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Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3», sayfa 11

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Questa specie di pietra che è assai bianca forma strati d'ardesia. Le case e le mura di Djedda, e dell'Iemboa sono formate della stessa pietra che trovasi abbondante su tutta la costa, ma particolarmente in quel laberinto delle isole e scogli, chiamate isole Hamara. Questa è la più interessante parte del mar Rosso sotto i rapporti della storia naturale.

Io sospetto una diversità di livello nel mar Rosso che tende progressivamente al suo disseccamento. Si è creduto apocrifo o erroneo il livello fatto dagli antichi geografi, che trovarono il mar Rosso più elevato che quello del Mediterraneo: ma io inclino a credere che tale veramente fosse la bisogna negli antichi tempi, e che al presente il mar Rosso trovisi di già al livello del Mediterraneo, e fors'anche più basso.

La rapida progressione con cui il mar Rosso si ritira, mentre il Mediterraneo sembra essere stazionario, o retrogradare più a rilento, mi ha già da lungo tempo fatto credere a questa diversità di livello tra i due mari, indipendentemente dalla differenza più generale dovuta all'accumulazione delle acque in certi punti; lo che fa che la superficie dei due mari forse non coincide con quella che si suppone alla sferoidità terrestre. Ma questo non è il luogo di sviluppare una questione che ci porterebbe troppo lontano, e che tratteremo di proposito in altro luogo. Qui ci limiteremo ad indicare soltanto alcune più notabili osservazioni.

Nel luogo detto el-Wadjik sopra la costa d'Arabia, è un banco, la di cui superiore superficie trovasi elevata ventiquattro in trenta piedi sopra l'attuale superficie del mar Rosso; la sua larghezza media è di dugento tese sopra alcune migliaja di tese di lunghezza, lungo le sinuosità della costa. Questo banco è unito alla terra ferma, che è più elevata; la sua superficie è perfettamente piana; dalla parte dell'acqua è tagliato perpendicolarmente in maniera che rappresenta assai bene la piattaforma di una fortezza.

Dopo avere esaminati li zoofiti che compongono questo banco, parvemi ch'essi fossero di recentissima formazione relativamente alle grandi epoche della natura: egli è pure evidente che questo banco si formò sott'acqua; e siccome io non conosco sulle rive del Mediterraneo un monumento di così recente ritirata, ne conchiudo che all'epoca della formazione di questo banco, la superficie del mar Rosso forse si trovava più elevata di quella del Mediterraneo, mentre attualmente trovasi allo stesso livello, e fors'anche più bassa.

La forma del mar Rosso lunga e stretta tagliata da tanti banchi, scogli ed isole, rende necessariamente più difficile la propagazione delle alte maree, come fu giudiziosamente osservato dal viaggiatore Niebuhr. Il vento quasi intermittente dal N. e dal N. E. per nove mesi dell'anno, deve contribuire alla sortita delle acque in tempo della bassa marea, mentre è anch'esso un ostacolo alla propagazione delle alte maree. Questa propagazione si fa ogni giorno più difficile in ragione dell'impietrimento attivo che sembra dover colmare il bacino del mar Rosso, colla rapida formazione di nuovi banchi, e di nuove isole, ostacoli novelli aggiunti agli altri che già opponevansi alla libera circolazione delle acque. L'evaporazione del mar Rosso dev'essere assai più forte che nel Mediterraneo, e per la diversa temperatura e latitudine, e pei deserti che lo circondano da ogni lato, e che seccando l'aria la rendono più atta ad assorbire i vapori. Dall'altra parte il mar Rosso non riceve, per così dire, una goccia d'acqua dalle terre vicine, perchè non sorte alcun fiume dalle coste dell'Arabia e dell'Affrica, tranne alcuni torrenti nelle stagioni piovose. Quindi può dirsi che nel corso dell'anno il mar Rosso perde una maggiore quantità d'acqua di quella che riceve dalle maree dell'Oceano. Altronde le più gagliarde correnti portano d'ordinario a S. E., cioè verso l'imboccatura di Babelmandel. A queste cause si aggiugne la differenza della forza d'attrazione planetaria in ragione del movimento dell'asse dell'ecclittica, e della situazione dell'orbita della terra, che è nel suo perièlio nel solstizio d'inverno; lo che deve produrre un ammassamento di acqua in certi luoghi. Finalmente devonsi calcolare molte circostanze per la soluzione del problema, che procureremo di svolgere in un'apposita opera.

