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Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I», sayfa 8

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Nacque Maometto (a. 570) della tribù koreiscita, della nobile progenie di Kossai per Hascem, soprannome che in lingua nostra suonerebbe Frangi-pane, e fu ricompensa data dai poveri al bisavolo del Profeta. Unico figliuolo di giovane coppia, Maometto venne al mondo dopo la morte del padre; perdè la madre a sei anni; poco appresso, l'avol paterno: rimase orfanello e povero in tutela dello zio Abu-Taleb, uomo di alto affare nella città. Secondo il costume, era stato allevato in una tribù beduina, ove si avvezzò alla dura vita del deserto; ma lo rimandarono a casa, credendolo indemoniato, per insulti di epilessia. Fe' parecchi viaggi in Siria e altrove con le carovane: e una ne condusse per conto di Khadigia, donna vedova e giovane. Avvenente e ben complesso della persona; piacevole al tratto; amato da tutti per probità, gravi costumi, saviezza e bel parlare, gli altri diergli il nome di Amîn, che noi diremmo il fidato; Khadigia invaghissene e lo sposò. Così nella tranquillità d'una mediocre fortuna e nella pace domestica, ch'ei non prese altre mogli mentr'ebbe Khadigia, visse infino ai quarant'anni, praticando le virtù che appartengono ad uom privato, amando il raccoglimento e la solitudine, senza far parlare altrimenti di sè. Non si rese chiaro nelle armi fino alla guerra civile ch'egli accese, nella quale poi non mostrossi gran capitano, e moltissimi l'avanzarono di fierezza e valor nella mischia. Da meno di tutti gli altri Koreisciti, ch'eran pure i più tristi poeti dell'Arabia, ei non fe' mai versi, non potea ripeterne senza guastarli. Vantossi di non saper leggere nè scrivere; il che non tolse ch'apprendesse le tradizioni nazionali e straniere, i principii filosofici e i libri sacri d'altri popoli, che, tra quel fermento di intelletti, gli tornavano da cento bocche diverse; tra gli altri da un parente della moglie, ch'era de' quattro ricercatori della vera religione d'Abramo.

Di quegli elementi disparati Maometto prese ciò che seppe e potè adattare ai bisogni degli Arabi. Ne compose un sistema religioso e politico, semplice, vasto, ottimo alla prova; poichè e rigenerò una nazione più prontamente che non l'abbia mai fatto altra legge, e contribuì non poco all'incivilimento d'una gran parte del genere umano, e si regge tuttavia, nè par disposto a morire. Il disegno di tal religione potrebbe adombrarsi in questo modo. Tolti da' Giudei e dai Cristiani e racconci un po' all'arabica i dommi cardinali: Dio uno, senza compagni, senza nè genitori nè figliuoli, vivente, eterno, immateriale, onnipossente; creazione; gradazione di esseri ragionevoli, angioli, demonii, genii, uomini; vita futura; giudizio universale; premio ai credenti e virtuosi di soggiornare in eterno in giardini lieti d'acque e di frutta, con modeste donzelle dagli occhi negri; supplizio agli empii il fuoco sempiterno; predestinata da Dio ogni cosa, fin chi crederebbe e chi no; ciò non ostante, come per divin trastullo, messi gli uomini tra la tentazione perpetua di Satan, e la voce dei profeti; profeti o apostoli tutti que' dell'antico testamento e Gesù Cristo; rivelati il Pentateuco e il Vangelo; ultimo e massimo apostolo Maometto; l'ultima edizione de' comandi del Creatore scritta ab eterno; recitata a brani dall'angiolo Gabriele all'apostolo illitterato, il quale venia ripetendo la rivelazione, e sì chiamolla Korân, ossia lettura. Primissimo dovere degli uomini verso Dio, la fede, anzi l'assoluto abbandono in lui; che ciò significa islâm, e indi son detti musulmani i credenti, ossia abbandonati in Dio: idea cristiana sotto nuovo nome. Il culto tra giudeo ed arabo: frequenti preghiere, pellegrinaggio alla Mecca, digiuni, con una lunga appendice di purificazioni da osservarsi e impurità da scansarsi; raccomandandosi alla coscienza di ciascuno le pratiche private, le pubbliche alla scambievole vigilanza de' cittadini. Perchè non si istituì alcun ordine sacerdotale; le preghiere in comune principiavansi dal capo politico o da ogni altro Musulmano; così anche le concioni o sermoni pubblici; e gli stessi teologi che nacquero ne' tempi posteriori non furono sacerdoti; i dervis e altre fraterie non altro che accattoni e moderni. Chiamati i fedeli a servir su la terra l'Onnipossente con la borsa e con la spada, pagando la decima e combattendo i miscredenti: l'uno statuto giudaico; l'altro effetto d'uno intendimento politico e della universale intolleranza dell'età. Precetti divini anco erano i doveri degli uomini tra di loro, dettati con