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Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1», sayfa 3

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Passeggiando una volta per la città mi s'avvicinò un moro, dicendomi, datemi una piastra e mezza per comperarmi un bournous; io sono santo, e se non volete credermi, o se diffidate della mia parola, chiedetene ai vostri domestici, ai vostri amici, e troverete che non v'inganno. Mostrando di credere a quanto mi diceva venni a patti, e gli diedi mezza piastra.

Ricorderò pure un altro santo di Tanger, che è, o finge d'essere imbecille: egli sta sempre sulla gran piazza imitando il grido dell'oca o dell'anitra: estrema è la sua sudiceria, e sarebbe indecenza il descriverla. Mi fu detto che questo santo aveva talvolta fatte pubblicamente cose affatto contrarie al buon costume. Lo stupido fanatismo degli abitanti su quest'oggetto non par credibile. I fakihs ed i talbas lasciano il popolo nell'errore quantunque siano abbastanza istruiti, e mi abbiano più volte parlato di queste aberrazioni dello spirito umano.

CAPITOLO V

Giudei – Pesi, misure e monete. – Commercio. – Storia naturale. – Situazione geografica.

I Giudei del regno di Marocco vivono nel più misero stato di schiavitù. È veramente cosa straordinaria che i Giudei abitino in Tanger indistintamente coi Mori senza avere un separato quartiere, siccome costumasi in tutte le altre città ove domina l'islamismo, ma questa stessa distinzione è una perenne sorgente di dispiaceri per questa casta disgraziata; rendendo più frequenti i motivi di contese, nelle quali se il giudeo ha torto il moro si fa giustizia da se medesimo; e se il giudeo ha ragione è costretto di portare i suoi riclami al giudice sempre parziale per il musulmano.

Quest'orribile disuguaglianza di diritti tra individui della stessa setta rimonta fino alla culla; di modo che un giovinetto musulmano insulta o batte un giudeo qualunque siasi l'età sua, e le sue infermità, senza che questi abbia, sto per dire, il diritto di lagnarsene, non che quello di difendersi. I fanciulli delle due religioni trovansi nella medesima disuguaglianza, avendo più volte veduto i fanciulli musulmani divertirsi a battere i fanciulli giudei, senza che questi osassero giammai opporgli la più piccola difesa.

Per ordine del governo i Giudei vestono diversamente dagli altri: il loro abito è composto d'un pajo di mutande, d'una tonaca che scende fino al ginocchio, e d'una specie di bournous o mantello posto da un lato, pantoffole, ed una piccola berretta; tutte le quali cose, devon essere di color nero, ad eccezione della camicia le di cui maniche estremamente larghe rimangono scoperte e pendenti.

Quando i Giudei passano avanti ad una moschea, sono obbligati di levarsi le pantoffole, come pure innanzi alle case del kaïd, del kadi, e de' principali musulmani. A Fez ed in alcune altre città non possono camminare che a piedi nudi.

Se scontransi in un musulmano di alto rango devono a una certa distanza precipitosamente gettarsi sulla sinistra, lasciar in terra le pantoffole in distanza di un passo o due, e porsi in sommessa attitudine col corpo tutto piegato davanti, finchè il musulmano sia passato, e trovisi a considerabile distanza. Se non si prestano subito a così umiliante dimostrazione, come a quella di smontare da cavallo quando scontransi in un seguace di Maometto, vengono severamente castigati. Io dovetti più volte richiamare i miei soldati o domestici, che avventavansi contro questi sgraziati per batterli, quando avevano tardato un istante a porsi nell'attitudine prescritta dal despotismo musulmano.

Malgrado tutto questo i Giudei fanno a Marocco un grandissimo commercio; e più d'una volta ebbero la ferma delle dovane: accade però d'ordinario ch'essi vengano spogliati dai Mori o dal governo. Quand'io v'andai la prima volta aveva due giudei tra i miei domestici, ai quali, vedendoli così duramente trattati, chiedevo perchè non riparavansi in altri paesi; ed assi mi rispondevano di non lo poter fare per essere schiavi del Sultano.

