Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I», sayfa 12
Il rimanente dello impero ubbidì senza contrasto alla casa di Abbâs; la quale mutò ogni cosa, fuorchè il sistema del dispotismo. Le bandiere e vestimenta degli uficiali pubblici si tinsero in negro, colore prediletto dalla dinastia; i pretoriani furono, non più una fazione della aristocrazia arabica, ma i partigiani della casa in Khorassân, e poi i mercenarii turchi che consumarono la vergogna e rovina del califato; la sede del governo passò da Damasco a Bagdad, edificata a posta con imperiale splendore; i costumi della corte da arabica semplicità si volsero a lusso persiano; e l'amministrazione pubblica, tolta agli Arabi, data ai Korassaniti divenne più inquisitiva e molesta; il che fa dire a un autore arabo215 che la casa d'Abbâs indurò il principato a modo dei re sassanidi. In somma la schiatta persiana si impadroniva del dominio non saputo tenere dagli Arabi.216 Da ciò nacque la gloria letteraria che ha reso sì chiari gli Abbassidi. Perocchè i Persiani, venendo in servigio loro a corte e per tutte le provincia dell'impero, vi recarono le scienze; coltivaronle essi esclusivamente; messerle in voga appo i califi; trassero con lo esempio i Musulmani delle alte schiatte, pochissimi per altro dell'arabica. Ma scrivendo tutti nella lingua del Corano, tornò agli Arabi la fama di sovrastare all'umano incivilimento nei secoli più tenebrosi del medio evo.217
Non tardarono i guerrieri del Khorassân a passare fino all'altro capo dell'impero, per fidanza o sospetto di casa abbassida; la quale non potendo spegner tutti come Abu-Moslim, par che si provasse a farne stromento di dominazione in Affrica. Pertanto l'esercito mosso d'Oriente (761) per combattere i Berberi, undici anni appresso la esaltazione della dinastia, fu composto di trentamila uomini del Khorassân e dieci mila Arabi di Siria, che sembrano rei della medesima colpa; e, a capo d'altri dieci anni, un novello sforzo di sessanta mila soldati si accozzò di gente del Khorassân, di Siria, e dell'Irak. Cotesti eserciti, che divenian colonie, come dicemmo, più largamente e fortemente occuparono il paese: donde le città ingrossarono; crebbene anco il numero; s'ebbero nuove terre da dividere e più larghi tributi dai popoli che s'assuefaceano al giogo. Al tempo stesso la schiatta persiana fu nuovo elemento di discordia in Affrica; divenutavi dapprima tracotante per numero e favor della corte, poi disubbidiente come le altre. Nel primo periodo furono scelti in quella i governatori della provincia, e fin v'ebbe una famiglia nella quale l'officio s'avvicendò per ventitrè anni: officio usato dai Persiani non altrimenti che dai predecessori: al segno che certe milizie di Siria, dopo trent'anni di soggiorno, furono cassate dai ruoli del giund e ridotte alla condizione di ra'ia, ossia popolaccio, per mettersi in luogo loro la gente del Khorassân. Quando le altre schiatte si risentirono e il califo volle riparare, i capi persiani si divisero tra loro; i più malcontenti si rivoltarono: seguì uno scompiglio universale di Khorassaniti, Arabi Modhariti, Arabi del Iemen, Arabi venuti di Siria sotto gli Omeîadi e venuti sotto gli Abbassidi, Berberi ortodossi e Berberi eretici, che si contendevano con le armi alla mano il governo e i suoi frutti. Il potere dei califi su la provincia, di debole ch'era stato sempre, divenne precario; si sostenne a forza di espedienti; di qualche capitano fidato; del direttor di posta e spionaggio; e soprattutto dei centomila dinar sprecati ogni anno tra quelle riottose milizie e tolti dalle entrate d'Egitto. Fu in queste condizioni di cose che il magnanimo Harûn-Rascîd piegossi a dar l'Affrica, come in appalto, a Ibrahim figliuolo di Aghlab.218
