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Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. I»

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INTRODUZIONE

Non ostante la cultura delle colonie musulmane che tennero la Spagna e la Sicilia e dettero tante parti di civiltà all'Europa, egli è avvenuto che la storia loro rimanesse per molti secoli oscura e trasandata, quasi di popoli barbari. E ciò per cagione che i cronisti latini e greci del medio evo poco ne scrissero; che le opere arabiche andarono a male quando i Musulmani sgombravan da quei paesi; e che quel tanto che ne fu serbato in Affrica o in Oriente, non potea passare, senza difficoltà grandissime, dalla società musulmana alla società europea. Quegli ostacoli, superati un po' dal decimosesto al decimottavo secolo, or si vincono felicemente. La tolleranza filosofica; il genio degli studii storici; i viaggi; il commercio; le dominazioni europee in alcuni paesi di Musulmani; la influenza esercitata sopra altri; le accademie asiatiche istituite sotto varie denominazioni, in Inghilterra, Francia, Alemagna, Stati Uniti d'America e stabilimenti inglesi in India; i giornali periodici di esse; lo zelo di raccogliere manoscritti, monete antiche e monumenti; l'agevolezza ad apparare le lingue orientali; le frequenti pubblicazioni di libri arabici, han reso ormai praticabili molte ricerche tentate invano dalle passate generazioni. Così qualche opera pregevole rischiara già la storia dei Musulmani di Spagna, e sappiam che altre se ne apparecchino di maggior polso. Così gli annali delle Crociate si compiono col favor dei cronisti musulmani. Così escono alla luce o s'intraprendono di continuo tanti altri lavori storici su l'Affrica, su l'Egitto e su varii Stati dell'Asia anteriore.

La genuina tradizione dei tempi musulmani si dileguò di Sicilia al conquisto normanno, insieme coi dotti ch'emigravano in Affrica, in Spagna o in Egitto. Se ne andavano con essi i libri; o erano distrutti tra le guerre del conquisto nell'undecimo secolo; tra le sedizioni dei Cristiani nel duodecimo; tra le disperate ribellioni dei Musulmani nei principii del decimoterzo: ancorchè la Sicilia non abbia dato, nè anco in que' tempi, lo scandalo d'un auto-da-fè di manoscritti arabici, come quello del cardinal Ximenes che ne fece ardere ottantamila su la piazza di Granata, mentre Colombo scopriva l'America. Il fatto è che dalla metà del decimoterzo secolo alla metà del decimoquarto, rimanendo tuttavia in Sicilia, come n'abbiam prove, qualche notaio che intendesse gli atti distesi in arabico e qualche Giudeo che traducesse opere dei medici arabi, tal cognizione di lingua non servì a tramandare memorie storiche, ma soltanto a propalar qualche errore degli Arabi o dei traduttori. Così io penso leggendo nelle croniche latine di Sicilia a quel tempo, che dopo i casi del buon Menelao re d'Italia e di Sicilia, i Greci, mandati da Eraclio imperatore di Costantinopoli, si fossero impadroniti della Trinacria; le avessero posto nome di Sicilia, da due voci greche l'una delle quali suona fico e l'altra olivo; e che poi, ribellatosi Maniace luogotenente di Eraclio e spento a tradigione dalla corte bizantina, il figliuol suo, per vendetta, avesse dato l'isola ai Saraceni di Tunis, l'anno di Maometto centonovantotto, e ottocento ventisette di Cristo.1 Erano i fatti di venti secoli compendiati in una vita d'uomo. Quella falsa etimologia dal fico e dall'ulivo, ignota ai Greci e ai Latini, trovasi appunto negli scritti d'Ali-ibn-Katâ' e d'Ibn-Rescîk, i quali vissero in Sicilia nell'undecimo secolo. Si incontrano poi sovente negli autori musulmani somiglianti anacronismi sugli imperatori romani, e si vede sempre citato a dritto o a torto il nome d'Eraclio, che sedea sul trono vivendo Maometto. Indi mi è paruto probabile che la tradizione detta di sopra, tutta quanta ella è, fosse derivata da unica sorgente arabica. Se altre notizie vi erano su la dominazione musulmana, i cronisti siciliani, secondo la ignoranza e pregiudizii della età loro, le doveano trascurare, o volontariamente sopprimere.

