Kitabı oku: «Carovana»

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CAROVANA

Un romanzo di

Stephen Goldin

Pubblicato da Parsina Press

Casa editrcie per la traduzione: Tektime

Caravan Copyright 1975 Stephen Goldin. Tutti i diritti riservati

Traduttore Alberto Favaro.

Casa editrice per la traduzione: Tektime

INDICE DEL CONTENUTO

Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

Capitolo 7

Capitolo 8

Capitolo 9

Capitolo 10

Capitolo 11

Capitolo 12

Su Stephen Goldin

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CAPITOLO 1

WASHINGTON— Gli incontri economici internazionali si sono aperti lunedì in un clima di angoscia e preoccupazione a causa dell’aumento del prezzo del petrolio e alla relativa minaccia di una crisi economica mondiale.

H.Johannes Witteveen, direttore del Fondo Monetario Internazionale, ha previsto un’espansione della recessione e dell’inflazione in tutto il mondo, con pressioni finanziarie senza precedenti.

Il Presidente della Banca Mondiale Robert S. McNamara ha previsto che le nazioni più povere del mondo, che contano oltre un miliardo di abitanti, soffriranno la fame a meno che le nazioni industriali e quelle esportatrici di greggio intensifichino notevolmente i loro aiuti. Un passo che poche tra queste nazioni sembrano intenzionate a compiere.

Los Angeles Times

Martedì, 1 Ottobre 1974

* * *

Sediamo sull’orlo di un precipizio sfidando la forza di gravità ad attirarci nell’abisso. Il fondo è ignoto perché siamo saliti così in alto che lo abbiamo perso di vista. Non è nulla di così banale come una recessione; anche una depressione simile a quella degli anni trenta impallidirebbe al confronto. Quello che ci troviamo davanti osservando in basso non è altro che la distruzione totale della nostra Civiltà e della maggior parte di noi, per paura dell’altezza abbiamo chiuso gli occhi.

Se si sale un po’ su un pendio e si scivola, è probabile che non ci si faccia troppo male. Cadute da altezze maggiori, invece, possono essere fatali. Noi siamo saliti così tanto sulla collina del Progresso che una caduta ci ridurrà in frantumi come un bicchiere lasciato cadere dall’Everest.

Peter Stone

Il Collasso del mondo

* * *

Il cartello sulla scrivania diceva “Controllo di sicurezza di Granada Hills, ” ma questo non riusciva a nascondere il fatto che l’edificio fosse in realtà un supermercato abbandonato ai margini di un centro commerciale deserto. Corsie di scaffali vuoti e nudi fornivano una muta testimonianza dei tempi grami che si erano abbattuti sulla comunità. In effetti, a Peter, la cavità vuota dell’edificio sembrava simboleggiare l’intero Collasso della Civiltà.

La guardia dietro la scrivania lo guardò con sospetto. Peter non era un grande esperto di armi, ma quella infilata nella fondina della guardia sembrava grossa abbastanza da riuscire a fermare un branco di elefanti infuriati. Peter tossì nervosamente e si schiarì la gola. “Io… Io vorrei unirmi alla vostra comunità, se fosse possibile, ”disse. “Ho trentadue anni e sono un buon lavoratore. Sono in grado di fare quasi qualunque cosa di cui ci sia bisogno.”

La guardia sembrava piuttosto scettica. “Come ha detto che si chiama?”

“Peter Smith, ” mentì. Il suo vero nome, Stone, aveva acquisito troppe connotazioni negative nel corso degli ultimi anni, e aveva preferito non usarlo più. Era stato già abbastanza problematico riuscire a non farsi riconoscere e non aveva intenzione di farsi troppa pubblicità.

““Smith, eh? C’è qualcuno a Granada che possa garantire per lei?”

“Beh, no, Sono capitato qui per caso. Nel corso degli ultimi mesi ho viaggiato in bicicletta partendo da San Francisco, e questo mi sembrava un buon posto per fermarmi.”

