Kitabı oku: «La Corona Bronzea»

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Stefano Vignaroli

Stefano Vignaroli

LO STAMPATORE

La corona bronzea

© 2017 Amici di Jesi

Tutti i diritti di riproduzione, distribuzione e traduzione sono riservati

I brani sulla storia di Jesi sono stati tratti e liberamente adattati dai testi di Giuseppe Luconi

Illustrazioni del Prof. Mario Pasquinelli, gentilmente concesse dai legittimi eredi

Sito web http://stedevigna.wix.com/stefano-vignaroli

E-mail per contatti stedevigna@gmail.com

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Indice dei contenuti

  LA CORONA BRONZEA

  PREFAZIONE

  PREMESSA

  CAPITOLO 1

  CAPITOLO 2

  CAPITOLO 3

  CAPITOLO 4

  CAPITOLO 5

  CAPITOLO 6

  CAPITOLO 7

  CAPITOLO 8

  CAPITOLO 9

  CAPITOLO 10

  CAPITOLO 11

  CAPITOLO 12

  CAPITOLO 13

  CAPITOLO 14

  CAPITOLO 15

  CAPITOLO 16

  CAPITOLO 17

  CAPITOLO 18

  CAPITOLO 19

  CAPITOLO 20

  CAPITOLO 21

  CAPITOLO 22

  CAPITOLO 23

  CAPITOLO 24

  CAPITOLO 25

  CAPITOLO 26

  CAPITOLO 27

  EPILOGO

  APPENDICE

  RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  Ringraziamenti

A Giuseppe Luconi e Mario Pasquinelli,

illustri concittadini che fanno

parte della Storia di Jesi




LA CORONA BRONZEA
LO STAMPATORE - SECONDO EPISODIO




PREFAZIONE

Jesi, città natale dell'imperatore Federico II di Svevia, torna ad essere il palcoscenico delle avventure della giovane studiosa Lucia Balleani, nel secondo episodio della trilogia Lo Stampatore. Amore e morte, esoterismo e ragione, bene e male. Sono solo alcuni degli ingredienti che danno ritmo a questa nuova indagine, incentrata sulla misteriosa scomparsa della corona bronzea, un tempo posta sopra il leone rampante del principale palazzo jesino, quello della Signoria. Con sapiente alchimia, Vignaroli intreccia passato e presente, attraverso le parallele vicende dei protagonisti dei giorni nostri e degli omonimi antenati. Avvenente dama e altera reggente della repubblica Aesina, Lucia Baldeschi è divisa tra gli obblighi della ragion di stato e l'amore per il fuggiasco cavaliere, il prode condottiero Andrea Franciolini. Tra storia e leggenda, l'azione spazia dai severi edifici e gli oscuri passaggi segreti di una Jesi sotterranea, alle aperte campagne del suo Contado, popolate da pastori e monaci di giorno e animate da riti magici durante i chiari di luna. Poi ci sono gli intrighi di palazzo, le faide tra i signori e le battaglie; quelle tra gli eserciti e contro i pirati, da Urbino a Senigallia, fino ad alcune tra le più suggestive gole dell'Appennino. Ambienti e tratti distintivi di un'epoca, il Cinquecento, caratterizzato da luci e ombre, diviso tra culto della ragione e pratica dell'esoterismo e di cui i personaggi del romanzo sono lo specchio fedele. Nel contegno, così come nei pregi e nei difetti. Sui loro passi, tra sensazionali scoperte e brillanti intuizioni, i litigiosi amanti, Lucia e Andrea, della Jesi del Ventunesimo secolo giungeranno alla verità nel segno di un amore senza tempo.

Marco Torcoletti


PREMESSA

Dopo il primo episodio della serie “Lo stampatore”, eccomi a presentarvi il sequel, il secondo racconto. Al termine de “L’ombra del campanile” avevo volutamente lasciato aperte diverse finestre a possibili sviluppi della trama successiva. Bernardino, lo stampatore, giace in condizioni disperate in una stanza dell’ospedale Santa Lucia. Il Cardinal Baldeschi è morto improvvisamente e ha lasciato vacante il governo della città. Sarà finalmente la giovane Lucia Baldeschi a prendere le redini del governo ed evitare che Jesi cada nelle mani di nemici che da sempre incalzano alle sue porte? Certo, non si può lasciare il governo in mano a quattro nobili corrotti o, peggio, affidarlo al legato pontificio inviato dal Papa. Ma Lucia è una donna, e non è facile assumere ruoli di potere, tradizionalmente demandati agli uomini. E Andrea, il suo amore, che fine avrà fatto, dopo essere scampato al patibolo ed essersi dileguato al seguito del Mancino? Ritornerà in scena per aiutare la sua amata? O controverse vicende lo condurranno verso tutt’altri lidi?

E ricordiamo anche la storia parallela, quella della studiosa Lucia Balleani, nostra contemporanea, che forse ha incontrato finalmente l’amore della sua vita, che la condurrà per mano a scoprire insieme al lettore nuovi arcani segreti.

Insomma, gli elementi ci sono tutti per affrontare una lettura che di nuovo ci condurrà tra vicoli, piazze e palazzi di una splendida città marchigiana, famosa nel mondo per aver dato i natali all’Imperatore Federico II: Jesi. Buona lettura!

Stefano Vignaroli


CAPITOLO 1

Bernardino aveva riaperto gli occhi dopo giorni e giorni di incoscienza. Nonostante la sua stanza fosse nella penombra, i suoi occhi furono abbagliati dalla luce e dal bianco candido dell’ambiente in cui si trovava. Una piccola stanza, spoglia, dalle pareti bianche, senza quadri, senza affreschi al soffitto, senza neanche la compagnia di uno scaffale con dei libri. Pensò di essere già giunto in Paradiso, ma i dolori lancinanti che avvertiva su tutto il corpo gli facevano capire di essere ancora in vita. Sentendolo lamentarsi, una suora gli si avvicinò e gli portò alle labbra la tazza di brodo di pollo, che fino allora gli aveva costretto a ingurgitare nonostante lo stato di incoscienza. Anche se freddo, Bernardino lo trangugiò con avidità, fino a che non gli andò attraverso e iniziò a tossire. Ma riafferrò il braccio della suora, che stava allontanando da lui il prezioso liquido, in quanto sentiva la gola talmente arsa, che pensava di essere uscito da quell’inferno di fiamme solo pochi minuti prima. E invece era passato quasi un mese, dal giorno dell’incendio della sua bottega.

«Siete ancora molto debole, amico mio. Poco alla volta, o saranno guai. Il Dottore mi ha raccomandato: pochi sorsi e spesso. E il Dottor Serafino è uno che ci sa fare, altrimenti a quest’ora non sareste più tra noi!», gli disse la suora gentilmente, ma con voce ferma.

«Il Cardinale, è stato il Cardinale…», provò a dire Bernardino, con la voce che si strozzava tra nuovi colpi di tosse.

«Sì, sì, è stato il Cardinale Baldeschi a volervi far curare proprio in questo luogo, grazie all’intercessione della sua cara nipote. Purtroppo il Cardinale non c’è più. Una disgrazia, un’orribile disgrazia. Il Cardinale è stato ucciso, da una delle sue serve da quello che so, una certa Mira. Lo ha fatto precipitare dal balcone del suo studio, dopo averlo trafitto con un affilatissimo coltello. Si dice che il Cardinale abbia sorpreso la ragazza mentre stava rubando nel suo studio. È nata una lite tra i due e l’anziano ha avuto la peggio. Ma la serva è stata arrestata, e pagherà per le sue colpe. Ah, se pagherà!»

Nonostante i dolori, Bernardino afferrò la mano della suora e fece uno sforzo sovrumano per parlarle.