Gli arabi custodiscono gelosamente come un segreto la navigazione del mar Rosso; e temendo che gli Europei non s'invaghiscano di appropriarsela, fuggono, per quanto è loro possibile, di avere con essi diretta comunicazione, onde non si avvedano del lucroso commercio di questo mare. Questo timore è la principalissima cagione delle avarìe che si fanno soffrire agli Europei sulle coste dell'Arabia. Anche un capitano inglese dipendente dal console Petrucci, che pure aveva l'intima confidenza del sultano Sceriffo, non potè sottrarsi che colla forza ai cattivi trattamenti degli Arabi.

Io sono di sentimento che le nazioni europee che tengono stabilimenti nel Mare Indiano potrebbero aprirsi pel Mar Rosso una linea di comunicazione, che non sarebbe difficile ad ordinarsi per mezzo di agenti stabili a Moca, a Djedda, a Suez, ed al Cairo.

Due dì dopo il mio arrivo a Suez una carovana partita pel Cairo fu attaccata sulla strada dai Badovini. La carovana si difese; ed ebbe due uomini feriti, e sei cammelli presi dagli assassini. Noi aspettavamo la venuta del gran Scheik Dìidid, che doveva arrivare del Cairo con un corpo di truppe per iscortare la nostra carovana incaricata di trasportare al Cairo il carico della flottiglia. Era prevenuto che col di lui mezzo mi sarebbero stati spediti alcuni cavalli, ma seppi in appresso ch'era partito per l'alto Egitto onde ridurre al dovere alcuni Arnauti ribellatisi al pascià Mehemed Alì.

Essendo giunta a Suez un'altra carovana di sette in ottocento uomini, ed altrettanti cammelli compresi i soldati e pellegrini turchi di Djedda, risolvemmo di partire insieme, non però senza qualche sospetto ancora, perchè tale unione presentava forze inferiori alla presente situazione del paese. I capi ed altri impiegati di Medina, ed alcuni grossi negozianti di Djedda e del Cairo, dovevano pure ingrossare questa carovana.

Viaggio al Cairo

Il giovedì, 11 giugno, alle due ore e tre quarti dopo mezzo giorno uscii di Suez per unirmi alla carovana ch'erasi accampata presso Bir-Suez (pozzo di Suez), cinque quarti di ora distante dalla città. È questo un parallelogramo, i cui maggiori lati possono avere quindici piedi, e dieci in undici i minori, ed ha diciotto piedi di profondità. L'acqua è alquanto salsa, ma la sola che esista in questo luogo. I cammellieri ne attingono l'acqua con secchj di cuojo per darne a' cammelli; ma gli uomini della carovana avevano fatte le loro provviste a Suez. Il tempo era sereno, malgrado un gagliardo assai incomodo vento settentrionale. In sul tramontare del sole il termometro nella mia tenda segnava 37 gradi di Reaumur. È questo paese una grande pianura terminata in Affrica al S. O. dalle montagne Diebel Attaka, ed in Asia da quelle assai lontane all'E. dall'Arabia.

Venerdì 12

Eravi nella carovana un santo Marabotto, che portava uno stendardo giallo e rosso somigliante ad una bandiera spagnuola, ma tutto stracciato. Consumò costui tutta la notte invocando a tutta voce il nome di Dio, e del Profeta, facendo preghiere, e correndo da un canto all'altro del campo, di modo che niuno potè dormire.