forma e severità giudaica, ma ispirati dalla carità cristiana. Infatti viene innanzi ogni altro e secondo solo alla fede, espresso e positivo obbligo la limosina. La fratellanza tra i Musulmani, il rispetto delle persone e delle proprietà: donde un abbozzo di codice civile e penale, che ridusse a legge certa, universale, applicabile dall'autorità pubblica, molte male osservate costumanze degli Arabi; e sopra ogni altra la pena degli omicidii. Con ciò il Profeta correggeva, ora per espresso divieto ora per consiglio, i vizii più flagranti della società arabica: maledetto il parricidio delle bambine; proscritti l'usura, il vino, il gioco; la poligamia limitata; dati diritti di non lieve momento alle donne; la schiavitù non abolita ma mitigata e menomata, consigliandosi, e in molti casi comandandosi, la emancipazione. Da ogni parte si vede, quando si risguardi all'ordinamento sociale, come i costumi legassero le mani al legislatore, troppo superiore, non che alla sua nazione, ma al suo secolo. Per lo contrario, quell'altissimo ingegno non bastò ad improvvisare un dritto pubblico. Degli ordini politici ei non lesse altro in cielo che la uguaglianza dei cittadini tra loro e l'obbligo di ubbidire ciecamente a lui solo: principii stranieri entrambi, fecondi dapprima; e poi l'uno svanì, l'altro portò alla assurdità d'un governo assoluto senza legislatore. Questa è la somma della nuova legge. La prova dell'autorità non potendo venir che di lassù, Maometto con molta arte ne compose una sembianza. A dimostrazione del suo dio allegò e ripetè senza stancarsi quanti sapesse dei miracoli giudei e cristiani, i terrori delle tradizioni e fenomeni dell'Arabia, la bellezza del creato, la pioggia, la vegetazione, la vita, ogni beneficio che vien dalla natura, ogni mistero che l'uomo non può spiegare. In attestato della propria missione portò un sol prodigio: il divino stile, diceva egli, del Corano, che intelletto d'uomo non sarebbe arrivato giammai a comporre: e sì sfidava i miscredenti a imitarne una sola pagina. Infatti quei che noi diciamo versi del Corano ei chiamò aiât ossia miracoli. Gli altri prodigii che sogliono attribuire a Maometto i Musulmani, e, più di loro, i Cristiani, nè egli mai li vantò, nè entrano nella credenza di lor teologi: sono invenzioni di tempi più bassi e di altre nazioni; sopratutto dei Persiani che portavano nello islamismo lor fantasie indo-germaniche.

Le istituzioni musulmane, come ognun sa, furono dettate a poco a poco, abrogate ed emendate secondo le circostanze: e gli Arabi si beveano d'aver sì comodo legislatore, onnisciente e fallibile, capriccioso ed eterno. Deriva la legge da due fonti: il Corano e la tradizione, ossia le pratiche e parole di Maometto, notate dai discepoli, delle quali noi abbiamo ricordi autentici e diligenti più che non si possa aspettare in leggende religiose; emergendo non dalle tenebre di una setta e d'una antichità remota, ma dalla storia di pochi anni di persecuzione, che si voltò in trionfo vivendo i persecutori e i perseguitati e ridivenuti fratelli. Quell'ampia raccolta, ci attesta forse meglio che il Corano la sagacità, prudenza, umanità, bontà e saviezza pratica del legislatore: ed è stata guida dei Musulmani a private e pubbliche virtù. Il Corano, assai più studiato, racchiude confusamente dommi, leggi generali, provvedimenti secondo i casi, assiomi, parabole, e gli antichi racconti religiosi ai quali accennai disopra, guasti per lo più da fallace memoria o presi a sorgenti apocrife; e ciò tra ripetizioni, contraddizioni, declamazioni; in stile vario, spezzato, incisivo, per lo più sublime, talvolta monotono: un tutto incantevole agli uditori suoi, per la proprietà e maneggio della lingua; e può ammirarsi anco da noi ancorchè non di rado vi si desiderino l'accento, il gesto, le attualità che doveano rendere sì efficaci quelle parole. Ma il prestigio che le rendeva più efficaci era al certo l'universale movimento degli animi in Arabia; era l'ebbrezza che spirano le idee dell'eterno e dell'infinito assaggiate per la prima volta; era quel lampo di giustizia che splendeva agli occhi degli uomini; il naturale amor della uguaglianza improvvisamente soddisfatto; l'usura abolita; l'assistenza reciproca sì efficacemente comandata; la gratitudine dei deboli confortati; l'impeto della democrazia sorgente sotto il nome del principato teocratico; il vasto campo che s'apriva anco alle ambizioni dei grandi. Seguendo il cammino di quella fiamma che si apprese a poco a poco e poi scoppiò in incendio, si vede come le dessero alimento a volta a volta il sentimento religioso, il sociale e il nazionale, poi tutti e tre uniti insieme.

