Kitabı oku: «Attacco Agli Dei», sayfa 2
CAPITOLO 2
Potete misurare l’immaturità di un popolo dallo spessore dei suoi testi giuridici.
—Anthropos, Integrità mentale e Società
Dev e Dunnis rimasero in piedi sotto la pioggia, incapaci di muoversi per diversi secondi. I loro occhi erano fissi sui pietosi resti di quello che solo pochi secondi prima era stato il loro compagno. L’aria era carica di elettricità ed un sottile, sgradevole odore arrivava alle loro narici, portato dall’aria nonostante il temporale – lo sgradevole odore di carne bruciata.
Lentamente, si scossero accorgendosi di movimenti intorno a loro. Nel buio della notte Daschamese si stava raccogliendo una folla di nativi, che emergevano dalle loro capanne per vedere almeno i postumi dell’incredibile scena. Troppo timidi, arrivavano fino al bordo più esterno del cerchio di luce delineato dalla torcia di Dev. Tutto quello che lei poteva distinguere erano le sagome dei loro corpi grassottelli. Si raccoglievano in un semicerchio dietro a Dunnis e a lei, e fissavano i resti bollenti di Dmitor Zhurat. I nativi ondeggiavano leggermente avanti e indietro, saldi sui loro piedi, tutti allo stesso ritmo, e l’aria sembrava animata dal suono di una cantilena a bocca chiusa – o di un canto – da parte di un bel numero di gole ursine.
Dev chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con fare pensieroso con la mano sinistra. Si sentiva intirizzita e leggermente nauseata e ancora una volta desiderò di essere potuta restare a bordo della nave a leggere qualche libro interessante.
I desideri valgono solo nelle favole, si disse con fare tagliente. Questa è la vita vera, e hai dei doveri da compiere. Muoviti, donna.
Era sicura che fossero passati non più di trenta secondi dalla morte di Zhurat. Riaprendo gli occhi, si scosse dalla paralisi dovuta allo shock ed iniziò a fare un passo avanti quando un altro suono la raggiunse. All’inizio era a malapena udibile sotto la cantilena della folla intorno a lei e il battere della pioggia sul suolo fangoso, ma aumentò rapidamente fino a che l’aria riverberò con il suo volume. Era un brusio superiore ad un rumore bianco; era piuttosto il preludio a qualche altro suono che sarebbe seguito a tempo debito.
Ad accompagnare il brusio c’era una luce che ammorbidiva l’oscurità della notte Daschamese. Veniva dall’alto e diventava più chiara ad ogni secondo che passava. Un oggetto brillante stava scendendo dal cielo – una discesa ordinata e lenta, destinata ad impressionare la platea con la sua maestosità. Non appena l’oggetto scese abbastanza in basso per essere visibile attraverso la pioggia battente, Dev si trovò a doversi schermare gli occhi dalla totale lucentezza della creatura davanti a lei.
Come forma, assomigliava ai nativi del pianeta, con due braccia e due gambe ed un corpo peloso rotondo, con un naso simile a un muso. Ma sulla schiena aveva un enorme paio di ali, che sbattevano dolcemente mentre la creatura si librava nell’aria di fronte alla folla. Molto più grande del doppio rispetto ai nativi, Dev stimò la sua altezza in tre e mezzo, forse quattro metri, con una apertura totale delle ali che era facilmente cinque metri o più. La creatura emanava un bagliore freddo blu-bianco che illuminava la zona per un raggio di 24 metri, e in una mano impugnava una lunga spada che risplendeva, con uno sfolgorio oro brillante tutto suo. Gli occhi incassati della creatura brillavano di un rosso splendente, come due tizzoni ardenti in un caminetto buio.
Un orsetto vendicatore, fu la prima reazione di Dev, ma il suo umorismo era trattenuto all’interno della sua mente. L’essere che fluttuava nell’aria a dieci metri di distanza e cinque metri dal suolo era impressionante, e molto diverso da un peluche con cui giocare.
Dev era in piedi con la mano appoggiata leggermente alla cintura – a pochi centimetri dall’impugnatura della sua pistola laser – in attesa di vedere cosa sarebbe accaduto poi.
L’essere luminoso girò la testa e il suo sguardo osservò l’intera folla davanti a sé, raccoltasi sotto la pioggia. Poi infine aprì la bocca per parlare. Le cuffie di Dev erano pronte per tradurre.
