Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4», sayfa 3
CAPITOLO XLVIII
Acque di Damasco. – Cristiani. – Commercio, prodotti, clima. – Razze dei cavalli. – Abiti. – Donne. – Sanità. – Scuole. – Governo. – Fortificazioni. – Bedovini di Anaze. – Salakhie.
Damasco è in modo provveduta di acqua che tutte le case hanno più fontane; non servendo le pubbliche che all'inaffiamento delle strade. Queste acque formano una quantità di canali: ma derivano da due soli fiumi, che dopo essersi uniti in un solo, dividonsi poi in sette rami, dai quali viene distribuita l'acqua in tutta la città.
Trovansi nella città di Damasco più di cinquecento magnifiche case, che possono dirsi palazzi; che per altro non essendo esternamente ornati di belle facciate non contribuiscono all'abbellimento della città. Tutte le comunioni cristiane hanno le particolari loro chiese, Greci, Maroniti, Siriaci, Armeni, ed inoltre sonovi tre conventi di Francescani, uno di osservanti Spagnuoli, e due di Cappuccini Italiani.
Il Patriarca greco d'Antiochia risiede a Damasco, ove riceve determinate tasse pei battesimi, pei matrimonj, pei funerali de' cristiani d'ogni rito, che sono obbligati di presentarsi innanzi al ministro da lui delegato a quest'effetto.
Vi sono otto sinagoghe di Ebrei, che allora, per quanto mi fa detto, erano assai ben trattati. Per altro mi è parso, che il fanatismo del popolo di Damasco avanzi quello degli Egiziani, perchè un Europeo non potrebbe senza pericolo mostrarsi ove non sia vestito all'orientale. Un cristiano, un ebreo non può andare a cavallo per città, e neppure valersi di un asino.
Si contano dugento negozianti molto accreditati, tra i quali i due più ricchi sono Sckatti, Mehemet Sua, a cadauno dei quali si attribuiscono in circolazione quattro o cinquemila borse (cinque milioni di franchi).
Il commercio si fa d'ordinario colle carovane, di cui le più considerabili sono tre: 1.º quella della Mecca maggiore d'ogni altra, che faceva il viaggio una volta all'anno; ed ora da qualche tempo sospesa per l'invasione de' Wehhabiti1: 2.º quelle di Bagdad che vengono a Damasco tre o quattro volte all'anno scortate da oltre duemila cinquecento persone armate: 3.º Le carovane d'Aleppo che partono d'ordinario due o tre volte al mese, e rimangono dodici giorni nel viaggio, quando un corriere montato sopra un dromedario fa questo viaggio in tre giorni. Contansi ancora varie altre minori carovane che ogni giorno arrivano o partono per Beruti, Tripoli di Siria, Acri, ed altri luoghi.
A fronte della eccessiva loro abbondanza i viveri si vendono in Damasco a più alto prezzo che altrove; e ciò a cagione del moltissimo numerario che vi condensa la straordinaria attività del suo commercio.
I principali prodotti del suolo sono formento, orzo, canape, uva, meschmesch, specie d'albicocca che si fa seccare, pistacchj ed ogni qualità di frutti. Poca, ma bellissima è la seta che vi si raccoglie, ed il rimanente che manca al consumo delle sue fabbriche s'importa dai vicini paesi, come pure tutto il cotone, che non si coltiva nel territorio di Damasco. Benchè il raccolto del mèle sia abbondantissimo, gli abitanti non appresero ancora a lavorare la cera; non sapendo fare che cattive candele gialle. Riceve lo zucchero dall'Egitto e dall'Europa, e tutto il riso dall'Egitto.
La fertilità del terreno è tale, che gli abitanti non ricordano veruna cattiva annata. Perciò gli agricoltori trovansi generalmente nell'agiatezza, quantunque aggravati da enormi tasse, e dall'arbitrario mantenimento delle truppe.