«Mi state dicendo che il Cardinale Artemio Baldeschi è morto? È la verità? Ma… quanto tempo è passato da quando ho perso conoscenza? Da come parlate, non sembrano fatti riferibili a ieri o all’altro ieri. E che ne è stato di Lucia Baldeschi? Da quello che mi dite deve essere rimasta sola!»

«State calmo. Ve lo ho detto, non dovete fare sforzi! Avete passato un mese su questo letto, in preda alla febbre, al delirio, ai sogni che attanagliavano la vostra anima e il vostro cuore. Io e le mie consorelle disperavamo che ce la poteste fare. E invece, il buon Dio ancora non vi ha voluto accogliere nella sua casa, e siete ancora tra noi. Farò avere un messaggio a Lucia Baldeschi, avvertendola che avete ripreso conoscenza. Ne sarà ben felice e verrà di certo a farvi visita i giorni prossimi.»

«Sorella, mandatela a chiamare subito. Palazzo Baldeschi è proprio qui di fronte, in questa stessa Piazza, lo posso addirittura intravedere dalla finestra!»

La suora sorrise e ritirò la mano, ancora trattenuta da quella di Bernardino.

«Per la sua sicurezza, la Signora si è ritirata nella residenza di campagna della famiglia, vicino Monsano, insieme alle sue figlie e ai loro precettori. Il Papa ha già provveduto a nominare un nuovo Cardinale, che è in arrivo da Roma. Siccome non si sa che idee abbia, la Contessina Lucia preferisce starsene lontana dalla città per il momento. Considerate che Jesi è allo sbando completo! Non abbiamo più né un’autorità civile, né religiosa, e potremmo essere facile preda di nemici, sia interni, che esterni. Quindi ritengo saggia la decisione della nobile donna, al fine di proteggere se stessa e le sue figlie. Non dobbiamo dimenticare che il suo promesso sposo, Andrea, è ancora in circolazione e potrebbe giungere da un momento all’altro, a reclamare il suo seggio di Capitano del Popolo, nonché la mano della nobile Baldeschi.»

«Dopo tutto ne avrebbe il pieno diritto. Il titolo di Capitano del Popolo gli spetta e nelle vene della piccola Laura scorre il suo sangue», disse Bernardino, con la voce che cominciava quasi a schiarirsi.

«Vi siete ripreso da poco e già non riuscite a tenere a freno quella maledetta bocca? Non dite eresie! Non vi è bastato scampare dalle fiamme una volta? Volete finirci di nuovo?», replicò la suora con ironia, andando a chiudere gli scuri della finestra per far piombare la stanza nel buio. «Riposate, ora, che ne avete bisogno!»

«Una cosa sola, sorella. Ho lo stimolo di dover orinare. Come posso fare? Non riuscirò mai ad alzarmi da qui!»

«Come pensate di aver fatto in tutti questi giorni? Rilassatevi pure tranquillamente. Vi abbiamo applicato un tubo flessibile, che convoglia direttamente i vostri umori in un vaso che è sotto il letto.»

Bernardino lasciò andare l’urina, meravigliandosi di come in effetti nella stanza aleggiava un odore strano, dovuto ai medicinali e agli impiastri che gli avevano applicato sulle ustioni, ma non si avvertiva affatto odore di escrementi. E ne doveva aver fatti in un mese che era rimasto corico a letto!

Mentre non ricordava nulla dei deliri e dei sogni dei giorni precedenti, da quel momento in poi il riposo di Bernardino fu costantemente agitato da incubi, da sogni e da visioni, che egli stesso, nel dormiveglia, quasi stentava a distinguere dalla realtà. Ora si rivedeva circondato dalle fiamme, ora si sentiva protetto tra le braccia dolci di Lucia. E già, solo ora capiva che era lei che l’aveva soccorso, che gli aveva salvato la vita. L’aveva vista distintamente sopra di lui, prima di perdere conoscenza. E si sarebbe aspettato di rivederla accanto a lui appena avesse riaperto gli occhi. Ma ogni volta che li riapriva, si ritrovava nella stessa stanza semibuia, inerme, incapace anche di sollevarsi appena. Le sole presenze umane erano le suore, ora una, ora un’altra, che si alternavano al suo capezzale, dandosi da fare a cospargerlo di unguenti e impiastri e a cercare di fargli inghiottire il solito brodo. Sembrava che in quell’ospedale non ci fosse altro alimento che quello. Solo una volta aveva percepito la presenza del medico accanto a lui, un uomo burbero, dai folti capelli bianchi e dal pizzo dello stesso colore. Aveva accostato l’orecchio al suo petto e aveva sentenziato: «Fra tre giorni proveremo a farlo alzare. Nonostante l’età, quest’uomo è una roccia. Ha un cuore più tenace del mio. Domani potremo concedergli la visita della nobile Baldeschi. Solo pochi minuti, sorella! Non dobbiamo farlo affaticare. Un’emozione troppo forte potrebbe essere ancora fatale per lui.»

Lo stampatore ripiombò nel sonno, dovuto anche ai medicinali che gli venivano somministrati per alleviare il dolore. E sognò questa volta di essere di nuovo al lavoro nella sua tipografia, completamente ricostruita e rinnovata, più bella di prima. E sognò di dare dei buoni consigli alla nobile Signora sua amica. E sognò di vederla sullo scranno di Capitano del Popolo, nella sala dei Migliori all’interno del Palazzo del Governo. E sognò le bimbe, Anna e Laura, che giocavano e si rincorrevano nel parco di una sontuosa residenza di campagna, mentre lui le osservava come un nonno premuroso.

Quando, riemergendo alla realtà da uno dei suoi innumerevoli travagliati sogni, si accorse che a fianco al suo letto c’era la nobile Lucia, ebbe l’impressione che tutti i dolori fossero all’improvviso scomparsi e che si stesse riappropriando delle sue forze. Tanto che riuscì a sollevarsi un po’, mentre Lucia, con un gesto amorevole più che caritatevole, gli sistemò un cuscino dietro la schiena in modo che fosse più a suo agio, permettendogli al contempo di mantenere quella posizione.

«Ditemi che non siete un sogno, mia Signora!», disse Bernardino, con la voce interrotta da colpi di tosse.

Lucia gli cercò la mano e la strinse tra le sue, facendo provare all’uomo una sensazione di calore inaspettata, che infuse in lui una nuova forza. Si sollevò ancor di più con la schiena, tra le proteste della suora che minacciava di interrompere subito la visita. Il cenno che indirizzò Lucia alla volta della suora non fu percepito da Bernardino, ma il risultato fu evidente, perché questa si azzittì, anzi si ritirò dalla stanza lasciando i due amici liberi di parlare tra loro.

«Sono contenta che vi stiate riprendendo, Bernardino. Non sapete quanto, in questo momento abbia bisogno di voi e dei vostri consigli. Il Cardinale è morto e in città la situazione è davvero difficile. Sembra che il Papa stesse inviando un nuovo Cadinale e la scelta era caduta sull’anziano Angelo Ghislieri, di origine Jesina. Avrebbe dovuto prendere le redini sia della Chiesa che del Governo della città, ma… Ma non è mai giunto a Jesi.»

«Come mai, di grazia?», chiese Bernardino incuriosito.

«Purtroppo Leone X è venuto improvvisamente a morte nei giorni scorsi.»

«Ma, aveva solo quarantasei anni!»

«Appunto, molti credono che sia stato avvelenato. Giovanni De’ Medici era troppo vicino alla sua famiglia, ai Signori di Firenze, perché l’oligarchia ecclesiastica lo continuasse ad accettare. E ora, in attesa dell’elezione del nuovo Papa, i Cardinali riuniti in conclave a Roma si stanno spartendo i territori tra loro. Sembra che quale legato della Santa Sede per la nostra città, fatti salvi i diritti e i privilegi del Comune, sia stato nominato il Cardinale Jacobacci.»

«Ma, Jacobacci è legato alla peggiore fazione integralista dei Guelfi.»

«Infatti, ma anche di questo Jacobacci non abbiamo visto l’ombra qui a Jesi. E intanto la miseria, dopo il sacco del 1517, imperversa nelle campagne e in città. E sembra che la peste sia giunta ad Ancona, e non credo che tarderà ad arrivare anche da noi.»

«Datemi ascolto, Lucia! Prendete le redini del governo della città. Ne avete il pieno diritto. Non temete per il fatto di essere una donna. Chiamate a raccolta i nobili Jesini, saranno ben lieti di aiutarvi. E fate apporre una corona sopra il leone rampante raffigurato nella facciata del Palazzo del Governo. Ricorderà a tutti che Jesi è una città Regia e che si governerà in maniera indipendente dalla Chiesa. Se il Cardinale tarda ad arrivare, peggio per lui. Quando arriverà penserà alle faccende religiose, mentre il Governo Civile sarà del popolo, così come deve essere.»

«Mi state istigando a fomentare una ribellione?»

«No, sto solo dicendo che dovete assumervi le vostre responsabilità. E prendere il posto che vi spetta. Non c’è altra soluzione!»




CAPITOLO 2

Ero malato, e non siete venuti a visitarmi

(Vangelo secondo Marco 6, 56)

Alla vista dell’ennesima fumata nera, il Camerlengo non poté trattenersi dallo sbuffare. Dopo la morte di Leone X, al secolo Giovanni De’ Medici, era ormai oltre un mese che i Cardinali erano riuniti in conclave, rinchiusi nelle stanze in cui solo lui poteva avere libertà di entrare e uscire come voleva. Fatto sta che, proprio in virtù di questo suo privilegio, aveva ben capito che gli alti prelati non avevano alcuna intenzione di eleggere il nuovo Papa, se prima non avessero risolto tra loro le questioni riguardanti la spartizione di terre e feudi. Il Vescovo di Firenze poi, il Cardinale Giulio De’ Medici, non era affatto convinto che la morte del suo congiunto fosse avvenuta per cause naturali, e si lanciava in lunghe e prolisse discussioni sui suoi sospetti nei confronti di un ipotetico avvelenamento del defunto Papa e sui probabili responsabili del complotto. Il tutto per cercare di convincere la maggioranza dei colleghi a votare per lui come nuovo pontefice. E così, tra una votazione e l’altra, tra una fumata nera e l’altra, trascorrevano non alcune ore, ma a volte anche più di un’intera giornata.

Quando vedeva la fumata, il Camerlengo disponeva il tutto perché i Cardinali venissero adeguatamente rifocillati. Inviava i servi a imbandire riccamente una tavola in un ampio salone vuoto e, quando tutto era pronto, cacciava via i servi e apriva la porta che dava nelle stanze dove aveva luogo il Conclave. Nessuno infatti, se non lui, poteva interloquire con i Cardinali, onde essi non fossero in nessun modo influenzati riguardo le loro scelte.

Innocenzo Cybo era stato subito nominato camerlengo alla morte di Leone X, in quanto era il suo braccio destro, colui che gli era stato più vicino e che sapeva bene come amministrare lo Stato della Chiesa in quel periodo di vacanza della massima autorità. Aveva visto giungere le solite facce note, Cardinali di cui conosceva vita, morte e miracoli, vizi, virtù e ambizioni. Si era reso subito conto dell’assenza di un’importante figura, il Cardinale Artemio Baldeschi di Jesi. Qualcuno gli aveva poi riferito che il Cardinal Baldeschi era morto in circostanze tragiche, forse in seguito alla colluttazione con una servetta del suo palazzo.

Una cosa inaudita, tocca sentirne di tutti i colori al giorno d’oggi , aveva pensato tra sé e sé Innocenzo. Una volta le servette offrivano i loro giovani corpi al proprio Signore e zitte. Oggi hanno persino la sfrontatezza di ribellarsi! Certo, se il Baldeschi non c’è più, Jesi e il suo contado sono un’appetibile terra di conquista per molti dei qui presenti.

E in effetti, la questione dell’assegnazione della Curia vescovile di Jesi fu una delle prime che dovette affrontare il Camerlengo come sostituto del Papa. Decise che la cosa migliore fosse quella di nominare un Cardinale che non avrebbe partecipato al conclave, così sarebbe potuto partire subito per quelle terre travagliate da anni di lotte, guerre, tradimenti e malgoverno, che avevano portato la popolazione, soprattutto nelle campagne, a uno stato di miseria notevole e dove, ultimamente, sembrava si stesse diffondendo anche quel morbo terribile conosciuto col nome di peste. La scelta cadde sul Cardinale Jacobacci, che partì subito da Roma, ma che, giunto dalle parti di Orvieto, sua terra di origine, vi si fermò per godere un periodo di riposo nei suoi luoghi natii, che forse si stava prolungando un po’ eccessivamente. Ma c’era chi diceva che il Cardinale avesse perso la testa per una fanciulla del luogo, e non se ne sarebbe partito da lì per nulla al mondo.

Gualtiero Jacobacci non aveva perso la testa per nessuna donzella, né giovane, né attempata che fosse. Si era soffermato ad ammirare la splendida facciata del Duomo, non ancora terminata, e aveva avuto nostalgia di quei luoghi, in cui aveva vissuto la sua infanzia. In vita sua non aveva mai visto la cattedrale libera dalle impalcature. Sapeva che la costruzione era stata avviata oltre duecento anni prima, ma ora i palchi erano rimasti solo sulla facciata per consentire agli artisti di portare a termine le raffinate decorazioni che l’avrebbero abbellita e resa famosa nei secoli a venire. Approfittò del fatto che la Curia vescovile era libera, in quanto il Cardinale Alessandro Cesarini, Vescovo di Anagni e Orvieto, era in ritiro obbligato a Roma per partecipare al conclave, e si fece ospitare dalla comunità ecclesiastica locale, iniziando anche a celebrare la Santa Messa all’interno dell’incompiuta cattedrale. Tutto aveva in mente, insomma, tranne che di raggiungere Jesi, la sede che gli era stata assegnata dal Camerlengo. La pacchia non sarebbe durata a lungo, in quanto prima o poi il nuovo Papa sarebbe stato eletto e il Cardinale Cesarini sarebbe rientrato in sede. Ma Gualtiero non voleva pensarci. Carpe diem, diceva tra sé e sé, facendo propria la citazione di Orazio. Cogliamo l’attimo e godiamoci questo bel periodo. Quando sarà il momento vedremo il da farsi! Magari, quando arriverà, potrei proporre ad Alessandro Cesarini uno scambio: io qua e lui a Jesi. Jesi, come tutta la Marca anconitana, è una sede ambita per un alto prelato. Le campagne sono ricche e la Chiesa vuole a tutti i costi riportare quei territori sotto la propria ala in maniera definitiva, dando un taglio ai vecchi retaggi di Comuni, Signorie e Nobiltà locale. Un ambizioso come Cesarini non saprà certo dire di no alla mia offerta. E io potrò godermi la vecchiaia nel mio paese d’origine.

Finalmente, dopo oltre un mese di fumate nere, il 9 gennaio 1522 dal camino uscì la fumata bianca. Il Camerlengo tirò il sospiro di sollievo e si precipitò all’interno dell’ala in cui si svolgeva il conclave per assolvere ai suoi doveri di rito. Gli sembrava che fosse passata un’eternità dal giorno in cui era morto Leone X. Lo aveva trovato proprio lui, riverso sul tavolo in cui stava mangiando. Aveva chiamato le guardie e aveva fatto ricomporre il corpo nel letto, poi aveva picchiato con un martelletto il cranio del Santo Padre, per assicurarsi che il corpo non rispondesse più con alcun riflesso, né volontario, né involontario che fosse. Quando gli arti, gambe e braccia, furono diventati rigidi, aveva provveduto a chiamare tre volte il Papa con il nome di battesimo: «Giovanni… Giovanni… Giovanni!». Non avendo ottenuto risposta, aveva provveduto a dichiarare ufficialmente morto il Santo Padre. Aveva fatto allestire la camera ardente e aveva organizzato il rito funebre, al termine del quale Papa Leone X avrebbe raggiunto i suoi predecessori, nei sotterranei della basilica eretta sopra la tomba di San Pietro. Dopo di che aveva convocato il Conclave, ma si era accorto che la sua posizione era ritenuta molto scomoda da parte di una certa fazione dei partecipanti al Conclave, quelli più vicini alla famiglia De’ Medici. Lui era stato sempre il Cardinale più vicino al Papa, ma notoriamente faceva parte della stessa famiglia di Giovan Battista Cybo, che aveva occupato il soglio pontificio fino al 1492 col nome di Innocenzo VIII. Le male lingue, dal momento che era lui responsabile della sicurezza del Papa e tutti i cibi che arrivavano sulla tavola del Santo Padre dovevano essere da lui approvati, avevano ventilato che lui stesso potesse essere il responsabile dell’inaspettata e prematura morte di Leone X. Poteva infatti avere benissimo avvelenato gli alimenti, con l’intento di aspirare al pontificato e riportare di nuovo alla massima carica un appartenente alla famiglia genovese. Innocenzo sapeva benissimo di essere innocente e di non aver perpetrato alcuna congiura ai danni del suo beneamato Papa. Giovanni De’ Medici soffriva di cuore fin da quando era ragazzo e, proprio per questo non si era dedicato mai alle armi. Quindi nessuno lo aveva avvelenato, aveva avuto un collasso ed era morto di morte naturale, anche se improvvisa. Il fatto di autonominarsi Camerlengo aveva in parte allontanato i sospetti da lui, in quanto non sarebbe stato eleggibile come Papa, ma non del tutto. Giulio De’ Medici e altri tre o quattro Cardinali continuavano a guardarlo in cagnesco, ma lui rispondeva a quelle provocazioni con la migliore delle difese: il silenzio. Certo, quei tre mesi non erano stati facili, ma era riuscito a non porgere mai il fianco ai suoi nemici. Non una parola era mai uscita dalla sua bocca, che accusasse il Medici di invidia o di arrivismo. Aveva continuato a fare il suo dovere come nulla fosse. Ma ora, mentre saliva le scale col fiato in gola, il timore che il nuovo eletto fosse proprio il Medici lo attanagliava. Di certo, questi avrebbe voluto in qualche modo vendicare la morte prematura del familiare. E già Innocenzo si immaginava con la testa appoggiata a un ceppo in attesa della scure che, con un colpo secco, l’avrebbe fatta volare via dal resto del suo corpo. Quando aprì la busta dove era scritto il nome del nuovo pontefice, tirò il secondo sospiro di sollievo nel giro di pochi minuti.

Il Camerlengo si affacciò al terrazzo che dava sul piazzale sottostante e gridò, con quanto fiato aveva in gola, rivolto ai fedeli assiepati in curiosa attesa:

« Nuntio vobis gaudium magnum! Habemus Papam, eminentissimum et reverendissimum dominum Adrianus Florentz, qui sibi imposuit nomen Adrianus sextus. »

Voci e acclamazioni si levarono dalla Piazza sottostante, in attesa che il nuovo Papa si facesse vedere e parlasse alla folla dei fedeli. Mentre Innocenzo aiutava il nuovo Papa a vestire i paramenti sacri di rito, nella sua mente i pensieri scorrevano veloci. Questo Adriano VI non durerà molto, prima che qualcuno della famiglia De’ Medici ci metta mano. Ma che duri un mese, un anno o un secolo, nessuno potrà più accusare me. Da domani Innocenzo Cybo se ne ritorna a Genova.