I Giudei sono i principali artigiani di Tanger quantunque travaglino più male del peggiore artigiano europeo. Da ciò può argomentarsi cosa siano gli artigiani mori. Ma nel medesimo tempo i giudei hanno una particolare destrezza nel rubbare, vendicandosi dei cattivi trattamenti dei Mori col giontarli continuamente.

I Giudei hanno in Tanger alcune sinagoghe; ed hanno pure alcuni santi, o savj che vivono una vita beata a spese degli altri, come in tutte le sette.

Le donne ebree sono generalmente belle, ed alcune bellissime, che per lo più diventano le amanti dei Mori, lo che talvolta contribuisce ad avvicinare le due sette nemiche. Estremamente bello è il colorito delle ebree, mentre la tinta delle more è d'un bianco smaccato che s'assomiglia a quello delle statue di marmo bianco, sia per cagione della vita sedentaria che menano, o perchè vivono sempre rinchiuse nelle loro case; e se sortono talvolta, sortono coperte in maniera che il loro volto non rimane mai esposto all'aria aperta.

La sola misura lineare che conoscasi in Marocco è la draa, che dividesi in otto parti chiamate tomins.

Non essendovi campione o modello originario per l'esatta dimensione della misura, difficilmente se ne trovano due rigorosamente eguali, ma per un termine medio tra le differenti draa che io paragonai ai miei modelli europei, trovai che quella di Marocco è uguale a 244, 7 linee della tesa di Francia, e a 0,55126 d'un metro.

La misura di capacità per i grani chiamasi el moude: de' quali ve ne sono due, il grande ed il piccolo, cioè il secondo la metà del grande.

Lo stesso difetto d'esattezza notata nella misura lineare trovasi ancora in questo. El moude è un cilindro vuoto assai mal fatto, la di cui capacità, avuto riguardo a tutte le imperfezioni, può essere considerato come eguale a 123 linee 56 di diametro, e 106 linee 29 di altezza, ciò che dà 856 pollici e mezzo cubi della tesa di Francia.

Anche il peso va soggetto alle medesime varietà o vacillazioni come le misure; ma finalmente dopo il confronto di molti di questi pesi co' miei campioni d'europa, risulta, preso un termine medio, che la libra di Marocco chiamata artal contiene 16 oncie 347 grani 40 centesimi del grano di Parigi.

La più piccola moneta del paese è il kirat, e la più grande il banind'ki. Eccone la progressione:

4. 4 kirats – un flous.

5. 6 flousil mouzouna.

6. 4 blanquilles – l'oncia.

7. 5 oncie un mezzo ducato.


Ogni moneta di Spagna ha corso a Marocco, e mi sembra che il duro o la piastra spagnuola che chiamano arrial sia la più abbondante specie del paese: ma il suo valore varia ad arbitrio, poichè la piastra spagnuola vale ordinariamente dodici oncie del paese, e la pezzetta di Spagna tre oncie, cosicchè dall'una all'altra passa una diversità del 25 per 100; e quantunque venga cambiato il duro o la piastra per quattro pezzette e mezza, ciò che ristringe il guadagno, tale varietà è cagione di grandissimi contrabbandi di moneta, poichè la maggior parte di piccoli e grandi bastimenti che vengono d'Europa portano piecettes di Spagna per cambiarle coi derros.

Vi sono pure molto monete false che provengono dall'estero, e dietro le notizie ch'io mi sono proccurate potrebbero essere di fabbrica inglese.

La bilancia del commercio è assai vantaggiosa per le vittovaglie ma altissima per le manifatture. Malgrado l'eccellente posizione del porto di Tanger il suo commercio trovasi ridotto ad una limitata esportazione di viveri, ad un piccolo commercio di contrabbando colla Spagna, ed a qualche languida corrispondenza con Tetovan e Fez ove spedisconsi pochi oggetti europei. Rispetto al commercio del regno di Marocco in generale tornerà più in acconcio di parlarne diffusamente altrove. Le botteghe di Tanger sono tanto anguste, che il mercante seduto in mezzo, non ha bisogno di scomodarsi per prendere tutti gli oggetti e presentarli al compratore.