Il clima di Damasco è piuttosto dolce, non essendo troppo freddo d'inverno, e venendo i calori dell'estate temperati dalla freschezza delle acque, dalle ombre degli alberi, dalla disposizione delle case, ec. Alcuni anni nevica ancora in Damasco; ogni anno sulle vicine montagne. I più ordinarj venti sono quelli di levante e di ponente, ma senza periodo determinato. Da aprile fino al novembre piove rarissime volte; e regolari e moderate sono le pioggie degli altri mesi, e sempre portate dai venti occidentali. Lo scioglimento delle nevi sulle montagne incomincia in aprile e talvolta in marzo; ma la sommità delle più alte ne rimane sempre coperta; lo che procura a Damasco l'abbondanza del ghiaccio a moderati prezzi tutto l'anno.
Mi si faceva credere che incomodo riuscisse il soggiorno di Damasco per la copia delle cimici, delle pulci e delle zanzare; ma io ne vidi pochissime; e solo mi furono moleste le morsicature assai dolorose dei tafani indigeni di questo paese.
Pochissimi e poco velenosi sono i serpenti e gli scorpioni.
I muli e gli asini non sono più buoni di quelli dell'Egitto, e rispetto ai cavalli io mi sono procurate le seguenti notizie. Sei sono le più conosciute razze; la prima detta djelfè trae la sua origine dall'Arabia felice, ossia dell'Ieman: cavallo maraviglioso al corso, e nelle battaglie; agilissimo, pieno di fuoco, instancabile e sofferente oltre ogni credere della sete e dalla fame; non pertanto docile come un agnello, senza collera, e che nè spranga, nè morde mai. Conviene però nudrirlo scarsamente, e tenerlo continuamente esercitato. È alto di taglio di groppa, ha il collo sottile, e le orecchie piuttosto lunghe. Non può dirsi questo il più bel cavallo, ma è incontrastabilmente il migliore. Un cavallo perfezionato di questa razza, vale a dire di due in tre anni, costa per lo meno duemila piastre turche.
La seconda razza detta seclàoui è indigena della più orientale regione del deserto. È in tutto somigliante alla precedente; tranne pel luogo della nascita; imperciochè i più esperti conoscitori li distinguono a stento, ed uguale ne è il valore, quantunque si preferiscano i cavalli della prima razza.
Ma soprammodo belli sono i cavalli della terza razza detti ooel mefki, inferiori per altro ai precedenti nella velocità del corso. Vengono a Damasco dai vicini deserti, e costano d'ordinario dalle mille alle mille cinquecento piastre. Hanno le belle proporzioni dei cavalli dell'Andalusia, e sono in Damasco assai comuni.
I cavalli della quarta razza, detti ooel sabi, rassomigliano affatto a quelli della terza, da cui non li distinguono che i più sperimentati veterinarj; e costano dalle mille alle mille dugento piastre quando non abbiano difetti, e non più di quattr'anni, nè meno di tre.
La quinta razza a cui si dà il nome d'ooel treidi, è la più comune, siccome quella dei contorni di Damasco, e somministra cavalli abbastanza belli e buoni: ma tra questi ve n'hanno assai di viziosi. Si vendono ordinariamente dalle seicento alle ottocento piastre.
L'ultima razza, indigena della provincia di Bassora, chiamasi ooel nagdi, e pareggia, se non avanza in eccellenza le razze djelfè, e seclaoui; ma rarissimi sono in Damasco, ed il prezzo affatto arbitrario. La maggior parte dei cavalli arabi sono bigi-leardi, o bajo-scuri; pochissimi sono i neri.
L'abito de' Damaschini è un misto d'arabo e di turco; ma più comunemente si fa uso del cappotto arabo a grandi liste, e l'alta berretta turca è più comunemente usata dai Turchi che dagli Arabi. Questi si coprono con una berretta di smisurata grandezza, che loro pende in sul di dietro; e si cingono il capo con un fazzoletto di cotone o di seta screziata; acconciatura non priva di grazia.
