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Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1», sayfa 10

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CAPITOLO XIII

Viaggio a Marocco

Alle dieci ore del mattino di sabbato 10 marzo io sortj da Rabat per passare a Marocco. La strada era prima a S. S. O., poi a S. O. fino alle tre ore dopo mezzogiorno, in cui declinò più all'O. S. O. da che ebbimo attraversato il fiume Yatkem. Alle cinque della sera si fece alto presso ad un dovar. Qui la strada asseconda la spiaggia del mare, sparsa di scogli inaccessibili, e furiosamente battuta dalle onde quando ancora il tempo è tranquillo.

In questo paese composto di basse colline di roccia calcarea la vegetazione trovavasi molto avanzata, e tutto il littorale sparso di bellissimi fiori; onde vi raccolsi varie piante molto interessanti per arricchire il mio erbolajo.

Il suolo è formato di terra arenosa con poca argilla, e qualche parte d'ocri. La spiaggia vedesi tutta coperta di frammenti di conchiglie estremamente piccole, e delle quali malgrado le mie attente ricerche, non mi riuscì di trovarne una sola intiera.

Eranvi presso al mio campo due grandi rupi assai notabili terminate in punte acute perpendicolari e formate di strati obbliqui ineguali, avvicendati di cristalli misti di quarzo, che formano altresì delle vene ramificate negli strati d'ardesia argillosa: e questa è la prima roccia d'un aspetto primitivo di tale specie, che io finora abbia trovato in Affrica.

Cadde un poco di pioggia: alle sei della sera il termometro segnava 15° e l'igrometro 100°. Il vento era ouest.

Domenica 11

Si riprese il cammino alle otto della mattina nella direzione di O. S. O. Alle nove ed un quarto attraversammo da prima il fiume Sarrat, poi camminando a S. O. a dieci ore il fiume Busteka, e finalmente due altri ruscelli. Ad un'ora ed un quarto dopo mezzogiorno passai per Mansourìa; ed alle tre arrivò la mia carovana sulla sponda del fiume Infìfe ove fu d'uopo aspettare lungo tempo che la marea fosse abbastanza bassa per poterlo guadare; mezz'ora dopo averlo passato, si giunse a Fidàla, ove feci far alto.

Questo paese è ondeggiato a collinette e la strada costeggia il mare. Il suolo è composto d'uno strato argilloso misto d'arena sopra roccia d'ardesia, e d'argilla dura.

La vegetazione prosiegue ad essere assai rigogliosa, onde potei arricchire la mia raccolta di molte magnifiche piante.

Il tempo fu coperto; e si dovettero soffrire forti burrasche con vento ed acqua. Alle otto e mezzo della sera la pioggia cadeva in abbondanza, ed il termometro nella mia tenda segnava 14°, l'igrometro 100°.

Mansouria, e Fidàla presentano amendue un quadrato formato da alte mura con torri: ognuno di questi quadrati può avere 65 tese di fronte da ogni lato. Nell'interno d'ogni quadrato v'è una moschea, ed alcune case assai popolate in ragione dello spazio. La moschea di Fidàla è molto bella. Gli abitanti sembraronmi poveri; tra i quali sono assai numerosi i Giudei.

Lunedì 12

La dirotta pioggia della notte, e di parte del mattino non mi permise di mettermi in viaggio che ad un'ora dopo mezzogiorno. Presi la direzione al S. S. O., e poi declinando al S. O. si passò un fiume alle due e mezzo. Dopo aver attraversate, e fiancheggiate in parte alcune terre paludose, giunsi verso le sei ore a Darbeïda ove si passò un altro fiume poco considerabile.

Il paese conserva la medesima natura di quelli attraversati ne' precedenti giorni. Sono collinette che s'aggirano entro vaste pianure sparse qua e là di terreni pantanosi. La strada si scosta rare volte dal mare, la di cui costa è di così difficile abbordaggio, che non vi si trova che il porto di Darbeïda; e questo ancora molto angusto.

Il terreno d'ordinario è argilloso con qualche mescolanza di arena, e talvolta tutto arenoso. S'incontrano di quando in quando roccie calcaree, e qualche traccia d'argilla ardesia e l'arena del mare non è che una scomposizione più o meno fina di conchiglie.

