Kitabı oku: «Un Amore Come Il Vostro », sayfa 2
CAPITOLO DUE
Una sveglia acuta e sgradevole tirò Keira giù dal letto il mattino seguente. La giovane donna si coprì la testa con un cuscino, cercando di ignorarla, ma presto si sentì scuotere un gomito da Milo. Lentamente, allontanò il cuscino dal volto e sbirciò fuori. Il sole era appena sorto. L’innamorato le sorrideva, ma c’era tristezza nel suo sguardo.
“È il momento,” disse.
Con un gemito rassegnato, Keira tirò via il cuscino e si alzò a sedere. Scoprì che Milo era già vestito. Accanto a lei, sul comodino, c’era un vassoio con il caffè e la colazione.
“Me l’hai preparata tu?” chiese, commossa.
“Non volevo che ti venisse fame sull’aereo,” rispose lui scrollando le spalle imbarazzato.
Keira si sporse per accarezzargli una guancia ispida e baciarlo con dolcezza. “Grazie,” disse con profondo affetto. Fu di nuovo assalita dalla tristezza che l’attanagliava dal giorno precedente. Aveva lo stomaco sottosopra al pensiero che quello sarebbe stato il loro ultimo giorno insieme. Rapidamente spinse via la coperta, non volendo scoppiare in lacrime davanti a Milo, e prese a raccogliere i vestiti sparsi sul pavimento.
“Keira,” lo udì dire con cautela.
“Che c’è?” rispose senza guardarlo, per evitare che le tremasse la voce.
“La tua colazione.”
Keira radunò i propri prodotti da bagno e li gettò alla rinfusa nella valigia. “Devo fare i bagagli.”
“Non c’è nessuna fretta,” disse Milo. Il suo tono era misurato come al solito, in totale contrasto con quello che lei provava. “Abbiamo il tempo per sederci e bere un caffè.”
“Prima vorrei finire questo,” rispose lei, percependo la tensione nelle proprie parole.
Alle sue spalle, sentì Milo che si alzava. Lui le si avvicinò e la prese per le spalle. Si irrigidì, incapace di sopportare qualsiasi gesto di gentilezza in quello stato di grande vulnerabilità emotiva. Ma era troppo tardi. Bastò la sensazione di vicinanza per spezzare le sue barriere. Dai occhi le scivolarono grosse lacrime.
Si voltò e si lasciò avvolgere dal suo abbraccio. Rimasero fermi in quella posizione a lungo, mentre Keira dava libero sfogo alle emozioni represse. Con una certa sorpresa, scoprì che concedersi di essere vulnerabile e di piangere indeboliva il loro potere. Si riprese on fretta, molto più velocemente di quanto non avrebbe fatto di solito, e poi si sentì molto meglio.
“Caffè?” chiese allora, allontanandosi dall’abbraccio.
Lui annuì e si risedettero insieme sul letto, condividendo un’ultima colazione. Le lacrime sulle guance di Keira si asciugarono.
“Non ho una gran voglia di dire addio ai tuoi,” confessò la giovane donna tra un sorso dalla tazza e l’altro. “Voglio dire, ormai è come se foste la mia famiglia. Farò la figura della scema piagnucolosa.”
Milo alzò le labbra in un sorrisetto. “Andrà tutto bene. Non è un addio definitivo. O almeno non deve esserlo.”
Keira rimase in silenzio, riflettendo. Ancora non era certa di che cosa volesse da quel rapporto, né di come la storia sarebbe proseguita. Non sapeva nemmeno se c’era davvero una relazione tra di loro.
Milo dovette notare la sua esitazione.
“Ma non dobbiamo parlarne adesso,” le assicurò, distogliendo lo sguardo.
Finirono le bevande calde e la colazione, poi Keira si lavò e si vestì per prepararsi al lungo volo che avrebbe preso di lì a poco. In passato non le era piaciuto viaggiare, ma ormai si era tanto abituata che quasi non ci pensava più. Aveva fatto il callo allo stile di vita da viaggiatrice. E con una piccola scintilla d’eccitazione ricordò che a New York l’aspettava il suo nuovo appartamento, il suo primo vero passo verso la totale indipendenza.