“Gli dei sono onnipotenti,” ringhiò la creatura.
Dalla folla di Daschamesi si levò un coro di ringhi di risposta. Il computer di Dev tradusse i ringhi come un giro di Amen (così sia).
“Gli dei sono ovunque” affermò la figura splendente e la folla rispose con un altro coro di Amen.
“Gli dei sono buoni,” disse la figura e la risposta dalla folla fu la stessa. Dev decise di pronunciare a sua volta un “Amen” a titolo di sicurezza.
Finita la litania, la creatura splendente iniziò a parlare. “Gli dei hanno potere di vita e di morte su tutti coloro che abitano su Dascham,” disse. “Gli dei rendono buona la caccia e ricco il raccolto, a loro discrezione. Oppure, per punire, possono rovinare i raccolti e diffondere pestilenze attraverso la foresta. Come scritto nei vecchi accordi, gli dei sono i signori supremi di Dascham, e di tutte le persone sul pianeta, e di tutte le cose esistenti al suo interno.”
“Amen,” disse la folla e – a scoppio ritardato – Dev. Dunnis le scoccò uno sguardo buffo con la coda dell’occhio, ma non disse nulla.
“Le regole degli dei sono assolute,” continuò la gigantesca creatura. “Gli dei sanno tutto. Non c’è modo di fuggire dal loro regno, dalla loro saggezza e dalla loro rapida giustizia. Non ci si può opporre alle loro regole caritatevoli. Ricordate, tutti voi il tempo del Rogo, e sappiate che “ricompensa” possono infliggere gli dei per la ribellione contro il loro regime.”
La creatura tacque per un secondo, e Dev si fece quasi scappare un altro “Amen” prima di rendersi conto che nessuno lo stava dicendo. Soffocò la parola prima che le sfuggisse dalle labbra e attese in silenzio con il resto della folla, fino a che l’angelo decise di parlare ancora.
“Quando arrivarono fra voi questi esseri dal cielo, non ci siamo opposti a loro. Sebbene molti di voi temessero che fossero i demoni che combattemmo anni fa, gli dei sapevano che erano creature mortali, proprio come voi, capaci di fare del bene e anche del male. Non obiettammo quando vi portarono commercio e merci, scambiandoli con i vostri minerali, ma quando portano anche l’eresia, allora gli dei devono fare qualcosa per difendere il mondo che è loro di diritto.”
La creatura terminò il suo discorso fissando direttamente Dev, consapevole della sua posizione di capitano, e persona responsabile del comportamento degli umani. Lei sapeva che ci si aspettava da lei una reazione, il destino della missione commerciale della Foxfire qui poteva essere proprio in pericolo. Soffocando le sue emozioni per prevenire che qualsiasi nervosismo trasparisse dalla sua voce, avanzò e si rivolse al messaggero divino.
“Oh, santissimo, ascoltami,” disse. La voce assunse i toni accuratamente modulati che di solito riservava alle emergenze nella sala di controllo. Non c’era assolutamente nessun eccesso di sarcasmo o di irriverenza. “Gli esseri umani sono individui, come i Daschamesi. L’individuo chiamato Zhurat, era continuamente irrispettoso dell’autorità. Era anche ubriaco stanotte, come sicuramente tu sapevi. Nella tua saggezza, la saggezza di colui che vede tutto, sei consapevole che ho cercato di dissuaderlo dalle sue azioni avventate ed eretiche; è colpa mia ed anche mia vergogna non essere riuscita a fermarlo. Hai trattato Zhurat secondo le vostre leggi ed abitudini, come è tuo diritto. Gli dei sono veramente i signori di Dascham, e possono trattare i trasgressori nel modo che ritengono giusto. Ma gli dei di Dascham sono conosciuti in tutta la galassia per l’equità della loro giustizia; io mi appello a questa giustizia e ti chiedo di non condannare tutti gli umani per la trasgressione di uno come Zhurat.”
L’ultimo pezzo era una balla colossale. Almeno il novantanove percento della razza umana non aveva nemmeno mai sentito nominare Dascham; e la distinta minoranza che lo conosceva, considerava gli dei un pittoresco pezzo di folklore. Ma dalle tante letture sull’argomento della religione che aveva fatto Dev, sapeva che tutti gli dei avevano una caratteristica in comune: erano terribilmente sensibili all’adulazione. In una situazione così critica, non le avrebbe certo fatto male il fatto di giocare con l’ego delle divinità di Dascham.
