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Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 3», sayfa 10
CAPITOLO XLI
Tragitto per andare a Suez. – Incaglio della nave. – Isola Omelmelek. – Continuazione del viaggio. – Accidenti diversi. – Sbarco d'Ali Bey a Gadiyahia. – Prosiegue il viaggio per terra.
Tutti i Daos che trovavansi nel porto dell'Iemboa riuniti a quelli che venivano da Djedda, ed a molti altri piccoli bastimenti carichi di caffè, misero alla vela il giorno 15 aprile a cinque ore e mezzo del mattino per passare a Suez. Il mio capitano comandava i Daos dell'Iemboa; ed un altro era alla testa di quelli di Djedda.
In tre giorni arrivammo nella rada detta el-maado, di dove vedeva al S. O. l'isoletta dell'Okàdi, ove mi salvai dopo il naufragio del mio tragitto per venire alla Mecca.
Domenica 19 aprile
Sembra che la sorte non abbia voluto ch'io facessi verun viaggio marittimo senza qualche accidente. Alle quattro e mezzo del mattino la nostra flottiglia fece vela con un leggier vento che portava al nord, ed alle sei ore il mio dao incagliò sopra uno scoglio a fior d'acqua: la scossa fu terribile, e riportò una grande apertura all'estremità della chiglia dalla banda di prua, per cui entrava l'acqua in abbondanza. Come dipingere la confusione ed il turbamento dell'equipaggio in così fatale momento…! Io mi affretto di guadagnare la scialuppa seguito da due domestici e da pochi pellegrini portando meco le carte, ed i miei strumenti. Presenti a tanto disastro, tutti gli altri bastimenti ammainano le vele, e mandano le loro scialuppe in soccorso del dao naufragato.
Il nostro primo pensiero, tosto che fummo in sicuro, fu di presentarci per essere ricevuti in un altro bastimento. Il capitano cui prima mi rivolsi rifiutò di ricevermi. Ebbi lo stesso rifiuto da un secondo; e mi fu detto che in tali circostanze, sventuratamente troppo frequenti su questo mare, è stabilito di non ricevere a bordo alcun uomo, nè alcuna parte del carico del bastimento naufragato finchè il capitano non dia il segno di farlo, perchè la cosa interessa il suo onore. Fummo perciò costretti d'aspettare nella scialuppa la nostra sorte.
Convinto dell'impossibilità di fermare la quantità d'acqua ch'entrava nella stiva, il capitano diede il convenuto segnale, e tosto fummo ricevuti a bordo di un altro bastimento. Una parte del carico fu posto sopra le scialuppe per essere diviso sugli altri Dao; e così alleggerito si rimise a galla, e venne a dar fondo col rimanente della flotta tra un'isola vicina e la terra ove fu scaricato affatto, disalberato e messo alla banda. Questa scena non lasciava d'essere interessante. Figurinsi circa trecento marinai affatto nudi, quasi tutti neri in atto di tirare a terra il carcasso del Dao disalberato; in faccia tutta la flotta ancorata, coperta di pellegrini, e di passeggieri chiamati sui ponti dalla curiosità, mentre il capitano del naviglio naufragato, ancora stordito sedeva sul fianco, e gli altri capitani comandavano la manovra; aggiugnetevi il tumulto e le confuse grida che impedivano d'intendersi; tale fu lo spettacolo che durò tutta la notte. Gli Arabi Bedovini non mancano mai d'accorrere coi loro battelli in somiglianti occasioni, quantunque assai lontani dal luogo del naufragio, per vedere se loro riesce di rubare qualche cosa. Molti ci si avvicinarono in fatti, e se fossimo stati soli, non avrebbero lasciato di spogliarci. Io era accampato sull'isoletta, la maggior parte del carico e gli attrezzi erano al mio lato, i battelli de' Bedovini erano ancorati a poca distanza dalla mia tenda; ma noi li osservavamo. Intanto si rimpalmava la nave, talchè la mattina del 20 si potè metterla più al secco, e tutti i falegnami della flotta travagliavano intorno alla medesima.
La mattina del 19 morì un passaggiere sul bastimento, pellegrino Turco, e personaggio di considerazione. Morì pure un marinajo di uno de' vascelli del sultano Sceriffo della Mecca, e furono sepolti senza veruna ceremonia nell'isola.