Le donne copronsi dal capo ai piedi con grandi veli di cotone bianco, e con enormi mutande. Le donne di condizione tengonsi riservate e modestissime, le volgari sono assai libere, ed anche dissolute. Portano le une e le altre un fazzoletto di seta trasparente, d'ordinario di color giallo che loro nasconde il volto, lo che le fa parere spettri ambulanti: ma molte sogliono gettarsi il fazzoletto sul capo, e portare il volto scoperto. Questa costumanza mi procurò il vantaggio di vedere in Damasco molte donne assai belle, e per la maggior parte di pelle bianca e finissima. Non si vedono in Damasco tante donne isteriche come in Gerusalemme e nell'Arabia, nè meno quelle pelli abbronzate dei paesi dell'Affrica, nè quei fanciulli sudici cisposi e ributtanti d'Alessandria e di altri paesi musulmani, nè finalmente quegli uomini secchi abbronzati o neri dell'Affrica e dell'Arabia. Vedonsi donne e fanciulli di bellissimo e grazioso aspetto, mentre gli uomini hanno maschili lineamenti, tinte robuste, e regolari proporzioni. E per dirlo in una parola la popolazione di Damasco è affatto diversa da quella dell'Affrica e dell'Arabia, tranne Fez, i di cui abitanti sono i più belli di tutta l'Affrica.
Eccellente è il clima di Damasco, ma forse più che al clima devesi alla comune agiatezza, al moderato esercizio, ed all'uso dei bagni caldi, la rarità delle malattie. La durata ordinaria della vita si calcola dai settanta agli ottant'anni; e vi si contano pure alcuni centenarj.
Difficilmente vi s'introduce anche la peste, e le ultime volte fu pure assai debole. Si osserva essere assai mite quando viene dal mare, più feroce quando proviene da Aleppo. Pure gli abitanti non pensano a cautelarsi contro tanta calamità, e mentre in Aleppo faceva orribili stragi, in Damasco ricevevansi e si spedivano ogni giorno le carovane senza prendersi alcun pensiero: eppure con mia sorpresa Damasco ne andò esente. Ciò prova, che la comunicazione della peste non dipende solamente dal contatto, ma ancora dalla combinazione di certe disposizioni locali e personali.
In un paese abitato da persone laboriose, gli oziosi non sono fortunati; e perciò rarissimi sono gli stregoni e gl'indovini, e tutti coloro che altrove trovano di che vivere ingannando i loro simili.
Sonovi in Damasco venti grandi scuole, e molte altre minori pei fanciulli: cinque per gli studj delle scienze, che come nel rimanente della Turchia riduconsi alla scienza della religione, che comprende pure la giurisprudenza.
Benchè questo popolo sussista in gran parte dei prodotti delle fabbriche e del commercio delle tele, e sia più incivilito de' suoi vicini, aveva un numeroso partito nel suo seno che desiderava i Wehhabiti, che pei loro principj religiosi oppongono tanti ostacoli al commercio ed alle manifatture2.
Il governo della città di Damasco, e di un vasto tratto di paese al S. fino ad Ebron al di là di Gerusalemme, ed al N. fin quasi ad Aleppo, viene affidato ad un Pascià del Gran Signore. Quest'uomo, e per l'estensione del suo governo, e pel nobile incarico di condurre ogni anno la carovana della Mecca col titolo d'Emir-el-Hadj, o principe del pellegrinaggio, è tenuto in altissima considerazione alla corte, riguardandosi come uno de' più grandi dignitarj dell'impero.
Le entrate del pascialaggio si fanno ascendere a quattromila borse, corrispondenti a cinque milioni di franchi, ma le avarie, i regali, le estorsioni sono un altro importantissimo ramo d'entrata. Il Sultano, mentre io soggiornava in Damasco, dava a questo Pascià il governo di Taraboulous, ossia Tripoli di Siria, non meno importante di quello di Damasco.
Questo Pascià può avere nel circondario del suo governo cinque in seimila soldati, turchi, mogrebini, ed altri, e forse attualmente ammontavano ai diecimila, e ciò a cagione delle turbolenze di Gerusalemme.