Il suolo che forma la base della costa di Tanger è composto di varj strati di granito secondario di tessitura compatta, ossia di grana fina. Questi strati che sono inclinati all'orizzonte formano con lui un angolo di 50 a 70 gradi; la loro spessezza è ordinariamente d'un piede e mezzo ai due piedi; la loro direzione all'est-ovest; e la loro inclinazione per formare l'angolo è dalla parte del nord.

La distanza d'uno strato all'altro è ordinariamente di due piedi, e questo spazio è ripieno d'un'argilla poco compatta, che nella stessa direzione forma degli strati intermedj d'ardesia.

Questi strati di granito d'argilla alzansi pochissimo sopra il livello del mare, poichè la maggiore altezza che gli abbia trovato è di 30 ai 40 piedi, ma grande è la loro estensione, poichè sono esattamente le medesime al fiume di Tetovan distante otto leghe. Ho inoltre osservati alcuni strati di granito che entrano nel mare nella stessa direzione e ad una grande distanza.

Se fosse permesso di tirar grandi induzioni da piccole cose, direi che la catastrofe che aprì lo stretto di Gibilterra, fu un subitaneo sprofondamento, non del suolo che forma il fondo dello stretto, ma di quello che l'avvicina al mezzodì, e sul di cui vuoto cadde la montagna, o la massa terrestre che occupava lo spazio oggi riempiuto dal braccio di mare: ed in conseguenza di questo movimento gli strati perpendicolari del granito presero l'attuale direzione: ma d'altronde siccome questo granito compatto sembra d'una formazione secondaria, possono ammettersi nella sua stratificazione tutte le possibili direzioni, senza aver bisogno di supporre uno smottamento posteriore alla sua formazione.

Sopra questo letto, o base generale della costa, le acque ed i venti accumulavano altri strati d'argilla sciolta, e di arena che formano le colline e le montagne della strada Tetovan: finalmente le spoglie vegetali ed animali formano quello strato di terra vegetabile che copre il tutto, ed è di una maravigliosa fertilità.

Al sud della baja di Tanger sulla riva del mare i venti dell'est formarono a poco a poco grandi ammassi di arena, che hanno di già forma di colline, le quali vanno restringendo la baja, che un giorno chiuderanno affatto. Queste arene sono assolutamente mobili, e non hanno in se principio che possa legarle: ma null'ostante questa particolarità vi si vedono vegetare i liliacei, ed alcune altre piante che conservo nella mia raccolta.

La temperatura di Tanger è assai dolce. Il mio termometro collocato colla necessaria attenzione affinchè non ricevesse nè l'impressione diretta, nè la riflessione immediata del sole, onde esprimesse soltanto la vera temperatura della massa dell'aria, non marcò nei maggiori caldi della dimora da me fattavi che 24° 6′ di Reaumur il 31 agosto a mezzogiorno, in cui si ebbe un calore straordinario. Un altro termometro posto colla possibile cura al sole affinchè ricevesse tutta la sua maggiore influenza marcò il giorno 22 agosto alle due ore dopo mezzo giorno 39° 5′.

La maggiore altezza del barometro fu di 28 pollici, 1 linea, 9 decimi di linea del piede parigino e la più piccola 27 pollici, 3 linee, ciò che dà un risultato di 4 linee e 9 decimi di linea di variazione.

La minore umidità atmosferica osservata fu di 38 gradi dell'igrometro di Supur il 15 luglio: ma qui l'aria trovasi comunemente impregnata d'umidità, che si rende sensibile non solo colle indicazioni dell'igrometro, ma dalla rapidità con cui a Tanger s'ossidano tutti i metalli a cagione della soprabbondante umidità atmosferica.

Assai marcata è in Tanger la differenza delle stagioni. L'estate fu costantemente serena. Verso l'equinozio cominciarono le pioggie e le borrasche, che continuarono colla medesima costanza. In questo tempo cadde più volte la folgore sulla città, ed uccise un uomo.