“Come vanno le cose lassù?”

““Non bene” rispose Peter. “Va male lungo tutta la costa. Da quel che ho visto, la vostra zona sembra nella media..”

La guardia borbottò. “Temo, signor Smith, che non possiamo accettarla qui. Abbiamo già troppe persone senza l’aggiunta di estranei. Ci sono già un sacco di braccia disposte a lavorare ma ci sono poche risorse per alimentarle, se capisce cosa intendo.”

“Certo, ”annuì Peter. La situazione gli era anche troppo familiare. “In questo caso, mi chiedevo se fosse possibile comprare del cibo da voi. Ho del denaro…”

“Granada Hills si basa sul baratto, almeno fino a quando la situazione monetaria si stabilizzerà di nuovo. Non è fortunato. A meno che non abbia qualcosa da scambiare. Ha proiettili, batterie, candele, utensili o fili di rame?” Peter scosse la testa. “Che ne dice della sua bici? C’è sempre bisogno di una bici in più.”

“Mi dispiace. Ne ho bisogno per me. Le cose non sono semplici per un uomo a piedi, la bici almeno mi dà un minimo di sicurezza.”

L’altro annuì. “É sempre peggio. Non avrei mai pensato di vedere il giorno in cui queste cose sarebbero successe a noi.”

“Senta, c’è per caso un posto in questa zona che accetti denaro contante?” Il sole stava tramontando e Peter voleva fermarsi da qualche parte prima del buio. Ultimamente aveva avuto troppe brutte esperienze di notte.

“Potrebbe provare a San Fernando; l’ultima volta che ne ho sentito parlare stavano ancora accettando denaro. È meglio però che stia in guardia, ci sono parecchi teppisti da quelle parti.”

“Come ci arrivo laggiù?”

“Prenda questa strada, la Balboa, vada a nord per circa un miglio fino a San Fernando Mission Boulevard, poi a est per un paio di miglia. Non si può perdere.”

“Grazie.” Peter cominciò a spingere la sua bici fuori dal supermercato.

“Buona fortuna,” sentì gridare la guardia. “Non vorrei essere uno stoner per tutto l’oro di Fort Knox.”

Peter si chiese mentre pedalava pigramente se fosse rimasto ancora dell’oro a Fort Knox. Forse ce n’era, decise tra sé; ma non valeva la pena rubare oro adesso. La gente ha bisogni più immediati, come il cibo, l’acqua, la benzina e la corrente elettrica. Da qualche parte, pensò, il governo degli Stati Uniti starà cercando di andar avanti come se nulla di strano fosse accaduto, continuando a fare la guardia all’oro e alla ricchezza che dovrebbe rappresentare come un dinosauro vergine che fa la guardia a un nido di uova sterili. E se pensano al Collasso, probabilmente daranno la colpa a me come se io fossi qualcosa di diverso dal messaggero che ha portato la notizia del disastro.

Essere un profeta di sventura non è una carriera gratificante.

Mentre pèdalava lungo Balboa Boulevard, Peter si guardò intorno cercando di immaginare che aspetto avesse potuto avere quel quartiere una decina di anni prima, prima che iniziasse il Collasso. Alla sua sinistra c’era un altro centro commerciale e un edificio alto che una volta era stato, secondo quanto diceva l’insegna, un ospedale e attualmente era usato per ospitare una serie di appartamenti. Sulla destra c’erano altri appartamenti, nati per essere tali, una volta lussuosi ma ora cadenti e mal tenuti. Spazzatura che non poteva essere bruciata era stata deposta all’esterno, lungo la strada, dando all’aria un odore sgradevole.