La vegetazione non presentava veruna novità se non che parvemi alquanto meno variata, e le palme più numerose che tutte le altre specie d'alberi.

Il tempo fu abbastanza tranquillo dopo il mezzogiorno; ma in sul far della sera incominciò una dirotta pioggia, che continuò fino alle nove ore. Alle otto nella tenda il termometro segnava 14° 8′, e l'igrometro 98°.

Martedì 13

La pioggia che continuò tutto il giorno non mi permise di viaggiare. Il nostro campo era fuori delle mura di Darbeïda presso la spiaggia del mare.

Malgrado il cattivo tempo potei fare qualche osservazione astronomica, e trovai la mia longitudine – 9° 50′ 0″ O. dell'osservatorio di Parigi; la mia latitudine – 33° 37′ 40″ N., e la mia declinazione magnetica – 20° 43′ 30″ O.

Ad un'ora dopo il mezzogiorno il termometro segnava 17°, e l'igrometro 96°. Il vento era O. S. O., il cielo qua e là coperto di nuvole isolate, l'orizzonte molto carico, ed il mare assai grosso.

Darbeïda è un piccolo villaggio posto entro un vastissimo ricinto di mura, e povero assai, e piccolissimo il suo porto. Mi fu detto che i suoi abitanti appartengono alla provincia di Chaovia. Sul piccol fiume che gli scorre vicino sonovi alcuni mulini.

Il governo rinforzò la mia guardia di quattro soldati.

Mercoledì 14

Partj alle sette ore del mattino dirigendomi al sud-ouest. Alle undici e tre quarti attraversammo un ruscello; ed a mezzogiorno avevamo alla destra un Capo o punta sul mare. Ad un'ora si entrò in una vasta foresta di lentischi assai fitti, ed alle due e mezzo si attraversarono molti pantani che occupavano più d'una mezza lega di terreno, nei quali i cavalli si sprofondavano talvolta fino al ventre. Finalmente alle cinque si alzarono le tende presso alle rovine d'una borgata detta Lela Rotma.

Il paese presenta grandi pianure chiuse in lontananza da piccole colline: ebbi sempre a qualche distanza in vista il mare.

Il terreno viene composto di roccia calcarea, coperta d'uno strato sottilissimo di terra vegetale argillo-arenosa fertilissima. La vegetazione offriva le più belle produzioni della natura.

Il tempo fu quasi sempre coperto, e verso sera pioveva dolcemente. Alle otto e mezzo il termometro marcava 13°, e l'igrometro 100°. Il vento d'ouest copriva il cielo di grosse nubi.

Eravamo passati in vicinanza di due dovar, uno de' quali innalzato sulle ruine di Lela Rotma.

Giovedì 15

Alle sett'ore e mezzo della mattina si riprese il cammino nella direzione di S. O.; attraversando alle otto ed un quarto un piccolo fiume. Alle dieci si passò presso due dovar, e due poderi ove vedevansi pochi terreni coltivati. A poca distanza vedevansi pure le ruine d'un altro podere; e verso il mezzogiorno ci trovavamo vicini a tre cappelle o eremitaggi, e ad alcuni orti con qualche casuccia. La hhenna, parzialmente coltivata in questo paese è una pianta colla quale le donne si tingono di rosso le mani e le palpebre. Alle due ore giugnemmo sulla riva destra del fiume Morbea sul quale serviva di porto una piccola barca capace soltanto d'un leggere carico; ma convenne accontentarsene per non esservi altro di meglio, e si dovettero impiegare cinque ore nel passare tutta la mia carovana. Giace sulla riva sinistra la città d'Azamor, presso alla quale feci alzare le tende verso le sette della sera.

Il paese che si attraversò avanti mezzogiorno offriva grandissime pianure, ma dopo era un misto di pianura e di colline. Ebbimo sempre il mare a mezza lega di distanza, ed il terreno della medesima natura dell'antecedente.

La prima traccia di vegetazione ch'io scopersi fu una densa macchia di lecci; in appresso d'ogni qualità di piante, e specialmente di palme. Tutto era in fiore. Osservai due spiche d'orzo già formate, ma in generale le seminagioni erano ancora piccole.