Malgrado la fertilità del terreno le specie delle piante ne' contorni di Tanger sono pochissimo variate: e lo stesso deve dirsi rispetto agl'insetti, almeno pel tempo ch'io vi dimorai; giacchè la stagione più propizia a tali indagini dev'essere la primavera.

A Tanger non può un uomo senza compromettersi salire sul terrazzo della propria casa per la gelosia degli abitanti delle case vicine. Le due case ch'io abitai successivamente erano così mal collocate, che non potei fare che pochissime osservazioni astronomiche, e queste ancora con molto stento: inoltre avendo lasciati i miei stromenti astronomici col mio equipaggio a Cadice, non mi furono portati che nella stagione delle pioggie, nella quale rarissime volte vedesi il cielo scoperto per pochi istanti. A fronte di questi ostacoli, la mia latitudine osservata per un termine medio assai poco distante dagli estremi, diede 35° 47′ 54″ nord.

A fronte degli ostacoli che s'opponevano al mio desiderio di fare una collezione di storia naturale, raccolsi a Tanger nella sua baja molti articoli, tra i quali trovansi alcuni fucus assai belli. Tutte le piante marine furono da me raccolte assai vivaci in fondo al mare.

Noi altri musulmani dobbiamo sormontare troppe difficoltà quando vogliamo fare delle collezioni entomologiche; e per cagione della purità legale che proibisce di toccare gli animali immondi, e perchè non possiamo abbruciare verun animale vivo. Il primo ostacolo difficolta la formazione d'una collezione di Cleoptere, ed il secondo rende inutile quella delle farfalle d'ogni genere, perchè avanti di morire senza fuoco, battono le ali per la semplice ferita della spilla che le assicura. Per lo stesso motivo m'accadde un giorno, che uno scarabeo fortissimo che aveva riposto nella scattola con altri insetti, si andò dibattendo con tanta violenza, che staccò la sua spilla, e distrusse tutti gli insetti da me raccolti. Trovavasi in questo numero una falsa tarantola assai grande, ed assai interessante.

CAPITOLO VI

Continuazione della storia d'Ali Bey. – Notizie intorno all'interno dell'Affrica. – Presentazione all'imperatore di Marocco. – Visite del Sultano e della sua Corte.

Poco dopo arrivato a Tanger la mia esistenza cominciò a diventare aggradevole. La prima visita che mi fece il Kadi Sidi Abderrahman Mfarrasch; il mio annuncio dell'eclissi del sole che doveva aver luogo il 17 agosto, e di cui io ne avevo disegnata la figura quale doveva vedersi nella sua massima oscurità; la vista de' miei equipaggi e de' miei istromenti che arrivavano d'Europa in un battello; i miei regali al Kadi, al Kaïd, ed ai primarj personaggi; le mie liberalità verso altre persone, tutto contribuì a fissare sopra di me l'attenzione del pubblico; cosicchè in breve tempo acquistai un'assoluta superiorità su tutti i forastieri, e sopra i più distinti abitanti della città.

Dall'altro lato il cambiamento del clima, le sostenute fatiche, ed il nuove genere di vita da me abbracciato alterarono alcun poco la mia salute: onde fui costretto di assoggettarmi ad un regime rinfrescativo, ed a prendere i bagni di mare. Queste precauzioni mi resero ben tosto la salute; ricuperata la quale potei occuparmi delle mie collezioni. Un giorno che, nuotando, mi ero alquanto allontanato dalla spiaggia, vidi avvanzarsi quasi a fior d'acqua un enorme pesce lungo dai venticinque ai trenta piedi, onde presi precipitosamente la direzione verso terra ove le mie genti attonite mi richiamavano ad alta voce. Il pesce andò sott'acqua, ma pochi istanti dopo ricomparve precisamente nel luogo ove io mi ritrovavo quando lo vidi.

Un talbe chiamato Sidi Amkeschet, venendo un giorno a trovarmi, ed entrati accidentalmente sull'argomento dell'interno dell'Affrica, mi parlò in tal modo:

«Dalla mia provincia di Sus, e di Tafilet partono spesse volte le carovane che attraversano in due mesi il gran deserto per portarsi a Ghana ed a Tombouctou

«Nell'interno dell'Affrica conosconsi due fiumi col nome di Nilo; l'uno de' quali attraversa il Cairo ed Alessandria, l'altro si dirige verso Tombouctou.»