Si partì alle quattro e mezzo del mattino; alle sette si giunse al vecchio Kalaat-Ageroud fortezza abbandonata, e di là, avanzando nella direzione di O., si entrò un'ora dopo in una gola, che è il più pericoloso passo di questo deserto. La carovana precedente era stata attaccata in questo luogo, e nel mio primo viaggio vi aveva veduti molti Bedovini. Per passare queste strette mi posi in testa alla carovana colla mia guardia di dieci soldati turchi, sostenuti da una cinquantina di soldati della stessa nazione, e da pochi arabi armati: altri soldati senz'ordine determinato proteggevano i fianchi della carovana, che occupava una linea di oltre cinquecento tese; e due Agà turchi col rimanente della truppa coprivano la retroguardia. Io passai senza ostacolo colla maggior parte della carovana, ma quando era per uscire dalla gola udii delle grida sul di dietro. Accorsi colla spada alla mano, conducendo le mie truppe in sul punto attaccato; e conobbi che i Bedovini eransi presentati tentando di tagliare la coda della carovana, e che eransi ritirati dopo alcuni colpi di fucile, essendosi lasciati imporre dalla nostra risolutezza: non erasi avvicinato che un corpo di trenta uomini, ma ne vidi in distanza col cannocchiale altri sessanta all'incirca.

Alle cinque ore ed un quarto facemmo alto in un'aperta pianura affatto deserta. Si soffrì tutto il giorno un caldo che toglieva il respiro, ed in sul tardi alcune vampe di vento, che ci obbligavano di bevere ad ogni istante, di modo che taluno cominciava a scarseggiare d'acqua, ed io stesso non era tranquillo per l'indomani se non diminuiva il calore. Il luogo in cui eravamo accampati chiamasi Dar-el-Hhamara, posto a mezza strada da Suez al Cairo.

Questo tratto di paese di Suez ad Hhamara è quasi affatto sterile ed arenoso: vi si trovano poche piante senza frutta e senza fiori, e sulle rupi pochi cespugli spinosi senza foglie. Il termometro di Reaumur alle otto e mezzo della sera segnava 38° 6′. Molti passeggieri partirono questa notte coi loro dromedarj prendendo una strada traversa per giugnere al Cairo prima della carovana.

Sabato 13

Il timore di mancar d'acqua ci fece partire alle due ore e mezzo del mattino: e dopo aver attraversate alcune colline si sboccò alle dieci e mezzo in un'altra pianura. Il caldo faceva grandissimo; e per un'ora continua provai il singolare fenomeno di un vento d'O. alternativamente freddo e caldo. Se questo vento avesse soffiato leggermente e per intervalli non sarei rimasto sorpreso, ma era un vento uguale ed intermittente con alternative di freddo e di caldo così rapide e violenti, che spesso nello spazio di un minuto ne faceva provare tre o quattro volte la vicenda del caldo ardente, e del freddo più acuto. Come mai il calorico non equilibravasi colla massa dell'aere ambiente?

Allora coi miei domestici e le mie guardie montate sui dromedarj passai avanti alla carovana, e giunsi due ore prima ad Alberca, detta dai Turchi Birked el Gad (pozzo dei pellegrini). È questi un villaggio di circa cento famiglie posto in così deliziosa situazione, che a chi sorte dal deserto sembra più bello di Versailles, o d'Aranquez. Le inondazioni del Nilo vi arrivano per un canale. Il villaggio occupa la sommità d'una collina corrosa al piede dalle acque; e la collina e la campagna sono coperte di palme simmetricamente disposte; e la salita al villaggio forma uno spazioso ed ameno passeggio rinfrescato dalle acque, ed ombreggiato da alte palme e da altre specie di piante. A piedi del colle, entro una moschea mezzo rovinata, trovasi una bella fonte. In somma Alberca è un luogo di delizie in mezzo ad un vasto deserto di sterile arena, lontano tre ore dal Cairo. Ebbi colà una gagliarda prova dell'apatia de' Turchi: la carovana era accampata presso a questo delizioso giardino dopo un viaggio che doveva farle ardentemente desiderare un così fatto godimento; pure io solo uscii dalla tenda per approfittarne. Il termometro alle cinque e mezzo della sera segnava 42° di Reaumur, ed alle sette ore 37° 3′.

Le mie genti dopo tramontato il sole si sollazzarono tirando de' colpi di fucile.