Il Profeta incominciò a provarsi in casa. Supposta dapprima (gennaio 611) una visione dell'angiolo Gabriele, dissene alla moglie che gliene credette; poi ad Alî cugin suo, fanciullo di undici anni; a Zeid liberto e figliuolo adottivo; e, in quarto, a quegli che fu dopo lui il principale sostegno dell'islamismo, Abu-Bekr, personaggio di grandissima saviezza. Allargandosi e prendendo forma, la nuova religione fu derisa; e Maometto non se ne mosse: Cercò d'attirarsi i plebei, poichè i grandi lo spregiavano. Desta la tarda gelosia del politeismo, insospettita la nobiltà contro il novatore, fecero opera a screditarlo; poi a vicenda lo minacciarono e vollero attirarselo con promesse; gli fecero mille oltraggi; poser le mani addosso ai seguaci più deboli; costrinserli a spatriare. Maometto ciò nondimeno perseverava con mirabilissima costanza, coraggio e mansuetudine; affidando la pericolante vita all'onor della parentela, la quale non lo abbandonò ancor che fosse, la più parte, idolatra. Per virtù di quell'unico legame della società arabica, poteron anco rimanere alla Mecca pochi altri proseliti di nome. Dopo undici anni, crescendo sempre i convertiti tra le persecuzioni, Maometto si attirò cittadini di Iathrib che poi fu detta Medina; e mutò l'apostolato in congiura contro la patria. Allora gli ottimati della Mecca, posposto ogni rispetto, vollero spegnere il capo; e non potendolo fare con le leggi, chè non ve n'erano, ogni casa patrizia mandò il suo sicario per render comune il misfatto, e impossibile la vendetta della casa di Hascem. Ma i costumi posero nuovo ostacolo non preveduto: la schiera dei sicarii non osò violare l'asilo domestico del proscritto; si appostò fuori la notte: ed egli accorgendosene fuggì.

La qual notte ebbero principio un pontificato, un impero ed un'era. Questa si messe in uso diciassette anni appresso; quando, tra gli ordini che si istituivano appo i Musulmani ad esempio delle nazioni incivilite, parve fissare data comune agli atti pubblici, smettendo le epoche diverse osservate in alcune parti dell'Arabia. L'occasione è variamente riferita dai cronisti. Secondo alcuni la diè Abu-Musa-el-Ascia'ri governator di Bassora, lagnandosi con Omar califo, che gli avesse scritto lettere senza data. Mohammed-ibn-Sirîn, citato da Ibn-el-Athîr, narra in vece che un Arabo appresentatosi ad Omar gli dicesse: “Convien porre le date.” “E che è cotesto?” domandò Omar; e quegli: “È una usanza dei Barbari, i quali scrivono: tal mese e tal anno”. “Mi piace,” replicò il califo: “ponghiamo dunque le date.” Onde, convocata la dieta dei Musulmani, si disputò se fosse da prendere l'era di Alessandria, o l'usanza dei Persiani che notavano gli anni di ciascun re; ovvero far capo dalla missione di Maometto; o infine dalla hegira di lui, la emigrazione cioè, la Separazione solenne, l'atto d'un uomo libero che ripudia la società in cui sia vissuto. Fu vinto il partito della hegira, e sanzionato da Omar; il quale contemplò quello evento come divisione di due epoche: l'una d'errore, l'altra di verità. Nondimeno si contò non dal giorno della fuga, ma dal principio dell'anno in cui avvenne lasciandosi il calendario come stava, cioè l'ordine antico dei mesi, e lunare il periodo dell'anno, come per ignoranza lo volle Maometto.141

Fuggissi il Profeta a Medina (622); adunò i discepoli; maneggiò gli antichi e i nuovi da savio capo di parte; li infiammò, promettendo bottino e paradiso; combattè con varia fortuna; vincitore usò verso i nemici il più sovente con magnanimità; rade volte inflessibile, rade volte assentì o comandò assassinii; fu sempre giustissimo coi suoi partigiani; nè acquistò mai per sè stesso, ma per loro. Alfine traendo mezz'Arabia sotto le insegne sue, gittò via la maschera o forse il sincero proponimento della tolleranza che già gli era parsa sì bella, quando i politeisti il perseguitavano, e i Giudei si collegavano con essolui. E allora la repubblica aristocratica della Mecca piegossi a patteggiare col cittadino ribelle (a. 628); poco appresso a salutarlo principe, a confessarlo profeta, a sgomberar la Caaba dei trecensessanta idoli, per renderla al culto del Dio uno (a. 630). Le tribù beduine, le città del Iemen, tutti gli Arabi fuorchè i cristiani di Hira e di Ghassan ch'erano soggetti agli stranieri, credettero, accettarono per interesse, o per forza si sottomessero; abbattuti per ogni luogo i simulacri delle antiche divinità; sforzati a tacersi, o a celebrare il Vincitore, i poeti che l'aveano nimicato sì gagliardamente; accettati i luogotenenti suoi nelle province: la nazione divenne una, e riconobbe un sol capo.

Questi intanto aspirava a cose maggiori. La religione rivelata dal creatore del mondo non potea limitarsi a un sol popolo, e il popolo arabo non potea restare in pace tra sè quando non portasse la guerra in casa altrui. Pertanto il Profeta non avea mai fatto eccezione di genti nè di luoghi alla legge di combattere gli infedeli tanto che si convertissero o pagassero tributo. Quando gli parve certa la sottomissione dell'Arabia, e prima anco di entrare alla Mecca, osò mandare messaggi ai potenti della terra, richiedendoli di far professione dell'islamismo. Dei quali il re di Persia, che si tenea signor feudale dell'Arabia, lacerò le insolenti lettere; il che intendendo Maometto, sclamava: “E così Dio laceri il suo reame:” e a capo di dieci anni i Musulmani il fecero. Il re d'Abissinia non parve ostile. Nè anco il maggior principe di cristianità, Eraclio, che sedea sul trono di Costantinopoli; il quale onorò l'ambasciatore, e lietamente udì la rivoluzione che s'operava in Arabia e tornava a danno immediato dei Persiani. Pur egli si trovò esposto il primo agli assalti de' Musulmani, poichè i suoi vassalli di Hira uccideano un altro legato di Maometto, e questi immantinente mandava a farne vendetta. Ancorchè oppressi dal numero alla battaglia di Muta (a. 629), gli Arabi addimostrarono in quello scontro la virtù che dovea soggiogar tanta parte del mondo. Ucciso il capitano, dà di piglio alla bandiera Gia'far fratello di Alî; gli è tronco un braccio, ed ei la passa all'altra mano; mozzatagli anco questa, stringesi l'insegna al petto coi moncherini, finchè spirò trafitto di cinquanta ferite: nessuna a tergo. E fu rinnalzato il vessillo da un altro guerriero; e ricondusse a Medina i gloriosi avanzi della strage.

Venuto a morte Maometto (giugno 632), mentre apprestava nuovo esercito a vendicare la sconfitta di Muta, lasciò lo Stato in sommo pericolo. Accesa la guerra esterna; falsi profeti sorgeano per ogni luogo; le tribù nomadi ricusavano le decime, e scioglieansi dal novello freno; la nobiltà cittadina vogliosa di ridividere l'Arabia in cento e cento republichette; i discepoli dell'islamismo non scevri d'ambizione, sospetti, e gare di parte: e, tra tutto ciò, non sapeasi chi dovesse prender lo Stato; perchè o una frode domestica occultò il pensiero del Profeta, o egli differì troppo a manifestarlo, ovvero, e ciò mi pare più probabile, volle seppellir seco la profezia, e lasciare il principato alla elezione, come portavano i costumi degli Arabi. Ma lasciò anco il Profeta una generazione d'uomini che potea trionfare di questi e di maggiori ostacoli. Maometto avea maturato in veraci virtù i capricci cavallereschi della nazione. Mentre allettava la comune degli uomini coi vili beni di questo mondo e gli imaginarii godimenti dell'altro, avea spirato agli animi più puri lo zelo della verità morale; ai più malinconici la fede; agli uni e agli altri una stoica abnegazione; a tutti l'amor della patria; chè patria ed islamismo furono per gli Arabi di quel tempo una sola idea. Io non dirò altrimenti della magnanimità di tanti compagni del Profeta, perch'è nota a tutti, e i nomi di Abu-Bekr, Omar, Alî, Khâled, Sa'd-ibn-abi-Wakkas agguaglian forse que' degli Aristidi, de' Cincinnati e degli Scipioni. De' sentimenti che prevaleano in tutta la nazione voglio addurre uno esempio solo; e son le parole d'un Beduino, diligentemente conservate dalla tradizione, e trascritte da Tabari, che fu il primo che dettasse gli annali dell'islamismo. Tre anni appresso la morte del Profeta, trentamila Arabi afforzandosi con sapienti mosse tra i canali dell'Eufrate inferiore, fronteggiavano centomila Persiani condotti dal più sperimentato capitano della Persia. Avanti di venire alla decisiva battaglia di Cadesia, aveano gli Arabi mandato oratori a Iezdegerd ultimo re sassanida: il quale, sentendo parlar da conquistatori que' ch'era avvezzo a risguardar come vassalli, sdegnosamente li domandò qual delirio spingesse gli Arabi a provocare le armi della Persia; gli Arabi, dicea, poveri e divisi e ignoranti e barbari più che niun altro popolo della terra. Se disperata miseria li faceva uscir da' deserti, aggiunse il re, ei li soccorrerebbe di vitto e di vestimento, lor darebbe alcun governatore pien di bontà. A che tacendo gli altri per antica riverenza, un Beduino, Mogheira per nome, così parlò: “È proprio di gentiluomo, gli disse, rispettare la nobiltà del sangue in altrui: e sappi, o re, che tal riguardo solo, non rossore, non paura, fa sì dubbiosi al risponderti cotesti compagni miei, che son nati delle case più illustri dell'Arabia. Ma esporrò io ciò ch'essi tacciono. Dicevi il vero, o re, poveri fummo, se poveri mai v'ebbe al mondo: giacevamo su la ignuda terra; vestivamo pel di cameli e lane, filati da noi stessi; la fame ci portò sovente a mangiar le cavallette e i rettili del deserto; perchè le figliuole non scemassero il cibo ai maschi, i padri vive le seppelliano. Idolatri e ignoranti, ci scannavamo l'un l'altro: e questa era la religione nostra. Quando, mosso a pietà, Iddio ci mandò un profeta, uom noto, di famiglia notissima, di tribù ch'è la prima tra gli Arabi. Ei ci guidò alla vera religione, e noi credemmo finchè Iddio non gli diè ragione con illuminare le nostre menti. Ed ora che seguiamo i comandamenti di Dio, siam popol nuovo; siam diversi da quegli Arabi di pria: lo sappia il mondo! Chiamate gli uomini al mio culto, ci ha detto Iddio: chi assente, avrà i vostri dritti e doveri; sopra cui ricusa ponete un tributo; se il dà, proteggetelo; se no, combattete contr'esso: e a' vostri morti in battaglia è serbato il paradiso, ai sopravviventi la vittoria. Scegli dunque, o re: paga il tributo con umiltà, o t'apparecchia a combattere.”

Pria che la nazione potesse levarsi a tant'orgoglio, ebbe a sostenere la breve ma durissima prova, alla quale accennai, e che fu vinta dai valorosi compagni del Profeta; indi riveriti a ragione come santi dell'islamismo. Prevengon essi la guerra civile con senno non minor che l'ardire; esaltano al sommo uficio Abu-Bekr: e questi con potente mano ridusse alla unità politica e religiosa le tribù e cittadi che tentavano di spiccarsene; e sì unite, tra per amore e per forza, pria che potessero pensare ad altre novità, lanciolle sopra i due imperi bizantino e sassanida, e le inebriò di vittorie (632-634). Abu-Bekr designò a successore Omar, che mantenne l'unità; diè principio agli ordini pubblici; estese i conquisti (634-644), e nominò alla sua morte sei elettori, i quali scelsero Othman. Sotto costui il corso delle armi musulmane non si frenò perchè non si potea: la pace interna fu distrutta; ed egli espiò col sangue la parte ch'ebbe a tale scompiglio. Succedeagli Alî per elezione fieramente contrastata, onde divampò quella guerra civile che esaltava al trono Mo'âwia-ibn-abi-Sofiân, capitano dell'esercito di Siria, e rendeva ereditario il principato in casa Omeiade. Ripigliavasi allora la guerra straniera, sospesa alquanto per cagion della guerra civile: i limiti dell'impero estesi entro dieci anni dopo la morte di Maometto infino alla Persia, alla Siria e all'Egitto, arrivarono, entro un secolo, allo stretto di Gibilterra dalla parte di ponente; dalla parte di settentrione e di levante alla Tartaria e alla valle dell'Indo. Ma pria di discorrere per qual modo quelle terribili armi incominciassero a infestare la Sicilia, è mestieri particolareggiare le mutazioni politiche e sociali che lo islamismo portò nella nazione arabica.142

Il Profeta, fatto principe, non volle o non potè rendere gli uomini uguali in società, com'eranlo per natura, diceva egli, al par dei denti d'un pettine, senza distinzione di re nè di vassalli.143 Lasciò le donne inferiori nei dritti civili; gli schiavi affidati alla carità religiosa più tosto che a leggi espresse: e quanto agli infedeli non è uopo dire che li volle sudditi dei credenti. Ma tra i Musulmani liberi pose uguaglianza assoluta: la nobiltà, che avea governato gli Arabi da tempi immemorabili e contrastato il Profeta finchè potè, non ebbe dritti, non ebbe nome nella legge. I congiunti di Maometto, a pro dei quali parrebbe fatta un'eccezione, furon chiamati soltanto a partecipare insieme con lui, con gli orfanelli, co' poveri e coi viandanti, alla quinta parte del bottino; risguardati perciò piuttosto indigenti privilegiati che ottimati della nazione. Morto poi Maometto, e tenuto lo Stato per dodici anni da Abu-Bekr e Omar, intrinsechi e vecchi compagni che appieno conosceano i suoi intendimenti e con somma religione li applicarono e svilupparono, la nobiltà li ebbe inflessibili avversarii. Abu-Bekr, quanto il potè in un brevissimo regno e agitato, volle scompartire ogni acquisto della repubblica musulmana a parti uguali tra' credenti. Omar tenne altro modo. I conquisti della Persia, della Siria e dell'Egitto gli dierono abilità a far uno ordinamento più regolare e vasto d'assai; nel quale ebbe a scorta gli uficii d'azienda sassanidi e romani, e per sorte da dividere le immense entrate delle città datesi a patti, che intere cadeano nell'erario pubblico, non toccando ai combattenti altro che quattro quinti della preda fatta con la spada alla mano. Fe' descrivere dunque Omar, l'anno quindici dell'egira (636), nei registri o divani, come li chiamarono con voce persiana, da una parte le entrate pubbliche, dall'altra tutti i Musulmani. L'ordine della lista fu che la schiatta di Adnân, donde nacque il Profeta, fosse posta innanzi la schiatta di Kahtân; e nella prima i Koreisciti innanzi le altre tribù; e la casa di Hascem innanzi tutt'altra dei Koreisciti; senza eccezione, a favor del principe, il quale fattisi mostrare i ruoli che aveano steso, e trovandovisi il primo, “Non questo, disse, non questo io vi comandava: mettete Omar là dove Iddio l'ha messo.” Così la sua e le altre famiglie koreiscite preser grado secondo la consanguineità che legavale a quella del Profeta; il rimanente delle tribù e parentele di Adnân, secondo l'anteriorità nel professare l'islamismo; e lo stesso nelle tribù di Kahtân. Tutti parteciparono delle entrate pubbliche, patrimonio comune dei Musulmani, secondo i precetti di Maometto, che poi rimasero lettera morta ne' libri di dritto, ma rigorosamente osservaronsi in quei primi tempi in una società democratica e piena di fervore religioso. Inoltre è da considerare che sotto i califfi Abbassidi, e fors'anco prima sotto gli Omeiadi, noverandosi la popolazione musulmana a milioni, e sendo sparsa su la metà del mondo conosciuto, i divani divennero necessariamente ruoli di milizie e di impiegati, retribuiti più o meno a piacer del padrone. Ma sotto Omar, potendo tuttavia contarsi i Musulmani a migliaia, tutti Arabi e soldati dell'islâm o famiglie de' soldati, il precetto con men difficoltà mandossi ad esecuzione. Ognuno ebbe dunque in sorte una provvisione sul tesoro pubblico, ma disuguale, variando la somma in ragion composta del merito religioso, e dei bisogni e valore di ciascuno. Alle vedove del Profeta, madri dei Credenti, come le chiamavano, diè Omar dodicimila o diecimila dirhem144 all'anno; settemila ne toccò Abbâs zio di Maometto; cinquemila ciascun fuggitivo della Mecca che avesse combattuto alla giornata di Bedr, la prima vinta da' Musulmani; quattromila il rimanente dei soldati di Bedr; e scendeasi gradatamente secondo l'anzianità nel servigio militare, con la sola eccezione che si ragionava sempre la quota del cavaliere più che quella del fante, e davasi un caposoldo ai più valorosi. Quanto agli uomini di Kahtân che sì virtuosamente combatteano allora in Siria, ebbero, come meno anziani in islamismo, duemila, mille, cinquecento, e fino a trecento dirhem. Alle donne furono assegnate pensioni proporzionali a quelle dei capi di lor famiglie, da cinquecento dirhem che n'ebbero quelle de' guerrieri di Bedr, infino a dugento. Alle altre donne e a tutti i fanciulli, e infine anco ai lattanti, cento dirhem. Gli schiavi non furono esclusi. Omar non volle per sè che il parco mantenimento suo e della famiglia: domandollo ai cittadini con dir che un tempo avea fatto il mercatante, ma avea dovuto smettere per amor dei negozii pubblici; e ottenuta la provvisione, fieramente si adirò una volta che gli amici tramarono di accrescergliela. Ma verso gli altri fu prodigo sì che non lasciò mai un obolo nel tesoro; e consigliato di serbar qualche somma per lo avvenire: “No” rispose; “sarebbe una tentazione pei miei successori.” Il valsente delle pensioni si diè ai poveri in derrate, ritraendosi che nelle alte regioni dell'Arabia centrale fu dispensata da principio una porzione di vittovaglie a ciascuno; poi due misure di farina ogni mese, quanto Omar avea ragionato il bisogno d'un uomo, facendo nudrire sessanta poveri per certo spazio di tempo. Crescendo alfine la liberalità del governo, e la delicatezza d'un popolo che pochi anni innanzi s'era cibato ed or è tornato a cibarsi di datteri e cavallette, si diè pane in luogo di farina; poi del pane condito con olio; poi vi si aggiunse un pezzo di cacio; poi si fornirono due pasti al dì: mattina e sera.145 Così fatti particolari non mi sono sembrati indegni della storia, nè sì minuti che non meritassero luogo in un abbozzo di quadro generale, perchè valgon meglio che i giudizii degli scrittori a mostrare il súbito e maraviglioso mutamento della società arabica in quel tempo, e la prima forma che prese. Fu democrazia sociale come oggi si direbbe, la quale forma ben rispondeva ai principii fondamentali dell'islamismo: uguaglianza, e fratellanza. E si vide, con esempio avventuratamente raro nel mondo, un popolo re nudrito per tutti i deserti dell'Arabia a spese dei vinti, come l'altro popolo re l'era stato entro le mura di Roma.

Pur nascea, come ognuno se ne accorge, insieme con la novella società una gerarchia di merito civile e religioso e una disuguale partecipazione nei comodi della repubblica; le quali condizioni cominciarono a costituire nuov'ordine di ottimati, naturalmente opposto all'antica nobiltà. Omar, tra per necessità e disegno, diè un altro crollo all'antica nobiltà, mutando alquanto le associazioni per la guarentigia del sangue, prima base della società arabica; poichè volle che si tenessero per mallevadori, akila come diceano gli Arabi, non più gli uomini di una medesima parentela esclusivamente, ma gli ascritti nel medesimo divano, i quali erano ormai diversi dai primi, quando parte di molte tribù era rimasa in patria, l'altra stanziava con l'esercito nei paesi vinti, e spesso componeasi d'uomini raggranellati di varie genti.

Nondimeno l'elemento primitivo della società arabica trionfò del silenzio di Maometto e dei divani di Omar. Impossibil era di spezzare a un tratto gli antichissimi legami delle parentele; impossibile di condurre gli Arabi alla guerra altrimenti che per tribù; impossibile di dar loro capi appartenenti ad altre famiglie, fuorchè il condottiero supremo dell'esercito. Le brigate dunque, i reggimenti, i battaglioni, le compagnie, a modo nostro di dire, rimasero ordinate per parentele con poche eccezioni; capitanaronle gli antichi nobili: e tra sì rapidi conquisti il bottino accrebbe l'avere delle famiglie; i convertiti stranieri ne accrebbero il numero, ponendosi sotto la protezione degli uomini di maggior séguito, e divenendo clienti, o come gli Arabi diceano, maula. Così la nobiltà crescendo di potenza per cagion della guerra, più prestamente che non diminuisse per l'ordinamento delle pensioni d'Omar, ruppe, poco appresso la costui morte, il freno della legge. L'antagonismo delle schiatte aiutò il movimento; poichè i figli di Kahtân rifatti guerrieri e prevalenti di numero nell'esercito di Siria, non vollero restar da meno nel grado sociale e nella distribuzione dei premii. Fu offerta loro la occasione da M'oâwia capo della casa Omeiade, il quale capitanava quell'esercito e per comunanza di sangue e d'interessi trovava partigiani tra l'antica nobiltà della schiatta di Adnân, mentre l'ambizione lo piegava a favorire la rivale stirpe di Kahtân. Di cotesti elementi nacque una fazione che contese il poter dello Stato alla famiglia ed a' compagni del Profeta, che è a dire al novello ordine di ottimati religiosi. Cominciò la lotta in corte appo Othman, che fu ucciso dai nuovi ottimati, perch'ei favoriva la parte di Mo'âwia. Esaltato da loro Alî, gli Omeiadi vennero alle armi; trionfarono degli avversarii che erano divisi tra loro per le pretensioni della casa d'Alî; e così fu reso ereditario il principato in casa Omeiade. Cotesta rivoluzione scompose l'ordinamento degli ottimati religiosi, e in breve tempo li ridusse a meri dottori in legge; dal quale grado inferiore dopo due secoli tentarono di risorgere i discepoli loro. Da un'altra mano mentre combattean le due aristocrazie, la democrazia surse impetuosa contro di entrambe, ma penò tre secoli a vincere e non potè usar la vittoria. Io terrò discorso a luogo più opportuno di cotesti partigiani della ragione contro l'autorità religiosa e politica. Similmente aspetterò che occorra negli avvenimenti la influenza politica dei giuristi, per descriverne i motivi e i limiti. Per ora basti all'argomento nostro di notare le tre divisioni ch'erano nate nella società musulmana, le quali tendeano all'aristocrazia religiosa, all'aristocrazia militare, e alla democrazia; mentre il principato correva in fretta verso la tirannide.

141.Ibn-el-Athîr, MS. C., tom. I, fol. 3 recto e verso.
  Sul giorno della fuga, gli eruditi non son di accordo; ponendolo chi in giugno e chi in settembre 622. Vedi Caussin, Essai sur l'histoire des Arabes, tom. I, p. 16, seg.
  In ogni modo il primo anno dell'egira cominciò il giovedì 15 luglio 622, secondo gli astronomi arabi, e, secondo l'uso comune, il 16; contando gli astronomi il principio della giornata da mezzodì, e i magistrati e il popolo dal tramonto del sole. Vedi Sédillot, Manuel de Chronologie universelle, Paris 1830, tom. I, p. 340, seg.
142.Parendomi inutile e noiosissimo di far citazioni in un quadro generale, mi contenterò di ricordare ai lettori le opere principali da consultarsi su la storia degli Arabi avanti l'islamismo e nei primi tempi di quello. Sono: il Corano; le Tradizioni di Maometto, delle quali la raccolta più compiuta che si trovi data alle stampe è il Mishkat-ul-Masabih, versione inglese del capitano Matthews; Pococke, Specimen historiæ Arabum; Universal history, ancient part, tom. XVIII., modern part, tom. I; Caussin, Essai sur l'histoire des Arabes.
  L'ambasceria degli Arabi a Iezdegerd si legge in Tabari, Annales regum, edizione del Kosegarten, tom. II, p. 274 a 281, e se ne trova un compendio nel tom. III di M. Caussin, p. 474, seg., e una versione francese di M. de Slane, Journal Asiatique 1839, tom. VII, pag. 376, seg. Sarebbe superfluo lo avvertire ch'io non ho composto il discorso di Mogheira, ma soltanto abbreviatolo, lasciandovi per lo più le parole dell'originale.
143.Hariri, Mecamêt, ediz. di M. de Sacy, p. 34, edizione di MM. Reinaud e Derenbourg, p. 39. Questa tradizione è data nel Commentario. Veggasi anche lo aneddoto raccontato da M. Caussin, Essai, tom. III, p. 507.
144.Dirhem è corruzione della voce greca e latina drachma. Significa appo gli Arabi un peso e una moneta di argento. Il valore della moneta così chiamata è stato, come sempre occorre, vario ne' varii tempi e luoghi: spesso moneta di conto, ma non effettiva. I dirhem che abbiamo dei califfi, ancorchè in tempi posteriori ad Omar, tornano in peso d'argento a sessanta centesimi di lira italiana più o meno. Parmi che questo sia stato anco il valore che s'intendea sotto la denominazione di dirhem al tempo di Omar. Si può supporre che una giornata di lavoro presso i popoli stanziali di Arabia tornasse in quel tempo circa a due dirhem; poichè lo schiavo persiano il quale per vendetta uccise quel gran principe, sendo ito a chiedergli giustizia contro il proprio padrone che l'obbligava a pagare due dirhem al giorno, Omar gli avea risposto che mettendo su un molino a vento, avrebbe potuto vivere e soddisfare quel tributo.
145.Mawerdi, Ahkâm Sultânîia, lib. XVIII, ediz. Enger, p. 345 seg. Ibn-el-Athîr, MS. C, tom. II, fol. 93, seg., sotto l'anno 15. Ibn-Khaldûn, Parte II, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 742 quinquies, tom. II, fol. 171 recto. Ho seguíto a preferenza Mawerdi, antico e rinomato scrittore di dritto pubblico. Le cifre son date con qualche divario da Ibn-el-Athîr e dagli altri compilatori moderni. Ma si ricava da tutti: 1º Che fossero scritti nei divani anche i fanciulli, le donne e gli schiavi; 2º Che vi fosse un minimum come noi diremmo, al quale avea dritto ogni persona di qualunque sesso, età e condizione. Perciò le pensioni più grosse debbono riguardarsi in parte come retribuzione militare, o riconoscenza di meriti particolari, e in parte come quota dei guadagni comuni, appartenente ad ogni associato nella fraternità musulmana.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 eylül 2017
Hacim:
701 s. 2 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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