Il tempo coperto nel mattino, si rischiarò in appresso non rimanendo che alcune nuvole staccate. Alle otto ed un quarto della sera il termometro segnava entro la tenda 12° 8′, e l'igrometro 98°.

Venerdì 16

Il tempo burrascoso, il cielo sempre coperto, una pioggia a reffoli mi forzarono a non levare il campo. Malgrado tali ostacoli potei fare alcune osservazioni astronomiche, che mi diedero la latitudine d'Azamor a 33° 18′ 46″ N. e la longitudine di 10° 24′ 15″, nella quale può essere corso l'errore tutt'al più d'un 10″.

La principale moschea mi sembrò elegante, la città non affatto brutta. È cinta di mura, e di fossa; e vi si tiene un gran mercato ogni venerdì in una piazza destinata a tale uso. Intorno ad un eremitaggio fuori della città vedesi un bel sobborgo.

Il fiume può esser largo 150 piedi, ma assai profondo, e rapido a segno che le barche lo attraversano con qualche difficoltà, per essere strascinate dalla corrente, a rischio talvolta di perdersi. Questo pericolo fa dire agli abitanti che alcuni diavoli alloggiano nel fiume. In questo luogo la sponda sinistra è assai alta e tagliata a picco; mentre la destra è bassa e piana, e le maree sono sensibili anche molto al di sopra. Mi fu detto che questo fiume scende dalle montagne di Tedla, ossia dal grande Atlante. Le sue acque a cagione delle pioggie erano rosse e cariche di melma come quelle del Nilo in tempo dell'inondazione, onde non si può beverne senza averla prima lasciata deporre.

Facevasi altra volta un vivissimo commercio su questo fiume sempre coperto allora di bastimenti. Il mare non dev'essere a maggior distanza d'un quarto di lega, e ne udiva il muggito senza vederlo; ma il giorno innanzi l'aveva osservato tinto di rosso dalle acque del fiume a più di due leghe dalla spiaggia. Le rive della Morbea in questo luogo sono di una terra vegetale argillo-arenosa con pietre calcaree.

Alle otto ore del mattino il termometro segnava 15° 5′, il barometro 27 poll., 9 lin., e l'igrometro 98°. Il vento fu sempre S. O. ed a mezzodì il termometro salì a 15°.

Sabbato 17

Si riprese la strada alle otto e tre quarti del mattino dirigendoci al S. S. O., e piegando alle dieci verso S. E. Alle quattr'ore dopo mezzogiorno feci spiegare le tende in vicinanza di un grande dovar.

Il paese è sparso senza interrompimento di colline sopra un suolo di bella terra vegetale argillo-arenosa.

Vedevansi molte palme, i liliacei, e diverse piccole piante tutte fiorite; osservai molte terre seminate, e piantagioni di popponi, di fichi, e di altri alberi fruttiferi. Questo spettacolo mi fu di grata sorpresa dopo tanto tempo che più non vedevo che terreni incolti.

Il tempo fu sempre coperto. Alle sette il termometro segnava 13°, e l'igrometro 98°. Il vento spirò costantemente da S. O.

Il cheik o capo del vicino dovar mi regalò un montone, molto latte, frutti, polli, ed orzo. La tribù è composta di due rami: Oulèd-el Faràch, ed Oulèd-Emhhammed.

Domenica 18

Alle quattro del mattino pioveva dirottamente, e continuò fino alle otto ed un quarto; quando essendosi alquanto rischiarato il cielo, si ponemmo in viaggio prendendo la direzione S. S. O. Alle dieci meno un quarto passammo per un gran mercato che si tiene ogni domenica in vicinanza di alcune cappelle; ed a mezzogiorno, dopo esserci riposati un istante, si ripigliò la strada verso il S. ¼ S. E. e si rialzarono le tende presso un dovar alle quattro della sera.

Il paese presenta a principio alcune collinette d'un eguale altezza, in appresso grandi pianure chiuse al sud da un alta montagna distante sei in otto leghe; e da altre ancora più lontane al S. E., ed al S. ¼ S. O.: io suppongo che queste montagne siano una diramazione di quelle di Tetovan, e di quelle che vedonsi stando sulla strada di Fez; ma qui molto più alte, forse perchè più vicine alla grande Cordelliera dell'Atlante.

Il suolo è composto di terra vegetale rossa alquanto arenosa, che forma uno strato assai alto. L'arena, ed il quarzo contengono molto feldspato rosso radiato. Proviene questo dalle vicine montagne che forse sono di granito?.. Io non posso assicurarlo, perchè tutte quelle che io vidi sono montagne calcaree secondarie.

La vegetazione era vivacissima; ed io osservai con piacere molti campi di biade, di cocomeri, di fave, e di altri grani.

Il giorno fu perverso: cadde molta pioggia accompagnata da gagliardo vento, che talvolta obbligava la carovana a fermarsi. Alla fine il tempo si abbonacciò. Alle sei della sera il termometro segnava 12° 8, l'igrometro 100°. Il vento spirò da S. O., e le nubi si spezzarono.

Lunedì 19

Alle sette ore e mezzo del mattino eransi già levate le tende, ed io m'ero posto in cammino dirigendomi verso l'alta montagna veduta jeri, alle di cui falde arrivammo a mezzo giorno meno un quarto. Si piegò al S. ¼ S. O., ed alle tre ore e tre quarti scopersi le sommità di molte montagne che ci stavano in faccia al sud. Uno de' miei domestici mi disse che Marocco era situata poco più in qua della più alta montagna, che vedevasi mezzo coperta di neve. Alle quattro ed un quarto si fece alto.

Da principio si attraversarono alcune pianure di dove scoprivansi le sommità delle alte montagne a grandissima distanza. Alle dieci s'incominciò a salire le più vicine che chiudevano successivamente l'orizzonte: ed avvicinandoci lentamente alla più alta si trovò meno alta di quel che sembrasse la vigilia. Si viaggiò in seguito lungo una valle in cui si attraversarono tre ruscelli; e salito sopra un eminenza, scopersi un altro orizzonte formato di collinette che andavano a terminare in grande distanza nella catena del monte Atlante, che tagliava l'orizzonte in tutta la parte del sud; di dove si staccavano quattro grandi masse gigantesche quasi affatto isolate. Quale sensazione provai io trovandomi, in vista di questa famosa catena…!

La terra vegetale non era diversa da quella d'jeri. Trovai in seguito delle roccie calcaree nella prima costiera; l'alta montagna era tutta da cima a fondo composta d'argilla ardesiata, e d'ardesia argillosa, formando transizione all'ardesia per il coperto in istrati orizzontali. Il terreno fu costantemente calcareo, ed arenoso; ma alle quattro della sera mi trovai sopra un vero strato di roccia granitica. Mi affrettai di esaminarla, e trovai che era granito ma già passato allo stato di decomposizione per la conversione del feldspato in terra argillosa. Il suo colore è rossiccio con un poco di mica cristallizzata in specchietti; il grano inegualissimo passa dal grosso grano al piccolo grano, e da questo al fino. Queste roccie continuarono fino al luogo del nostro accampamento; e mentre alzavansi le tende io salj sopra una rupe, di dove ebbi la soddisfazione di contemplare con tutto comodo le masse colossali che innalzavansi in faccia mia.

La vegetazione era assai ritardata; e non vidi in tutto il giorno verun terreno coltivato.

Mi fu detto che l'alta montagna, alle di cui falde eravamo passati serviva d'abitazione ad alcuni santi eremiti. Vidi molte persone, ed una donna, che supposi essere pure una santa.

Non trovai che un solo villaggio, ed il luogo in cui eravamo poteva dirsi un vero deserto.

Martedì 20

Si riprese la strada alle otto del mattino dirigendoci al S. Dopo avere attraversati tre piccoli ruscelli, si fece alto a quattr'ore e mezzo presso ad un dovar poco lontano da alcune montagne.

Il luogo in cui ci trovavamo era sparso di ciottoli di diaspro bianco.

La vegetazione non aveva nulla di seducente, tranne alcuni tratti di terreno coperti di fiori.

Il tempo si mantenne bello fino alle due dopo mezzogiorno, quando ci sorprese una burrasca di pioggia e vento. Alle sett'ore della sera il termometro segnò 14° e l'igrometro 78°. Il vento soffiava dall'O., ed il cielo era carico di nubi.

Mercoledì 21 marzo 1804

Alle sette e mezzo si levarono le tende, camminando sempre al S., e s'incominciò poco dopo a salire le montagne. Alle nove ore essendo giunto sulla sommità, vidi perfettamente la città di Marocco. Scesimo bentosto; ed alle dieci eravamo sulla pianura detta di Marocco.

A mezzo giorno ed un quarto arrivai al lunghissimo ponte sul quale si passò il fiume di Tensit. Feci far alto fino ad un'ora e mezzo, e poco dopo entrai in città termine del mio viaggio.

Il paese percorso presenta prima una montagna, in appresso piani che stendonsi fino alla Cordelliera dell'Atlante al S. e S. E., ed all'O. non ha limiti.

Il terreno della montagna è composto d'ardesia argillosa, e d'ardesia è il coperto con molto schisto micaceo, che sorte dal terreno in istrati sottilissimi ardesiati perpendicolarmente, che scomponendosi pel contatto dell'atmosfera, rimangono isolati, ed hanno l'aspetto d'un cimitero immenso con pietre sepolcrali situate a perpendicolo.

CAPITOLO XIV

Arrivo a Marocco. – Generosità del Sultano. – Semelalia. – Partenza del Sultano. – Viaggi di Ali Bey a Mogador. – Saarra. – Mogador. – Feste pubbliche. – Ritorno a Marocco.

Il Sultano, Muley Abdsulem, e tutti gli amici che avevo alla corte mostraronsi assai contenti del mio arrivo. Appena avutone avviso, il Sultano mi mandò una provvisione del latte della sua tavola come una prova del suo affetto; e lo stesso fece Muley Abdsulem. Andai a visitarlo il susseguente giorno, e ricevetti nuove testimonianze d'amicizia e di stima, che raddoppiò in progresso.

Pochi giorni dopo il Sultano si degnò di accordarmi poderi considerabili, col di cui prodotto potevo sostenere il mio rango indipendentemente dai fondi ch'io possedeva. Ero nei miei appartamenti quando uno de' suoi ministri si presentò, consegnandomi un firmano col quale il sultano mi donava in assoluta proprietà una casa di piacere, nominata Semelalia, con molti terreni coltivati ad uso di orto, e con piantagioni di palme, d'ulivi ec.; ed inoltre una gran casa in città detta casa di Sidi Benhamèd Duquèli.

Il palazzo e le piantagioni di Semelalia erano opera del Sultano Sidi Mohamed padre di Muley Solimano, che soleva farvi l'ordinaria sua dimora. Vi aveva fatti piantare i più belli e migliori alberi fruttiferi, ed aggiunti deliziosi giardini. Un'abbondante vena d'acqua condotta con magnifici acquedotti dal monte Atlante, aggiunge amenità a quest'abitazione circondata da terreni chiusi da vasta muraglia che si stende più di mezza lega: il podere e le palme sono al di fuori del ricinto, che non contiene che giardini di piacere, orti, ed ulivi.

Grande è la casa di città fatta fabbricare ed abitata un tempo da Benkamed Duquèli ministro favorito, che tenne lungo tempo le redini dell'impero. Regolare è l'architettura dei bagni, e di una porzione della casa, e non priva di eleganza; ma il rimanente, quantunque vasto, non ben risponde al totale. Io conservo la proprietà di questi beni in forza del firmano datato il 29 doulhaja dell'anno 1218 dell'egira (11 aprile 1804) che me ne assicura il godimento.

Tra pochi giorni il Sultano che voleva recarsi a Mequinez, bramando di rendermi aggradevole la dimora nel suo impero, determinò ch'io andassi a Sovèra o Mogador, per fare una gita di piacere: ed in conseguenza ordinò che i tre pascià delle provincie d'Hthahha di Scherma, e di Sous, si riunissero colle loro truppe a Mogador.

In conformità delle intenzioni del Sultano, io sortj da Marocco il giovedì 26 aprile a mezzogiorno, viaggiando al S. O. ed all'O. S. O. Alle quattr'ore traversai un piccolo fiume ed un'ora dopo l'Enfiss, e feci alzar le tende sulla riva sinistra.

Il paese è una vasta pianura senza confine all'est, ed all'ouest, chiusa al nord da piccole montagne, ed al sud, ed al sud est dalla catena dell'Atlante. Il suolo è calcareo-arenoso, ed è un vero deserto senz'altri esseri organici apparenti, che bassi cespugli e pochi lecci. Il tempo fu tranquillo e sereno, ed il caldo orribile.

Il mio campo era formato di cinque tende: la mia, una per i miei fakih, un'altra per la cucina, una quarta per i domestici, e l'ultima per la mia guardia, composta di un caporale, e di quattro soldati negri della guardia a cavallo del Sultano. Avea lasciato a Marocco i miei equipaggi e la mia farmacia, di che n'ero dolente, trovandomi alquanto indisposto.

Venerdì 27

Mi rimisi in cammino alle otto ore del mattino dirigendomi al S. O., ed all'O. S. O.: alle undici passai un piccolo fiume, ed alle cinque della sera avendo attraversato il fiume Schouschàoya, che come gli altri scorre dal S. O. al N. O., mi accampai sulla sponda sinistra. Il paese rassomiglia a quello percorso jeri. La catena dell'Atlante s'allontana, ed una delle sue ramificazioni assai più basse termina l'orizzonte al S. Al dopo pranzo alcune collinette rompevano la eguaglianza del piano, ed al N. vidi una montagna che parvemi isolata. Il terreno è composto d'una marna argillosa abbastanza dura. Nè la vegetazione era diversa da quella di jeri, tranne sulle rive del fiume, che sono coperte di bellissimi orti, e che sembraronmi assai popolate. Molte donne col volto scoperto lavavano al fiume.

Il mio male s'accrebbe. Mi trovavo a sette gradi e mezzo dal tropico: il tempo era infernale; ed essendo privo di medicinali ebbi timore che la malattia si rendesse seria.

Sabato 28

Malgrado la mia indisposizione feci partire la mia gente alle otto ore del mattino, dirigendoli all'O., ed in appresso all'O. S. O. Mezz'ora dopo mezzogiorno si passò in vicinanza di poche case e di alcune cappelle chiamate Sidi Moktard. Alle quattro ritrovai altre case disperse come fattorie o poderi. Giunto alle cinque in vicinanza di una di queste abitazioni, situata accanto di un dovar, e presso ad un ruscello, allettato da questa bella posizione, feci far alto, e prender riposo.

Il terreno presenta a principio della marna mista di terra argillosa rossa, ed in seguito roccie calcaree coperte d'uno strato sottile di terra vegetale seminata d'un'infinita quantità di ciottoli calcarei, e di alcuni sassi quarzosi.

Il paese era piano da principio, ma dopo mezzogiorno convenne salire e scendere varie colline, in mezzo alle quali alzaronsi le tende.

Il tempo fu coperto, e faceva un vento d'O. alquanto fresco; lo che mi fu di non piccolo sollievo. Bevei molta limonata, e questa bevanda rinfrescativa mi giovò assai. La vegetazione assai povera la mattina, mi presentò avanti sera campi seminati, ed alberi fioriti.

Domenica 29

Levatosi il campo ci ponemmo in cammino alle otto ed un quarto del mattino verso l'O., ed in appresso verso O. S. O. fino alle quattro della sera che si fece alto.

Il paese è tutto sparso di bellissime montagnette sulle quali vedonsi moltissime case isolate; ciò che gli dà una qualche rassomiglianza colle montagne della Svizzera; ma sgraziatamente ve ne sono molte cadenti. Dalla sommità di alcune montagne scopersi un vasto paese montagnoso al N. ed al S. Alle tre ore dopo mezzogiorno vidi il mare, e la costa di Mogador.

Il terreno è composto di roccie calcaree coperte d'uno strato leggero di terra vegetale, egualmente calcarea ed arenosa.

Rigogliosissima era la vegetazione. Mietevasi l'orzo, e vedevansi molte piante fiorite; ma ciò che più mi sorprese, fu la moltiplicità degli alberi, nel paese chiamati argàn.

Quest'albero prezioso si moltiplica da se medesimo senza aver bisogno di coltura; cosicchè non altro resta a farsi che raccoglierne i frutti: è una specie d'ulivo grossissimo, da cui se ne ritrae olio in abbondanza, bonissimo a tutti gli usi. Benchè mi sia proposto di dare a parte la descrizione delle piante, la somma utilità di questa mi sforza a dirne qui alcune cose.

Sembra che Linneo mettesse questa pianta o nel genere ramnus, o nel sideroxilus, e la chiama rhamnus siculus nel suo Sistema, e sideroxilus spinosus nel suo Erbario. Il dotto botanico Driander gli dà il nome di rhamnus pentaphillus, ma il sig. Schousboe console del re di Danimarca a Marocco, che ha esaminate le piante del paese con assai più di attenzione che non erasi ancora fatto prima, si determinò a seguire i botanici Retz, e Wildenow, che la chiamarono elaeodendron argan.

La descrizione del sig. Schousboe è senza dubbio più completa di tutte le altre, e non vi si trovano che alcune leggere differenze indicate in altra mia opera scientifica. L'albero, quand'io lo vidi, era in piena fruttificazione. È spinoso, e trovasi sul frutto una grande abbondanza di certo glutine resinoso, di cui forse la chimica potrebbe cavarne profitto. La sua polpa, dopo averne estratto l'olio, è un eccellente alimento per i buoj. Avvi in questo luogo un bosco di dieci in dodici giornate di viaggio nella direzione N. e S. ove la mano dell'uomo non si occupa d'altro, che di raccoglierne i frutti. Non sarebbe possibile di renderlo indegno de' paesi meridionali dell'Europa? Ciò, a mio credere, sarebbe più utile che l'acquisto d'una provincia.

Lunedì 30 aprile

Ci movemmo alle dieci ore e mezzo del mattino dirigendoci all'O. S. O. Un'ora dopo usciti dal bosco si cominciò a camminare sull'arena in mezzo a molte colline di sabbia sciolta, e poco dopo il mezzogiorno arrivammo a Sovèra o Mogador, meta del viaggio.

Il paese aveva il medesimo aspetto di quello di jeri. Si entrò in un piano di sabbia che è veramente un piccolo sàhharra, nel quale il vento prende una sorprendente rapidità; la sabbia è tanto sottile, che forma sul terreno le onde come quelle del mare; e queste onde sono tanto considerabili, che in poche ore una collina di venti o trenta piedi d'altezza può essere trasportata da un luogo all'altro. A questo fenomeno che parevami poco probabile dovetti dare intera fede, quando ne fui testimonio: ma questo trasporto non si eseguisce all'istante, come viene comunemente creduto, nè è capace di sorprendere, e di seppellire una carovana che cammina. Il vento levando continuatamente la sabbia dalla superficie, si vede abbassarsi sensibilmente di più linee ad ogni istante. Questa quantità di sabbia che va sempre più addensandosi in aria per le successive ondate, non potendo sostenersi, cade e s'ammucchia, formando una nuova collina; ed il luogo che occupava poc'anzi vedesi affatto piano e senza la menoma traccia di quello che era un istante prima. La quantità di sabbia levata dal vento in aria è tale, che conviene attentamente evitare di averla direttamente in faccia, e sopra tutto difenderne almeno gli occhi e la bocca. Questa seconda sahharra può avere circa tre quarti di lega di larghezza ove si attraversa; e conviene attentamente orizzontarsi, onde non ismarrirsi negli andrivieni che devono farsi in mezzo alle colline di sabbia che limitano la veduta, e cambiano di luogo con tanta frequenza, che non vedesi che cielo e sabbia senza alcun'orma che possa diriggerci; perciochè all'istante che l'uomo o il cavallo alza il piede, per profonda che ne sia l'impronta, viene in sull'istante colmata affatto.

La grandezza, la rapidità, la continuazione delle ondate confondono in modo la vista degli uomini e degli animali, che si cammina quasi a tentoni. In questo luogo il camello ha un grande vantaggio, perchè portando il suo collo perpendicolarmente alzato, viene ad avere il capo al di sopra dalla più densa ondata; i suoi occhi sono difesi dalle sue grandi palpebre semi-chiuse ed armate di densi peli; le vestigia de' suoi passi sono poco profonde per la grandezza e la configurazione de' suoi piedi fatti a guisa di cuscinetti; le sue lunghe gambe gli danno modo di fare lo stesso cammino facendo meno passi di un altro animale, e per conseguenza dura assai minor fatica degli altri. Questi avvantaggi gli danno un andamento fermo e facile in un suolo ove gli altri animali sono forzati di andare a passi lenti e corti, reggendosi a stento; talchè li camello destinato dalla natura a questo genere di viaggi è un nuovo motivo di lode verso il creatore, che diede il camello all'Affricano, e la renna al Lapone.

La città di Sovèra che trovasi sulle carte col nome di Mogador fu fabbricata dal Sultano Sidi Mohamed padre del Sultano attuale. La sua forma regolare, i suoi edificj di una conveniente altezza, le danno un assai vago aspetto per una città d'Affrica: bello è il mercato maggiore circondato di portici; e, quantunque alquanto anguste, sono abbastanza belle ancora le contrade tirate a filo. Le sue mura difese da alcuni pezzi di cannone la assicurano dalle incursioni degli Arabi. Si è alzata una batteria verso il mare che lo batte di fronte; ma sgraziatamente le cannoniere sono disposte in maniera che i cannoni, non si possono far giuocare che con estrema difficoltà. Questa batteria è provveduta ancora di alcuni mortai, e di due petriere. L'estrema piattaforma dalla banda di mezzogiorno forma un angolo o fianco armato di un grosso cannone che batte la bocca del porto, il quale vien formato dal canale che divide dalla città un'isola posta al S. O. Mi fu detto che non è molto sicuro, pure vi osservai ancorata una fregata inglese. All'ingresso del porto vi è pure una batteria più alta dell'altra: e tra le due batterie vi sono dei grandi magazzeni assai ben fatti.

L'isola che forma il porto può avere un miglio di diametro, ed è lontana un mezzo miglio dalla terra. Viene difesa da alcuni pezzi di cannone, e serve alla custodia dei prigionieri di stato.

A fronte delle sue fortificazioni questa città non potrebbe sostenersi contro un attacco un poco ostinato, perchè non ha che le acque del fiume lontano più di un miglio.

Il soggiorno di Sovèra è molto triste, trovandosi circondata da un deserto di arena mobile, che non permette di passeggiarvi, e non avendo verun giardino. In distanza di mezza lega sonovi però alcune montagne coperte di macchie di argani, che vi prosperano assai.

Risiedono a Sovèra alcuni vice-consoli e negozianti di diverse nazioni Europee, che vi formano come una colonia resa numerosa dai negozianti Giudei del paese. Questi vi godono maggiore libertà che in tutt'altro luogo dell'impero, fino a poter vestire all'europea, e vivere come gli altri negozianti stranieri. Sono perciò più ricchi degli Ebrei delle altre città; ma di tratto in tratto pagano questi vantaggi con terribili avanie.

Ne' dieci giorni che rimasi a Sovèra il tempo fu sempre variabile; ma potei farvi esatte osservazioni, che mi diedero la latitudine di 31° 32′ 40″ al N., e la longitudine O. di 11° 55′ 45″ dell'osservatorio di Parigi.

In questi dieci giorni i tre pascià ch'erano qui colle loro truppe mi diedero lo spettacolo delle corse dei cavalli, e delle scaramuccie, nelle quali rappresentavano i loro combattimenti coll'esercizio delle armi a fuoco, consumando molta polvere, e facendo molto fracasso. Un giorno mi condussero nel palazzo del Sultano, posto nelle montagne in mezzo ad una foresta, ove mi fu dato un magnifico pranzo. Tornando alla città avevamo intorno più di mille uomini a cavallo che facevano delle corse e delle scaramuccie. Si visitò un palazzo che il Sultano Sidi Mohamed aveva fatto fabbricare in una pianura di sabbia. Dopo averne osservato l'interno, vidi, nell'atto che si usciva, una camera chiusa: ordinai di aprirla, ed entratovi dentro col pascià, trovammo un falcone, ch'eravisi senza dubbio introdotto per un buco; lo feci prendere e lo portai meco. Pochi istanti dopo il corteggio si pose in cammino, ed attraversammo il fiume poco profondo. Un soldato che mi era vicino scoprì un grosso pesce lungo due piedi e mezzo, ch'era stordito per il passaggio della cavalleria; lo ferì colla sua spada, e me lo presentò. Non saprei ben dire quali e quanti felici presagi, si motivarono sulla preda dell'uccello e del pesce…

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 mayıs 2017
Hacim:
181 s. 2 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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