Domenica 14 giugno

Si partì al levar del sole; ed io non tardai a trovare gli amici usciti di città per incontrarmi. A due terzi della strada vidi Seïd Omar, capo degli sceriffi, primo personaggio del Cairo, accompagnato da molti grandi e dai dottori della città con venti Mamelucchi a cavallo, altrettanti soldati Arnauti a piedi, domestici ed Arabi armati. Ci abbracciammo con vera effusione di cuore, indi mi presentò un bellissimo cavallo bardato. Dopo esserci riposati all'ombra e preso il caffè, fui condotto a visitare un eremitaggio posto accanto al luogo in cui eravamo. Rimontati poi a cavallo si prese la strada del Cairo, accompagnati da Muley Selima, fratello dell'Imperatore di Marocco, ch'era pur venuto ad incontrarmi.

Strada facendo i Mamelucchi e gli Arabi a cavallo fecero delle corse, delle scaramuccie, e consumarono molta polvere in segno d'allegrezza; lo stesso venerabile vecchio Seïd Omar si compiacque di correre un Djerid, mettendo grida di gioja per celebrare il felice ritorno di Seïd Ali Bey.

Entrammo in città per la porta Bab-el-Fatag, che è di felice auspicio quando si torna dalla Mecca. Seïd-Omar mi condusse come in trionfo in mezzo ad affollato popolo che andava sempre crescendo per le strade e piazze principali del Cairo.

Finalmente arrivammo alla sua casa ove ci aspettava un magnifico pranzo, dopo il quale fui condotto nel mio appartamento. Seïd Omar mi mandò un altro cavallo ancor più bello del primo: ed in tal modo terminò questa festa ed il mio viaggio della Mecca. A Dio sia la lode e la gloria.

CAPITOLO XLIII

Viaggio a Gerusalemme. – Belbèis. – Gaza. – Saffa. – Ramlè. – Scena dei due vecchi. – Ingresso in Gerusalemme.

Ripigliai il mio alloggio in casa dello scheih el Metlouti; ossia capo de' Mogrebini, ed in pari tempo Scheih della grande Moschea el-Azahar.

Gli abitanti del Cairo erano alquanto inquieti per lo sbarco che gli Inglesi avevano fatto ad Alessandria, e pei due attacchi di Rosetta, nei quali gli assalitori erano rimasti soccombenti, ed il Cairo era pieno di prigionieri inglesi. Rimasi in questa città diciannove giorni festeggiato da tutti gli amici. Finalmente il venerdì mattina 3 luglio 1807 presi la strada di Gerusalemme.

Ebbi partendo lo stesso accompagnamento del giorno che entrai in città fin presso ad Alberca ov'erasi radunata la carovana.

Sabato 4

Erano le due e mezzo del mattino quando la carovana composta di due cento cammelli si mise in cammino verso il N. ¼ N. E. sopra un suolo alternativamente di arena sciolta, e di ciottoli. Il paese prima piano, è poi tagliato da piccole colline. A mano a manca vedevasi molto lontano una linea d'alberi che fiancheggiano il canale di Belbèis, ove arrivammo alle dieci ore del mattino. La carovana si accampò presso alla città, ed io mi posi in un eremitaggio dedicato ad un santo detto Sidi Saadoun.

Il Capidgi Baschi apportatore del Firmano con cui il Sultano di Costantinopoli riconfermava Mehemed Ali Pascià nel suo governo di Egitto, faceva parte della carovana. Mi fu detto che il Pascià gli aveva in tale occasione regalati cinquanta mila franchi. Eranvi inoltre molti altri personaggi turchi.

Belbèis è una vasta città fornita di molte moschee. Un canale del Nilo la provvede abbondantemente di acque in tempo dell'escrescenza, e mantiene rigogliosi un infinito numero di alberi e di palme. Vi si trovano ottimi poponi ed angurie, ma non legumi. La città ed il territorio sono governati da un Kiaschet, ossia ufficiale dal Pascià del Cairo.

Domenica 5

Ad un'ora dopo mezzo giorno camminavamo in mezzo ad un deserto nella precisa direzione di levante, esposti ad un vento infiammato, e percossi dai cocenti raggi del sole. Alle sei ed un quarto si fece alto in mezzo a questa vasta campagna ove non trovasi alcuna traccia di esseri organizzati animali o vegetabili. Poco prima di arrivare al luogo dell'accampamento il mio cavallo cadde come morto: tornò ben tosto a dar segni di vita, ma non potè levarsi, onde rimase abbandonato alla benefica natura fino all'indomani.