Dopo tre secoli in circa, ristorandosi gli studii storici in Italia e non rimanendo la Sicilia addietro dalle altre province, Tommaso Fazzello da Sciacca (nato il 1498, morto il 1570) rigettò le favole di Maniace; ritrovò un filo della tradizione bizantina nel MS. di Scilitze allor noto sotto il titolo di Curopalata; e, innestatovi quel po' di tradizione musulmana che gli potea fornir Leone Affricano e qualche altra notizia incerta, scrisse, nella sua nobilissima storia generale di Sicilia, due capitoli così così su la dominazione musulmana.2 Lasciovvi una lacuna, a riempir la quale si affaticava Antonino d'Amico da Messina (morto il 1641) riportando dall'Escuriale pochi squarci di Abulfeda e di Sceaboddino (Scehâb-ed-dîn-'Omari) voltati in latino, alla meglio o alla peggio, da Marco Dobelio Citeron, professore d'arabico in Spagna: i quali rimasero inediti; ma Agostino Inveges da Sciacca (1595-1677) tradusse in italiano la traduzione e infilzolla nei suoi Annali di Palermo.3 Giambattista Caruso da Polizzi, sopravvenuto quando la critica e la diplomatica davan più salda base alle ricerche storiche, pubblicò, nel 1720, primo tra i suoi importanti lavori, la Raccolta degli scrittori dell'epoca Saracenica in Sicilia: dove, alle memorie già citate e ad altre di minor nota, aggiunse il testo arabico della cronica di Cambridge,4 procacciatogli con la versione latina da un dotto inglese: i fogli del qual testo si stamparono a Roma, mancando in Sicilia i caratteri e chi li sapesse leggere.

Ove si consideri come gli eruditi siciliani del decimosettimo e decimottavo secolo non fossero stati secondi a que' di alcun'altra provincia italiana o straniera nello studio dei patrii annali, forte si maraviglierà che niuno tra loro avesse pensato di apprendere l'arabico. E pur in quella stagione a Roma, in Toscana, in Lombardia si facea quel che oggidì ammiriamo in Alemagna, Francia e Inghilterra: si raccoglieano con ardore i MSS. orientali riportati da viaggiatori italiani; i missionarii della Propaganda di Roma studiavano le lingue orientali; si pubblicavano appo noi libri in arabico e in siriaco; si formavano musei asiatici; si compilavano opere di gran dottrina sul Corano, e grammatiche e dizionarii arabici, per esempio quello del Giggei: fiorivano, in somma, gli studii orientali al segno, che il Renaudot, dando fuori nel 1713 la Storia dei Patriarchi d'Alessandria, la dedicò a Cosimo III de' Medici; confessando nella prefazione che nel corso del decimosettimo secolo gli orientalisti di tutta Europa non avessero avuto altro capitale che le opere uscite dai tipi di Firenze. Ma queste tornarono inutili alla Sicilia, perchè i progredimenti dell'intelletto difficilmente si comunicavano dall'uno all'altro sminuzzolo d'Italia, e più difficilmente valicavano il mare. Nè miglior frutto cavò la Sicilia dagli ardimenti di Francesco Maria Maggio da Palermo de' Chierici Regolari (1612-1686), missionario, il quale dopo otto anni di peregrinazione in Siria, Persia, Mesopotamia, Armenia, Georgia, tornò a Roma pratichissimo degli idiomi arabico, turco e georgiano; tanto che ne scrisse le grammatiche parallele, dedicate a papa Urbano Ottavo.5 Francesco Tardia da Palermo (1732-1778) pervenuto, non so come, ad avere una tintura di arabico, ne usò in opera di lieve momento, la edizione, cioè, d'una versione italiana di Edrisi, fatta dal maltese Domenico Macrì.6 Le illustrazioni sue di alcuni diplomi arabici dell'epoca normanna rimangono inedite; nè sembrano gran che. Morto immaturamente il Tardia, senza far discepoli, si ricadde in tale ignoranza di arabiche lettere, che una iscrizione cufica cubitale passò tuttavia in Palermo per caldaica e scolpita poco appresso il diluvio. Gli eruditi del paese, quando lor occorrea di interpretare qualche leggenda di lapidi o monete, più corta via non trovavano che di rivolgersi ad Olao Gerardo Tychsen professore di Rostock, il quale avea gran fama, meritata non credo, in quei rami di filologia arabica.

Tra tanta penuria, piombò in Palermo il maltese Giuseppe Vella, frate cappellano dell'Ordine Gerosolimitano, il quale con quel suo dialetto mescolato d'arabico corrotto e di pessimo italiano, potea comprender tanto dell'idioma degli Arabi, quanto un contadino di Roma intenderebbe Cicerone o Tito Livio senza avere mai studiato il latino; e, per giunta, il Vella ignorava i caratteri, nè li apprese che a capo di parecchi anni, da uno schiavo musulmano che vivea in Palermo. Digiuno d'ogni erudizione, ma furbo, baldanzoso, sfacciato, ciarlatano che testè facea mestier di dare i numeri del lotto, il Vella aprì nuova bottega: fabbricò due codici diplomatici in arabico, dicea, ma ne mostrava la sola versione italiana; dei quali il primo intitolò Consiglio di Sicilia, e vi finse il carteggio degli emiri dell'isola coi principi aghlabiti e fatimiti d'Affrica; il secondo, Consiglio d'Egitto, e lo disse raccolta delle lettere dei principi normanni di Sicilia, i quali, per passatempo, raccontassero tutte le faccende di casa loro ai moribondi califi fatimiti d'Egitto. Annali, geografia, statistica, dritto pubblico di due epoche, fasti gentilizii, tutte le fole che gli parean profittevoli, accozzò l'ignorante impostore ne' codici diplomatici; oltre le false leggende che spacciò di monete e suggelli genuini; le monete ch'ei falsò a dirittura, come si afferma; e i diciassette libri perduti di Tito Livio, dei quali si vantò di tener sotto chiave la versione arabica. Per quattordici anni (1783-1796) si godè onorificenze, favor di governanti, pensioni, e in ultimo la grassa abbadia di San Pancrazio. Condannato dai magistrati, quando si scoprì la frode, alla reclusione in fortezza, il re gli fece espiar la pena in una deliziosa villa ch'egli avea comperato di sue baratterie; e gli fu reso il medagliere ch'egli avea raccolto, di 364 monete non false, tra le quali 219 di oro. Ma è da sapersi che un segretario del governo era stato complice, o forse promotore, della magagna del Consiglio d'Egitto, intesa a fingere un nuovo dritto pubblico siciliano del duodecimo secolo, ampliando l'autorità del principe e scorciando quella dei baroni.7 La opinione pubblica, che sapea coteste brutture, avea prima dei magistrati condannato l'abate Vella e il governo con lui; il qual giudizio ritrasse con grazia anacreontica il Meli, nelle quartine che incominciano:

 
Azzardannu 'na jurnata
Visitari li murtali,
Virità fu sfazzunata;
Ristau nuda a lu spitali.
 
 
Sta minsogna saracina
Cu sta giubba mala misa,
Trova a cui pri concubina
L'accarizza, adorna, e spisa. ec.
 

Pur la impostura del Vella diè occasione a buoni studii. Monsignor Alfonso Airoldi, arcivescovo d'Eraclea, nobil uomo, erudito, magnifico, potente, come Giudice ch'egli era della Monarchia di Sicilia, ossia Legato del papa a dispetto del papa, accintosi ad aiutare il Vella pria che questi si scoprisse con la frode politica del Consiglio d'Egitto, fece venire a sue spese caratteri arabici dall'officina bodoniana di Milano; comperò libri; porse danaro del suo; fece istituire in Palermo la cattedra di arabico; fece decretare dal governo la provvisione di mille once all'anno, o vogliam dire 12,500 lire italiane, per una missione in Affrica in traccia di manoscritti, la quale poi non mandossi ad effetto. Di più l'Airoldi scrisse una bella prefazione, ch'è stampata nel primo volume del Consiglio di Sicilia, nella quale si additano tutte le fonti della storia dei Musulmani Siciliani conosciute a quel tempo.8 Infine ei fece una buona collezione di monete, vetri e corniole incise, d'oltre un centinaio, delle quali monete circa 70 arabiche e il resto greche, romane e dei bassi tempi; coordinate poscia e interpretate in parte dal Morso, come ritraggo da una lettera di costui del 1828. L'arcivescovo d'Eraclea legò questo medagliere e molti libri al nipote Cesare Airoldi, già presidente della Camera dei Comuni di Sicilia; il quale ha donato l'uno e gli altri alla Biblioteca Comunale di Palermo.

Per zelo di smascherare il Vella, Rosario Di Gregorio da Palermo (1753-1809), pubblicista di gran fama, si metteva a studiar l'arabico dassè solo, con la grammatica d'Erpenio e il dizionario di Golio, e a capo di tre anni dava fuori un ottimo saggio di Cronografia musulmana, corredato di parecchi diplomi in arabico;9 a capo d'altri quattro anni (1790) la raccolta di croniche e ricordi arabici d'ogni maniera relativi alla Sicilia, testi e versioni, la quale ha per titolo: Rerum Arabicarum, quæ ad historiam Siculam spectant, ampla Collectio. Sia notato ad onor della Sicilia, che quest'opera uscì contemporaneamente al falso codice diplomatico. Oltre gli squarci ristampati, contiene d'inedito: il Nowairi; una vasta raccolta di iscrizioni con bei rami; e qualche brano di diploma. Secondo i tempi e le condizioni in cui fu compilata, la dobbiam riconoscere maraviglioso sforzo d'ingegno e di volontà: ma la confesseremo anco opera imperfetta; poichè il Di Gregorio non arrivò mai, nè uomo il potea nelle sue condizioni, a legger francamente due righi di manoscritto arabico, a penetrarsi delle forme grammaticali, a rendersi familiari i modi di dire, com'oggi si fa nelle scuole d'Alemagna e di Francia dopo un anno di studio. Salvatore Morso da Palermo (1766-1828), successore del Vella nella cattedra d'arabico, seppe quest'idioma un po' meglio che il Di Gregorio; lavorò su la diplomatica, la epigrafia e la numismatica degli Arabi Siciliani; e lasciò, oltre parecchi manoscritti, l'opera pubblicata (1824 e 1827) col titolo di Palermo antico (sic): ov'egli abbozzò una descrizione della città nel XII secolo, e inserivvi curiosi documenti; ma parmi abbia sbagliato la pianta topografica.