Con le valige pronte, lei e Milo scesero al piano di sotto. La famiglia era riunita in cucina, anche loro a metà della colazione. Keira sapeva che avevano fatto lo sforzo di svegliarsi presto solo per salutarla, e fu commossa dal gesto.
Regina fu la prima ad alzarsi. Le si avvicinò per abbracciarla stretta, e la sua espressione normalmente severa si addolcì.
“Mi mancherà la presenza di un’altra donna in questo posto,” disse. “È stato bello avere una sorella per una settimana.”
“Chiamami ogni volta che vuoi,” le promise Keira.
Nils prese il posto di Regina, torreggiando sulla giovane scrittrice dal suo metro e novanta d’altezza. Le diede una solida pacca sulla spalla.
“Sei la benvenuta quando vuoi,” disse. “Non farti problemi.”
“Grazie,” rispose lei.
Poi l’attirò in un goffo abbraccio. Keira si sentì come una bambina, avvolta dalle sue grandi braccia.
Si allontanò dall’uomo e spostò l’attenzione su Yolanta. Tra tutti i familiari di Milo, la madre era quella a cui si era avvicinata di più durante le vacanze, e salutarla sarebbe stato doloroso.
Yolanta le accarezzò una guancia in un gesto materno.
“Stupenda ragazza piena di talento,” mormorò. “Tornerai a trovarci, non è vero?”
Keira arrossì. “Lo farò.”
La donna annuì, soddisfatta, e poi le due si abbracciarono forte.
“Faremo meglio ad andare,” disse Milo dietro di loro.
Keira si allontanò dall’abbraccio e si gettò un’occhiata alle spalle. Il suo innamorato era in piedi alla porta, con il bagaglio ai piedi. Poi riportò lo sguardo sulla famiglia.
“Credo di sì,” asserì, con un lungo sospiro. “Mi mancherete. Grazie per la vostra ospitalità. È stato il miglior Natale che abbia mai avuto. Custodirò per sempre questi ricordi.”
“È stato bellissimo averti con noi,” disse Nils.
“Torna quando vuoi,” aggiunse Regina.
“Ci vedremo presto,” promise Yolanta, enfatizzando l’ultima parola.
Keira annuì. Poi si voltò e si unì a Milo, prendendo una delle sue borse dal mucchio. Il giovane uomo aprì la porta e lei rabbrividì, colpita da una folata gelida del vento invernale svedese. Il compagno uscì nella giornata fredda, diretto verso l’auto. Keira deglutì il groppo che aveva in gola, salutandoli per l’ultima volta con un cenno della mano.
“Arrivederci!” replicarono tutti all’unisono.
Poi seguì Milo, chiudendosi piano la porta alle spalle. Percorse il sentiero innevato attraverso il giardino, godendosi ancora una volta il panorama montuoso, cercando di imprimerlo nella mente. Non voleva dimenticarselo mai, né quel luogo né quella famiglia. Voleva che ogni dettaglio le rimanesse per sempre nella testa.
Infilò la borsa nel bagagliaio dell’auto e salì sul lato passeggero del piccolo veicolo di Milo, che girò la chiave nell’accensione.
“Pronta?” le chiese.
“Pronta,” rispose lei con un gesto deciso.
Mentre si allontanavano, Keira si guardò indietro un’ultima volta, studiando il paesaggio per non dimenticarlo mai più.
Non appena ebbe perso di vista la casa, udì lo squillo del suo cellulare. Lo ripescò dalla borsa e scoprì che aveva ricevuto un messaggio da Elliot. Si accigliò. Non era da lui scriverle; di solito manteneva le loro comunicazioni a un livello molto formale.
Lo aprì e lo lesse.