Lunedì 6

Dopo un lungo cammino arrivammo al di là di el-Wadi; ed avendo attraversato il canale di Belbéis si fece alto alle sette ore ed un quarto in una piccola foresta.

Martedì 7

Alle quattr'ore e tre quarti del mattino la carovana viaggiava nella direzione di N. E., ed alle undici arrivò in un luogo detto Al-bovaarouk, ove fece alto presso ad un pozzo di acque amare e fetenti.

Nel precedente giorno aveva ordinato di riempire i miei grandi otri dell'eccellente acqua di El-Wadi: ma quando si scaricarono i cammelli mi accorsi che non ve n'avevano che quattro di pieni. Chiesi al capo della carovana quando potrei trovare acqua bevibile; ed egli mi rispose che non ne troverei che ad Aaerisch, lontano quattro giorni di viaggio. In quell'istante mi si presentò all'immaginazione l'accidente del 4 agosto 1805 nel deserto della Sahara; onde trovandomi di nuovo in mezzo ad un deserto senza sufficiente provvisione di acqua, non fui padrone d'un primo impeto di collera, e sguainata la spada, mi volsi contro le mie genti. Tutti i viaggiatori e lo stesso Scheik condottiere dalla carovana, vedendomi preso da tanto furore, si buttano a terra. Questo commovente spettacolo disarma la mia collera; ma nell'agitamento in cui mi trovava, volendo rimettere la sciabla nel fodero, la mano si svia, e conficco il ferro nella parte superiore della mia coscia sinistra alla profondità di nove linee. Accortomi appena della ferita rimisi con più moderazione la sciabla nel fodero; ed entrato nella mia tenda, mi trovai inondato da un torrente di sangue, che parvemi uscire da una arteria. Feci subito recare la mia spezieria, e dopo aver lasciato uscire alquanto di sangue, lavai la ferita con acqua fredda, poi riempiendola di balsamo cattolico vi posi sopra un grande piumacciuolo di filaccie inzuppate nello stesso balsamo, e con tre bende feci una fasciatura che montava fin sopra le reni per assicurare il piumacciuolo contro qualunque accidente. Mi posi a letto per riposarmi, e la carovana volle per mio riguardo fermarsi fino all'indomani. In questo infausto giorno morì uno de' miei cammelli.

Mercoledì 8

Alle quattr'ore del mattino, trovandomi in buono stato, e quasi non mi accorgendo della ferita, montai a cavallo colle debite precauzioni, e partii colla carovana dirigendoci al N. E.

Si fece alto la sera alle cinque ore e mezzo in un luogo detto Barra. La mia ferita non mi dava verun incomodo, e la scena che la cagionò produsse almeno il buon effetto di far rispettare le mie provvisioni.

Giovedì 9

La carovana riprese il cammino alle quattr'ore, e tenendo sempre la direzione di N. E. giunse alle otto ore al villaggio abbandonato di Catieh, ove sonosi molte palme ad un pozzo di acqua bevibile, presso al quale i Francesi avevano fatta una fortezza, che ora più non esiste. Si tornò a mettersi in viaggio alle tre ore e mezzo, e poco prima delle sette si alzarono le tende ad Abouneïra, ove trovasi un pozzo.

Venerdì 10

Questo giorno si avanzò nella direzione di levante, si fece alto a nove ore a Dienadel, ove scopersi il mare Mediterraneo a non molta distanza, ed alle sei ed un quarto la carovana si fermò ad Abudjilbana.

Sabato 11

Nella carovana eranvi già molte persone alle quali incominciava a mancare l'acqua; onde si affrettava possibilmente il viaggio. Mentre io dormiva, alcuni Turchi entrarono nella mia tenda, che stava aperta onde dar passaggio all'aria, per levarmi la mia acqua, ma vedendomi addormentato rispettarono il mio sonno, e ritiraronsi senza prenderne. La notte si fece alto a Messaoudia in riva al Mediterraneo, ove trovansi molti pozzi d'acqua bevibile.