Ripigliavano in questo tempo i Siciliani l'impresa di scrivere la storia, della quale si credean ormai raccolti tutti i materiali. Saverio Scrofani da Modica (morto il 1835) la trattò leggermente, nei Discorsi su la Dominazione degli Stranieri in Sicilia (Parigi 1824). Pietro Lanza da Palermo principe di Scordia e in oggi di Butera, ne fece argomento di una prolusione accademica recitata il 1832: lavoro giovanile, breve per sua natura e pur più sodo assai che quello del provetto Scrofani. Carmelo Martorana da Palermo diè fuori nel medesimo tempo le Notizie storiche dei Saraceni Siciliani, che dovean far quattro libri e altrettanti volumi, ma ne son usciti due soli (Palermo 1832-1833). Oltre il Rerum Arabicarum, egli adoprò i trattati di storia ed erudizione orientale pubblicati in Italia e fuori infino al 1830: dettò una compilazione posata, fornita di nozioni su la società musulmana, condotta per lo più con buona critica: ma non parmi che salga alla dignità della storia; oltrechè vi mancano di quelle stesse notizie che si poteano raccogliere in Sicilia, se all'autore non parea superfluo d'apprender l'arabico.

Da quel tempo in poi, quel poco che si è fatto in Sicilia e altre province italiane è stato nei rami sussidiarii alla storia; se non voglia eccettuarsi il brevissimo compendio di Davidde Bertolotti, intitolato Gli Arabi in Italia, Torino 1834. Il signor Mortillaro da Palermo, discepolo del Morso, ha pubblicato un brano di diploma,10 parecchie iscrizioni di vasi e suggelli, una lista dei MSS. arabici che sono in Sicilia, ed alcuni elementi di lingua arabica e di storia musulmana ec.: un intero volume, nel quale trovo da lodar solo i rami delle iscrizioni che sono ben fatti, e il saggio d'un catalogo delle monete e vetri arabici fabbricati in Sicilia.11 Mi occorrerà forse di correggere qua e là qualche errore del signor Mortillaro, di quei soli che recherebbero torto alla verità storica; non dovendosi appuntare tutti gli altri nelle opere di chi non ha avuto comodo di bene studiar quella lingua. E il farò a malincuore, perchè mi annoiano mortalmente i pettegolezzi letterarii, e perchè temo che la critica non si apponga a nimistà. Ma, qualunque sia l'animo mio verso l'autore, io tengo che la condotta politica d'un uomo non abbia nulla di comune col merito dei suoi studii; e sarei il primo ad applaudir come scrittore tale o tal altro che punirei come cittadino con tutta la severità delle leggi, se mai le vicende mi chiamassero nuovamente alla esecuzione delle leggi. Così, scrivendo poc'anzi del Martorana, io rivoluzionario impenitente del 1848, dimenticava ch'ei fu allora Prefetto di Polizia in Palermo e che imprigionò gli amici miei. Tornando all'argomento, mi rimane a dir di Giuseppe Caruso, attuale professore di arabico in Palermo, il quale ha pubblicato non male tre diplomi arabici, studiati già da Tardia, Di Gregorio e Morso, che ne sapeano poco più o poco men di lui.12 Infine dobbiamo a Domenico Spinelli da Napoli un'opera numismatica che risguarda indirettamente le colonie musulmane di Sicilia.13

Gli ultimi saggi storici su quelle colonie, son opera di stranieri e li ha promosso l'Istituto di Francia. A misura che si approfondivano le vicende dell'incivilimento europeo, si vedea di quale momento vi fossero stati i Musulmani di Sicilia. L'Accademia, dunque, delle Iscrizioni proponea per l'anno 1833 un premio a chi presentasse il miglior saggio storico su le incursioni e dominazioni dei Musulmani in Italia.14 Il premio, differito più volte, fu accordato, l'anno 1838, a M. Des Noyers, bibliotecario al Museo di Storia Naturale di Parigi, in merito di un prospetto, che si stampò a pochi esemplari, nel quale l'autore tratteggiò quei conquisti con le cagioni e conseguenze loro, e diè il disegno e fin la tavola dei capitoli di un'opera da dividersi in due parti; cioè racconto storico e influenza della Sicilia musulmana nei varii rami di civiltà. Ei non compilò l'opera, nè so se l'abbia or fatto; ma di certo non l'ha pubblicato. Non conoscendo l'arabico, M. Des Noyers dovette star contento ai materiali tradotti; ai quali s'aggiunse in quel tempo il capitolo d'Ibn-Khaldûn su la Sicilia, dato in arabico e in francese, con acconcia prefazione e note di molta dottrina, da M. Noël Des Vergers. M. César Famin si affrettò a stampare nel 1843 il primo volume d'una Histoire des Invasions des Sarrazins en Italie, il quale arriva all'878; lavoro di picciol conto, di cui l'autore non so se pria di morire abbia lasciato manoscritta la continuazione.