«Questi due fiumi sortono da un lago che trovasi nelle montagne della Luna (Djebel Kamar). Quello dal Tombouctou non arriva fino al mare, ma si perde in un altro lago. Le montagne della Luna ebbero tal nome dal colore che prendono in ogni lunazione d'una corona, o d'un arco baleno».

«Da Marocco alle rive del Nilo di Tombouctou si viaggia con piena sicurezza come in mezzo ad una città quantunque colle mani piene d'oro; ma nell'altra banda del fiume non avvi più giustizia nè salvaguardia, perchè abitata da nazioni assai diverse da questa. Entro al fiume trovansi ferocissimi animali chiamati tsemsah, che divorano gli uomini».

M'indicò colla mano la direzione dei due fiumi; il Nilo del Cairo, diss'egli si volge a levante… Io gli chiesi allora, interrompendolo; «quello di Tombouctou anderà dunque a ponente?»… Certamente, risposemi egli senza esitare, verso l'occidente».

Come mai conciliare tanta contraddizione? Stando al racconto che mi fu fatto, farebbesi un commercio assai attivo e continuato tra i paesi meridionali di Marocco e di Tombouctou; e per conseguenza sembra impossibile che quella gente possa ignorare il corso del Nilo di Tombouctou, trovandosi quasi giornalmente frequentate le sue rive dai Marocchini. Riferiscono questi ultimi che quel fiume va ad Occidente; e Mungo-Park assicura che volge le sue acque verso l'Oriente: che dobbiamo conchiuderne?.. Accordando alla scoperta di Mungo-Park tutta la fede che merita, diremo che passa per Tombouctou verso Occidente un altro fiume, che ancora non conosciamo, e che i Marocchini confondono senza dubbio col gran Nilo Occidentale o Joliba scoperto da Mungo-Park, il quale confessò che questo fiume non passa precisamente per Tombouctou, o pure che il Joliba fa in questo luogo uno straordinario contorcimento, che è cagione dell'errore in cui versano gli abitanti di Marocco; o pure convien supporre che questi ultimi ne parlino senza aver nulla veduto, e soltanto dietro il racconto degli antichi geografi. Frattanto questa relazione spogliata dagli errori che la sfigurano, indica sempre due cose singolari: l'unione, o la comunicazione dei due Nili verso la loro origine nello stesso lago, e lo smarrimento del Nilo occidentale in un altro lago. Ritorneremo altrove su questo argomento.

L'artiglieria delle batterie di Tanger annunciò il 5 ottobre l'arrivo del Sultano Muley Solimano imperatore di Marocco, che scese al suo alloggio nell'Alcassaba o castello della città. Siccome non ero ancora stato presentato al Sultano, io non sortivo di casa, onde aspettarvi gli ordini, a seconda delle intelligenze che avevo col kaïd ed il kadi: e perciò non potei vedere la cerimonia del suo arrivo.

All'indomani il kaïd mi fece sapere, che potevo allestire il regalo di pratica per il susseguente giorno; lo che io feci all'istante. Al mattino del giorno indicato ebbi una conferenza col kaïd ed il kadi intorno al modo della mia presentazione. Il kaïd mi chiese la lista dei doni che destinavo al Sultano; io gliela diedi, e fummo subito d'accordo.

Perchè era giorno di venerdì andai prima alla gran moschea per fare la preghiera del mezzogiorno, perchè questa è una indispensabile obbligazione, e perchè doveva recarvisi ancora il Sultano.

Fui appena entrato nella moschea che un moro mi s'accostò, dicendomi, che il Sultano aveva allora mandato uno de' suoi domestici per prevenirmi che io potevo salire all'Alcassaba alle quattr'ore, ond'essergli presentato.

Prima che giungesse il Sultano alla moschea entraronvi alcuni soldati disordinati, e, quantunque armati, si posero dall'una parte e dell'altra senza conservare alcun rango.