Domenica 12

Si giunse alle sei ed un quarto del mattino presso ad Aarisch, e si fece alto in una macchia di palme. L'Aarish, è un alcassaba sul fare di quelli di Marocco, ed era stato dai Francesi rimesso in buono stato. Vi sono all'intorno alcune case abitate da circa duecento persone, pozzi di acqua di mediocre qualità, palme, e pochi erbaggi.

La mia ferita andava sempre di bene in meglio, e dava speranza di cicatrizzarsi senza suppurazione.

A mezzo giorno il termometro esposto al sole segnava 53° 7′ Reaumur, che equivale ai due terzi dal calore dell'acqua bollente, ed all'ombra 43° 5′.

Lunedì 13

Alle due ore del mattino eravamo in cammino verso Levante. Non tardai a trovare alcune terre vegetali, poi terre lavorate, mandre di vacche, e di altri bestiami, benchè il terreno in generale fosse ancora arenoso. Dopo sette ore di cammino la carovana si riposò a poca distanza da un eremitaggio, ove si venera un santo detto Scheik Zonaïl. Vi si trova dell'acqua, ed all'interno alcuni Dovar, e piantagioni di palme. Alcuni abitanti ci vennero all'incontro per venderci delle angurie.

Alle undici ore e mezzo riprendemmo il cammino, e lasciando la strada maestra, attraversammo molte colline al S. E., il di cui suolo era a vicenda formato di terre vegetali e seminate, e di vasti tratti arenosi. Alle cinque della sera arrivammo a Khanjounes, borgata cinta di mura, e di giardini, in bella situazione, poco distante dal mare, e la prima popolazione della Siria da questa banda.

Martedì 14

La carovana partita alle quattr'ore del mattino prendendo la direzione di N. E. in mezzo a terre parte sterili, e parte coltivate, attraversò alle sette ore il torrente el-Wadi-Gaza che non aveva acque; ad un'ora dopo entrò in Gaza, avendo così felicemente terminato il viaggio del deserto.

Gaza è una mediocre città vantaggiosamente fabbricata sopra un'altura, e circondata da molti giardini. Vi si contano presso a poco cinque mila abitanti. Le strade sono angustissime e le case quasi senza finestre. Il paese abbonda di pietre calcaree, o marmi grossolani di un bel bianco, che servono agli edificj di Gaza. I mercati sono assai ben provveduti di commestibili a discretissimi prezzi, il pane comune è piuttosto cattivo, ma se ne trova di buonissimo, ed eccellenti sono le carni, i pollami, gli erbaggi, i legumi e l'acqua. Vi sono molti cavalli, ma sembraronmi di cattiva razza, all'opposto dei muli che sono assai belli.

La popolazione di Gaza è formata di una mescolanza di Arabi e di Turchi; e perchè posta sulle frontiere del deserto, gli Arabi sono di tutte le nazioni, delle Arabie, dell'Egitto, della Siria, dei Fellahs, dei Bedovini, ec., e tutti conservano le proprie costumanze degli abiti e di tutt'altro. In Gaza non ho quasi veduta alcuna donna, perchè sono più riservate che nell'Egitto e nell'Arabia: a fronte di ciò il mal venereo è un mal comune in questo paese, e molti mi chiesero s'io avessi qualche rimedio per questa crudele malattia.

La città è governata da un Agà Turco, la di cui autorità stendesi anche sul territorio sotto gli ordini dell'Agà di Jaffa; esso pure dipendente dal Pascià di s. Giovanni d'Acri.

Il governatore di quel tempo era Moustafà Agà, uomo di buon carattere, da cui ricevetti mille cortesie. Il clima di Gaza è caldo in modo che il termometro all'ombra d'ordinario segnava 37 gradi di Reaumur. Gaza è distante mezza lega dal mare, una giornata e mezza da Jaffa, e due assai lunghe da Gerusalemme.