Aghlab, nato dalla tribù modharita di Temîm, avea dato mano ad Abu-Moslim e a casa abbassida nella rivolta contro gli Omeîadi; poi a casa abbassida nell'uccisione d'Abu-Moslim;219 ed era indi venuto (761) con alto grado nell'esercito d'Affrica; segnalatosi nella guerra; eletto a tener la frontiera dello Zâb contro i Berberi; fatto in ultimo governatore di tutta la provincia; e mortovi combattendo contro un capo iemenita ribelle (767). Però il figliuolo, gradito a corte e sottentrato, com'ei pare, nella condotta delle genti che soleano ubbidire alla sua famiglia, rimase di presidio nello Zâb, lontano dalle discordie che ferveano a Kairewân, poco invidiato dagli ambiziosi, e amato da' suoi marchigiani per liberalità, valore e saldo proponimento. Occorse poi che le altre milizie si trovassero avvolte in una generale sollevazione, nata a Tunis, compiuta a Kairewân per assentimento della cittadinanza, e provocata dal governatore Mohammed-ibn-Mokâtil, fratel di latte del califo; favorito prosuntuoso e dappoco, il quale avea scemato gli stipendii, maltrattato al paro militari e popolani e bacchettoni. Ma come costui fu preso, perdonatagli la vita e cacciato ignominiosamente dalla provincia, Ibrahim piombò sopra Kairewân coi suoi fidati marchigiani; richiamò Ibn-Mokâtil; combattè il capo della rivoluzione, congiunto suo, per nome Temmâm; col quale scambiò rimbrotti in prosa e in versi pria di venire alle armi. Tanto duravano i costumi cavallereschi de' Beduini nella numerosa nobiltà venuta a stanziare in Affrica!220 Ibrahim con fortuna e arte s'innalzò tra i turbolenti compagni. Rotti i sollevati (799), mandava alcuni lor capi incatenati a Bagdad; e, accontatosi in questo mezzo con gli altri, scrivea a corte contro il governatore ch'egli stesso avea ristorato. Rappresentò esser costui troppo odiato; la provincia troppo insubordinata; richiedersi quivi altr'uomo e più pratico del paese: e propose a dirittura sè medesimo, promettendo al califo che non solamente non gli farebbe spender più nulla in Affrica, ma gliene darebbe quarantamila dinar all'anno. Harûn accettò; non per avarizia, ma perchè altro modo non v'era; perch'ei dovea piuttosto pensare all'Oriente, base dello Impero; perchè ogni novello esercito che avesse mandato in Affrica vi sarebbe divenuto novella colonia di ribelli. Consigliollo anche a questo un suo fidato, che conoscea l'Affrica, non meno che la lealtà, il seguito e il valore d'Ibrahim-ibn-Aghlab.
Il quale, avuto il diploma del califo (800), diè opera a crear nuova forza su cui potesse fare assegnamento. Comperato un terreno a tre miglia da Kairewân per fabbricare una villa di diletto, v'innalza in vece un castello; circondalo di fossati; vi fa trasportar sottomano le armi e attrezzi che si teneano nel palagio degli emiri a Kairewân. Al tempo stesso blandisce il giund, ne prende cura particolare, ne sopporta anche la insolenza, trasceglie da quello un nodo di intimi partigiani; e da un'altra mano compera schiavi negri, dando voce di volerli adoperare ai servigii più grossolani, e sgravarne la nobil gente della milizia: e sì li avvezza alle armi; li instruisce in compagnie. Quando ogni cosa fu in punto, lasciato nottetempo il palagio di Kairewân (801), se n'andò coi famigliari, coi fidati del giund, è gli schiavi armati nella cittadella, cui pose il nome d'Abbâsia a onore della dinastia; ma poi la dissero El-Kasr-el-Kadim ossia il Castel-vecchio. E rinacquero le sedizioni; la prima delle quali mossa a Tunis da un dei notabili di schiatta arabica, per nome Hamdîs, che par sia stato progenitore del gran poeta siciliano del medesimo casato: ma Ibrahim ne venne sempre a capo, chiudendosi in cittadella quando soverchiavan le forze dei sollevati; e poi fidandosi nelle loro divisioni; fomentandole con danaro, e adoperando talvolta anco i Berberi. Consolidò il potere; rintuzzò a forza di danaro e tradimenti la dinastia edrisita di Fez; ebbe riputazione anco presso i Cristiani, coi quali si mantenne in pace: accordatosi col prefetto di Sicilia; e dimostrata molta osservanza a Carlomagno ch'era collegato con Harûn-Rascîd, per interesse politico e simpatia scambievole di due grandi ingegni, Carlo, promosso all'imperio lo stesso anno che Ibrahim al governo d'Affrica, gli mandava ambasciatori ad Abbâsia, la fortezza del fossato, come è chiamata negli annali di Einhardo, per chiedere il corpo d'un Santo sepolto a Cartagine: tesoro inutile ad Ibrahim e tanto più volentieri accordato.221