Il Sultano non fecesi aspettar molto; entrò seguito da un piccolo accompagnamento di grandi, e di ufficiali tutti così semplicemente abbigliati, che non distinguevansi altrimenti dal rimanente della compagnia. Eranvi nella moschea, affollata di popolo, circa due mille persone. Finchè io vi rimasi ebbi cura di tenermi un poco appartato.

La preghiera si eseguì al solito degli altri venerdì; ma la predica si fece da un fakih del Sultano, che perorò con molta energia intorno all'argomento «essere gravissimo peccato il commerciare coi cristiani, non doversi dar loro nè vendere alcuna specie di vittovaglie, e simili altre cose.

Terminata la preghiera mi feci aprire un passaggio dai miei domestici, e sortj. Un centinajo di soldati negri trovavasi sotto le armi in semicerchio fuori della porta, ov'era adunata moltissima gente. Tornato a casa venne a cercarmi un domestico del Sultano per significarmi gli ordini del suo padrone, ed in pari tempo per ricevere la mancia di consuetudine.

Alle tre ore dopo mezzogiorno il Kaïd mi spedì nove uomini per ajutare la mia gente a portare il mio regalo composto de' seguenti oggetti:

Venti fucili inglesi colle loro bajonette.

Due moschetti di grosso calibro.

Quindici paja di pistole inglesi.

Alcune migliaja di pietre focaje.

Due sacchi di piombo per la caccia.

Un equipaggio compiuto da cacciatore.

Un barile della miglior polvere inglese.

Varie pezze di ricche mussoline semplici e ricamate.

Alcune piccole bijotterie.

Un bellissimo parasole.

Varie confetture ed essenze.

Le armi erano entro alcune casse chiuse a chiave, e le altre cose disposte sopra grandissimi piatti coperti da stoffe di damasco rosso gallonate d'argento. Salj all'alcassaba alla testa degli uomini e dei domestici che portavano il dono. Il kaïd aspettavami alla porta, ove mi complimentò. Attraversai un portico sotto al quale trovavansi molti ufficiali della corte; di dove entrai in una piccola moschea che gli sta di fianco per fare la preghiera del vespero, cui assistette ancora il Sultano.

Appena terminata la preghiera essendo uscito dalla moschea, vidi presso alla porta un mulo per il Sultano, intorno al quale stava un infinito numero di domestici, e di ufficiali della corte. Precedevano due uomini armati di picca, o di lancia che tenevano perpendicolarmente, ed aveva press'a poco la lunghezza di quattordici piedi. Il corteggio era seguito da circa settecento soldati negri, armati di fucile, strettamente riuniti, senz'ordine nè rango, e circondati da molto popolo. Io, ed il kaïd presimo posto in mezzo al passaggio presso ai due lancieri. A canto a noi venivano i regali portati sulle spalle dai miei domestici, e dagli uomini mandatimi dal kaïd.

Giunse bentosto anche il Sultano e montò sulla sua cavalcatura, e quando giunse in mezzo al cerchio, il kaïd ed io ci facemmo innanzi: il sultano fermò la sua mula, ed il kaïd mi presentò: io chinai la testa, ponendomi la mano al petto, cui il sultano corrispose abbassando il capo, e mi disse; Siate il ben venuto; indi si volse alla folla, ed avendola invitata a salutarmi con queste parole: Ditegli che sia il ben venuto: all'istante tutta la gente gridò: ben venuto. Il sultano spronò il suo muletto, e recossi ad una batteria lontana due cento passi.

Colà portatomi col mio introduttore, rimasi presso alla porta, lasciando che s'avanzasse il solo kaïd col donativo. Quando entrammo nelle batterie si fece un profondo silenzio. Eranvi almeno venti persone, la maggior parte usceri e grandi ufficiali.

Poco dopo fui chiamato dal kaïd e lo seguii nel terrapieno della batteria che formava una specie di terrazzo che guardava al nord sul mare, ed era armato da nove pezzi di cannone del maggior calibro. Nell'angolo orientale eravi una casuccia di legno, alcuni piedi più alta della batteria, onde dominare il parapetto, a cui si saliva per una scala di otto gradi.