Damasco è circondato di mura con torri e fosse, ma rovinate in modo da non poter resistere ad un regolare assalto. La sua maggior difesa consiste piuttosto ne' giardini, che formano una foresta d'alberi, ed un laberinto di siepi, di muraglie, di fosse di più di sette leghe di circonferenza; lo che non sarebbe un leggiero ostacolo per un nemico musulmano che volesse attaccarlo.
Tra le tribù Bedovine che abitano ne' deserti vicini a Damasco, la più ragguardevole è quella d'Anaze, il di cui capo chiamasi Fadde. Abita questa tribù il deserto posto a levante della città, e stendesi fin presso a Bagdad.
Io visitai il villaggio di Salokhi, che è la principale villeggiatura degli abitanti di Damasco. È questa una borgata vastissima con due pubblici mercati, e con una infinità di case e di giardini. Trovasi alle falde delle montagne al nord della città, ed è propriamente un delizioso soggiorno.
CAPITOLO XLIX
Viaggio ad Aleppo. – Descrizione dei Khan. – Carovana. – Tadmor o Palmira. – Città di Homs. – Fiume Oronte. – Città di Hama. – Libertà de' costumi. – Incontro notturno. – Arrivo ad Aleppo. – Osservazioni intorno a questa città.
Partii da Damasco il sabato 29 agosto alle quattr'ore dopo mezzogiorno, con una carovana destinata per Aleppo. Dopo un'ora di viaggio in mezzo ai giardini, si attraversò una campagna posta a N. E. provveduta di alcuni villaggi, ed arrivammo a sette ore e tre quarti ad un Khan detto Khosseir.
Domenica 30
Alle tre ore ed un quarto del mattino, mi diressi all'E. N. E. lungo la vasta pianura di Damasco, e dopo due ore di viaggio entrai in una gola che mi fu rappresentata come pericolosa, in fondo alla quale vedonsi le ruine di un antico edificio, ed una cisterna di acqua. Di là salii alcune montagne, dopo le quali, attraversata una pianura, giunsi al villaggio di Cataïfa, ove alloggiai nella sua bella moschea fino alle dieci ore della sera.
Lunedì 31
Alle dieci ore di jeri avendo lasciato Cataïfa, giunsi per un terreno disuguale verso la mezzanotte al Khan Aaron, omai affatto ruinato, posto ad una lega all'O. del villaggio di Maloula; di dove camminando al N. N. E. entrai a sett'ore ed un quarto del mattino nel borgo di Nebka, che può avere un migliajo di famiglie abbondantemente provveduto di giardini e di eccellenti acque. Gli abitanti spargevano la notizia che gli Arabi d'Anaze avevano attaccati i Wehhabiti, e prese loro molte donne e fanciulli, che vendevano come schiavi, riguardandoli come infedeli indegni d'essere musulmani. Si diceva a Damasco che la tribù d'Anazis era amica dei Wehhabiti, onde supposi che si trattasse di una diversa popolazione della stessa contrada.
Martedì 1º settembre
Dopo tre ore di viaggio giunsi a sette ore ed un quarto a Kara, paese assai ben situato sopra un'altura, e circondato di bei giardini. Al presente non ha più di trecento famiglie; ma in addietro era assai popolato, onde la metà delle sue case va ruinando. Tutto il suolo attraversato questo giorno è affatto deserto.
Le carovane si fermano sempre nei Khan che si trovano in vicinanza dei villaggi e delle città. Il precedente giorno io aveva preso alloggio in casa di un bifolco cristiano; e nel presente presso un bifolco musulmano. Non si può a meno di non ammirare la bontà ed il candore di questa gente; essi trovansi abbastanza agiati, e tengono le case loro con estrema politezza, e provvedute di tutti i necessarj arredi. Osservai in particolare che hanno molti assai gentili materassi e cuscini alla turca, ne' quali ripongono il principale loro lusso.
Siccome ho più volte parlato dei Khan parmi necessario di doverne dare una circostanziata descrizione.