Venuto a morte l'Aghlabita, dopo dodici anni di governo, nel cinquantesimo sesto dell'età sua, lasciò ai figliuoli un regno sotto nome di provincia: equivoco che dura tuttavia in parecchi Stati musulmani, come per esempio in Egitto. Ritennero gli Aghlabiti, come i precedenti governatori, il titolo militare di emir e quello più generale di wâli, che appo noi suonerebbe preposto, e si dava anche ad officii minori. Il califo mandava a ogni novello principe di quella casa un diploma che conferivagli il governo, e con quello la bandiera, simbolo del comando, le vestimenta e collane, segni di famigliare liberalità: ai quali atti di regia e pontificia autorità sol mancava di potersi esercitare in favor di un altro. Il tributo dei quarantamila dinar presto mutossi in futili doni, e svanì. I principi d'Affrica fecero guerre e paci, aggravarono e abolirono le tasse, nominarono magistrati e capitani a loro arbitrio, o come portavano le necessità in casa, non come piaceva al califo; e scrissero i loro nomi su le monete insieme con le formole religiose della dinastia abbassida; in guisa che di tutte le regalíe, come le intendono i pubblicisti musulmani, rimase al califo il solo steril vanto che i popoli d'Affrica invocassero il Cielo in favor di lui nella preghiera del venerdì. Ma gli Aghlabiti, se usurpavano all'insù i dritti convenzionali del principato, non poteano soffocare all'ingiù le ragioni naturali degli uomini, sostenute dalle armi dei cittadini e del giund,222 e più o meno dagli statuti primitivi dell'islamismo. Quantunque mal potremmo delineare tutti i limiti che la consuetudine poneva agli emiri aghlabiti, ne veggiam uno di gran rilievo, cioè il dritto di pace e di guerra esercitato dal principe insieme con la gemâ', o diremmo noi parlamento municipale, del Kairewân. N'è fatta menzione la prima volta a proposito d'un accordo col patrizio di Sicilia nell'ottocento tredici; e sappiam dalle proprie parole di un che sedea nella gemâ', come adunati dal principe gli sceikh e i wagîh, o, come suonano in lingua nostra, gli anziani e notabili della città, il trattato fu scritto e riletto in presenza, loro. E ch'e' non facessero da meri testimonii, e che i partiti liberamente si agitassero, il prova l'altra adunanza tenuta pochi anni appresso per trattar della guerra di Sicilia, dove sedettero i cadi, come i magistrati entrano nella camera dei pari in Inghilterra; e il principe fu necessitato a seguire l'opinione che preponderava.223
A comprender appieno come si bilanciassero i poteri dello stato aghlabita, convien discorrere l'autorità che presero in questo tempo i giuristi appo l'universale dei Musulmani. Lo studio della giurisprudenza progredendo, come ogni altro esercizio dell'intelletto, dopo la esaltazione degli Abbassidi, stava per creare nello Impero quasi un novello potere surrogato a quello dei compagni del Profeta: in luogo dell'aristocrazia dei santi, l'aristocrazia dei dottori. Costoro erano a un tempo teologi senza sacerdozio, moralisti, pubblicisti e giureconsulti; come portava l'unità e confusione delle leggi. Per necessaria contraddizione della teocrazia, i dottori vollero comandare al pontefice e re: e tanto o quanto ne vennero a capo; se non che il lione di tratto in tratto lor dava qualche zampata. Così Abu-Hanîfa (699-767), primo tra gli imâm della scienza, i dottori principi, a nostro modo di dire, era morto in prigione, martire, come Papiniano, di sue dottrine e coscienza. Ma non guari dopo Mâlek-ibn-Anas (712-795) guadagnava tanta riverenza appo Harûn-Rascîd, animo grande e civile, che il califo pensò dare virtù di legge al Mowattâ, come si addimandò l'instituta di quel giureconsulto; dal che Mâlek stesso lo ritenne, non sappiamo se per modestia, o perchè tal sanzione gli paresse illegittima, e lesiva al grado