Oltrepassò un altro supermercato deserto, attraversò Chatsworth Street e proseguì verso nord. C’erano case su entrambi i lati, abitazioni di scarsa qualità che una volta erano state molto popolari nei sobborghi. Avevano piccoli cortili che ora ospitavano orti e non prati—lattuga, ravanelli, pomodori e meloni sembravano tutti molto popolari. Gli orti erano circondati da recinzioni, alcune delle quali, notò, sembravano provenire dai divisori centrali di una superstrada. Un segnale di stop era stato piantato in un orto e vestito di abiti laceri per formare uno spaventapasseri di fortuna. Un paio di case sembravano essere state rase al suolo per far spazi a campi di mais. Gli steli verdi ondeggiavano al vento.

Cani vagavano per le strade, facendo la guardia alle case. Abbaiarono conto di lui mentre passava, ma non si preoccuparono di inseguirlo quando videro che non rappresentava una minaccia per gli orti dei loro padroni. C’erano parecchie capre in giro e un gran numero di polli, ma Peter non riuscì a vedere gatti —loro e i conigli erano stati rinchiusi in recinti e usati come cibo. Gli animali domestici non erano più un lusso da potersi permettere. Anche gli uccelli erano scarsi; senza dubbio i ragazzini del quartiere stavano migliorando la loro mira con le fionde,

Peter si chiese il motivo che lo spingesse a vagare nei centri urbani. Le città, lo sapeva, erano trappole mortali, pronte a collassare sotto il proprio peso nell’immediato futuro, e chiunque fosse stato presente sarebbe stato travolto nella loro distruzione. Erano le, relativamente poche, persone che vivevano in campagna che avrebbero avuto un futuro migliore, anche se ne sarebbero stati ugualmente feriti. Qualsiasi persona di buon senso avrebbe dovuto capirlo e cercare di procurarsi un pezzo di terreno agricolo prima che il caos totale si impadronisse della nazione. Peter, però, era, e lo era sempre stato, un ragazzo di città, fatto per le città anche se sapeva bene che questo poteva significare la sua morte in qualsiasi momento.

Il mio problema, pensò, è che do buoni consigli ma, come tutti gli altri, non li seguo.

Forse era già troppo tardi per fare qualcosa già sette anni prima quando il suo libro, Il Collasso del mondo, aveva invaso le librerie e alimentato le polemiche. Le immense forze globali che aveva previsto stavano già lavorando per distruggere la Civiltà. La scarsità dei materiali era già diventata evidenti all’inizio degli anni ‘70, e le serie di piccole crisi avevano continuato ad aumentare senza che fosse preso alcun provvedimento per prevenirle. La divisione della società, con gruppi contro gruppi, aveva privato l’umanità della coesione necessaria per affrontare i suoi problemi. L’inflazione aveva paralizzato l’economia e gli scioperi avevano indebolito la fiducia della gente nel futuro.

In precedenza erano stati scritti molti libri che prevedevano che le condizioni sarebbero diventate critiche prima della fine del ventesimo secolo; ma erano stati tutti considerati come portatori di sventura ed esageratamente pessimistici dalla grande maggioranza delle persone, che avevano mantenuto una fiducia piuttosto naif sull’abilità dell’Umanità di risorgere, come una Fenice, dalle proprie ceneri. Poi era comparso Il Collasso del mondo, con le argomentazioni più forti e spaventose pubblicate fino a quel momento. L’allora venticinquenne Peter Stone aveva provato al di là di ogni dubbio che la civiltà era condannata entro un paio d’anni a meno che non fossero prese immediatamente delle decisioni drastiche. Aveva evidenziato anche quali fossero i passi da seguire: eutanasia obbligatoria, controllo delle nascite obbligatorio, immediata redistribuzione della ricchezza, immediata decentralizzazione della società, fine delle abitazioni unifamiliari, divieto di allevamento di animali da compagnia non dedicati all’alimentazione, una forzata migrazione delle persone per arrivare a una corretta distribuzione della popolazione, un rigoroso razionamento del cibo e dell’acqua, una gestione da parte del governo delle industrie e del lavoro e un completo controllo governativo dei trasporti, oltre a un programma di investimenti multimilionari per la coltivazione e la colonizzazione dei fondali marini.