Il Khan è un edificio quadrangolare, talvolta fiancheggiato agli angoli da torrette, e coronato di feritoje che gli danno l'apparenza di fortezza. Diversa ne è la grandezza, ma la media può ritenersi di cento trentatrè piedi per ogni lato. Sonovi internamente uno o due cortili circondati da stalle, con una moschea o semplice cappella per la preghiera; ed alcuni de' più grandi sono anche provveduti di appartamenti. Questi stabilimenti, ch'io credo fatti per ordine del governo, sono sempre aperti, ed i passaggieri e le carovane entrano e sortono liberamente senza chiedere licenza; rimanendovi finchè ognuno vuole, senza pagar nulla a chicchessia.
Così bella istituzione nell'impero turco è dovuta al principio di morale religiosa, che obbliga tutti i musulmani ad esercitare l'ospitalità verso il passaggiero di qualunque nazione o culto egli sia. In conseguenza di tale principio sonovi Khan in tutti i luoghi abitati o deserti, ne' quali i viaggiatori sono costretti a fermarsi. Quelli ch'io ho visitati sono solidamente fatti di pietra ed alcuni con qualche lusso architettonico; ma perchè costruiti già da più secoli, molti vanno ruinando, senza che si pensi a ristaurarli; perchè l'epoca della gloria musulmana è omai passata.
La carovana con cui io viaggiava era formata di circa trecento bestie da carico, muli, cavalli, cammelli ed asini, e quasi tutti di Aleppo. I muli senz'avere una vantaggiosa statura, sono forti e coraggiosi, onde difficilmente si distinguerebbero senza le grandi orecchie che portano sempre diritte. I muli e gli asini sono ordinariamente neri, e cercano sempre di sorpassarsi l'un l'altro nel cammino. Eranvi tra i molti passaggieri della carovana molte donne, e fanciulli d'ambo i sessi.
Dietro le informazioni ch'io mi procurai, seppi che Taraboulous, o Tripoli, trovasi quasi esattamente all'ouest di Kara; lo che coincide pure colla mia stima geodetica. Una giornata al di là verso l'ouest-sud-ouest è situato Baàlbek, città grande, ma ruinata. In distanza di una lega all'ouest trovasi il fiume Caftara, che perdesi in un lago; ed a tre giornate di cammino all'est giace Tadmor, o Palmira, un tempo doviziosa e celebre città, che ora conta appena cinquecento famiglie. Andando a Palmira si arriva il primo giorno al villaggio di Haouarìnn, il secondo a Karìtèìun. Gli arabi d'Anaze due giornate lontani da Kara dalla banda di sud-est, spingono il loro dominio e le scorrerie fino a Palmira.
Mercoledì 2
La carovana partì alle tre ore e mezzo del mattino, prendendo una strada che attraversa alcune montagne nella direzione di N. ¼ N. E., ed alle sei ore si passò in mezzo ad un gruppo di case dette Kalaat-el-Bridj. Due ore dopo arrivammo in una gola creduta pericolosa, onde tutti gli uomini armati della carovana salirono sulle alture che fiancheggiano la strada, e vi rimasero finchè la carovana si trovò tutta in sicuro. Poco dopo essere usciti da questa gola trovammo un khan quasi affatto ruinato, ed a breve distanza il villaggio di Hassia, ove entrammo alle nove ore e tre quarti del mattino.
Tutto il paese da Damasco fino ad Hassia è affatto deserto, e questa miserabile borgata non ha che alcuni piccoli orti.
Giovedì 3
Partiti da Hassia avanti la mezza notte, giugnemmo ad Homs alle otto e mezzo del mattino. Attraversammo una montagna quasi perfettamente rotonda, dalla cui sommità circoscritta a mezzo giorno dalla catena delle alte montagne del Libano, scopersi un estesissimo orizzonte. Tutto il paese è deserto, ma cominciavamo a vedere un terreno rossiccio, fangoso, diverso da quello de' precedenti giorni, e coperto di arbusti in questa stagione disseccati. Questo terreno potrebb'essere ridotto a coltura. Allo spuntar del sole ci trovammo avviluppati improvvisamente da una densa nebbia, che dopo dieci minuti si dissipò colla medesima celerità.