Il sultano trovavasi entro questa casuccia seduto sopra un piccolo materasso guarnito di guanciali. Il kaïd, due grandi ufficiali, ed io, lasciammo le nostre pantoffole alla porta onde avere i piedi nudi, come vuole l'usanza. Due ufficiali mi presero in mezzo tenendo ognuno per un braccio, ed il kaïd mi si pose alla sinistra e ci presentammo al sultano facendo una riverenza o profondo inchino della metà del corpo colla mano destra al petto.

Il sultano dopo aver replicate le sue espressioni di benvenuto, mi fece sedere sulla scala; gli ufficiali si ritirarono, ed il kaïd rimase in piedi. Allora il sultano mi disse umanamente, e con voce amichevole «che era assai contento di vedermi» e replicò molte volte somiglianti espressioni tenendosi la mano al petto, onde farmi conoscere i suoi sentimenti non meno colla voce che coi gesti. Conobbi questo sovrano assai propenso a mio favore, lo che mi sorprese assai perchè niente aveva fatto per meritarmi la sua grazia.

Mi chiese in seguito in quali paesi ero stato, quai linguaggi parlavo, e se sapeva anche scriverli; quali scienze avevo studiato nelle scuole dei cristiani, e quanto tempo mi ero trattenuto in Europa. Dopo avere ringraziato il cielo d'avermi fatto uscire dai paesi infedeli, mi testificò il suo rincrescimento perchè un uomo della mia qualità non si fosse più presto recato a Marocco. Mi ringraziò d'avere preferito il suo paese a quello d'Algeri, di Tunisi o di Tripoli, mi assicurò replicatamente della sua protezione, e della sua amicizia. Mi chiese poi se avevo stromenti per fare osservazioni scientifiche; e dietro la mia risposta affermativa, mi disse che desiderava vederli, e che potevo portarli… Ebbe appena pronunciate queste parole, che il kaïd s'avvicinò e prendendomi per mano voleva condurmi via: ma senza movermi io feci osservare al sultano, che bisognava aspettare fino all'indomani, perchè avvicinandosi la sera non avevo tempo di prepararli. Il kaïd mi guardava attonito perchè a Marocco non è permesso di contraddire alle voglie del sultano; il quale mi disse: «E bene dunque portateli domani – a quale ora? Alle otto del mattino. – Io non mancherò». Allora mi congedai dal sultano, e partii col kaïd.

Ero di poco ritornato a casa che vennero ad avvisarmi della visita generale dei domestici del palazzo, cui doveasi in tale circostanza una gratificazione. I miei domestici mi sbarazzarono da questa visita con minor spesa ch'io non credevo.

Quando il sultano parlavami de' miei stromenti aveva fatto portare un piccolo astrolabio di metallo di tre pollici di diametro, che serve per regolare gli orologi, e le ore per la preghiera, e mi avea domandato se ne avessi uno somigliante; al che rispondeva di no, soggiungendo che questo stromento era troppo inferiore a quelli di moderna invenzione.

All'indomani andai al castello all'ora indicatami; trovai che il sultano mi stava aspettando nello stesso luogo col suo primo fakih, o muftì ed un altro suo favorito. Teneva avanti di se un servizio di tè.

Vedendomi entrare mi fece salire subito la scala, e sedere al suo lato: indi preso il vaso, versò il tè in una tazza, ed avendovi posto del latte, me la presentò colle sue proprie mani. In tanto egli chiese carta, e calamajo, e gli fu portato un pezzo di cattiva carta, un piccolo calamajo di corno con una penna di canna: scrisse in quattro linee e mezzo una specie di preghiera che diede a leggere al suo fakih; il quale gli fece osservare che aveva dimenticata una parola; ed il sultano ripresa la penna vi aggiunse ciò che mancava. Avendo terminato di prendere il tè S. M. Marocchina mi presentò la scrittura perchè la leggessi, ed egli accompagnava la mia lettura indicandomi col dito sulla carta ogni parola progressivamente e correggendo i difetti della mia pronuncia come farebbe il maestro collo scolare. Terminata la lettura mi pregò di custodire questa carta, che ancora conservo.