Non appena terminò di parlare, retrocesse e chinò la testa umilmente aspettando la risposta dell’angelo. La creatura splendente sembrò riflettere sulle sue parole per un mezzo minuto, prima di parlare di nuovo. “Gli dei sono giusti” annunciò, ad un coro di “Amen” che sembrava essersi risvegliato in quel momento. “Hanno deciso che Zhurat ha agito da solo nel suo tentativo di diffondere l’eresia fra i veri credenti. È stato punito in modo adeguato, e gli dei hanno mostrato così il loro potere a tutti i dubbiosi. Una morte veloce sarà la fine di tutti coloro che si opporranno agli dei.”
Altri “Amen.”
“Gli altri umani sembrano innocenti della colpa di eresia. Gli dei hanno deciso che essi vivranno e continueranno con la loro missione commerciale come prima – ma la morte di questo uomo dell’equipaggio dovrà servire da esempio. Tutti coloro che si opporranno agli dei, moriranno.”
Questa volta, Dev, avendo ora acquisito familiarità con il Sistema, guidò il grido di “Amen” degli spettatori.
“Grandi sono gli dei, perché loro sono il potere e la gloria nei secoli dei secoli.”
“AMEN!”
Con quest’ultima dichiarazione, l’Orsacchiotto Vendicatore risalì serenamente al cielo, battendo le ali di tanto in tanto. La sua spada splendeva come oro brillante mentre lui la muoveva in modo minaccioso. Dev non riusciva ad allungare troppo il collo per vederlo salire in cielo perché la pioggia torrenziale le colpiva gli occhi. Rivolse invece lo sguardo al posto dove erano state le ceneri di Zhurat. La divisa carbonizzata, ora sepolta nel pantano, rendeva impossibile distinguere i resti del suo uomo dell’equipaggio dalla melma naturale di Dascham.
Scuotendo leggermente la testa, distolse lo sguardo. Sicuramente hanno messo in piedi uno spettacolo pazzesco, pensò—ma si guardò bene dall’esprimere questo pensiero ad alta voce.
***
Dev e Dunnis tornarono alla Foxfire utilizzando il piccolo carro che i nativi avevano dato loro. Il daryek che lo trainava era un animale vecchio e dall’aspetto malato, probabilmente l’unico che i locali potevano permettersi di prestare.
L’animale, per niente contento di essere obbligato a lavorare di notte, mostrava il suo risentimento arrancando a fatica con un passo che era appena più veloce di quello che gli umani avrebbero avuto a piedi. Il carro brontolava e avanzava a scatti attraverso i solchi sconnessi della strada, in un modo che sembrava fatto apposta per produrre i lividi peggiori al posteriore dei passeggeri. Eppure, Dev ricordava la camminata spiacevole lungo questa stessa strada per arrivare in città, e decise che queste scomodità erano assolutamente preferibili.
I due restarono in silenzio per metà del viaggio, pensando a quello che avevano visto. Infine, Dunnis emise un lungo sospiro. “È stato spaventoso,” disse. Tutti i segni di ubriachezza nella sua voce erano scomparsi; la morte di Zhurat lo aveva reso sobrio all’improvviso.
Dev sorrise debolmente. “Non posso dissentire.”
“Cosa pensi che sia successo là, comunque?”
“Gli dei hanno disintegrato Zhurat per la sua blasfemia ed un angelo è sceso sulla terra e ci ha detto di non peccare più.”
Dunnis le scoccò uno sguardo inquisitorio. “Credi davvero a questa storia senza capo né coda?”
“È quello che è sembrato anche a me. Sono aperta a spiegazioni migliori, se ne hai.”
“Pensavo che voi Eoani non credeste in niente a parte voi stessi.”
“Stai cercando di dirmi in cosa io credo?” Dev era molto cauta nel dirlo. Sarebbe stato troppo facile interpretare la sua affermazione come sarcasmo. Invece, si assicurò di incurvare gli angoli della bocca in un largo, caldo sorriso, affinché il tecnico potesse vedere che dietro la sua osservazione non si nascondeva nessuna difensiva ostile.
Il grande rosso alzò le mani. “Francamente Capitano, non so cosa pensare. Eri così sicura inchinandoti e dicendo tutti quegli amen ovunque di fronte a quel …. quel…”
“‘Angelo’ penso sarebbe il termine appropriato. E non mi sono inchinata una volta – anche se visto che tutti gli altri intorno a me lo facevano, avrei dovuto farlo anche io. Educazione e buone maniere ti faranno sempre acquistare dei punti, se saranno applicate nel modo giusto.”
“Ma ti sei arresa così facilmente a quella cosa, praticamente leccandogli i piedi e scusandoti”
“I miei genitori non mi hanno allevata per essere un parafulmine,” disse semplicemente Dev.
“Sì, ma ...beh, se ci sono gli dei, perché sono solo qui, su questo pianeta così fuorimano? Perché non sono nello spazio o su qualsiasi altro mondo?”
“Non posso rispondere. Semplicemente, non ho abbastanza informazioni. Sicuramente sembra che nello spazio non ci siano, e so che non sono su Eos. Se ci fossero, la popolazione sarebbe stata incenerita molto tempo fa. Ma mi dicono che gli dei lavorano in modi misteriosi. Questo è un universo grande e variegato; tutto è possibile.”
“Ma—”
“Ascolta, molto tempo fa, un poeta di nome Alexander Pope osservò una volta, ‘Una verità è chiara: qualsiasi cosa sia, è giusta.’ In sostanza, quello è ciò che io credo. Quello che è vero per il resto dell’universo qui non ha nessuna importanza; quello che è vero su Dascham è che ci sono degli dei che hanno dei poteri incredibili. Per tutto il tempo che resterò qui, intendo tenere ben presente questo fatto, prima di fare o dire qualsiasi cosa. Ti suggerirei di fare lo stesso – gli dei sanno tutto quello che si fa e possono udire tutto quello che viene detto su questo mondo”
“Ma stiamo parlando Galingua ora; di sicuro essi non possono capirlo.”
“Non sottovalutarli. Ho già perso un componente del mio equipaggio, non posso permettermi di perderne un altro.” E con ciò, smise di parlare. Dunnis, rendendosi conto che non intendeva dire altro, si sedette imbronciato di fianco a lei e cercò di osservare la strada davanti a loro, attraverso la pioggia e l’oscurità mentre il loro daryek arrancava faticosamente.
***
Fortunatamente, Dev aveva acceso alcune luci esterne prima di lasciare la nave, altrimenti sarebbero passati oltre, avventurandosi nei campi, al buio. La Foxfire era piccola per essere una navicella cargo – essendo solo un proiettile di trenta metri di altezza e dodici di diametro alla base — sebbene qui su Dascham sembrasse gigantesca. Ma, pur mastodontica com’era, paragonata agli edifici di piccole dimensioni di questo pianeta, avrebbe potuto essere completamente inghiottita dal buio totale della notte Daschamese.
Dev legò lo stanco daryek ad un’aletta stabilizzatrice della navicella nella remota possibilità che la patetica creatura potesse cercare di vagare, allontanandosi durante quello che rimaneva della notte. Poi, tenendo in mano la divisa spaziale fradicia che era tutto quello che rimaneva di Zhurat, seguì Dunnis salendo la scala ed entrò nella camera stagna. Una volta all’interno, continuò a salire fino a raggiungere la prua, facendo segno silenziosamente al tecnico di seguirla. Passarono le zone del soggiorno ed andarono invece nella sala dei comandi, dove Dev camminò in modo deciso verso la console del capitano e azionò un paio di interruttori. Sospirò leggermente e chiuse gli occhi. “Penso che staremo bene adesso.”
Dunnis l’aveva guardata con crescente curiosità. Con le sue azioni aveva acceso gli schermi deflettori intorno alla nave. “Temevi che le meteoriti potessero colpirci qui?” le chiese.
“No, ma il campo delle schermature dovrebbe essere sufficiente per disturbare le eventuali trasmissioni a bassa potenza che provengano dall’interno della nave. Possiamo parlare liberamente adesso.”
“Di cosa?”
“Degli dei. Avevi ragione a pensare che non credessi in nessun essere sovrannaturale. Ma la verità è che c’è qualcuno – o un gruppo di qualcuno – che gestisce lo spettacolo qui intorno, e questo qualcuno è davvero potente.”
“Ma gli schermi deflettori cosa …?”
“Cominciamo dal principio,” disse Dev. “Presumiamo che questi dei siano mortali come noi, e tecnologicamente avanzati rispetto ai nativi. Per una razza primitiva come i Daschamesi, le meraviglie della scienza sembrerebbero magia, e potrebbero essere sfruttate da chiunque desideroso di fare lo sforzo di farlo. Ad esempio, gli dei affermano di essere in grado di udire tutto quello che si dice in tutto il mondo. Tu sei un tecnico: come si potrebbe fare questo?”
“Microfoni e trasmettitori,” disse lentamente il gigante. “ci sono dei dispositivi di intercettazione così piccoli che i nativi non li noterebbero nemmeno per quello che sono.”
“Esattamente.”
“Ma farlo su larga scala, a livello di pianeta—”
“Dimenticatelo per il momento. Presumi un conto spese illimitato e parla in termini di possibilità tecnologiche.”
Dunnis fece una smorfia. “Sì, è possibile —ma coordinare tutte le conversazioni casuali sarebbe una rottura di palle.”
“Noi sappiamo che possono udire quello che si dice, perché evidentemente hanno udito Zhurat,” continuò Dev, ignorando il commento di Dunnis. “Quindi dovremmo considerare la possibilità che le nostre conversazioni sono tenute monitorate. Perché pensi che io sia stata così attenta su quello che dicevo mentre tornavamo qui? Non eravamo ancora fuori pericolo, e tu continuavi a volerci confrontare su quello che era successo. Fino a che non potevamo parlare in modo sicuro, non volevo dire nulla che mi potesse fare diventare un candidato per le loro esercitazioni eteree di tiro al bersaglio.”
Dunnis lanciò uno sguardo sopra al pannello di controllo, dove la luce blu della spia degli schermi deflettori stava splendendo freddamente. “E tu pensi che abbiano qualche spia qui? Come? “
“Non posso esserne sicura, ma abbiamo caricato un bel po’ di cose la settimana scorsa. Qualcuno di quei piccoli diavoli potrebbe essersi infilato ed avere vagato per tutta la nave. Ma se sono così piccole, non possono essere davvero potenti nel trasmettere, e gli schermi del deflettore dovrebbero emettere abbastanza interferenze da bloccarle.”
“E cosa dici dell’angelo? Come lo spieghi?”
“Era un robot,” disse Dev, sedendosi sul suo divano di accelerazione e tastando svogliatamente la divisa di Zhurat. “Doveva esserlo per brillare in quel modo. Mi hanno detto che alcuni pesci nelle profondità dell’oceano hanno una loro naturale fosforescenza, ma è il loro modo di adattarsi all’ambiente. Quest’angelo non ne aveva bisogno – e non aveva nemmeno bisogno di quelle ali.”
“E quindi come riusciva a volare?”
“Nello stesso modo della nostra Foxfire —spinta gravitazionale. Non hai notato come stava abbastanza in alto e abbastanza lontano da tutti per evitare di ucciderci con la risacca della propulsione? Quando sbatteva le ali, i battiti non erano mai veloci o forti abbastanza per sollevare qualcosa così solido nel cielo. Poi si è librato nel cielo per molto tempo senza mai battere le ali. Con le attrezzature adatte, probabilmente anche tu potresti costruirne uno simile in un paio di giorni.”
Il tecnico annuì. “Sì, ora che lo spieghi così, tutto sembra davvero semplice Ma non riesco ancora a capire lo scopo dell’operazione.”
“Quando vuoi controllare un pianeta, devi pensare in grande,” sottolineò Dev.
“Suppongo di sì,” ammise Dunnis. “Bene, allora cosa facciamo?”
“La nostra priorità è rimuovere le cimici dalla nave – sempre presumendo che sia infestata, prima di tutto. Lasciare accese le schermature per i meteoriti consuma le nostre riserve di potenza. C’è qualche modo in cui tu possa preparare un rilevatore per trovare i trasmettitori?”
“Adesso, Capitano? Non ho chiuso occhio dalla notte scorsa—”
“E nemmeno io. Da quanto ricordo, è stato il fatto che tu e Zhurat eravate fuori fino a più tardi di quanto avreste dovuto che ha iniziato tutta questa catena di eventi. Mi chiedevo quale potrebbe essere una punizione adeguata — forse un’ulteriore perdita di sonno sarebbe appropriata.”