Il premio proposto dall'Istituto avea allettato altresì Giovanni Giorgio Wenrich, professore di Letteratura biblica a Vienna, e noto per eruditi lavori su le versioni orientali degli autori greci e su la origine della poesia ebraica ed arabica. Ritoccata, dopo l'esito del concorso, cotesta novella opera, ei diella a stampa in Lipsia il 1845, sotto il titolo di: Rerum ab Arabibus in Italia insulisque adjacentibus… gestarum, Commentarii. È dettata in elegante latino, con dignità, concisione e diligenza. L'autore molto si aiutò dei lavori del Martorana; accoppiò il metodo seguíto da costui con quello di M. Des Noyers; aggiunse i fatti che risultavano da' testi arabici pubblicati dopo il Di Gregorio; ma non fe' novelle ricerche nei MSS.; talchè non accrebbe di molto il patrimonio del Martorana.

I materiali su i quali si è lavorato fin qui, mettendo da canto i greci e i latini, sono stati: la Cronica di Cambridge, parte del Nowairi, parte di Scehâb-ed-dîn-'Omari, parte d'Ibn-Khaldûn, poche biografie d'Ibn-Khallikân, pochi ragguagli biografici e bibliografici del Casiri, e qualche squarcio d'Ibn-el-Athîr messo da M. Des Vergers in nota a Ibn-Khaldûn detto. Il Martorana e il Wenrich si sono avvalsi, inoltre, d'una compilazione italiana della quale è mestieri ch'io faccia parola: cioè gli Annali Musulmani del Rampoldi. Quest'erudito italiano, morto a Milano in età avanzata il 1836, avea fatto in gioventù lunghi viaggi in Oriente; dei quali, nè delle altre vicende di sua vita non ho potuto avere ragguagli; ancorchè vi si fossero adoperati alcuni amici in Milano. Nelle opere sue ritrovo, ch'ei soggiornò in Siria e al Cairo nel 1784, al Cairo stesso nel 1785; e non so quando a Smirne:15 pertanto è molto probabile ch'egli intendeva l'arabico volgare. Che abbia conosciuto profondamente la lingua, nol credo; mostrandosi ignaro talvolta delle più ovvie forme grammaticali, delle più trite etimologie; per esempio la voce sceikh ch'ei fa derivare dal persiano sciah (re). Di più si ritrae ch'egli attinse spesso alle versioni europee, anzichè agli originali; poichè trascrive i vocaboli arabici con ortografia or francese ora inglese e non mai italiana: come djeami (moschea cattedrale) in luogo di giami; Jannabi, Jaafar, nomi proprii, per Giannabi, Giafar, ec. Nè va preso sul serio l'infinito numero di citazioni ch'egli infilza, di nomi d'autori arabi e persiani, quand'ei non distingue quelli veduti da lui stesso dagli altri allegati su le citazioni altrui. Pei fatti di Sicilia sparsi negli Annali, il Rampoldi non sempre cita; talvolta nomina il Nowairi, dicendo tutto il contrario di lui; o segue la Cronica di Cambridge senza punto farne menzione; e in un sol caso, certe avvisaglie cioè tra Cristiani e Musulmani nell'887, si riferisce al Nighiaristan, o meglio avrebbe scritto Nigâristân. Compilazione questa è di aneddoti, scritta in persiano nel decimosesto secolo, della quale v'ha a Parigi parecchi MSS., e una edizione di Calcutta in litografia: ma nulla vi si trova intorno la Sicilia; come mi afferma il dotto orientalista M. De Frémery, ch'io pregai di percorrerla, poichè ignoro il persiano. Gli avvenimenti delle altre province musulmane, per quanto io ne abbia potuto vedere, non son trattati con maggiore diligenza. Pertanto questo gran lavoro in dodici volumi, che offre del resto giudiziose osservazioni locali, molta erudizione, idee vaste e filosofiche e fors'anco fatti genuini che invano si cercherebbero altrove, questo lavoro, io dico, rimarrà come inutile; non sapendosi il più delle volte se i racconti sian tolti da buone sorgenti, se l'autore citi con esattezza, o se aggiunga del suo altre circostanze ch'ei confusamente si ricordava o che gli pareano necessarie a compiere il cenno dei cronisti. Si potrà cavar partito dagli Annali del Rampoldi, se mai cadranno in man di qualche valoroso orientalista i MSS. arabi o persiani ch'ei lasciò, i quali non ho potuto sapere nè quanti, nè quali, nè dove fossero. Allora si potrà veder chiaro in tal miscuglio di elementi. In questo mezzo ho dovuto rigettare assolutamente l'autorità del Rampoldi.