Buon Natale, Keira! Spero che tu abbia avuto il tuo lieto fine…
Sorrise, commossa dal fatto che si fosse ricordato di farle gli auguri. Ma poi fece scorrere il testo e lesse il resto:
Volevo solo ricordarti che il termine per la consegna del tuo articolo è domani. Hai già avuto un’estensione, quindi è la data definitiva.
Gemette tra sé e sé. Elliot conosceva l’orario della sua partenza e aveva scelto ugualmente di contattarla in quel momento, con il mezzo più personale e diretto che aveva, invece che con una email come al solito. Era tutto un modo per rubarle il poco tempo che le rimaneva con Milo. Spense il cellulare e lo rigettò nella borsa.
“Va tutto bene?” chiese Milo.
“Sì,” rispose con un sorriso noncurante.
In verità sentiva di star tornando rapidamente alla realtà. Il suo fantastico viaggio era finito. Doveva riportare i piedi a terra.
*
Keira e Milo erano una di fianco all’altro, mano nella mano, davanti al suo gate d’imbarco. Il numero del suo volo stava lampeggiando sullo schermo, e una voce si alzava dagli altoparlanti:
“Chiamata d’imbarco per il volo Swedish Air uno quaranta cinque dalla Svezia a New York. Si pregano tutti i passeggeri di dirigersi verso il gate dieci.”
Keira si girò verso Milo. “È il mio.”
Lui annuì. La sua espressione era più cupa che mai mentre si chinava a baciarle la fronte.
“Buona fortuna con tutto, Keira,” le augurò.
“Sembra così definitivo,” mormorò lei in risposta.
“Mi dispiace,” rispose Milo. “È tutta la mattina che mi dai la sensazione che una volta che te ne sarai andata, sarà tutto finito.”
Keira alzò le sopracciglia. Era insolito che una persona tanto diretta quanto Milo si lasciasse guidare dalle sensazioni. Ma non si sbagliava.
Sospirò.
“È solo una questione di praticità,” spiegò. “Lo sai, vero? Tu non vuoi prendere l’aereo o lasciare la Svezia, e io non voglio andare via da New York. È così che stanno le cose, anche se non avrei voluto essere così fredda e calcolatrice.”
“No, va tutto bene,” disse Milo annuendo. “Lo sai quanto apprezzo l’onestà. È solo che è un peccato. Ci siamo divertiti così tanto insieme.”
“Non dico che non ci parleremo mai più,” garantì Keira, offrendogli un timido sorriso. “Possiamo sempre essere amici.”
L’espressione turbata dell’uomo si addolcì leggermente. “Okay. Sì. Mi piacerebbe.”
“Bene,” rispose lei con un sospiro sollevato. Non riusciva a sopportare il pensiero che quell’uomo svanisse del tutto dalla sua vita, anche se capiva che a livello romantico dovevano allontanarsi.
Aprì le braccia per stringerlo a sé ancora una volta, e Milo accettò. Rimasero abbracciati per un lungo momento. Solo la voce all’altoparlante che ripeteva ai passeggeri di dirigersi verso il gate d’imbarco li costrinse a separarsi.
“Sarò meglio che vada,” disse Keira. Lo guardò profondamente negli occhi. “Addio, Milo.”
Lui la tenne per mano, indugiando, per prolungare il momento. “Lo so che è una cosa strana da dire… ma grazie. Credo di essere stato molto fortunato a incontrarti.”
Keira sorrise. “Lo stesso vale per me.”
“Addio, Keira.”
Lasciandogli andare la mano, la giovane donna si girò e si allontanò. Dopo aver raggiunto il gate e aver consegnato il biglietto e il passaporto all’impiegato, si guardò indietro un’ultima volta. Milo era ancora dove l’aveva lasciato. Lo salutò con la mano, sentendo una fitta di dolore nel petto. Lui le fece un cenno a sua volta.
“Ecco a lei, signorina Swanson,” disse l’uomo al bancone, restituendole i documenti.