Non aggiunse che per fare in modo che non si staccasse dal lavoro, anche lei avrebbe dovuto perdere il sonno, e lei non aveva fatto nulla per meritarsi la punizione. La responsabilità arriva con l’autorità, si ripeté dentro di sé. Ecco perché tu sei un capitano e lui solo un tecnico.
Dunnis scosse la testa. “Anche se non fossi stanco sarebbe difficilissimo identificarle. Non ho la benché minima idea della frequenza a cui trasmettono, o della potenza del loro segnale. Ci impiegherei una vita.”
Dev rifletté sulle sue parole. “Allora ne dovremo trovare una, prima, ed esaminarla. Questo dovrebbe darci abbastanza indizi per costruire qualcosa.” Dev si alzò. “La zona di carico è il punto più logico da cui partire a cercare. Andiamo.”
Dunnis era chiaramente scocciato di dovere lavorare mentre era così stanco, ma era altrettanto chiaro che rispettava l’autorità di Dev. Lei si era creata almeno quello nelle sei settimane in cui aveva condotto la nave. Zhurat era stato il solo a mancarle di rispetto – ed ora lui non avrebbe più causato problemi. Anche se la sua perdita significava più lavoro per tutti, inclusa lei, poteva almeno ringraziare gli dei di Dascham per questo piccolo favore.
Gli angusti quartieri dell’equipaggio erano dietro alla sala di controllo. Roscil Larramac dormiva dietro ad una di quelle porte chiuse e Lian Bakori, l’astrogatore della nave, era sicuramente nell’altra stanza. Il resto dell’equipaggio della Foxfire era composto da robot, che erano stati sotto la responsabilità di Zhurat; erano stati spenti per la notte e riposti in una stanza speciale proprio davanti alla zona di carico. Una nave di queste dimensioni avrebbe dovuto avere davvero almeno il doppio dell’equipaggio, ma Roscil Larramac aveva tagliato ogni angolino che poteva, nei suoi sforzi di ottenere un utile; Dev aveva discusso con lui per aumentare il numero dei membri dell’equipaggio di almeno una o due persone, ma lui aveva rifiutato. Ora, alla loro prima fermata planetaria erano già sottodimensionati.
“Non dà gioia fare pesare alla gente quando hai ragione,” citò uno scrittore del ventiduesimo secolo di nome Mellers, “almeno quanto loro gioiscono nel fare pesare a te quando hai torto.” Nonostante questo, le sarebbe piaciuto avere quei membri dell’equipaggio in più.
Subito dietro la zona soggiorno, c’erano le zone comuni, che comprendevano la cambusa, la mensa, la lavanderia, il ponte con le scialuppe di salvataggio, la stanza del riciclaggio e della ricreazione. Poi veniva la zona di stoccaggio dei robot, e infine la stiva, con i motori nell’estremità posteriore della nave. La disposizione era quella standard per la maggior parte delle piccole navi commerciali. Sebbene Dev fosse a bordo da solo due mesi, si sentiva come se vi avesse vissuto la maggior parte della sua vita.
Mentre si avvicinava alla stiva, Dev pensò di udire un rumore provenire dall’altro lato della porta. Guardò immediatamente Dunnis, e l’omone annuì indicando che l’aveva sentito anche lui. In silenzio, i due percorsero il resto del corridoio fino al portello della stiva. Dev estrasse la pistola laser dalla cintura e la tenne pronta, indicando a Dunnis di fare lo stesso. Quando entrambi furono pronti, premette un pulsante che avrebbe fatto aprire il portello scorrevole nel pavimento.
Dentro alla stiva c’era buio, la sola luce era quella che filtrava dal corridoio dove loro stavano in piedi. Nessun movimento, niente sembrava fuori posto, ma Dev non abbassò la guardia. Allungò il braccio verso il pulsante successivo, e accese le luci all’interno della stiva.
Qui—dietro una fila di scatole coperte—vide un movimento, ne era sicura. Calandosi prudentemente attraverso il portello nel pavimento, atterrò a ginocchia piegate e guardò in quella direzione. Oltre la cima delle scatole, riuscì a scorgere un ciuffo di pelliccia marrone.
C’era un clandestino a bordo della Foxfire.