Or ne vengo ai miei proprii lavori. Quand'io giunsi a Parigi, perseguitato per avere scritto il Vespro Siciliano, che già corre il duodecim'anno, mi parve come un obbligo di tentar la Storia dei Musulmani di Sicilia; pensando che tra tanti uomini più capaci di me, italiani e stranieri, niuno potea avere insieme lo zelo e le cognizioni locali d'un siciliano e i comodi grandissimi che a me dava il soggiorno di Parigi. Come il solo modo di riuscir nell'intento era la ricerca di novelli materiali, così io non esitai a giocar dieci anni di fatica in questa maniera di scavi d'antichità. Appresi l'arabico a Parigi; confrontai i testi del Di Gregorio coi MSS. originali; mi diedi a raccogliere frammenti storici, descrizioni geografiche, biografie, e le prose e poesie degli Arabi Siciliani, e i titoli di lor opere perdute, e quanto fosse stato scritto in arabico da Siciliani o da Arabi qualunque su la Sicilia e i suoi abitatori. Molti materiali ho trovato da me stesso nei MSS. arabici di Parigi, Oxford, Londra, Leyde: altri ne ho avuto per favor di amici da Leyde, Cambridge, Heidelberg, Madrid, Pietroburgo, Tunis, Costantina; altri son usciti alla luce dal 1842 a questa parte: e, se non ho potuto frugar tutte le biblioteche di Alemagna, Italia e Spagna, i cataloghi stampati mi assicurano che poco o nulla era da sperarne. Cotesti materiali, escluse le poesie che non abbiano importanza storica, faranno una Biblioteca Arabo-Sicula; nella quale mi è parso di dar luogo ad alcuni squarci di autori arabi relativi alla storia di Sicilia del XIII e XIV secolo, ancorchè non trattino dei Musulmani dell'isola. Alla stampa dei testi, che non era impresa da autore povero, nè da libraio d'Italia o fosse pur di Francia e Inghilterra, ha provveduto, per sommo zelo delle lettere, la Società Orientale di Alemagna, alla quale io ne feci domanda; e fu benignamente accolta, per la premura che s'era data il dottissimo professore Fleischer di Lipsia, pubblicando un prospetto di quella mia raccolta. A spese dunque di quella dotta Società si stamperanno i testi a Gottinga, in un volume. La versione italiana in due volumi con note nella parte geografica, cavate dai diplomi dell'undecimo secolo in giù, si pubblicherà, com'io spero, in Italia, nel sesto medesimo del volume arabico, in guisa da potersi vendere con quello o senza. Il duca di Luynes, benemerito dell'Italia per le edizioni di Matteo da Giovenazzo, dei Monumenti Normanni e Svevi del regno di Napoli, e dello splendido Codice diplomatico di Federigo Secondo imperatore, e per un gran lavoro, al quale attende, su le monete puniche di Sicilia, ha cortesemente assentito a fare una carta comparata della Sicilia, ordinata in questo modo: che si corregga a cura sua la carta in quattro fogli dell'ufficio topografico di Sicilia; ed egli indi vi noti i nomi antichi; io vi trasporti gli arabici ricavati da Edrisi e altre fonti; e la carta si stampi a due colori, in guisa da mostrare a colpo d'occhio il riscontro dei luoghi attuali, del XII secolo e dell'antichità. Con la solita munificenza, l'egregio archeologo francese ha profferto di far incidere questa carta a proprie spese.

Nella Biblioteca Arabo-Sicula mancheranno, come accennai, le poesie non relative a fatti storici e inoltre le notizie dei manoscritti arabi di Sicilia, i diplomi, le iscrizioni e le monete. Quanto alle prime, che prenderebbero uno o due volumi di testo, io le ho copiato; ma non sarà facile trovare i mezzi di stamparle, nè preme. Il resto son lavori male abbozzati fin qui, e da rifarsi tutti in Sicilia. Tale il catalogo dei MSS. della Lucchesiana di Girgenti, Biblioteca de' Gesuiti in Palermo, Monastero di San Martino presso Palermo, e Biblioteca Vientimilliana di Catania, i quali sommano ad una cinquantina, secondo la lista che ne mandò il signor Mortillaro al Cardinal Mai.16 Va fatta di pianta la collezione dei diplomi arabici dei tempi normanni, la più parte inediti, pochi pubblicati, così così, da Di Gregorio, Morso, Giuseppe Caruso, Mortillaro; e un solo correttamente, il quale dobbiamo a M. Des Vergers.17 I diplomi si dovrebbero ricercare nel Monastero di Morreale; Cattedrale, Cappella Palatina e Commenda della Magione in Palermo; vescovati di Catania, Girgenti, Patti, Cefalù, e in tutti altri archivii ecclesiastici e pubblici; e sarebbero da vedersi le copie che per avventura se ne trovassero nelle biblioteche: il quale lavoro richiederebbe e tempo e spesa e pazienza contro gli ostacoli e pratica a leggere i MSS. arabici e libertà di viaggiare in Sicilia. Similmente le iscrizioni lapidarie, o di vasi, gemme e drappi, date da Di Gregorio. Morso, Lanci e Mortillaro, e una anco da me e le molte altre inedite, voglionsi quasi tutte verificar sopra luogo da occhi esercitati, e rintracciarne delle altre sugli edifizii e nei musei e per le case. Per la numismatica, infine, è da eseguire in grande il lavoro principiato dal Mortillaro e da me sopra commendato. Cioè si debbono esaminare in Palermo le collezioni di monete e vetri dei Gesuiti, o della Università degli Studii, alla quale ne furono legate circa 300 dal Cavalier Poli; quella di Monsignor Airoldi, testè donata alla Biblioteca Comunale, e le altre di privati: si debbono estendere le ricerche a tutta l'isola; scevrare le monete false dalle vere; confrontarle coi cataloghi stampati dal Castiglioni a Milano, dallo Spinelli a Napoli; ed oltremonti, da Tychsen, Adler, Marsden, Moëller, Fraehn, Soret, ec.; ricercarne infine per tutte le grandi collezioni d'Europa, il che io ho fatto soltanto in quella di Parigi. Per necessità lascio dunque ad altre persone, o rimetto ad altro tempo, coteste ricerche, dalle quali la Storia non potrà cavar altro che qualche nome e qualche data svelati dalle monete e iscrizioni; qualche particolarità di diritto pubblico e qualche altro nome proprio e topografico forniti dai diplomi del duodecimo secolo; e qualche notizia artistica o filologica.

Da tal classe di materiali ho dovuto rigettare due notizie date dal Mortillaro. L'una risguarda Abi-Kanom (sic) ben Mohammed ben Osman segestano, autore del Kitabo-l-Nachli ossia Libro delle palme, MS. dell'anno 1004 dell'era cristiana, posseduto dal Monastero di San Martino presso Palermo.18 Tal titolo e nome van corretti Kitâb-el-Nahl wal-'Asl, (Trattato delle api e del miele) di Abu-Hâtim-Sahl-ibn-Mohammed del Segestân;19 chè di quella provincia di Persia si tratta e non di Segesta in Sicilia, distrutta molti secoli innanzi il conquisto musulmano. Perciò si tolga dal novero degli scrittori Arabi Siciliani questo Segestano postovi da alcun compilatore di Giornale di Scienze e Lettere, che un tempo si pubblicava in Palermo sotto gli auspicii della Polizia e la direzione del Mortillaro.20 Va eliminato al pari un Hâmid-ibn-Ali, che il Mortillaro suppose siciliano, senza per altro affermarlo, nella illustrazione di un bell'astrolabio in ottone che v'ha in Palermo,21 delineato il 343 dell'egira (954-955) dal detto Hâmid, e, com'io credo, copiato sul metallo qualche secolo appresso,22 per uso d'un personaggio, il cui nome va letto Scerf-ed-dîn-Ahmed-ibn-Mongiâ-ibn-Nâgi-ibn-Mohammed, della tribù di Sa'd, nato o dimorante in Zenkelûn, terra in Egitto.23 Il nome dell'autore va bene, e anco il tempo in cui visse; poichè l'astronomo Ibn-Iunis, che morì il 1008, cita appunto tra i più celebri costruttori di astrolabii questo Hâmid-ibn-Ali, da Wâset, aggiugne egli, e così toglie luogo ad ogni contesa su la patria.24

Raccolti e studiati i materiali, senza rimorso di lasciarne addietro che fossero di momento, ho scritto la Storia, scopo di quelle mie ricerche. E comincio a pubblicarla prima della Biblioteca Arabo-Sicula, sì che ne presento adesso il primo volume, e gli altri due intendo stamparli a un tempo con quella raccolta. Ho cavato i fatti, in primo luogo dai settanta scrittori arabi, inediti la più parte, che compongono la Biblioteca; i nomi dei quali, accompagnati di cenni biografici e bibliografici, si leggeranno nella seconda parte della Tavola Analitica in fin di questa Introduzione. Indi il lettore potrà giudicare delle autorità che si citano in tutto il corso dell'opera. Primeggian tra quelle il Riadh-en-Nofûs, la Cronica di Cambridge, Imâd-ed-dîn, Ibn-el-Athîr, il Baiân, Nowairi, Ibn-Khaldûn, Tigiani, Ibn-Haukal, Edrisi, Ibn-Giobair. Dei settanta poi, qual mi ha fornito un centinaio di pagine, qual due o tre righi, qual fatti nuovi e importanti, e qual noiose ripetizioni o racconti che mal reggono alla critica. Pochi contengono tradizioni primitive; sendo perdute le migliori croniche musulmane della Sicilia, e non rimanendone che i nomi di dieci autori ch'ho noverato nella prima parte della Tavola. Pur l'uso degli annalisti arabi a copiare le croniche troncandole qua e là, anzi che rimpastare i fatti nel proprio stile, ci ha conservato in parte le prime scritture. In generale le croniche e annali arabi sono diligenti nelle date; accennano i fatti anzi che narrarli; difettan di critica; non raccontano nè cagioni nè conseguenze nè gli episodii, in cui si vegga l'indole, le fattezze e le passioni degli attori. Fa eccezione a questo qualche biografia. Lavorando su elementi di tal fatta, chi voglia scrivere la storia com'oggi la s'intende, è trattenuto ad ogni passo, costretto a indovinare, a far supposizioni, a mettere in forse, e sovente è strascinato ad imitare l'andatura monotona degli originali. Per buona sorte, la tendenza del secol nostro ai lavori storici ha fatto pubblicare, da una trentina d'anni a questa parte, molti testi, versioni e dotti comenti, mercè i quali si comprendono ormai pienamente gli ordini politici, le leggi civili, penali e di culto, l'indole delle sètte religiose, le vicende delle scienze e lettere, tutti in somma i fatti generali della Storia dei Musulmani: e ciò supplisce a molte lacune degli annali. Fra coteste opere sol ricorderò l'Ahkâm-Sultanîa di Mawerdi, trattato fondamentale di dritto pubblico, da me studiato sopra un MS. di Parigi, ed or meglio assai su la edizione che ne diè l'anno scorso il dottor Enger a Bonn. Altri lumi ho cavato dai MSS. parigini di Ibn-abd-Rabbih, Ibn-Kutîa, Ibn-el-Athîr, Ibn-Khaldûn, ec.