“Grazie,” rispose, riprendendoli.
Non si guardò più indietro.
*
Keira si accomodò sulla sua poltrona nell’aereo. Anche se era triste per aver chiuso la storia con Milo, era anche piena di energia. Tutta l’esperienza in Svezia era stata una preparazione all’indipendenza che aveva appena trovato.
Studiò gli altri passeggeri sull’aereo. Sui sedili alla sua sinistra c’era una coppia che si stava baciando, e poco più avanti una famiglia con dei bambini che si dimenavano, mentre i genitori tentavano di tenerli seduti ai loro posti. Per la prima volta non ne fu invidiosa. Il suo senso di indipendenza la fece sentire libera e soddisfatta. Stava percorrendo un viaggio diverso da quelle persone, e non avrebbe voluto niente di diverso.
Rincuorata, prese il portatile dal bagaglio a mano e iniziò a lavorare sull’articolo. Usò un approccio diverso da quello che aveva tenuto nei lavori precedenti, descrivendo una libertà priva di legami.
D’ora in avanti, quando mi innamorerò, lo farò alla maniera scandinava.
CAPITOLO TRE
Il mattino seguente, Keira si svegliò con la schiena dolorante. Batté le palpebre e si guardò intorno, disorientata. Le servì un lungo momento per capire dove si trovava. Non da Milo, non nella stanza a casa di sua madre, ma nel suo nuovo appartamento. Sfortunatamente, l’unica cosa che possedeva in quel momento era un materasso. Non aveva nemmeno una rete; era per quello che aveva mal di schiena.
Si sollevò faticosamente dal letto. Gli unici vestiti nell’appartamento erano quelli che aveva avuto in valigia. Per fortuna Yolanta aveva insistito per lavare tutte le sue cose durante le vacanze di Natale, quindi almeno erano puliti. In mezzo al mucchio di gonne di lana e jeans comodi scelse un outfit più adatto al lavoro possibile e uscì nelle strade di New York.
Non appena si ritrovò sul marciapiede, la sensazione di essere tornata a casa la riempì di emozione. Persino l’odore dell’inquinamento la confortava, nonostante il totale contrasto con l’aria fresca e pulita di montagna che aveva respirato in Svezia.
Si diresse verso un furgoncino che vendeva caffè a lato della strada, unendosi a una fila di impiegati con lo sguardo spento e basso sui cellulari.
“Vorrei un espresso doppio,” disse al venditore raggiunta la cima. Poi si interruppe. Beveva forte caffè svedese da settimane. Forse era il momento di cambiare. “No, ho cambiato idea, potrei avere un latte macchiato al caramello?”
L’uomo le lanciò un’occhiata stanca e disinteressata, ma Keira gli sorrise.
“Sono appena tornata da una vacanza. Voglio risentire il sapore di casa.”
“Buon per lei,” rispose quello con voce secca e impassibile.
Mentre aspettava la sua colazione, alcune persone che erano rimaste intorno al furgoncino per aggiungere lo zucchero al caffè si allontanarono e Keira notò che lì vicino c’era un’edicola che non aveva mai visto. Tra i giornali e le riviste c’era anche l’ultimo numero del Viatorum. Proprio come Nina le aveva preannunciato, la copertina era stata cambiata e invece della sua foto c’era quella della modella che avrebbero dovuto usare fin dall’inizio. Fu sollevata di vedere che l’avevano ascoltata , ma provò lo stesso una fitta d’ansia all’idea che quel giorno avrebbe dovuto consegnare l’articolo sui paesi nordici. Non riusciva a prevedere come Elliot avrebbe reagito alla sua conclusione.
Non appena ebbe avuto la sua dose di caffeina, si diresse verso la metropolitana. Per fortuna il suo nuovo appartamento era in una posizione comoda rispetto all’ufficio e il viaggio non era lungo, quindi ritrovarsi pigiata tra la folla non la infastidì come quando le capitava di ritorno da casa di sua madre.