Io soggiornai qualche tempo a Gaza per terminare la guarigione della mia ferita ch'era omai chiusa il giorno 19 di luglio, quando partito a cinque ore e mezzo del mattino senza carovana, dopo mille ravvolgimenti in mezzo a giardini ed alle piantagioni d'ulivi, mi trovai ad un'ora e mezzo in aperta campagna nella direzione di E. N. E. Poichè ebbi fatto colazione alle otto in un villaggio posto al di là d'un piccolo ponte, continuando il viaggio a N. E., mi fermai ad un'ora e mezzo nel villaggio di Zedond.

Tutti i villaggi di questa contrada sono situati sopra alture; hanno le case assai basse, coperte di stoppia, e circondate da piantagioni di ulivi e da bei giardini. Quanto parevami nuova questa maniera di viaggiare! Avvezzo com'io era da lungo tempo ad attraversare i deserti con numerose carovane, provai questo giorno le più grate sensazioni non avendo meco che tre domestici, uno schiavo, tre cammelli, due muli, il mio cavallo, ed un soldato turco di scorta; mi trovavo alla fine in terreni coltivati, incontrava di tratto in tratto villaggi e casali abitati; il mio sguardo poteva sempre fermarsi con piacere sopra variate piantagioni; e di quando in quando incontrava degli uomini che viaggiavano a piedi o a cavallo, e quasi tutti vestiti, talchè parevami d'essere in Europa. Ma gran Dio! qual pensiero veniva a mischiare la sua amarezza a così dolci sensazioni! Lo confesserò poichè l'ho provata: entrando in questo paese, circoscritto da proprietà individuali, il cuore dell'uomo s'impiccolisce e resta compresso. Io non posso volgere gli occhi, non posso fare un passo senz'essere subito fermato da una siepe che sembra dirmi; Alto là, non oltrepassare questo limite; la mia anima si abbassa, mi si rilasciano le fibre, m'abbandono mollemente al movimento del cavallo, più in me non sentendo quello stesso Ali Bey, quell'Arabo che pieno d'energia e di fuoco slanciavasi in mezzo ai deserti dell'Affrica e dell'Arabia, come l'ardito navigante che si abbandona alle onde d'un mar tempestoso, colla fibra sempre tesa, e collo spirito preparato ad ogni avvenimento. Non è a dubitarsi che la maggior felicità dell'uomo non sia quella di vivere sotto un governo ben organizzato, che col prudente uso della forza pubblica, assicura ad ogni individuo il pacifico godimento della sua proprietà: ma sembrami altresì che quanto si guadagna in sicurezza ed in tranquillità, si perda in energia.

Il suolo attraversato questo giorno è composto di colline ondeggiate, coperte di ulivi, e di piantagioni di tabacco, che allora fioriva.

Lunedì 20

Partii ad un'ora e mezzo del mattino prendendo la direzione di N. N. E., poi di N. E., e non molto dopo incontrai una carovana con carico di sapone e di tabacco che andava da Nablous al Cairo.

Attraversando il villaggio di Iebui vidi molte donne col volto scoperto, e tra queste alcune assai belle. Chiesi se erano cristiane, e mi fu risposto essere musulmane, e che le Fellahis, ossia paesane del contorno, non usavano di coprirsi il volto. Quale corruzione di costumi!

Di qui m'internai tra montagne coperte di boschi, ove mi trattenni alquanto per far colazione; indi ripiegando a N. O. entrai alle dieci ore in Jaffa.

Tutto il paese ch'io vidi della Palestina e terra promessa da Khanyounes fino a Jaffa è formato di belle colline rotonde ed ondeggiate, coperte di un terreno grasso somigliante alla belletta del Nilo, ridente della più rigogliosa vegetazione. Ma non vidi un solo fiume in tutto il distretto, una sola fontana. Secchi erano i torrenti che attraversai, ed il paese non ha altra acqua per bevere e per innaffiare la terra che quella delle pioggie e dei pozzi, che per altro è molto buona. Tale è la cagione delle frequenti carestie ricordate dalla storia di queste contrade.

È cosa notabile che tutti i luoghi abitati ch'io vidi nell'Arabia, sono posti in fondo alle valli, e che tutte le città, borgate e villaggi della Palestina trovansi sopra qualche altura. Potrebbe ascriversi tale diversità alla rarità delle pioggie in Arabia, ed alla loro frequenza nella Palestina.