In queste contrade le donne, in sull'esempio degli uomini, sono provvedute d'una pipa lunga circa quattro piedi. Questo giorno ne vidi una fumare con tutta gravità sul suo cavallo. Aveva il volto affatto scoperto, e mostrava l'età di diciotto in vent'anni: benchè bella come un angelo, l'uso della pipa la rendeva ai miei occhi deforme.
Homs è una ragguardevole città popolata da venticinque in trentamila musulmani, e da trecento cristiani. Contiene molte moschee con altissime torri sottili all'usanza turca, due chiese cristiane di greci scismatici, ed una siriaca, diversi bazar, o mercati ben provveduti di mercanzie, ed assai frequentati, alcuni caffè molto frequentati, un alcaïsseria considerabile di stoffe di seta, un gran khan, e varj altri più piccoli. Le strade sono regolarmente lastricate; ma le case quantunque fatte di sassi hanno un aspetto lugubre pel loro color nero. Infine Homs ha tutti i requisiti di una gran città.
Gli abitanti fanno un commercio attivissimo. Il paese produce molto frumento, ma importa l'olio dalle coste, ed il riso dall'Egitto. In distanza di mezza lega della città scorre il fiume Wad-al-Aassi che è l'antico Oronte, dal quale derivansi le acque che servono all'innaffiamento dei giardini della città.
Il governatore, il kadì, e gli altri impiegati del governo sono tutti arabi del paese, e ne sono esclusi i turchi. Questa città dipende dal pascià di Damasco, che nomina il scheih el-bedel, ossia governatore, tra i naturali del paese, in conformità delle sue costituzioni.
Le mura sono circondate da un giro d'innumerabili cimiterj, che attestano la grande popolazione della città. Vedesi al mezzodì sopra una montagna isolata, che rassomiglia a quelle delle ruine d'Alessandria, una vasta antichissima fortezza con molte torri ma in gran parte ruinate.
Felice è la posizione della città, alquanto elevata, ariosa, e perciò salubre: onde meno degli altri paesi esposta ai danni della peste.
Conservansi ancora ad Homs una porta, alcuni tratti di muraglia, e due torri, rispettabili avanzi degli antichi Greci che l'abitavano.
Venerdì 4
La carovana riprese il cammino alle due ore e mezzo del mattino, dirigendosi al nord, e lasciato da una banda il villaggio di Deàa et Teille entrò in Rastan alle sette ore.
Benchè generalmente non coltivato, il terreno scorso questo giorno è coperto di cespugli, e di pianticelle disseccate. Restan è un povero villaggio posto sull'orlo di uno spaventoso precipizio a piè del quale scorre il fiume Aassi, che veduto dall'alto non sembra molto largo. Fu già un tempo in cui questo villaggio dovette essere assai più considerabile che non lo è al presente, di che ne fanno prova molti rottami di colonne di marmo e gli enormi pezzi di granito, ormai ridotti all'ultimo grado di decomposizione. Fioriva forse all'epoca più gloriosa di Palmira? era forse una piazza di frontiera, come sembra indicarlo la sua posizione? Come deciderlo, se manca ogni memoria per appoggiare una qualunque congettura?
Prima di sera scesi in riva al fiume ov'era accampata la carovana. È questi tagliato da grandi dighe assai ben fatte, che servono a dar l'acqua ai mulini, e dalle quali l'acqua si precipita con molto fracasso.
Sabato 5
A mezzanotte lasciando il fiume a destra, e salito il piano superiore, prendemmo la direzione al N.; indi fatta una dolce scesa, arrivammo alle cinque e un quarto del mattino nella città di Hama posta alle falde di una linea di basse colline, ed attraversata dall'Oronte. Hama è una ragguardevole città la di cui popolazione dovrebb'essere di circa centomila anime. Scende a guisa di anfiteatro dalla sommità delle colline che stanno alla destra dell'Oronte fino alla riva del fiume, e al di là del fiume risale sulla opposta montagna. Piacevolissima ne è la situazione, e tutto dimostra una città di primo ordine, sicchè rimasi estremamente sorpreso nel vedere una così bella e vasta città in luogo di una borgata come stando alle relazioni de' viaggiatori e de' geografi io credeva di trovare. Molte case sono tutte fatte di pietra, altre non di pietra che interiormente, e nella parte superiore di mattoni coperti di marmo bianco: diverse case dei sobborghi sono coronate di cupole come quelle dei sobborghi di Damasco.
L'irregolarità e l'angustia della maggior parte delle strade viene compensata dalla bellezza delle principali che formano i bazar, abbondantemente provveduti di mercanzie e di grascie, e sempre affollati di gente. Sono pure assai frequentati i caffè, tra i quali ne vidi alcuni bellissimi.
L'Oronte chiuso tra belle case e deliziosi giardini, è attraversato da frequenti dighe che sostengono l'acqua, onde far muovere una prodigiosa quantità di ruote idrauliche, alcune delle quali hanno più di trenta piedi di diametro. L'acqua inalzata dalle ruote viene distribuita per la città col mezzo di spaziosi condotti sostenuti da solide arcate. Questi condotti sono belle opere dell'antica età, e fa meraviglia che siansi così ben conservati a fronte della non curanza musulmana, e del genio distruttore del paese. Le ruote sono così ben fatte che invece di quella disgustosa scricchiolata che sogliono d'ordinario produrre cotali macchine, rendono un suono grave assai dolce: queste ruote, i condotti, le case, i giardini e le frequenti cascate delle acque dall'una all'altra diga, formano il più pittoresco punto di vista che immaginar si possa.
Gli abitanti di Hama mostrano una straordinaria inclinazione al commercio ed alle manifatture, delle quali è piena la città. Il grosso della popolazione è formato di arabi. Pochi sono i turchi, i cristiani, gli ebrei, che vi godono molta libertà. Arrivando in città mi parve di entrare in un vasto ospitale: uomini, donne, e fanciulli ne' mesi più caldi dormono nelle strade, sui terrazzi, avanti alle porte delle case. Siccom'era assai di buona ora, la maggior parte dormiva ancora in piena sicurezza, altri già risvegliati mi osservavano senza nulla scomporsi, abbigliandosi tranquillamente uomini e donne come fossero chiusi nei proprj gabinetti. È ciò una conseguenza della depravazione dei costumi, o dell'innocenza?.. Il poco tempo che restai in Hama non mi permette di deciderlo. Nella casa in cui alloggiai vidi molte donne, assai brutte a dir vero, che liberamente entravano senza velo nel mio appartamento per farvi quanto occorreva. Una di queste che aveva l'aria di civetta, portava a traverso la cartilagine destra del naso un anello d'oro del diametro di tre pollici. L'abito loro consiste in una grande camicia di cotone turchino o bianco con sopra una stoffa aperta, senza cintura e poco larga, A queste vesti aggiungono anelli, collane, orecchini, braccialetti, laminette ai capelli, ec.: infine tante e sì varie sorte di gioje, che quando una donna galante cammina, fa un rumore eguale a quello dei muli del mezzodì dell'Europa ornati di sonaglini e di campanelli.
La città viene governata da un paschalik del paese nominato dal pascià di Damasco.
Siccome le acque del fiume non possono rimontare sul più alto piano del paese, l'aridità di questo deserto forma un singolare contrasto col fresco verde del piano inferiore, ove l'inaffiamento è praticabile.
Domenica 6
Alle due e mezzo del mattino presi la direzione di N. N. O. attraversando varie colline; ed in sullo spuntar del sole mi trovai presso ad una moschea. Alle otto ore giunsi tra le mine d'un'antichissima città, cui la tradizione del paese dà il nome di letmiun. Entro un mucchio di rottami osservai un bel frammento di cornice di un granito rosso, alcuni pezzi di colonne, ed i frammenti di un grande acquidotto. Finalmente alle undici ore arrivai a Khan-Scheikhoun, villaggio posto sul pendio d'un colle, alle di cui falde trovasi un vasto Khan. Le case di questo villaggio coperte di cupole coniche gli danno l'apparenza di un gruppo di arnie, e l'acqua del suo pozzo è assai buona.