Fu stupefacente per lui vedere come fosse diventato, praticamente in una notte, il nemico del novantacinque per cento della popolazione. Mentre alcuni intellettuali lo salutarono come “una delle menti più brillanti dei nostri tempi, ” la cosa più carina che la maggior parte delle persone fu in grado di fare fu quella di chiamarlo “quel maledetto socialista.” Alcuni erano convinti che fosse l’incarnazione del diavolo per aver semplicemente espresso l’ovvia verità. Il libro, però, vendette, milioni di copie. Era ironico, pensò Peter, che il suo libro sarebbe stato uno degli ultimi bestseller; poco dopo la sua ventesima ristampa, la maggior parte dei sindacati dei tipografi era scesa in sciopero. Per quel che ne sapeva Peter stavano ancora scioperando.

Aveva accumulato fama e fortuna quando entrambe stavano cominciando a perdere di importanza.

Era apparso in molti talk show televisivi, spiegando e dibattendo le sue convinzioni che la Civiltà, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo, stava crollando. Continuò a dire che le sue soluzioni non piacevano neanche a lui, ma che si doveva fare qualcosa di drastico per evitare un destino ancora peggiore. Nessuno lo ascoltò. I suoi nemici continuarono ad accusarlo di essere un opportunista, che faceva soldi sulle sventure del mondo, approfittando dei disastri. Fu dipinto come un criminale e marchiato come un radicale e un traditore.

Nel frattempo, tutto quello che aveva previsto si stava avverando. Gli scioperi dei lavoratori comunali portarono a un collasso dei servizi cittadini. La scarsità di benzina che aveva previsto era peggiorata a causa della guerra israeliana, che aveva distrutto il novanta tre per cento dei pozzi petroliferi arabi. Da un giorno all’altro, il mondo si trovò ad affrontare la sua crisi energetica più grave. Per mancanza di elettricità, le stazioni radiofoniche e televisive cominciarono a scomparire. Per la mancanza di carburante, i furgoni non furono più in grado di trasportare i materiali, le forniture e i prodotti finiti con l’efficienza precedente. Cominciò a mancare tutto sempre con maggior frequenza. Le comunicazioni, i trasporti e la distribuzione —i “Tre Pilastri” che Peter aveva elencato nel suo libro—peggiorarono giorno dopo giorno.

Peter girò a destra sul San Fernando Mission Boulevard e continuò a pedalare. Pali telefonici erano distanziati sporadicamente lungo i lati della strada; molti erano stati abbattuti per farne legna da ardere. Mentre passava, vide parecchie persone lavorare nei loro orti. Avrebbero probabilmente continuato a impegnarsi in quelle sciocchezze fino al giorno in cui l’acqua avrebbe smesso di uscire dai loro rubinetti. Peter rabbrividì pensando al panico che stava covando sotto la superficie, come uno spirito maligno in attesa del giorno inevitabile in cui si sarebbe liberato.

Passò sotto un cavalcavia autostradale, attraversò una strada principale e arrivò in un’area che una volta era stata un parco. Era grande tre isolati in lunghezza e uno in larghezza. Anche qui era stato fatto un tentativo di coltivarlo a mais, ma era fallito a causa della folla che si era spostata a viverci. Il parco era pieno di vecchie auto scassate che le persone avevano portato lì e stavano usando come alloggi. All’inizio, Peter si chiese che cosa li avesse spinti—le abitazioni erano l’ultima delle cose che mancavano in quel momento. Poi vide che cosa c’era davanti al parco.

Era la Missione di San Fernando, una degli edifici di culto fondati nel diciottesimo secolo da Padre Junipero Serra lungo quello che era stato poi chiamato El Camino Real. In quanto chiesa cattolica, rappresentava una delle poche organizzazioni ancora operative nel mondo contemporaneo. La missione operava come un punto di distribuzione di cibo, e considerava come uno dei suoi compiti principali quello di sfamare gli indigenti. Era questo il motivo per cui moltitudini di poveri si erano stabiliti nel parcheggio sull’altro lato della strada.

Peter provava sentimenti contrastanti nei confronti delle chiese. Non essendo religioso, tendeva a non fidarsi di loro. Era vero che ora stavano facendo un lavoro molto buono, provvedendo non solo ai bisogni materiali —come la distribuzione di cibo— ma anche curando i bisogni spirituali e tenendo alto il morale. Con il peggioramento della situazione, le persone si sarebbero sempre più rivolte alla religione come fonte di conforto. Questo andava bene per il momento ma Peter non poteva fare a meno di ricordare la Chiesa medievale fosse cresciuta fino a diventare un monolite paralizzante, che incoraggiava la superstizione e schiacciava senza pietà ogni individualità. Se l’Umanità fosse riuscita a risollevarsi e a crescere ancora, la libertà di pensiero avrebbe dovuto essere una’assoluta necessità. Peter temeva che le chiese stessero portando un sollievo a breve termine e un’oppressione di lunga durata.

Sì fermò davanti alla missione e scese dalla bicicletta. Quello sembrava il posto migliore dove passare la notte. Poteva sfamarsi alla missione e poi dormire appoggiandosi al muro. Le notti potevano essere fresche a Los Angeles ma di solito non erano fredde in modo insopportabile. Uno dei suoi pochi averi—a parte il denaro, che era utile solo in modo occasionale—era la coperta che teneva nascosta nello zaino. Sarebbe stata più che sufficiente per tenerlo al caldo quella notte.

Cominciò a camminare, spingendo la bici verso la missione quando notò che stava accadendo qualcosa in una stradina laterale a ovest del muro dell’edificio. Un nero con una motocicletta era stato assalito da una banda di giovani bianchi.

“Penso sia da Pacoima,” stava dicendo uno dei teppisti. “venuto qui a spiarci, a cercare dove sono i nostri punti deboli. Forse lui e i suoi compari vogliono attaccarci per rubarci la benzina questa notte. Dolcezza, dove hai preso questa moto?”

Il nero era giovane, alto e spigoloso; in momenti più felici avrebbe potuto essere un giocatore universitario di pallacanestro. Indossava una canottiera rossa, pantaloni blu e una bandana rossa intorno alla fronte. Il suo volto era adornato da un pizzetto e da baffi neri crespi, e da una criniera di capelli corti e ricci. Aveva un’espressione di ribollente dignità. “Toccate quella motocicletta,” disse, “e vi intaglierò il discorso di Gettysburg su quel vostro culo candino come un giglio.” La sua voce era così bassa da risultare quasi impercettibile, ma trasmetteva un senso di forza.

Il gruppo di teppisti rimase sorpreso per un attimo, poi tutti cominciarono a ridere nervosamente. Erano nove contro uno. “Chi pensi di essere, negro, per venire qui e darci ordini?” chiese il capo, avvicinandosi di un passo. Il resto del branco fece lo stesso.

Con un movimento rapido, lo straniero infilò una mano nella tasca dei pantaloni, estrasse un coltello a serramanico e fece scattare la lama. Cominciò a muovere la mano facendo un piccolo cerchio davanti a sé, dando quasi l'impressione che la lama si stesse muovendo da sola. “Nessun ordine,” disse. “Solo un consiglio.”

I teppisti si fermarono ancora. La situazione si era fatta più seria, ed erano incerti sul da farsi. Il capo era nella posizione peggiore e non osava perdere la faccia davanti ai suoi scagnozzi. Così, dopo aver dato per un momento un’occhiata al coltello, raggiunse con calma la sua cintura ed estrasse la sua arma, una baionetta dell’esercito montata su un manico di legno. “Se vuoi giocare duro, possiamo farlo anche noi—vero, ragazzi?” Incoraggiati dal suo comportamento, gli altri estrassero i loro coltelli.

Peter si guardò intorno. Nessuno nel parco era in una posizione adatta per vedere quello che stava succedendo—o, se lo era, stava facendo di tutto per ignorarlo. Sentì una sensazione di nausea nello stomaco e la saliva in bocca diventò acida e amara. Controllò che il suo coltello fosse libero nel fodero, nel caso fosse stato necessario usarlo.

La banda stava circondando la sua preda, ma con meno sicurezza di quanto era logico aspettarsi. La vittima potenziale non era un qualche straniero indifeso spaventato dalle loro minacce, ma un uomo forte con un coltello affilato e, in apparenza, in grado di usarlo bene. Il gruppo cominciò ad avvicinarsi con cautela.

Il nero mantenne la posizione girandosi lentamente per non perdere di vista sia quelli dietro di lui sia quelli che gli erano di fronte. La mano col coltello si muoveva agile e restava puntata direttamente alla gola del capo.

Con un muggito simile a quello di un toro, il capo attaccò. Il nero lo schivò agevolmente e mosse il polso con un movimento apparentemente naturale e senza sforzo, Quando il capo si raddrizzò, Peter poté vedere che c’era un profondo squarcio sul suo orecchio sinistro e che stava sanguinando copiosamente. “Il prossimo,” disse il nero, ridendo.

In tre lo attaccarono da direzioni diverse. Uno ricevette un rapido calcio all’inguine che lo fece piegare in due; il secondo si trovò a colpire l’aria mentre la vittima che si era girata di scatto abbassava con forza la lama sulla mano del terzo. “Forza,” urlò il capobanda. “Cosa siamo? Un gruppo di polli? Facciamolo fuori!”

Attaccarono tutti contemporaneamente, pur mostrando un gran rispetto per la forza dell’avversario. Il nero aveva braccia più lunghe della maggior parte di loro e riuscì a tenerli momentaneamente a bada con i suoi fendenti, ma non poteva farcela a lungo contro un numero maggiore di persone.

Peter non era un combattente molto bravo anche se aveva dovuto fare molta pratica nel corso dell’anno precedente. Di solito, se poteva, evitava le risse, ma questa era una di quelle situazioni che non poteva ignorare se voleva continuare a vivere in pace con la propria coscienza. Estraendo il suo coltello ed emettendo un urlo, si gettò nella mischia.

La banda fu colta di sorpresa da questo attacco proveniente da un'altra direzione e per un attimo si fermò, dando a Peter un vantaggio di cui aveva gran bisogno. Ne mise fuori combattimento uno con una rapida pugnalata al fianco, sotto le costole. Passando al successivo, lo colpì in faccia, appena sopra il sopracciglio. Il sangue zampillò dal taglio e finì nell’occhio, accecando il ragazzo e facendogli credere di aver perso l’occhio. Cadde a terra, urlando.

Il nero non aveva avuto esitazioni come gli aggressori. Il suo coltello aveva continuato a tenerli lontani, lasciandoli sulla difensiva. Ora, però, si erano ripresi dalla sorpresa dell’attacco di Peter, e stavano a loro volta lanciando una controffensiva. Peter si trovò ad affrontare due grossi tipi minacciosi dallo sguardo assassino. Senza poter contare sull'effetto sorpresa, gli altri due erano senza dubbio due combattenti migliori. Peter lentamente indietreggiò per allontanarsi da loro finché si trovo con la schiena appoggiata al muro della missione. Gli altri due continuarono ad avvicinarsi a lui, con un ghigno feroce sui loro volti.

Quello alla sua sinistra si scagliò contro di lui. Peter cercò di scansarlo, ma non fu abbastanza veloce —il coltello dell'aggressore lo colpì sulla parte superiore del braccio sinistro, il dolore si irradiò su tutto il suo corpo. Il sangue cominciò a uscire dalla ferita, macchiando la sua camicia già sporca, ma Peter non aveva tempo per preoccuparsene —stava lottando per la sua vita.

La sua giravolta lo aveva messo in una cattiva posizione, perché ora aveva il suo lato sinistro verso l'esterno e quello destro —con la mano che teneva il coltello—verso il muro. Fu costretto ad abbassarsi rapidamente perché il secondo aggressore, vista la possibilità, stava mirando alla sua testa. La lama sibilò a pochi millimetri dai capelli di Peter.

Nel tentare quel colpo, però, il teppista aveva aperto la guardia. Peter si lanciò in avanti e piantò il suo coltello nello stomaco dell’aggressore. L’uomo si lasciò sfuggire un grido di dolore e si accasciò lentamente. Peter estrasse velocemente la lama, si gettò a terra e rotolò lontano dal primo aggressore che stava tornando di nuovo da lui.

Quando si rialzò, vide che l’uomo lo stava affrontando in posizione raccolta, pronto ad attaccarlo. Si studiarono per un lungo momento, poi l’uomo attaccò. Peter provò a imitare un torero, spostandosi di lato, cercando di schivare la carica e parare il colpo, ma ci riuscì solo parzialmente. Il coltello dell’altro gli lacerò la camicia e gli graffiò le costole sul lato sinistro. Peter si voltò e indietreggiò di nuovo.

L’altro, percependo la possibilità di ucciderlo, attaccò ancora. Percorse solo metà della strada che lo separava da Peter, però, prima di urlare e cadere in avanti. Un coltello a serramanico era piantato nel suo collo.

Peter si guardò intorno, osservando il campo di battaglia. Sette corpi erano sparsi sul terreno la maggior parte di loro vivi ma feriti gravemente. I restanti due membri della banda erano in fuga lungo la strada. Nel mezzo di questo disastro, il nero ammirava con calma la sua opera. Sembrava illeso. Sorrise a Peter, si avvicinò ed estrasse il coltello dalla gola della sua ultima vittima, lo pulì sulla camicia dell’uomo, lo piegò e lo ripose nella tasca. Poi si diresse verso la moto, pronto a partire.

“Ehi,” disse Peter, “non ti sembra il caso di ringraziarmi?”

L'altro si voltò. “Ringraziarti? Per cosa? Per aver fatto qualcosa che avrebbe fatto chiunque con un minimo di palle?”

“Qui non parliamo di chiunque, ma di me, e sto sanguinando.”

Il nero si avvicinò con calma, prese rudemente il braccio ferito di Peter e lo esaminò. “Calma, amico, è solo una ferita superficiale. Guarirà, a meno che non si infetti.” Si fermò, come se gli fosse venuta in mente un’idea. “Vivi da queste parti?”

Peter scosse la testa.

“Ah, uno stoner, vero?” Peter odiava quell’espressione. Da quando era iniziato il Collasso, molte persone avevano lasciato le loro case e iniziato a vagabondare, cercando un posto migliore di quello che avevano lasciato. Si credeva che il termine “stoner” fosse nato perché queste persone erano descritte come “rolling stones,” ma Peter aveva più di qualche sospetto che la parola derivasse da un gioco sul suo nome.

“Senti,” continuò l’uomo, “ti piacerebbe stabilirti in un posto tranquillo, dove non ci sono pericoli di carestie e tutti lavorano assieme?”

Peter lo guardò attentamente. “Certo, chi non lo vorrebbe? Solo che dove si trova un posto come questo? Nel tuo cortile?”

“Non fare lo spiritoso, amico, ti ho fatto una domanda ragionevole.”

“E io ho risposto di sì.”

“Come ti chiami?”

“Peter Smith.” Ormai le bugie gli venivano da sole.

Il nero gli tese la mano. “Kudjo Wilson.” Si batterono il cinque invece di stringersele. “Ascolta, se realmente vuoi qualcosa di meglio di tutto questo,” e indicò il parco pieno di auto sfasciate, “Penso tu faresti bene a fare una chiacchierata col mio capo.”

Peter alzò le spalle. “Non penso possa farmi male. Dov’è?”

“Oh, è a poche miglia da qui. Se vuoi, puoi salire qui dietro e ti porterò subito da lui.”

Peter scosse il capo. “Mi dispiace, ma ho una bicicletta e preferirei non lasciarla qui—e non possiamo trasportarla facilmente con noi su quella moto.”

“Hai ragione.” Il nero pensò per un attimo. “Ti dico che cosa faremo. Andrò avanti e gli parlerò di te. Passerà comunque di qui, o molto vicino. Perché non ci aspetti lungo la superstrada, quella laggiù.” Indicò un punto a est. “È a un paio di isolati in quella direzione. Aspettaci prima del ponte del cavalcavia sulla corsia verso sud. Hai un orologio?”

Peter scosse di nuovo la testa. “Mi è stato rubato un mese e mezzo fa.”

“In ogni caso, sarà qui in un paio d’ore. Sarà dopo il tramonto, se questo non ti crea problemi.”

“Veramente.….” cominciò Peter.

“Fatti trovare lì,” lo avvisò. Mise in moto la motocicletta. “Noi non aspetteremo.” E se ne andò.

Tenendosi il braccio sinistro dolorante, Peter tornò alla sua bicicletta. Dopo la lotta con quei tipi, la missione, alla fine, poteva non essere il miglior posto dove passare la notte, avrebbero potuto tornare con i loro amici per cercare di vendicarsi. Il suo stomaco si stava lamentando perché non aveva mangiato nulla da colazione, ma era meglio restare vivi piuttosto che sperare in un po’ di cibo gratis ed essere poi ucciso nel sonno.

Pedalò verso est lungo il San Fernando Mission Boulevard e, alla fine, arrivò al cavalcavia di cui gli aveva parlato Kudjo Wilson. Il sole era appena tramontato e il cielo stava diventando minacciosamente buio. Si fermò sotto il ponte e lo guardò. Avrebbe dovuto fidarsi di quello che gli aveva detto il nero? Aveva smesso da tempo di credere alle favole, e quella storia sembrava sospettosamente troppo simile a un moderno El Dorado. Un posto di pace e ricchezza era molto difficile da trovare e un invito ad andarci non poteva capitargli così fortunosamente. Inoltre, come poteva un nero avere le chiavi di Utopia? Non aveva senso. Se esisteva un posto del genere, che ci stava facendo Kudjo Wilson qui?

Ma, dopo tutto, cosa aveva da perdere? Se fosse stata un’imboscata cosa avrebbero potuto rubargli al di là della sua bicicletta, di una coperta e del denaro praticamente senza valore? Sarebbe stato un bottino troppo misero per una trappola studiata in modo così elaborato. Inoltre, Wilson avrebbe potuto rubargli tutto lì sul posto se solo avesse voluto farlo. L’intera faccenda era molto sconcertante.

Peter spinse la bici sulla rampa e la appoggiò sulla spalletta del ponte.

Si sedette lì al buio, ad aspettare. Il traffico sulla superstrada era praticamente inesistente a causa della mancanza di benzina —solo due auto nell’arco di un’ora, ed erano sfrecciate sulla corsia di sorpasso senza neppure rallentare. Si chiese se le persone che attendeva fossero passate senza vederlo, o se sarebbero mai arrivate. L’intera faccenda poteva semplicemente essere uno scherzo elaborato e incomprensibile.

Sei un vero idiota, si disse duramente. Credere alle storie sull’Isola che non c’è alla tua età. Probabilmente compreresti il Golden Gate se qualcuno te lo offrisse ora. Nonostante tutto rimase, anche perché non aveva nessun altro posto dove andare.

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