Si levò il vassellame del tè composto d'una zuccariera d'oro, d'un vaso di tè, d'uno per il latte e di tre tazze di porcellana bianca ornata di oro, il tutto posto sopra un gran piatto indorato.

Come porta l'uso del paese, egli aveva posto lo zuccaro nel vaso del tè; metodo incomodo assai perchè obbliga a prendere la bevanda o troppo, o poco addolcita.

Il sultano mi dava frequenti prove del suo affetto. Chiese di vedere i miei strumenti, che osservò pezzo per pezzo con molta attenzione, chiedendomi la spiegazione di ciò che non conosceva, o non sapeva quale ne fosse l'uso. Mostrava di compiacersi assai di quanto gli rispondeva, e desiderò che facessi in sua presenza una dimostrazione astronomica; onde per appagarlo presi due altezze del sole con il circolo moltiplicatore. Gli feci vedere varj libri di tavole e di logaritmi che avevo portati meco per dimostrargli che gli strumenti non servono a nulla, se non s'intendono que' libri, e molti altri. Mostrò d'essere estremamente sorpreso alla vista di tante cifre, e quando gli offersi i miei strumenti, risposemi, che io «dovevo conservarli perchè io solo ne conosceva l'uso; e che avressimo avuto molti giorni, e molte notti per contemplare con piacere il cielo». Da ciò compresi che pensava di tenermi presso di se, avendomene fatti altri cenni. Soggiunse che desiderava di vedere gli altri miei strumenti, che promisi di portare all'indomani e mi congedai.

Il susseguente giorno essendomi portato al castello, salii nella sua camera, ove lo trovai coricato sopra un piccolissimo matterasso ed un guanciale: stavan seduti innanzi a lui sopra un tappeto il suo gran fakih e due suoi favoriti. Appena vedutomi alzossi da sedere, ordinando di portare un materasso somigliante al suo, che fece collocare al suo fianco, e mi ordinò di adagiarmivi.

Dopo i vicendevoli complimenti, feci introdurre una macchina elettrica, ed una camera oscura che gli presentai siccome oggetti di semplice curiosità non applicabili alle scienze. Avendo montate le due macchine posi la camera oscura presso ad una finestra: il sultano levossi e vi entrò due volte; lo ricopersi io stesso colla coltre durante tutto il tempo che vi rimase, compiacendosi di osservare gli oggetti trasmessi dalla macchina; lo che io risguardai come una grandissima prova di confidenza. Si divertì in seguito a vedere scaricarsi la bottiglia elettrica a diverse riprese. Ma ciò che maravigliosamente lo sorprese fu l'esperienza del colpo elettrico, che mi fece replicare più volte, mentre ci tenevamo tutti per la mano per formare la catena, e volle essere a lungo istruito intorno a queste macchine, ed all'influenza dell'elettricità.

Il precedente giorno avevo mandato al sultano un cannocchiale, che allora glie lo richiesi per regolarlo secondo la sua vista; ciò che io feci all'istante, marcando sul tubo il conveniente grado dietro l'esperimento da lui fattone.

Io avevo lunghissimi mustacchi, onde il sultano mi domandò perchè non li accorciassi come gli altri Mori. Ed avendogli rimostrato che in Levante non si tagliavano; mi rispose; «va bene, ma questa non è l'usanza del paese». Quindi avendo fatto recare un pajo di forbici, tagliò alquanto i suoi, ed in appresso prendendo i miei m'indicò quanto doveva toglierne e lasciarne: e forse il primo suo pensiero era quello di scorciarmeli egli medesimo, ma perchè io nulla risposi, depose le forbici. Mi chiese poi se io tenevo une strumento adattato a misurare il calore; e gli promisi di mandargliene uno. Mi congedai facendo levare i miei strumenti, e lo stesso giorno gl'inviai un termometro.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 mayıs 2017
Hacim:
181 s. 2 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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