Uscì dall’altro capo della metro e iniziò la breve camminata fino al quartier generale del Viatorum. Nona appena se lo trovò davanti, le squillò il cellulare. Lo controllò e vide che era un messaggio di Bryn.
Stasera puoi venire a cena dalla mamma? Io e Felix abbiamo delle novità.
Rimase a bocca aperta e il pensiero le corse subito al matrimonio. Di certo sua sorella non avrebbe voluto mettere su casa con Felix tanto in fretta? Erano appena andati a vivere insieme!
Keira le rispose rapidamente, scrivendole che ci sarebbe stata. Mise via il telefono—e insieme a quello ogni ipotesi sulle novità di Bryn—ed entrò in ufficio.
Il quartier generale della rivista brulicava di attività. Da quando Lance aveva assunto nello staff un gran numero di nuovi dipendenti freschi di laurea—con un certo sgomento di Elliot—l’ufficio era diventato sempre più affollato. E dato che si trovava dentro un ex magazzino convertito in un open plan, ogni rumore riecheggiava moltiplicato per dieci.
“Ehi, Keira,” la chiamò qualcuno e lei si voltò, vendendo Meredith che le faceva un cenno di saluto.
La scrittrice non aveva dimenticato il subdolo tentativo della collega di rubarle il suo ultimo incarico, quindi le rispose con un gelido: “Buongiorno.”
Scrutò i volti davanti a sé, alla ricerca di persone familiari, e notò Nina. Ma prima che potesse raggiungere l’amica di lunga data, Elliot emerse dall’ufficio. Indossava un abito rosso acceso, e aveva la fronte corrucciata in un profondo cipiglio.
“Era ora!” gridò, avvicinandosi a Keira e prendendola per un gomito.
L’intero ufficio si voltò per guardarla mentre il capo la sospingeva nel suo ufficio, con le guance rosse quanto il suo vestito.
“Cosa era ora?” domandò lei con l’angolo della bocca, trascinata in mezzo al corridoio.
“Era ora che ti facessi vedere!” esclamò Elliot.
Arrivarono nel suo cubicolo e l’uomo chiuse di colpo la porta.
“Che cosa è successo alla politica della porta aperta?” scherzò Keira. Era una delle varie idee sdolcinate che Lance aveva promosso dopo aver acquistato la rivista.
“Fidati di me, sarai felice che l’abbia chiusa,” sbuffò lui.
“Sono nei guai?” chiese la scrittrice, incrociando le braccia. Non le era piaciuto essere trascinata attraverso l’ufficio in quella maniera, e di certo non apprezzava il tono assunto da Elliot.
Il capo si voltò verso Keira, incrociando le braccia allo stesso modo. “Ti avevo detto che la scadenza era definitiva. E invece continui a mancarla. Stai cercando di farmi venire un infarto?”
“Mancarla? Che vuoi dire?” rispose lei, confusa. “Mi avevi detto che era oggi. E a meno che non mi sia sfuggito qualcosa, oggi è oggi!”
Il cipiglio di Elliot si approfondì ancora di più. “Non fare la furba con me, Keira. Sai fin troppo bene che i tipografi hanno bisogno dell’articolo per le nove del mattino, al più tardi. Sono le otto e quarantacinque.”
Keira sgranò gli occhi ammutolita. Non si era resa conto che quando aveva parlato di consegna definitiva Elliot aveva inteso quella subito prima di mandarla in stampa! Di norma Nina rileggeva un paio di volte i suoi articoli prima di arrivare sulle pagine della rivista.
“Mi dispiace,” balbettò. “Ho frainteso.”
Elliot la fissò cupo. Non voleva sentire ragioni. Tese una mano con il palmo verso l’alto. “Allora consegnalo. Sarà meglio che vada bene, perché è tutto sulle tue spalle. Sono le tue parole al cento percento. Cento percento la tua responsabilità.”