Come tutti gli altri, anche il Cardinale Alessandro Cesarini fece i bagagli per ritornare nella sua sede, a Orvieto. Giuntovi il quattro marzo dell’anno del Signore 1522, lì per lì rimase un po’ interdetto dal fatto che la sua sede vescovile fosse stata arbitrariamente occupata dal suo collega, ma all’udire la proposta di quest’ultimo quasi non riusciva a credere alle sue orecchie. Lui che avrebbe fatto carte false per avere la Curia Vescovile di Jesi, lasciata vacante dal Cardinal Baldeschi, se la vedeva offrire su un piatto d’argento da chi ne era stato prescelto come titolare, solo perché legato ai luoghi in cui aveva trascorso l’infanzia. Incredibile, ma vero! Un’occasione di certo da non lasciarsi scappare. Suggellato il patto con lo Jacobacci, Alessandro Cesarini, desideroso comunque di riposarsi per qualche giorno, inviò un messaggero a Jesi, per preannunciare il suo arrivo e il suo insediamento alle autorità di quella città. Il messaggero giunse a Jesi solo il 12 Marzo, e il Consiglio Generale della Città, riunito per l’occasione nella Sala Maggiore del Palazzo del Governo e presieduto dal nobile Fiorano Santoni, prese atto della nomina – anche se il Cardinal Jacobacci sarebbe stato più gradito – e deliberò anche di riconoscere al Cesarini un vitalizio di 25 fiorini al mese. Tutto questo quando già il Cardinale era alle porte della città, per cui non si fece neanche in tempo a preparare una degna accoglienza al nuovo Vescovo, che si trovò a entrare in una città del tutto indifferente al suo arrivo. Il Cesarini non rimase deluso solo dell’accoglienza, ma anche e soprattutto del fatto di trovare città e contado in condizioni ben diverse da quello che si aspettava. Dopo il sacco subito dalla città nel 1517, erano seguiti alcuni anni di malgoverno da parte del Cardinal Baldeschi, che avevano ridotto la zona a condizioni di miseria mai viste a memoria d’uomo. Oltre ai danni e alle angherie che erano stati portati dagli eserciti invasori, la peste era tornata come un incubo a terrorizzare la popolazione. E così il Cesarini, che aveva ancora molti interessi nella zona di Anagni e Orvieto, ben presto iniziò a passare gran parte del suo tempo lontano da Jesi, adducendo come scusa i suoi assillanti impegni ecclesiastici presso la sede Papale , e lasciando in sua vece aspri vicegovernatori, che sapevano solo essere crudeli e tiranni nei confronti della popolazione.

Lucia si era data da fare, e non poco, per portare conforto agli ammalati di peste. Il morbo era giunto a Jesi con una cassa di canapa, proveniente dai mercati dell’oriente, acquistata a prezzo stracciato al porto di Ancona da una famiglia di “cordari” Jesini. Alcune famiglie residenti nel borgo di Sant’Alò erano rinomate da tempo immemorabile per l’abilità e la cura con cui fabbricavano corde. Avevano un sistema tutto loro per ottenere dalla canapa grezza cordini e corde di tutte le lunghezze e calibri, che venivano vendute al mercato a prezzi concorrenziali rispetto a quelle fabbricate in altre zone d’Italia. Non appena Berardo Prosperi, il capofamiglia, aprì la cassa per verificare la qualità della canapa acquistata da suo figlio e suo nipote, fu aggredito dalle pulci, che finalmente libere cercarono il loro pasto di sangue, a scapito di molti componenti della comunità dei borgatari. Le case dei cordari erano costruzioni basse, che formavano una fila unica, una attaccata all’altra, al bordo di un ampio piazzale, detto “prato”, dove quegli artigiani lavoravano, essenzialmente all’aperto. Avevano infatti bisogno di ampi spazi, dove allungare le fibre di canapa e intrecciarle fino a farle diventare corde, con l’aiuto di strani marchingegni dall’aspetto di ruote.

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Yaş sınırı:
0+
Litres'teki yayın tarihi:
07 nisan 2020
Hacim:
375 s. 9 illüstrasyon
ISBN:
9788835403401
Telif hakkı:
Tektime S.r.l.s.
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