Lunedì 7
Si partì alle quattr'ore del mattino prendendo una strada al N. che attraversa alcune colline, dalla di cui sommità vedonsi all'O. le montagne, dalle quali andavamo allontanandosi. Si trovarono lungo la strada altre ruine omai ridotte all'ultimo stato di decomposizione, ed alcuni pozzi, ne' quali si scende al fondo per bellissime scale di sasso. Quantunque il paese sia incolto, come quello attraversato ne' precedenti giorni, è per altro formato di una terra rossa vegetale, e di roccia calcarea. Alle nove ore e mezzo arrivammo a Màrra, borgata di circa duemila abitanti, al cui ingresso vedonsi molti tumuli di pietra isolati a guisa di catafalchi, circondati da cinque sei gradini. Marra è l'ultimo paese del governo di Damasco, che stendesi ancora tre leghe al di là verso il N.; di modo che questo Pascialaggio prendendo dal deserto d'Egitto fino alle porte di Aleppo, può riguardarsi come un regno.
Martedì 8
Si riprese il cammino alle tre e mezzo della sera. Due strade conducono da Marra ad Aleppo; ma trovandosi la principale occupata dalle truppe d'un antico pascià d'Aleppo, colle quali i miei Arabi non volevano incontrarsi, si preferì la strada meno frequentata a traverso di un deserto.
Mercoledì 9 settembre
Oscurissima era la notte; ed il suolo bagnato di rugiada appariva così nero, che nulla distinguevasi alla distanza di dieci passi. Io mi trovava in testa alla carovana con otto o dieci Arabi armati a cavallo, avendo sempre sotto i miei occhi il mulo che portava le mie carte, di cui mi riservava la custodia in tempo di notte. Camminavamo così ordinati quando alle due ore e mezzo del mattino scoprimmo innanzi a noi in distanza di soli venti passi una truppa d'uomini a cavallo. Non eravamo più in tempo di dare a dietro, o di fermarci. Subito io grido; fuor di qui, fuor di qui. I Bedovini rispondono colle medesime parole, e noi avanziamo colla sciabla alla mano. Il mulo che portava le mie carte trovavasi di già in mezzo alla truppa nemica; molti uomini armati della carovana mi raggiungono; ed uno che trovavasi alquanto addietro di me, tira una fucilata all'azzardo, ed io sento fischiare la palla a diritta. Tutto ciò si eseguì in un istante. I Bedovini vedendo la nostra risolutezza, si ritirarono, salutandoci senza tentar nulla. Erano venti uomini all'incirca armati soltanto di lancia.
Alle quattro e mezzo del mattino si prese riposo presso la sponda d'un canale, ov'erano alcune fattorie, nelle quali battevasi il grano.
Ripostici in cammino alle dieci ore, attraversammo alcune colline calcaree coperte di piantagioni di ulivi, ed alle tre dopo mezzogiorno si entrò in Aleppo.
Questa città detta dagli Arabi Hàleb è stata tante volte descritta, che tutto quanto io ne dicessi non potrebb'essere che una ripetizione di ciò che tutti sanno; perciocchè trovandosi assai frequentata da tutte le nazioni commercianti, viene ad essere conosciuta come una città d'Europa: mi limiterò dunque a dire che racchiude molti belli edificj, e quantità di marmi d'ogni specie; che bella è la grande moschea senza essere magnifica; che le strade sono assai ben lastricate; ed i bazar coperti di portici a vòlto, illuminati da frequenti abbaìni: che però i bazar di Damasco sono più ricchi, e meglio provveduti; che in settembre il caldo fu insoffribile fino all'equinozio; e finalmente che allora sulle montagne all'O. vi fu una gagliarda burrasca, dopo la quale l'atmosfera si rese temperata. In Aleppo vedesi la bizzarra mescolanza dei cappelli appuntati colle lunghe vesti orientali.
In tutto il tempo che rimasi in Aleppo mi trovai talmente ammalato, che non potei quasi occuparmi dei più piccoli affari