Keira deglutì comprendendo la gravità della situazione. Avrebbero potuto licenziarla per un brutto articolo? La rivista avrebbe potuto avere dei guai a causa sua?
In fretta, estrasse una copia cartacea dell’articolo da dentro la borsa, insieme alla chiavetta USB su cui aveva salvato l’originale. Elliot le strappò di mano la copia stampata e si appoggiò allo schienale della sedia. Keira lo guardò nervosamente mentre leggeva le sue parole.
Il momento sembrò durare un’eternità. Lei si sbirciò dietro le spalle e vide che l’intero staff la stava fissando; alcuni le lanciavano occhiate dalle scrivanie, altri fissavano senza pudore e a occhi sgranati l’intero procedimento. Si sentiva il cuore sotto le scarpe.
Sulla sua sedia, con una gamba piegata rigidamente sull’altra, le sopracciglia strette insieme, Elliot girò l’ultima pagina. Quella era la parte che nessuno aveva letto a eccezione di Keira, la sezione su cui aveva lavorato durante il volo di ritorno dalla Svezia. Mentre lo sguardo del capo sfrecciava da destra a sinistra, Keira diventò sempre più ansiosa e l’uomo serrò di più la mascella.
Alla fine lui alzò lo sguardo, con le narici frementi. “Che diavolo è questo?”
La scrittrice indietreggiò. Non avrebbe potuto anticipare una reazione peggiore di quella.
“Che cosa c’è che non va?” chiese, spremendosi il cervello alla ricerca di errori palesi. Aveva scritto per sbaglio il nome di un altro paese? Svizzera, magari, invece di Svezia?
“Che cosa c’è che non va?” ripeté Elliot, sempre più furioso. “Quello che non va è che tu sei una scrittrice di storie romantiche che non è capace di scrivere un maledetto finale romantico! Giulietta non ha mollato Romeo! Lizzy Bennet non ha lasciato il signor Darcy all’aeroporto! E Catherine non è scappata dalla storia con Heathcliff!”
“A essere sinceri, nessuno di questi è un esempio particolarmente salutare di amore…”
“Non mi interessa!” sbottò lui, interrompendola. “Non so se l’hai notato, ma il romanticismo non è esattamente il mio forte. Ma persino io so che i due personaggi principali non possono decidere di lasciarsi in modo maturo! Con Shane c’è stata tutta la faccenda del padre morto. Favoloso! Cristiano è stato il dongiovanni respinto. Magico! Ma Milo? Milo… cosa fa… svanisce nel nulla e basta?”
Keira deglutì con forza. Non aveva modo per difendersi. “Non so cosa dirti. È la verità, e credo che i miei lettori l’apprezzeranno. Non posso mentire sul modo in cui gli scandinavi si approcciano alle relazioni o su quello che ho imparato mentre ero lì.”
Elliot agitò i fogli. “Hai scritto, e cito testualmente, che quello che hai condiviso con Milo non può essere etichettato! Keira, il tuo lavoro è di parlare di relazioni e non vuoi nemmeno definirlo così come è!” Fece un lungo respiro e buttò la testa tra le mani. “I lettori lo detesteranno.”
“Non sono d’accordo,” rispose lei con coraggio. “Ho incontrato i miei lettori in giro per il mondo e vogliono la verità. Rispettano la mia onestà.”
Ma il capo non la stava ascoltando. “Non c’è tempo per riscriverlo. Siamo fregati.”
“Ti dico che conosco i miei lettori,” ripeté con insistenza Keira. “Devi fidarti di me.”
E vedendo che l’uomo stava ancora borbottando tra sé e sé, senza prestarle attenzione, sbatté il pugno sulla scrivania. Lui si raddrizzò di scatto, sorpreso.
“Credi in me,” disse Keira di nuovo, severamente, a denti stretti. “So che cosa sto facendo.”
Elliot la fissò cupo e in silenzio per un lungo momento. Alla fine si espresse: “Sarà meglio che tu abbia ragione.”