cattivo umore, il tipo di stato d’animo in cui Joshua voleva che fosse per scrivere il pezzo. Se fosse riuscita a mantenere quella sensazione fino al ritorno a casa, forse avrebbe avuto l’occasione di produrre qualcosa di quantomeno decente. Una pagina di lagne perché smettesse di darle il tormento.
Ma Keira scoprì che quell’umore non era destinato a durare. Perché Shane la stava guardando con una luce particolare negli occhi.
“Che c’è?” disse lei. “Perché mi stai guardando così?”
“Stavo solo pensando,” iniziò Shane, “che questo in un film romantico sarebbe il momento esatto in cui i due protagonisti si baciano per la prima volta. La pioggia. La donzella tremante.”
A Keira sembrò che le sue parole, e il fuoco nei suoi occhi, la lasciassero senza fiato.
“Beh, questo non è un film,” disse. “Questa è la vita vera.”
Shane fece un passo verso di lei. “Lo sai che cosa si dice, però, non è vero?” La sua voce era diventata roca.
Keira deglutì. Shane era tanto vicino da poter vedere le gocce di pioggia che gli scendeva sulla pelle. Da poter sentire il calore che si irradiava da lui. Lo guardò negli occhi.
“Che cosa si dice?” chiese, e la sua voce era flebile quanto quella di lui.
Shane fece l’ultimo passo che serviva per eliminare lo spazio rimasto tra di loro. Ormai era accanto a lei, tanto da toccare la sua pelle. Si tese e la sfiorò con la mano sotto il mento, inclinandole la testa all’indietro.
“Si dice,” concluse, “che la vita imita l’arte.”
Poi piegò il capo verso di lei e premette insieme le loro labbra. Keira sentì tutto il suo corpo accendersi in risposta. Non stava più tremando per il freddo. Ora tremava di passione, di desiderio. Era una sensazione diversa da qualsiasi altra avesse mai provato.
Meno male che avrebbe voluto continuare a essere di malumore. Invece era euforica e spensierata. Più felice di quanto non fosse mai stata.