Si continuò il lavoro ne' giorni 21 e 22, nel qual tempo presi la latitudine dell'isola che trovai di 25° 15′ 24″. Non potei fissarne la longitudine per causa delle nubi, ma credo potersi fissare a circa 33° 59′ 45″ dell'osservatorio di Parigi.
Nel dopo pranzo del 22 le riparazioni del dao erano terminate. Allora i capitani e gli equipaggi di tutta la flotta si riunirono per metterlo a galla, lo che si fece durante la notte in mezzo alle grida, ed al tumulto come quando fu tirato a terra. Si occuparono in appresso a ristabilire i cordaggi e le vele, ed a rimbarcare il carico.
Il 23 il Dao fu compiutamente ricaricato, ed avanti il cadere del sole era pronto per mettere alla vela.
Venerdì 24
Di fatti alle cinque e mezzo del mattino dirigendosi all'O. con una serie intermittente di venti variabili e di calme si andò ad ancorarsi alle tre ore presso all'isola Schirbàna.
Sabato 25
Essendo partiti alle quattro e mezzo del mattino con un vento contrario di nord assai forte, si corsero parecchie bordate fino alle tre, e si lasciò l'ancora all'isola Aleb.
I colpi di vento che avevamo provati, avevano cagionate delle avarie a tutti i bastimenti; il nostro ebbe l'antenna spezzata che fu rimessa all'istante; e molti altri dao furono tirati a terra per aggiustare le vele squarciate. Alle sette della sera, sette dao non erano ancora arrivati.
Qual mare è mai questo! esso è così sparso di scogli e di banchi, che la più leggiera negligenza basta per occasionare un naufragio; si deve ad ogni istante attraversare canali quasi impraticabili, ed ordinariamente con un terribil vento, che accresce il pericolo, e l'allarme.
Domenica 26
Alle cinque ore del mattino eransi già levate le ancore, e si viaggiava all'ovest.
Alle sette ore un dao dello Sceriffo facendo una falsa manovra ci venne sopra, e toccò dolcemente il nostro bordo; ed in seguito rivolgendosi da poppa tornò sulla prora, e la urtò con tanta violenza che ne portò via una parte. Fortunatamente quest'accidente accadde in un mare aperto e tranquillo, senza di che poteva avere pessime conseguenze.
Lunedì 27
Vedemmo finalmente ricomparire i daos, che il cattivo tempo aveva tenuti addietro: partimmo di conserva a sette ore del mattino, e si raggiunsero que' bastimenti che avevano jeri continuato il loro viaggio. Rinforzando un vento contrario d'ovest, e fattosi il mare assai grosso, fummo costretti di ancorarci alle undici e mezzo del mattino presso di un'isola riguardata come il punto di mezzo del tragitto da Suez a Djedda, nella quale si venera il sepolcro di un santo detto Scherih Morgob. Dal mio bastimento vedeva la cappella, che è metà casa e metà baracca. L'isola porta il nome del santo, e come tutte le altre isole Hamarà è bassa, piccola, formata di sabbia, e circondata di scogli. Trovai la latitudine di quest'isola di 25° 45′ 47″ N.
L'acqua della nostra nave era già affatto corrotta, onde per beverla era duopo chiudersi il naso, tanto era puzzolente; ma ad ogni modo lasciava dopo bevuta nella bocca e nella gola un odore insopportabile.
Martedì 28
Alle cinque ore e mezzo del mattino la flotta veleggiava con leggier vento che ben tosto mancò. E dopo mezzo giorno essendosi rinforzato il vento contrario si camminò bastantemente per giugnere alle quattro ore a Vadjih sulla costa d'Arabia porto assai piccolo, ma bello molto e ben coperto dai venti, e l'unico di questa costa provveduto di buon'acqua. Quando arrivai vidi una specie di pubblico mercato per la vendita dell'acqua: erano molti Arabi, uomini e donne coi loro cammelli, e con una quantità d'otri pieni d'acqua posti a varj ordini sulla riva del mare.
Dietro buone osservazioni ho potuto fissare la latitudine settentrionale di Vadjih a 26° 13′ 39″.
Mercoledì 29
I venti di nord-ovest non ci permettono di uscire dal porto, ove ci raggiungono tre dao rimasti addietro.
Giovedì 30 aprile
Una violenta burrasca non permette l'arrivo degli altri daos. In questi giorni d'ancoraggio aveva raccolti diversi oggetti di storia naturale; ma accortisi delle mie ricerche gl'ignoranti miei compagni di viaggio, ed incominciando a sospettare intorno allo scopo di questa raccolta, fui forzato di sospenderla.
1 e 2 maggio
Benchè arrivassero gli altri bastimenti, fummo costretti dal vento a restare ancorati.
Domenica 3 maggio
Finalmente tutta la flotta uscì dal porto alle cinque del mattino dirigendoci a nord-ovest; ed a mezzo giorno diede fondo presso ad uno scoglio.
Lunedì 4
Ad un'ora dopo mezza notte eravamo già in viaggio con vento variabile ed interrotto delle calme, finchè fissato all'O. N. O. ci portò felicemente al porto di Demeg, posto sulla costa d'Arabia. Avevamo fin allora generalmente tenuta la direzione di N. O. e sempre rasentando la costa; ma eravamo finalmente usciti da questo pericoloso labirinto di scogli, che per tanta parte della nostra navigazione minacciava d'inghiottirci ad ogn'istante.
Eccellente è il porto di Demeg e ben chiuso da montagne che sembraronmi argillose, e si prolungano fino alla riva. Nel circondario vedonsi alcune piante, ma in piccola quantità. Ci si presentarono diversi Arabi ed Arabe per venderci dei montoni. Mi fu detto che questa gente è assai cattiva.
Martedì 5 fino all'8
Si spiegarono le vele allo spuntare dell'alba, ma rinfrescatosi il vento assai si dovette dar fondo alle otto del mattino a Libeyot. Poco viaggio si fece anche i giorni 6, 7 e 8, in cui si rimase all'ancora presso ad una delle isole Naamàn, ossia degli Struzzi.
Sabato 9
Alle quattro del mattino eravamo in mare. Alla calma tenne dietro ben tosto un vento contrario assai violento, che durò fino alle sette ore, dividendosi allora in molti fili paralleli, di modo che la flotta che formava un solo ordine, presentava il più singolare spettacolo; mentre un dao correva a piene vele, un altro rimaneva in perfetta calma, e così alternativamente sopra tutta la linea, benchè la distanza di un dao all'altro non fosse maggiore di dugento tese. Questo fenomeno durò quasi un'ora, quando fissatosi il vento all'O. N. O. si potè continuare il cammino. Poco dopo mezzo giorno si gettò l'ancora a Kalaat-el-Moïlah che è un alcassaba quadrato, che può avere cento tese di fronte con una torre ad ogni angolo, ed un'altra in mezzo ad ogni lato.
Entro l'alcassaba trovasi un cattivo villaggio con una moschea. L'acqua de' suoi pozzi è assai buona; e vi si trovano alcuni bestiami, polli, e piantagioni di palme fuori delle mura, ma il restante del paese non è che un arido deserto. Gli abitanti possedono alcuni pezzi di cannone che attestano l'antica loro indipendenza. Al nostro arrivo spiegarono bandiera rossa, e la nostra flotta fece lo stesso. Alcuni di loro vennero a visitare il nostro capitano, ma gli uomini di poche scialuppe smontate per cercare acqua e comperare commestibili ottennero con difficoltà di essere ammessi entro le mura; tanto sono essi diffidenti! Lagnansi costoro de' Wehhabiti, che li sottomisero, come gli altri popoli dell'Arabia, al loro dominio, ed al pagamento della decima; ma non entrò verun impiegato nel villaggio.
In questo luogo la costa forma una vasta baja, in fondo alla quale è situato l'Alcassaba. Vedevansi in questo giorno le montagne dell'Affrica, che d'ordinario le carte geografiche pongono lontane ottanta miglia da Kalaat-el-Moïlah, quantunque assai più vicine. La latitudine di questo Alcassaba dovrebb'essere di 17° 10′ 51″.
Domenica 10
Si partì alle due del mattino con leggier vento, seguito da una perfetta calma, durante la quale avendo fatte nuove osservazioni che confermavano quella di jeri, non potei più dubitare dell'errore, di più di mezzo grado nella posizione che le carte danno a Kalaat-el-Moïlah. Osservai inoltre che le montagne vedute il giorno innanzi non appartengono altrimenti all'Affrica, come indicano le carte, ma alla terra di Tor, e fanno parte del capo Mohamed nell'Arabia.
L'isola Schram, ove ci trovavamo ancorati è posta all'imboccare del Bahar el-Aakaba, ossia seno del mar Rosso, che s'interna nell'Arabia.
Lunedì 11 e Martedì 12
Si ebbero due burrasche terribili che danneggiavano il dao, e non ci permisero di oltrepassare la rada di Ben-Hhaddem, di dove vidi effettivamente le alte montagne dell'Affrica.
Mercoldì 13
Questo viaggio incominciava a diventare insopportabile. Il 13 morirono quattro uomini sopra un dao dello Sceriffo, un altro sul nostro, e ve ne avevano molti altri gravemente ammalati, che rifiutavansi di prendere verun medicamento in conseguenza del loro sistema del fatalismo, di cui erano stati vittima i loro compagni. Medicava per altro alcuni altri ammalati, e due feriti; cioè il mio capitano, che aveva una forte contusione ad una gamba, ed il capitano d'un dao gravemente ferito sotto la pianta d'un piede. Queste due ferite si avvicinavano alla loro guarigione, ma la mia piccola spezieria era quasi esausta.
Giovedì 14
Si mise alla vela alle otto ore del mattino a fronte di un vento assai forte, e di un mare sparso di scogli che lascia appena un angusto passaggio alle navi, ed arrivammo finalmente in un bel porto detto Gadiyahia.
Venerdì 15
Una terribile burrasca ci forzò a restare ancorati. Fin da jeri il mio capitano mi aveva esibito di procurarmi quattro cammelli, e tutti i mezzi di sicurezza per il mio viaggio, qualora avessi preferito di andare a Suez per terra. Veramente avrei amato di visitare Djebel-Tor, Tour Sinina, ossia Monte Sinai; ma non potendo più reggere alle fatiche di così aspra navigazione, mi disposi a partire la stessa sera, montato sopra un cammello, scortato da due miei domestici, da un cuciniere e da uno schiavo, con quattro cammelli; e lasciando nel bastimento il resto delle mie genti, e dell'equipaggio, diedi allegramente l'ultimo addio al mare.
CAPITOLO XLII
Viaggio a Suez. – Disputa degli Arabi. – El-Vadi-Tor. – El Hammam Firaoun. – El-Wad Corondel. – Sorgenti di Mosè. – Arrivo a Suez. – Petrificazioni del mar Rosso. – Abbassamento del suo livello. – Corrispondenze su questo mare. – Viaggio al Cairo.
Lo stesso giorno, 15 maggio, partii due ore dopo mezzogiorno montato sopra un magnifico cammello ornato di funicelle, di fiocchi e di piccole conchiglie, e seguito dalle mie genti montate anch'esse sopra i loro cammelli.
Mezz'ora dopo raggiunsi una carovana, alla quale mi associai, e dopo aver mangiato insieme, continuammo il cammino nella stessa direzione facendo alto alle due della notte per prendere riposo.
Sabato 16
La carovana composta di quaranta cammelli, di sessanta uomini e di tre donne, si pose in cammino alle cinque ore del mattino. È cosa notabile ch'io non feci verun viaggio coi musulmani per terra o per mare senza che vi fossero donne: vero è che allora la circospezione richiede che si riguardino come fantasmi, o come carichi posti sopra un cammello, o in un angolo del bastimento. La carovana era formata di turchi scacciati dalla Mecca, e da Djedda, e di pellegrini parte a piedi e parte a cavallo.
Alle dieci ore si fece alto in un eremitaggio quasi ruinato, dedicato ad un santo detto Sidi-el-Akili, il di cui sarcofago sussisteva ancora perchè i Wehhabiti non erano colà arrivati. Il freddo era piccante assai, ed incomodava molto un gagliardo vento di N. O. da cui vedevasi il mare agitatissimo. Si ripartì alle due, e si fece alto presso alcune case abbandonate del porto di Tor, ove fui testimonio della più comica scena che possa immaginarsi. Gli Arabi cammellieri dovevano continuare la loro lite sul riparto del carico dei cammelli, perchè è tra loro generalmente convenuto, che all'istante dello sbarco ognuno carichi tutto quanto può prendere: fin qui non parlano, ma appena sono giunti alla prima stazione hanno la libertà di contrattare insieme finchè arrivino ad un gruppo di palme, ove la lite deve terminarsi: allora tutto rientra nel buon ordine, ed ognuno deve accontentarsi di ciò che la sorte, il caso, o l'effetto della disputa gli ha procurato.
Fino dal principio del viaggio aveva osservato che alcuni cammellieri borbottavano tra di loro; ed avendone chiesto il motivo mi fu risposto, che la querela doveva terminarsi nella città di Tor.
Colà giunti fanno scendere a terra tutta la gente della carovana, e cominciano tra di loro la più accanita lite. Voleva interpormi per metter pace, ma mi fu risposto che era la costituzione. Lasciai dunque che continuassero la loro disputa, e li vidi mettersi in giro bocconi per terra, levarsi, e sempre parlando rimettersi nella prima positura in distanza di dieci passi, finchè finalmente chiamarono un vecchio per decidere le loro differenze. Il vecchio arriva e giudica. Gli uni si accontentano della sua decisione, gli altri chiamano un altro vecchio, e si rinnova la medesima scena. Scaricano alcuni cammelli per caricarne alcuni altri, e la disputa continua nello stesso modo, e colle grida di prima. Finalmente si rimonta a cavallo, e la carovana incomincia a camminare; ma la rissa non cessa: gli uni ritengono i cammelli; altri corrono per giugnere più presto al luogo in cui deve cessare la disputa. Talvolta fanno far alto a tutta la carovana stringendosi in cerchio in mezzo alla strada, riscaldandosi e gridando a perdita di fiato. Cammin facendo cambiano ancora alcuni carichi, e si prendono pel collare in atto di venire alle mani. Quando arrivati al gruppo delle palme si grida ad una voce Hhalòs! Hhalòs! (basta, basta). Tutti rimangono immobili come fittoni, e la carovana riprende pacificamente la strada. Io non poteva ritenere le risa; ma mi si diceva sempre, è la costituzione. Applaudii alla semplicità di queste genti, che davvero non hanno la fierezza degli Arabi dell'Hedjaz.
Si proseguì il viaggio fino alla borgata di Sadi Tor, distante una lega da Tor; ed io presi alloggio in una di quelle case.
Gli abitanti di Tor abbandonarono la città ed il porto, perchè frequentemente vessati e maltrattati dagli equipaggi dei daos, che vi davano fondo: e perciò le case rimaste vuote vanno cadendo in ruina, non servendo che di ricovero ai pescatori.
Gli abitanti che trasportarono le loro famiglie ad el-Wadi-Tor, vi si trovano assai meglio, perchè quantunque tal luogo sia posto in fondo ad una valle, vi è acqua in abbondanza ed a non molta profondità. Tutte le case hanno un largo pozzo che serve ad innaffiare i giardini, ove abbondano le palme, i fiori, i legumi ed i frutti.
Domenica 17
Si rimase tutto il giorno in questo villaggio composto di trenta famiglie greche, e di un minor numero di musulmane. Benchè così poco popolato occupa un grande spazio di terreno pei giardini uniti ad ogni casa, e circondati di muri alti sei piedi.
Io era alloggiato in casa di un musulmano, nel cui giardino trovai alcune belle piante. Ricevetti la visita del curato greco, vecchio venerabile, dipendente dall'Arcivescovo del monte Sinai, da cui dipendono pure tutti i Greci di questa parte dell'Arabia. Quando andai a rendergli la visita mi fece vedere una Biblia in arabo ed in latino, che suppongo stampata in Venezia, benchè mancante de' primi fogli, ne' quali avrebbe dovuto trovarsi la data. Tutti i preti di questo paese dicono la messa, e le altre preghiere in arabo. Il curato mi diede il Pater scritto da lui medesimo in questo idioma.
L'arcivescovo del monte Sinaï è indipendente. I greci hanno quattro patriarchi, di Costantinopoli, di Alessandria, di Gerusalemme, di Antiochia. Hanno inoltre quattro arcivescovi, cioè quello di Russia, di Angora, di Cipro, e del monte Sinaï. Questi otto dignitarj indipendenti gli uni dagli altri, hanno sotto di loro tutti i ministri e tutti gl'individui del rito greco.
Il Papasso, o curato, mi disse ch'ebbe nelle sue mani tre disegni del monte Sinaï, che donò all'ammiraglio Sir Home Popham, e a due altri Inglesi.
Lunedì 18
Il passaggio del sole osservato questo giorno, ed osservato anche il giorno precedente mi diede la latitudine settentrionale di 28° 18′ 51″. Tor trovasi distante tre miglia al sud-est, ed io conto sulla mia longitudine cronometrica 51° 12′ 15″ dell'osservatorio di Parigi, osservato nel mio primo viaggio. Così la posizione geografica dei punti principali della Arabia da Suez fino alla Mecca resta esattamente determinata.
Gli abitanti di Tor vestono come quelli di Hedjaz: ma se ne vedono molti coperti di un caftan di drappo, e di un turbante. I cristiani lo portano turchino; ed alcuni costumano una grande camicia dello stesso colore. Non vidi alcuna donna, ma soltanto qualche brutto fanciullo, sudicio e ributtante.
Il curato cristiano porta una veste nera, una berretta dello stesso colore in figura di cono troncato e rovesciato, ed un fazzoletto turchino o nero. L'attuale Papasso, detto Bàba Cheràsimus Sinaiti, è un uomo di cinquantott'anni, con venerabile barba bianca come la neve: è assai intelligente, e di ottimo carattere. La sua influenza non si ristringe sui soli cristiani, ma anco sugli arabi del circondario, per lo che gl'individui delle due religioni vivono in buona unione. Egli si lagna della mancanza delle mercanzie francesi cagionata dalle guerre d'Europa. Il paese scarseggia di carni, ed abbonda di pesci. I datteri sono piccoli, ma buoni, di cui si fa pane; ed i cristiani ne traggono un eccellente aceto.
Il Papasso, che ha viaggiato in molte parti della Turchia, mi assicurò, che al monte Sinaï, non molto lontano da Tor, trovasi molt'acqua ed assai buona, come pure molti giardini ricchi di aranci, limoni, peri, e di altri alberi fruttiferi.
L'arcivescovo del monte Sinaï detto Constanzio era allora in Egitto, ove stava ammassando denaro, perchè non poteva prendere possesso della sua sede senza regalare cinquantamila franchi agli arabi del vicinato.
Dopo mezzo giorno vidi tutta la nostra flotta passare con piccoli venti in faccia a Tor; di dove io partii un'ora avanti il tramontare del sole, e si fece alto per riposarci alle dieci ore.
Martedì 19
Alle cinque del mattino marciando nella direzione di N. ¼ N. O. sopra un terreno sempre arenoso, fummo sorpresi da un caldo insoffribile. Invano già da qualche tempo sentivamo il bisogno di fermarci; che non si trovavano alberi, nè luoghi ombrosi per salvarci dagli ardenti raggi del sole. Scoprimmo alla fine alcune basse macchie, all'ombra delle quali si fece alto alle dieci del mattino. Bentosto fu alzata la mia tenda, ed io mi affrettai di entrarvi per ispogliarmi degli abiti che mi soffocavano. Questa diversità di temperatura così contraria all'acuto freddo di sabato dipende unicamente dal vento dominante.
Essendosi in sul mezzo giorno levato un venticello fresco, si riprese il cammino, ed alle sei della sera la carovana si fermò nella valle di Fàran, Wadi Fàran, ove tanti secoli prima si fermavano pure i figliuoli di Giacobbe.
La valle di Faran è generalmente calcarea, ed il suo suolo assai disuguale. È chiusa da alte montagne, nelle di cui roccie vidi molte belle breccie argillose, miste di ciottoli antichi e moderni. Vi abbonda il genere selcioso, e si trova molta pietra focaja. La vegetazione si riduce a pochi arbusti di abeti.
In questo luogo fui testimonio di una trista scena. Circa quaranta poveri pellegrini a piedi trovavansi senz'acqua. Piangevano tormentati dal bisogno della sete, ma niuno li soccorreva, perchè eravamo in un deserto, che ci obbligava a conservare l'acqua come un tesoro. Un pellegrino a cavallo che aveva terminata la sua acqua ne acquistò una mezza pinta all'incirca per cinque franchi. Io diedi da bevere ad alcuni di quegl'infelici, ma come mai soddisfare al bisogno di tutti?.. Mio malgrado dovetti appigliarmi al partito di chiudere gli occhi e le orecchie, per non trovarmi io ed i miei domestici vittima in breve della mia compassione.
Si continuò a camminare lungo la valle, il di cui dolce pendio ci condusse in poco tempo alla riva del mare; di dove piegando ancora a N. O. e N. N. O. mi fermai per riposarmi alle undici ore sulla spiaggia del mare.
Mercoledì 20
Alle due e mezzo del mattino la carovana era già in moto, ed io ne affrettava la marcia per arrivare più presto ad una fonte. Giunti poco prima di mezzodì ad Almarra lontano due miglia dal porto di questo nome, mi fermai, mentre alcuni della carovana si staccarono con tutti i cammelli per cercare l'acqua nelle montagne lontane due leghe dalla banda di levante.
Il passaggio del sole mi diede per latitudine settentrionale 29° 1′ 41″. La longitudine del Capo osservata nel mio precedente passaggio fu di 36° 43′ 25″. Questo capo forma l'estremità meridionale del territorio e del porto Hamam Firaun. Il paese è coperto di piccolissimi abeti, al cui rezzo si ristorano i viaggiatori. Tutto questo territorio fino al burrone detto Wadi Corondel è conosciuto sotto il nome di bagno di Faraone; nome venutogli da una sorgente d'acqua calda minerale sulfurea, ove vengono a bagnarsi alcuni ammalati.
Alle nove della sera si camminò lungo tratto sulla spiaggia; poi piegando al N. ed al N. N. O. si lasciò a mezza notte la spiaggia per entrare in uno stretto burrone in mezzo a montagne argillose tagliate a picco, come un muro sparso di frequenti spaccature bizzarramente disposte, che sembrano un muro di città mezzo ruinato. A mezza notte si fece alto.
Giovedì 21
Si continuò il viaggio per lo stesso burrone, che ha l'aspetto d'una grande spaccatura cagionata dal tremuoto. Le montagne argillose sono composte di strati perfettamente orizzontali, e talvolta obliqui, dai dieci ai quindici gradi dal nord al sud.
Alle sette ore si cominciarono a vedere piante e palme selvaggie in fondo alla valle indizio sicuro di vicine acque. Di fatti si arrivò ben tosto ad una piccola sorgente d'acqua dolce, la prima che si trovi lungo questa strada dopo Tor.
Alle nove del mattino eravamo passati presso la montagna dell'acqua termale che dà il nome a tutto il distretto. Nel luogo in cui ci eravamo fermati all'ombra di molte belle palme selvaggie, eravi un pozzo di acqua ma non troppo buona.
Si camminò da un'ora dopo mezzo giorno fino alle tre, ed allora si fece alto presso al torrente Wadi Corondel. Mezz'ora prima aveva scoperto il mare e la costa d'Affrica assai vicina.
Il Wadi Corondel è un torrente asciutto che ha una fonte d'acqua assai buona, ed è coperto di abeti e di palme. Feci accampare la carovana fuori del suo letto, perchè gli arabi dicono che sonovi molti rettili velenosi; ma a fronte di tutte le diligenze da me praticate nelle macchie, nelle cavità, e dovunque sperava di poterne trovare, non vidi che moltissime grosse formiche, ed un piccolo insetto, di cui non seppi sovvenirmi il nome, ma non malefico.
Cammin facendo aveva trovato una lucertola lunga otto pollici, perfettamente bianca. Questo animale, un corvo, due piccoli uccelli, alcune formiche e mosche furono i soli esseri viventi da me veduti in quell'arido deserto.
Alle nove della sera si proseguì il viaggio nella direzione di N. N. O. in mezzo a basse montagne, e si fece alto alle undici ore per passarvi la notte che fu freddissima.
Venerdì 22
Alle cinque ore andando sempre a N. N. O. scesi alcune collinette, di dove giunsi in una vasta pianura, ove si riposò fino a mezz'ora dopo mezzo giorno. Parmi che questa pianura affatto arida, e le colline attraversate prima chiaminsi dai cristiani: il deserto dello Smarrimento, o deserto di Faran. Alle undici della sera si arrivò ad un burrone ove si fece alto.
In sul far del giorno, svegliandoci, eravamo bagnati da un'abbondante rugiada; ed alle cinque ore si partì alla volta di Suez, che già vedevasi a molta distanza. Giunto alle sei ore e tre quarti presso ad Aàïon Moussa, ossia sorgenti di Mosè, mi fermai quasi due ore. Altro non sono queste sorgenti che poche buche sopra una sommità contenenti un'acqua verdognola e fetida; ridotta senza dubbio in tale stato dal lavarvisi gli uomini, e dall'entrarvi che fanno liberamente le bestie.
Durante la campagna d'Egitto i Francesi spinsero fin qui le loro scorrerie, e suppongo che i dotti che trovavansi in quella spedizione avranno data una circostanziata descrizione di queste sorgenti. Avendo ripresa la strada alle otto ore, e giunti sulla spiaggia in faccia a Suez, entrammo in un battello per attraversare quel braccio di mare che può avere poco più d'un miglio di larghezza, e con sì poco fondo, che il battello rimase lungo tempo incagliato in mezzo al tragitto: finalmente sbarcammo a Suez alle undici ore. Poco più alto trovasi un passaggio, ove i cavalli ed i cammelli possono sempre passare.
La nostra flotta aveva dato fondo nel porto.
Dietro un gran numero di osservazioni e di confronti per fissare il cammino della carovana in un tempo determinato, dopo aver calcolata la lunghezza ed il numero dei passi, e confrontate le ore di cammino colla diversità di latitudine osservata in due punti; finalmente avuto riguardo alla obliquità delle linee scorse, trovo per un termine medio che la carovana corse ordinariamente 13,392 piedi parigini, o 2,232 tese per ora. Siccome la strada di Tor a Suez segue quasi costantemente la linea del meridiano, questi confronti ed i loro risultati sono assai più esatti che tutti i calcoli che avessi potuto fare sopra linee più oblique o più lontane dal meridiano.
Se per una parte la natura è quasi morta per la vegetazione sulle coste del mar Rosso da me visitato, è invece attivissima e feconda di fossili. La somma abbondanza dei molluschi, dei polipi, e delli zoofiti somministra la materia delle concrezioni calcaree, e la poca profondità di questo mare, unita alla temperatura elevata dell'atmosfera, contribuisce in modo ad accelerare queste operazioni della natura, che per l'osservatore che vuole studiare e conoscere a fondo i fenomeni della petrificazione, io credo che non siavi miglior gabinetto al mondo delle coste del mar Rosso.
Benchè le circostanze mi vietassero di fare continue osservazioni, la natura travaglia qui in così visibile maniera, ch'io credo d'averla talvolta colta in sul fatto. Ho raccolte delle conchiglie nell'istante su cui stavano per conglutinarsi colla massa pietrosa che le circondava, altra ne raccolsi impietrita per metà. Ma ciò che è più interessante, è un banco di pietra calcarea che formasi attualmente nella parte orientale dell'isola Om-lmelek.
Qui è dove ho potuto osservare tutte le gradazioni dell'impietrimento dall'arena, ossia attritus pulverulentus delle conchiglie fino alla roccia compatta; e ciò che trovai di più maraviglioso in questa scala d'impietrimento, è che il detritus delle conchiglie di già amalgamato e diventato concreto, benchè ancora friabile, e di facile spezzatura, trovasi impregnato d'una specie d'olio volatile, che ugne le dita toccandolo: ma quest'olio si volatilizza e sfuma in poco tempo. Nel solo spazio di sei in sette piedi trovansi tutte le gradazioni dell'impietrimento; cioè l'arena incoerente, l'arena convertita in pasta molle, la parte che comincia ad indurirsi, la pietra friabile, la pietra molle e la pietra dura. Questa gradazione è ugualmente sensibile sulle spiaggie del mare. Colsi alcuni esemplari di tutte le curiosità: ma quanto mi pesa lo staccarmi da un luogo così interessante senza poter fare una folla d'osservazioni, che forse sarebbero feconde d'incalcolabili risultati pei progressi della scienza! Io raccomando lo studio di questo banco ai viaggiatori che dopo di me visiteranno queste contrade.