della scienza. Un'altra fiata, richiesto da Harûn di dare lezioni all'erede presuntivo della corona, Mâlek gli rispose che la scienza, nobile sopra tutt'altra umana possanza, non dovesse servire altrui ma essere servita; donde il califo, scusandosi, inviò il figliuolo con gli altri giovani della città alla moschea dove Mâlek tenea scuola. Sotto altro monarca, Ibn-Hanbal fu vergheggiato (834) perchè contro gli editti del califo sosteneva increato il Corano; ma il domma del califo andò giù, e venuto a morte Ibn-Hanbal (855), dicesi che a Bagdad accompagnassero il feretro meglio che secentomila persone, e che ventimila tra Cristiani, Giudei e Guebri si convertissero immediatamente all'islamismo, trasportati dal fervore del popolo che celebrava a una voce la dottrina e virtù di quel grande. Noi lasciamo indietro i molti esempii di virtù dei giureconsulti promossi all'uficio di cadi, i quali sapeano affrontar l'ira dei principi quanto niun altro eroico magistrato di cui faccia ricordo la storia d'Europa. Nell'ordine dello Stato mantenner essi l'autorità giudiziale independente dal principato, più e meno che noi non l'ammetteremmo con le odierne teorie di dritto pubblico. Perchè, da una parte i giureconsulti usurparono il potere legislativo mediante le interpretazioni dottrinali; e dall'altro canto, non arrivarono a divider netto la giurisdizione dei magistrati da quella del principe e dei governatori e ministri. Oltre a ciò, i vizii dell'aristocrazia militare, anzi la invincibile anarchia della società arabica, resero necessario un magistrato eccezionale, come noi lo diremmo, uficio dei soprusi lo chiamarono i Musulmani; tribunale preseduto dal principe o da un delegato di lui, spedito nella procedura e arbitrario nelle sentenze. Così di mano in mano l'indole del dispotismo occupava anco l'amministrazione della giustizia; e questa in Oriente si corruppe come ogni altra parte del governo, e presto cadde nella condizione in che or giace. La giurisprudenza musulmana fu compiuta nel nono secolo. L'assentimento universale dei contemporanei e dei posteri diè l'onore di imâm a quattro professori, cioè i tre già nominati, e Scia'fei che visse dopo. Concordavano le loro scuole nei dommi, indi accettate tutte come ortodosse. Differivano in alcuni punti di disciplina religiosa, dritto pubblico e dritto civile, non altrimenti che in oggi le compilazioni del codice francese, presso le varie nazioni che l'han preso per legge. Predominarono quale in un paese quale in un altro; e così oggi rimane in Turchia e in India la dottrina di Abu-Hanîfa, e in Affrica quella di Mâlek, introdottavi per lo primo da Ased-ibn-Forât e da altri suoi contemporanei, ma non fatta legge generale del paese che ne' principii dello undecimo secolo.224
Cominciò in Affrica l'opposizione pacifica dei dottori quando Abu-'l-Abbâs-Abd-Allah, figliuolo e successore d'Ibrahim (812-817), pensò di mugnere i proprietarii a beneficio proprio e delle milizie; donde avvenne che queste rimanessero chete per tutto il suo regno. Parendogli incerte e sottili le entrate della tassa fondiaria, che ragionavasi a dieci per cento su le raccolte e prendeasi in derrate, Abd-Allah, a spreto degli statuti, la volle in danaro, a tanto per aratata di terreno coltivato, senza guardare ad annata buona o scarsa. A questi ed altri soprusi risentendosi i cittadini, andavano i più rinomati e venerandi della provincia a trovarlo in fortezza; gli ricordavano, così dice un cronista, “i precetti della religione e il ben della repubblica musulmana;” e, ridendosi il despota di coteste parole, volgean essi sdegnosamente le spalle alla reggia, quando un Hafs-ibn-Hamîd, ch'era in odore di santità, s'arrestò nel cammino, e fece sostare i compagni. Lor disse ch'era da disperare ormai delle creature, non già del Creatore; poi fervorosamente intonò una preghiera a Dio che punisse lo scellerato principe; e ad ogni imprecazione gli altri in coro rispondeano: Amen. La complicità delle milizie col principe ritenne al certo i barbassori dal passar dalle scomuniche a più gravi fatti. E tosto s'ebbero ad allegrare di lor propria sagacità e del credito grande che godeano in Cielo, poichè opportunamente attaccossi un'ulcera all'orecchio di Abd-Allah, e lo spacciò.225
Il terrore superstizioso di questo avvenimento par abbia lavorato nella mente del novello principe Ziâdet-Allah (817), figliuolo anch'egli d'Ibrahim, uomo nel resto di fortissima tempra di animo, il quale, seguite un pezzo le orme del fratello,226 cominciò a ritrarsene, a spiccarsi dal giund, ad ascoltare i giuristi; e tanto s'addentrò nelle ubbie religiose, che consultava i cadi su la misura di voluttà concedutagli dalla religione;227 e, quel ch'è peggio, parlava di condanna capitale contro i poveri zindik, o diremmo noi, scettici, ospiti pericolosi sotto un governo teocratico; i quali, insieme con le schiatte persiane e con lo incivilimento, pullulavano già per tutto l'Impero, e venivano a filosofare fino in Affrica.228 Costui ci è dipinto come bel parlatore, liberale coi poeti beduini e coi dotti che veniano d'Oriente a corte sua, animoso, costante, magnifico e giusto.229 Ma ben mostrò ciò che intendesse per virtù, quando disse fidar nella divina clemenza il dì del giudizio universale, avendo mandato dinanzi a sè, chè questa figura usano sovente i Musulmani, quattro opere meritorie: l'edificazione della moschea cattedrale e del ponte della porta Rebî' a Kairewân, la costruzione della fortezza Ribât a Susa, e la elezione di Abu-Mohriz a cadi della capitale.230 Affidandosi in cotesti meriti, gli parea tanto più venial peccato il sangue ch'ei facea spargere, mosso da sua natura feroce, dalle necessità della tirannide, e sovente anco dal vino che bevea. Quella indole imperiosa, non dimenticando l'antica insolenza del giund, sdegnò di accarezzarlo, o comperarlo, come avean fatto il padre e il fratello; volle essere ubbidito sol perch'ei comandava; e probabil mi sembra ch'anco offendesse il giund negli averi, disdicendo la nuova tassa di Abd-Allah. Agevole gli fu di spegnere una prima sollevazione di Ziâd-ibn-Sahl-ibn-es-Sikillîa ovvero es-Sakalîba, che significherebbe figliuol della Siciliana, ovvero della Slava (822). Ma surto in arme Amr-ibn-Mo'âwia della potente tribù di Kais, e costretto ad arrendersi, Ziâdet-Allah, come l'ebbe in mano, non seppe moderar la vendetta. Più savio di lui il giullare di corte, domandato quel dì che nuove corressero, “Si dice che tu non uccida Amr,” gli rispose; “perchè i Kaisiti farebberti pagar caro quel sangue.” Ma egli, tanto più invogliato, correa alla prigione; scannava di propria mano il ribelle con due figliuoli, e fatte porre le teste sopra uno scudo, le imbandì sul desco ove si messe a bere coi cortigiani (823). Scoppiò a tal atto di crudeltà l'ira delle milizie. Proruppero a sedizione in Tunis; si levarono per tutta l'Affrica, arrogandosi ognuno la signoria del distretto ove era alle stanze, e fecero capo dell'esercito un Arabo di illustre schiatta per nome Mansûr, detto Tonbodsi, dal nome d'un suo castello (824). Invano il despota avviava contro costui i mercenarii e il giund suo fidato, minacciando di mettere a morte chi voltasse le spalle nella battaglia. Rotti da Mansûr, passarono sotto le bandiere di lui per fuggire la vendetta del crudel signore: tutto il giund, e le milizie cittadine, e gli stuoli che accorreano in arme da ogni luogo231, mossero sopra Kairewân; posero il campo fuor la città (agosto 825), sollecitando i terrazzani a seguirli; mentre Ziâdet-Allah co' mercenarii e la famiglia s'era chiuso in cittadella. Il popolo della capitale, non badando ai dottori che sognavano potersi camminar sempre entro i limiti della resistenza legale, aprì le porte a Mansûr, rifabbricò con l'aiuto di quello le mura abbattute da Ibrahim, capo della dinastia, e tutto diessi alla rivoluzione. Poi seguì l'usato effetto tra que' piccioli corpi feudali e municipali, ciascun dei quali avea preso a reggersi dassè. Impotenti ad espugnare Abbâsia, si divisero; e Ziâdet-Allah, uscito co' suoi, li ruppe (ottobre 825), pose in fuga Mansûr, riprese Kairewân, ed abbattè le mura, ritenendolo da maggiore vendetta, chi dice un voto ch'avea fatto a Dio mentre era stretto d'assedio in Abbâsia, chi dice le preghiere dei due cadi; e nessuno ha pensato che volendo domare il giund, dovea andare con riguardo verso i cittadini, e che Mansûr, ancorchè sconfitto, era in arme, e la provincia tutt'altro che queta. In fatti, voltata la fortuna della guerra, Mansûr tornò a Kairewân, Ziâdet-Allah tornò a chiudersi in Abbâsia, e già si parlava di accordo che lasciata la signoria d'Affrica ei se ne andasse con la famiglia e lo avere in Levante, quando uno dei suoi partigiani con audace fazione lo salvò. Costui, tolto seco un pugno d'uomini, andò verso Castilia ai confini meridionali dell'odierno Stato di Tunis, ove s'era mossa contro i ribelli la tribù berbera di Nefzâwa; ond'egli accozzando i Berberi e mille Negri armati di vanghe e di scuri, ruppe il giund di A'mir-ibn-Nafi'. Le discordie fecero il resto. Mansûr, venuto alle armi contro A'mir, fu morto a tradimento; A'mir tenne il fermo altri tre o quattro anni in Tunis; e i capi minori prima di ciò a uno a uno s'eran sottomessi; e la più parte era ita ad espiare la ribellione con la guerra sacra in Sicilia.232
Tali erano le condizioni dell'Affrica in questo tempo. La popolazione industriale, d'origine europea o mescolata, non avea peso nello Stato: menomata dalle emigrazioni; sottomessa d'opere e d'animo, e la più parte fatta musulmana, con tal precipizio, che la Chiesa Africana, la quale levò già tanto grido in Cristianità, potea dirsi annichilata mezzo secolo dopo il conquisto; come ce l'attestano concordemente le cronache musulmane e i documenti ecclesiastici, sia romani, sia alessandrini.233 I Berberi, tutti oramai musulmani, tra ortodossi e scismatici, stanchi e divisi ma non domi, ubbidivano e si sollevavano; pronti ad accompagnar gli Arabi in guerra, non a sopportare i pesi del dominio; meno ostili a casa aghlabita che ai capi dei giund lor signori o vicini; ma quel sembiante di obbedienza s'andava dileguando a misura, che le tribù si allontanavano dal centro della provincia. Dei coloni arabi e persiani abbiam detto abbastanza, che le passioni di quelle milizie riottose, di que' cittadini turbolenti, di que' giuristi fanatici, eran fuoco sotterraneo che cercava d'aprirsi uno spiraglio.
Tra vicende analoghe s'agitavano in questo medesimo tempo i Musulmani di Spagna. Accennammo già come nei primi impeti del conquisto (711), valicati i Pirenei, irrompessero in Linguadoca. A capo di venti anni, fatto pianta di lor guerra quella provincia, or con eserciti or con gualdane si spinsero fino al Rodano e alla Senna da un lato, alla Loira e all'Oceano dall'altro, capitanati da emiri, cui designava il califo, ovvero il governatore d'Affrica. Ma infin d'allora svilupparonsi due serie distinte di fatti, che liberarono dal danno presente la Francia, e dal pericolo tutta l'Europa. Da una mano era la reazione delle popolazioni cristiane; la maravigliosa costanza delli Spagnuoli afforzatisi tra i monti di Gallizia, delle Asturie, della Navarra; il valore de' Franchi, e altri Germani, che sotto Carlo Martello guadagnavano la giornata di Poitiers (ottobre 732); la resistenza di parecchi signori della Francia meridionale, e possiamo aggiungere degli Italiani ancora, poichè le mosse di Liutprando affrettavano la espugnazion d'Avignone (737). L'altra serie di eventi che troncarono i passi ai conquistatori, nascea dai vizii della società musulmana in generale, e di quella d'Affrica in particolare, madre della colonia spagnuola. Pertanto in Spagna, come in Affrica e peggio, i vincitori sospettosi tra loro, pronti a straziarsi in guerra civile: Arabi contro Berberi; Modhariti contro Iemeniti; gli antichi coloni contro i nuovi; i borghesi contro i militari: ed ogni fortuna che corresse la dominazione dei califi in Affrica portava un contraccolpo di là dallo Stretto.
La provincia nondimeno si rassettò, quando spiccossi dallo Impero, per ubbidire a un principe proprio (755) della schiatta d'Omeîa, testè cacciata dal trono dei califi. Senza potere sradicar da loro montagne que' valorosi Cristiani che teneano tra ponente e settentrione della penisola, i primi monarchi omeîadi di Spagna si mantennero a un di presso a' limiti dei Pirenei, or avanzandosi fino a Carcassonne (792), ora indietreggiando a Barcellona, che perdettero per sempre (801). Ostili ai Musulmani di Affrica; duramente contrastati dalla parte di Francia, dai primi monarchi carolingi, che s'intendeano coi califi abbassidi, gli Omeîadi di Spagna non si segnalarono per conquisti,234 ma si detter pensiero degli armamenti navali, più che non l'avessero mai fatto i governatori dei califi.235 Intesero altresì a ordinare lo Stato a dispetto degli elementi di discordia accennati dianzi; e dettero principio a quella splendida civiltà che poi sopravvisse a lor dinastia, alle guerre civili ed alla occupazione cristiana. E perchè nel faticoso cammino della umanità è sempre avvenuto che i principii d'ordine fossero usurpati e contaminati dal dispotismo, e appena oggi si comincia a vedere qua e là nel mondo qualche popolo che sappia innestarli con la libertà, non fia maraviglia se verso la fine dell'ottavo secolo i monarchi musulmani di Spagna, volendo dar sesto alla società, cadessero nella tirannide, o piuttosto intraprendessero l'opera dell'ordine e incivilimento al solo fine incivilissimo di prevalersi senza ritegno del comando. Seguendo l'istinto che porta i tiranni a spolpare i sudditi per ingrassare le soldatesche stanziali, Hâkem-ibn-Hesciâm (796-822), terzo principe omeîade di Spagna, uom prode e di forte animo, ma beone, dissoluto e crudele, provocò di soverchio il popolo della capitale. Aggravati col nuovo balzello della decima su le vittuaglie; dispettosi del vedere armar legioni di schiavi comperati a posta e rizzare fortezze e tener cavalli schierati innanzi la reggia, i cittadini di Cordova si risentirono; rincorati dai giuristi, i quali in Spagna come in ogni altra provincia sosteneano la primitiva libertà dei Musulmani. Indi Hâkem a far morire i caporioni della resistenza legale; indi i cittadini a congiurare per deporlo dal trono; e dalle congiure i soliti tradimenti e supplizii; finchè la rattenuta ira scoppiava alle violenze d'uno schiavo soldato contro un cittadino.
Il borgo meridionale, frequentissimo di popolo, si levò incontanente a romore (25 marzo 818); dove spinti da Hâkem gli stanziali negri, il giund e sue schiere di ribaldi raunaticci, il giorno appresso il borgo fu espugnato; messo per tre dì a ruba, a sangue ed a fuoco; distruttevi dalle fondamenta case e moschee; trecento cittadini dei più notabili, sgozzati e sospesi ai pali in orrida fila lungo il Guadalquivir. Al quarto giorno, osando alla fine un cortigiano di ricordare al tiranno che quei ribelli di cui facea carnificina fossero pur creature di Dio, Hâkem perdonò la vita ai superstiti che s'andavano ascondendo per la città; ma volle che sgomberassero da Cordova e luoghi vicini, con loro donne e figliuoli, portando seco la roba che potessero: ma le soldatesche, postesi ai passi nella campagna, li svaligiarono. Molti indi si rifuggivano a Toledo e altre città di Spagna; molti su le costiere d'Affrica; e più numero andò a cercar ventura in Oriente: rimase il borgo di Cordova desolato e disabitato per quattro secoli. Hâkem, come se non fosse ancor sazio, sfogò il resto della rabbia ch'avea in petto con dettare una satira contro i ribelli; esempio, credo unico, nella storia; poichè Giuliano l'apostata, al tempo antico scrisse il Misopogon contro i cittadini d'Antiochia, senza far torcer loro un capello; e più d'un principe pagano e cristiano si è vendicato con arsioni, macelli e saccheggi, senza sapere scriver satire. L'opinione pubblica, che gastiga tai misfatti com'ella può, non perdonò al re poeta. Il volgo chiamollo “Quel dal Borgo” e “L'Efferato” (Er-Rabâdhi ed Abu-'l-A'si). I cronisti a gara lo infamarono e maledissero; all'infuori d'un semplice o svergognato, che con gergo cortigianesco appose il tumulto del borgo a prosperità soverchia del popolo.236
Il grosso degli sbanditi di Cordova (i cronisti lo fan sommare a quindicimila) si vede apparire d'un subito, otto anni dopo l'eccidio, in Alessandria d'Egitto; onde è da supporre che fosse stato respinto successivamente da più luoghi di Spagna e d'Affrica, ove cercava una patria; e che Hâkem, ovvero il figliuolo, Abd-er-Rahmân, il quale gli succedette (822), abbia fornito navi per allontanar dal reame gente sì indocile e sì ingiuriata. Senz'armi nè danaro, e, com'e' sembra, alla sfilata, passarono, cheti per forza, le Baleari e le terre italiane, cui l'armata spagnuola aveva osteggiato con successi non felici poco avanti il caso di Cordova: e si adunarono a poco a poco nei sobborghi d'Alessandria. Non andò guari che una rissa privata accese aspro combattimento tra cotesti Spagnuoli che nulla possedeano, e i cittadini che li guardavano in cagnesco; e gli Alessandrini v'ebbero la peggio: i disperati forastieri, fatti per necessità soldati di ventura, occuparono parte della città, e dopo orribili guasti e depredazioni vi s'afforzarono e posero sopra di loro un condottiere. Fu questi Abu-Hafs-Omar-ibn-Scio'aib, detto El-Ballûti da una terra presso Cordova, e il Cretese dall'isola ch'ei poscia conquistò; Apocapso, come lo chiamano i Bizantini, trascrivendo a lor guisa il primo dei suoi nomi. Ma, dopo le turbolenze intestine che avean lacerato l'Egitto e favorito la sedizione delli Spagnuoli, riordinato lo Stato da Abd-Allah-ibn-Tâher, luogotenente del califo e poi occupatore della provincia, questi fece intendere ad Abu-Hafs che si sottomettesse, o s'apparecchiasse a difendersi: e bastò il nome di Tâher a piegare Abu-Hafs all'accordo (823?). Stipularono che il governatore d'Egitto desse un sussidio di danari, e che, allestita così un'armatetta, gli Spagnuoli sgombrassero d'Alessandria, e cercassero fortuna in alcun paese cristiano non soggetto ai Musulmani. Elessero Creta ch'era vicina, mezzo disabitata,237 e parea facile acquisto; avendovi fatto una scorreria l'anno innanzi Abu-Hafs medesimo o alcun altro condottiero musulmano con poche forze. Probabil è che Abu-Hafs, sbarcando in Creta, abbia dato alle fiamme parte de' legni rabberciati con poca spesa in Alessandria, e non atti a novella navigazione; e ciò porse argomento ai Bizantini a replicare nel conquisto di Creta il classico racconto dell'armata arsa da Agatocle, quando assalì Cartagine; a fingere che Apocapso, da lor chiamato Principe dei Credenti in Spagna, volendo sgravare il paese conducesse quella colonia in Creta, e cercasse di togliere ai suoi la speranza del ritorno; e drammaticamente fanno adirare i Musulmani alla vista dell'incendio per amor delle mogli e figliuoli che avean lasciato in Ispagna; e fanli racchetare da Apocapso con brevi parole: che ei lor darebbe in Creta donne più belle, dalle quali avrebbero quanta prole volessero. I cronisti bizantini, che ambivano d'intrecciar nella storia tante fronde di rettorica a modo greco e romano, ignoravano che disperata gente fossero i vincitori di Creta; ma ne sapeano bene alla prova il valore. Narrano pertanto molti fatti d'arme trascurati dai Musulmani nello scheletro de' loro annali. Narrano, come Abu-Hafs afforzava l'alloggiamento, che poi divenne città, e dalla voce arabica Khandak, che suona fosso, si chiamò Candia, e diè all'isola il nome che or porta. Dicono infine come Michele il Balbo, testè liberatosi dalla guerra civile di Costantinopoli, mandasse due eserciti al racquisto dell'isola, e fossero entrambi sconfitti. Dondechè, condotta una schiera di mercenarii a quaranta monete d'oro a capo, questa forte milizia, che i Greci chiamarono per invidia i Tessaracontarii, o diremmo noi Quarantini, fece miglior prova. Con un'armatetta capitanata da Orifa, che al nome par anch'egli straniero, i Tessaracontarii liberarono dai Musulmani le isolette adiacenti; Creta non già, ove la colonia si afforzò e crebbe. Seguitavano questi eventi verso l'ottocento venticinque di nostr'era.238 I Musulmani poi di Creta, su' quali regnò la dinastia di Abu-Hafs,239 sembra che partecipassero con le popolazioni affricane nel conquisto di Sicilia, e di certo furono principalissimi nella infestagione della Puglia e della Calabria per tutto il nono secolo: e per tal motivo ho voluto distendermi nei particolari della emigrazione loro dalla Spagna,
Ho lasciato come superflue le citazioni su le vicende dei quattro dottori principi, che sono notissime. Su la giurisprudenza musulmana veggansi le introduzioni di D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman; Hamilton, The Hedaya; e il testo arabo di Mawerdi, Ahkâm-sultâniia. Il barone De Slane ha fatto un bel quadro degli studii legali dei Musulmani nella Introduzione al primo volume della versione inglese d'Ibn-Khallikân, p. XXIII, seg. Veggansi altresì: M. Worms, Recherches sur la Constitution de la Propriété territoriale dans les pays musulmans, pag. 1, seg.; e M. Perron, Aperçu préliminaire al trattato di Khalîl-ibn-Ishâk nella raccolta intitolata Exploration scientifique de l'Algérie, Sciences historiques, tomo X.