1.Veggansi: Bartolomeo de Neocastro, cap. LXXXIV; l'Anonymi Chronicon Siculum, cap. I a V, presso Di Gregorio, Biblioteca Aragonese, tomo I, p. 115, e tomo II, p. 121, seg.; e la Lettera di Fra Corrado, presso Caruso, Bibliotheca Historica regni Siciliæ, tomo I, p. 47.
2.Historia Sicula, deca II, lib. VI.
3.Tomo II, Palermo Sacro (1650), p. 627, seg.
4.Veggasi la Tavola Analitica, parte II, nº VII.
5.Syntagmata Linguarum Orientalium, Romæ 1643, in-fog. La più estesa è la grammatica georgiana, a scriver la quale il Maggio fu il primo, o tra i primi, in Europa. La turca e l'arabica, accompagnate dai riscontri in caratteri siriaci ed ebraici, mostrano anche buoni studii e molta pratica.
6.Veggasi la Tavola Analitica, parte II, nº XX.
7.Veggansi: Scinà, Prospetto della Storia Letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, tomo III, p. 296 a 383; Lettera di Italinski, nella raccolta Mines d'Orient, tomo I, p. 236; e gli opuscoli tedeschi citati da Wenrich, Commentarii, § XXVIII a XXXII, p. 36, seg.
8.Codice diplomatico di Sicilia sotto il governo degli Arabi, pubblicato per opera di Alfonso Airoldi ec. Tomi 3 in-4, Palermo, 1789-90-92.
9.De supputandis apud Arabes Siculos temporibus, Palermo, 1786, in-4.
10.Nel Catalogo dei diplomi… della Cattedrale di Palermo, ec., Palermo, 1842, in-8.
11.Opere di Vincenzo Mortillaro, marchese di Villarena, tomo III. Nel tomo IV si trova la illustrazione di un bell'astrolabio, del quale mi occorrerà far parola in questa Introduzione.
12.Due nella Biblioteca Sacra, tomo II, Palermo 1834, p. 40, seg.; e un altro nel Tabularium Capellæ Collegiatæ Divi Petri in regio Panormitano Palatio, compilato dal Garofalo, p. 28, seg.
13.Monete cufiche battute da principi longobardi, normanni e svevi nel regno delle Due Sicilie, interpretate e illustrate dal principe di San Giorgio Domenico Spinelli, e pubblicate per cura di Michele Tafuri, Napoli, 1844, 1 vol. in-4, con rami.
14.Ecco la tesi dell'Accademia: Tracer l'histoire des différentes incursions faites par les Arabes d'Asie et Afrique, tant sur le continent de l'Italie, que dans les îles qui en dépendent; et celle des établissements qu'ils y ont formés: rechercher quelle a été l'influence de ces événements sur l'état de ces contrées et de leurs habitants.
15.Annali Musulmani, tomo II, p. 340, nella descrizione d'Aleppo; II, 386; III, 388 e 463.
16.Mortillaro, Opere, tomo III, p. 189, seg.
17.Journal Asiatique, octobre 1845, p. 313, seg., tradotto da me in italiano, nell'Archivio Storico Italiano, Append., nº XVI (1847).
18.Mortillaro, Opere, tomo III, p. 190.
19.Hagi-Khalfa, ediz. di Fluëgel, tomo V, p. 163, nº 10, 568.
20.Giornale di Scienze e Lettere per la Sicilia, nº CXXXVII (maggio 1834), p. 18 del fascicolo annessovi d'un dizionario biografico.
21.Mortillaro, Opere, tomo IV, p. 110, seg.
22.Il titolo di Scerf-ed-dîn non era punto in uso nel X e XI secolo; e però la copia sull'ottone va riferita al XII o XIII. Inoltre questo Scerf-ed-dîn non fu al certo principe, ma qualche dotto.
23.Veggasi questo nome etnico nel Lobb-el-Lobbâb, di Soiûti.
24.Notices et Extraits des MSS., tomo VII, p. 54, 55.