Questa provincia abbonda di selvaggiumi; e le pernici che incontransi attruppate, sono così grasse e pesanti che basta avere un bastone per prenderle: ma vi s'incontrano altresì in grandissimo numero le lucertole, i serpenti, le vipere, gli scorpioni, ed altri insetti velenosi. A questi incomodi animali si aggiungono le mosche d'ogni specie e così copiose, che i cavalli, i muli, i cammelli ne sono fieramente molestati. Ma che dirò delle formiche? Figurisi un vasto formicajo sopra l'estensione di tre giorni di cammino; e questa è la sola idea ch'io posso dare di ciò che vidi. La strada è tutta coperta di questi animaletti che vanno e vengono in tutti i tempi occupati dei loro giornalieri travagli.

Tra i villaggi da me veduti lungo la strada non doveva ommettere quello di Askalan, patria del celebre Erode.

Sortii di Jaffa il mercoledì 22 luglio alle due dopo mezzo giorno. Alle tre ore passai pel villaggio di Nazouv, e lasciandone diversi altri a destra ed a sinistra giunsi a Ramlè in sulle cinque ore della sera.

Il suolo è perfettamente eguale a quello attraversato il giorno 20.

Ramlè, che i cristiani dicono Ràma, è una città di circa duemila famiglie. La gran moschea è un'antica chiesa greca che conserva ancora un'alta bellissima torre.

Fui alloggiato in una gentile moschea, ov'è il sepolcro d'Aayoub-Bey, Mamelucco, che fuggito d'Egitto in tempo dell'invasione Francese, morì in questa città.

Alle nove ore della stessa sera ripigliai la strada, ed attraversando la città trovai molti degli abitanti uomini e donne riuniti in una piazza illuminata da molte fiaccole, e che danzavano al suono di varj istromenti. Questa unione dei due sessi in una città musulmana mi riuscì oltre modo spiacevole.

Appena uscito di città m'internai tra le montagne, ove fui costretto di sormontare scoscese rupi. Giunto sulla maggiore sommità alle due ore e mezzo del mattino, mi vidi circondato di nubi, e di nebbie staccate, che col chiarore della luna, e gli spaventosi precipizj che mi circondavano, formavano un imponente magnifico quadro.

Preceduto dalla guida, e seguito dalle mie genti a qualche distanza, camminavo tutto concentrato nella contemplazione di questo grandioso spettacolo, quando all'improvviso due vecchi si presentano e fermano la mia guida. Io non saprei descrivere l'effetto in me prodotto dalla subita loro apparizione.

La guida che li conosceva disse loro: sono musulmani. I vecchi ripigliano: no, sono cristiani. La guida gridando più forte: vi dico che sono tutti musulmani. Uno de' vecchi mi si avvicina, prende la briglia del mio cavallo, e mi dice: tu sei un cristiano. La guida ed i miei domestici gridano ad una voce: è musulmano, è fedele credente. Io non sapeva che farmi perchè ignorava le loro intenzioni, ed altronde pareva stravagante il loro procedere. Il primo vecchio ricomincia, e mi dice: per Dio tu sei cristiano. Io gli rispondo: buon uomo io sono musulmano, chiamato Sceriffo Abbassi, e vengo dal pellegrinaggio della Mecca. Allora il vecchio mi chiese la mia professione di fede, ch'io gli feci per compiacerlo; ed egli ci lasciò in libertà di continuare il cammino. Ma per quale ragione ostinavasi questo vecchio a credere ch'io fossi cristiano, senza avermi mai veduto, e senza avermi udito parlare?.. perchè io aveva un bournous turchino, colore in particolar modo usato dagli abitanti cristiani. Finalmente perchè questo attacco in tal luogo ed in ora così indebita? Perchè i cristiani e gli ebrei che vanno in Gerusalemme, pagano in questo luogo il tributo di quindici piastre a testa a profitto del sultano di Costantinopoli, e i due vecchi hanno l'appalto di questo tributo.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 mayıs 2017
Hacim:
201 s. 3 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain