Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II», sayfa 19
CAPITOLO XIII
Sfasciandosi per tal modo gli ordini pubblici, facea pur la Sicilia bella mostra al di fuori: grosse e frequenti città, valide fortezze, monumenti, industria agraria e cittadinesca, commercio, lusso, scienze, lettere. Le quali parti di civiltà sendosi maturate sotto la dinastia kelbita che più o meno le promosse, noi le verremo esponendo in questo e nel capitolo seguente, recando la storia letteraria sino al fin della guerra normanna; e farem anco parola dei dotti, i quali non trovando patria sotto il giogo cristiano, vollero serbarne schietto il simulacro nell'esilio, sì che andarono raminghi in Spagna, Affrica, Egitto ed Oriente, nella prima metà del duodecimo secolo. Con essi porremo quei pochi di cui s'abbiano notizie senza data certa. E serbiamo al sesto libro i dotti musulmani, del paese o stranieri, segnalatisi in Sicilia sotto i Normanni; e gli altri che conseguiron fama fuori l'isola dopo la metà del duodecimo secolo.
Tra il novecensettantatrè e il millecinquantaquattro dell'èra cristiana, tra il mercatante Ibn-Haukal che appuntava maraviglie e vizii in qualche osteria di Palermo, e l'Edrisi prole di principi, che stendea la descrizione dell'isola sotto gli occhi di re Ruggiero, vissero in Sicilia due eruditi i quali ci lasciaron alcun cenno geografico. Scrittori entrambi di storia o cronica del paese, l'uno verso il millecinquanta per nome Abu-Ali-Hasan; l'altro, alla fine del secolo, l'illustre filologo Ibn-Kattâ': ed entrambi ebbero alle mani memorie più antiche. Fiorì anche nell'undecimo secolo il geografo spagnuolo Bekri, due cenni del quale su la Sicilia si trovano presso uno scoliasta.1038 Dobbiamo i frammenti di Abu Ali e d'Ibn-Kattâ' all'erudito Iakût; il quale pubblicò il milledugentoventotto il Mo'gem-el-Boldân, ossia Dizionario geografico, e par abbia tolto da loro quasi tutte le notizie che dà sulla Sicilia.1039 Si scoprono nel Mo'gem pochi nomi raddoppiati e altre mende inevitabili in compilazioni di tal fatta, non gravi errori da scemar fede all'opera.
Al dire d'un cadi Abu-Fadhl, citato da Abu-Ali, si noveravano in Sicilia diciotto città e più di trecentoventi rôcche;1040 ed Ibn-Kattâ' attestava aver letto nelle annotazioni d'un anonimo ch'erano nell'isola ventitrè cittadi, tredici fortezze1041 e innumerevoli gruppi di case rurali.1042 Coteste due notizie pur si riferiscono entrambe alla seconda metà del decimo o alla prima dell'undecimo secolo; nè fa caso il divario, quando le appellazioni città, fortezza, o rôcca corron sì vaghe ed arbitrarie appo gli Arabi come appo noi quelle di città, terra, o villaggio. Il numero diverso delle città non prova dunque mutata la condizion delle cose, è però diversa l'età degli eruditi che le scrissero. Quanto alle rôcche annoverate dal primo, tornano a un di presso a quel che oggi diremmo Comuni; perchè allora tra guerre straniere e guerre civili, le popolazioni amaron siti forti ed alpestri, e quelle chiamate al piano dall'agricoltura o dal traffico ebbero sempre qualche castello su nel monte dove potersi rifuggire.1043 La più parte dunque delle rôcche d'Abu-Fadhl eran le acropoli degli abitatori di quelle masserie e villaggi, dei quali avea perso il conto l'annotatore citato da Ibn-Kattâ'. In oggi il numero dei Comuni risponde a un di presso a quello d'Abu-Fadhl; ma non sarebbe sì malagevole a noverar le borgate rurali, che scemarono a mano a mano dalla istituzione alla abolizione della feudalità, dal conquisto normanno al parlamento del milleottocento dodici.1044
I nomi di città notati nel Mo'gem, i quali senza troppo discostarci dal vero possiamo supporre tolti da Abu-Ali e Ibn-Kattâ',1045 sono in ordine alfabetico: Adornò,1046 Alcamo, Boèo,1047 Bonifato,1048 Carini,1049 Castrogiovanni, Catania,1050 Cefalù, Corleone, Demona,1051 Gelso,1052 Khalesa,1053 Marsala, Mazara, Messina,1054 Milazzo,1055 Mineo, Palermo, Partinico, Patti, Sciacca, Scopello,1056 Siracusa, Trapani,1057 che sommano a ventiquattro; e tolto il raddoppiamento di Marsala chiamata Boèo da Abu-Ali, farebbero appunto il numero d'Ibn-Kattâ'.1058 Col nome di beled (paese) Iakût aggiugne Camerata, Termini e Girgenti, scaduta al certo nel decimo secolo dopo la ribellione. Chiama beleda (terra) Cinisi, Tusa e Mascali; boleida (paesetto) Villanuova;1059 kala' (rôcca) Taormina, Tripoli, Aci e Bellût (Caltabellotta); kerîa (villaggio) Mili,1060 Giattini1061 e Sementara;1062 dhia' (podere o villa) Kerkûd,1063 e dà senza qualificazione Oliveri, e Caronia.1064 Ma è da notare che le terre minori non si ricordano nel Mo'gem per la importanza loro, ma perchè occorreano nella storia letteraria degli Arabi, che l'autore si propose d'illustrare con sì vasto dizionario geografico.
Le terre minori e villaggi che si leggono in Edrisi e altri scrittori arabi del duodecimo secolo e nei diplomi infino al decimoquinto, sommano quasi a novecento; dei quali se una parte fu fondata da coloni cristiani nel secol duodecimo, altrettanta per lo meno si dee supporre distrutta nella guerra normanna; onde lo stesso numero si può anco ritenere innanzi il conquisto.1065 I nomi d'origine arabica, o berbera, o son prettamente arabici,1066 o si scernono per note etimologie di schiatte1067 e per voci ch'entrino nelle appellazioni composte: ain, gar, ras, menzîl, rahl, kala' burgi:1068 e dinotano a un di presso i novelli nodi di popolazione formati nell'epoca musulmana da una parte dei coloni arabi e berberi, mentre un'altra parte prendeva a stanziar nelle ville, castella e città ch'erano in piè; onde non perdeano i nomi antichi.1069 I novelli, senza contarvi quei di fiumi, monti, cale e capi disabitati che moltissimi pur ve n'ha d'origine arabica,1070 tornano a trecentoventotto, dei quali dugentonove in Val di Mazara, cento in Val di Noto e diciannove in Val Demone. Se risguardiamo all'area di ciascuna valle1071 cotesti numeri confermano ciò che sappiam dalla storia, che i Musulmani occupassero tutto il Val di Mazara, e avessero posto qualche presidio in Val Demone. E dimostrano il fatto accennato soltanto dalle croniche, dico le grosse colonie che si sparsero in Val di Noto.1072
Descrizioni di città non avvene, fuorchè di Palermo per Ibn-Haukal; pur si raccoglie qua e là qualche particolare. Sappiamo da Bekri, e però innanzi la guerra normanna, che Siracusa, grande città, occupava la penisola, congiunta alla spiaggia per sottile istmo, tra il maggiore e il minor porto, tra i quali era condotto un fosso che si varcava sopra un ponte; che l'era circondata di triplice muro, credo io, dalla parte dell'istmo; e che il gran porto apprestava stazione d'inverno alle navi.1073 Ibn-Herawi, nel duodecimo secolo, narrava che nelle parti orientali di Catania rimanessero le tombe d'una trentina di martiri musulmani1074 quivi uccisi nel primo secolo dell'egira; e che tra Catania e Castrogiovanni fosse il sepolcro d'Ased-ibn-Forat, conquistatore della Sicilia. D'altra sorgente, che sembra più antica, abbiamo Catania chiamarsi anco la Città dell'Elefante, da un simulacro di pietra in figura di questo animale, e ammirarvisi bei monumenti dei tempi andati, e chiese con pavimenti di marmo bianco e nero.1075 Cefalù, al dir d'Abu-Ali, era forte città, guardata da un castello sovra alta rupe a cavaliere della spiaggia;1076 Castrogiovanni, maraviglia del secolo, gran città su la vetta d'un monte che fa centro all'isola, avea scaturigini abbondanti, terre da seminato e giardini, chiusi tutti entro il muro che torreggiava lì a mezz'aria.1077 Non obliò il diligente Iakût di notare la postura astronomica delle tre città primarie, Palermo, Messina e Siracusa, secondo il Kitâb-el-Melhema, ossia “Libro della Divinazione”1078 attribuito a Tolomeo, composto da qualche astrologo arabo o siriaco; il quale sapea leggere forse nei destini, ma sbagliava, come i contemporanei, le latitudini e longitudini.1079
Più sodi ragguagli ritraggiamo in questo tempo dell'Etna, sì mal noto ai primi cosmografi arabi. Masûdi, scrivendo a Bagdad nella prima metà del decimo secolo, aveva ignorato il gran monte di Sicilia, o confusolo con l'Isola di Vulcano; favoleggiato che nelle eruzioni saltasser fuori strane sembianze d'uomini mozzi del capo; che il fuoco rischiarasse la terra e il mare oltre cento parasanghe;1080 nè conoscea bene altro prodotto vulcanico che le pomici, adoperate a levigare le pergamene e tavolette da scrivere e stropicciare i piè nel bagno.1081 Ma Abu-Ali-Hasan vide i luoghi e forse alcuna eruzione. “Il monte del fuoco, dic'egli, altissimo sovrasta al mare tra Catania e Mascali, non lungi da Taormina: gira la base tre giornate di cammino; abbondante di alberi fruttiferi; irsuto di boschi la più parte di castagne, nocelle, pini e cedri;1082 ricoperto la cima di neve anche la state, ammantata di nugoli; ma il verno è tutto neve dal capo al piè. Sorgongli intorno molti edifizii e maestosi avanzi dei tempi andati, e rovine che danno a vedere la frequenza del popolo che vi soggiornava; di che narrasi, Tûra antico re di Taormina1083 aver messo in campo sessantamila combattenti. In su l'alto s'aprono spiragli1084 ond'esce fuoco e fumo; e talvolta il fuoco scorrendo da alcun lato brucia che che trovi, poi si fa scorie, come quelle del ferro, onde gli si dà nome di akhbâth;1085 dove oggi non spunta fil d'erba, nè animale vi s'arrischia.”1086 Al tempo d'Abu-Ali spesseggiarono gli incendii nella costa orientale, poich'egli scrive che alcuni anni il fuoco scendea come rivo infine al mare e tanto sfolgorava, che parecchie notti in Taormina e altre terre non si acceser lumi e si viaggiò per que' paesi come se fosse giorno.1087 Così egli ch'era nato o avea fatto dimora in Sicilia. Un cristiano di Calabria di quell'età, rassegnando le maraviglie della Sicilia, non descrive conflagrazioni dell'Etna, ma ne fa supporre seguíte di recente, poichè riflette che tanti filosofi de' tempi antichi e de' suoi proprii avean sottilizzato su l'origine di quel fuoco senz'altra conchiusione che d'accrescere i dubbii e provar la ignoranza dei mortali.1088 Bekri, contemporaneo e straniero, parla solo del borkân in due isolette adiacenti, dalla parte di settentrione, al certo Stromboli e Vulcano: prodigio di natura, dove tacendo il vento meridionale s'udiva un terribil fragore come di tuono.1089 Altri scrivean del fuoco perenne dell'Etna al quale uom non osava appressarsi; ed aggiungeano maravigliando che la materia ignita tolta dal suo luogo si spegnesse incontanente.1090 Le medesime eruzioni che Abu-Ali, o alcuna più recente, vide il dotto e devoto Siciliano Abu-l-Kâsim-ibn-Hâkim, rifuggito a Bagdad; dov'ei narrava, forse il millecentoventidue,1091 al viaggiatore Abu-Hâmid da Granata, il fuoco dell'Etna risplendere talvolta a dieci parasanghe, in guisa che non occorre fiaccola nè lucerna nei villaggi o strade di campagna. Tra le fiamme, proseguia, scagliansi in alto massi di fuoco, somiglianti a balle di cotone, i quali infrangendosi ricadon a terra e si fan pietra bianca, o in mare e tornano in pietra nera e porosa, l'una e l'altra lieve da galleggiare sull'acqua. Aggiugnea suoi prodigi: i sassi e la sabbia, tocchi da quel fuoco, avvampar quasi bambagia, e divenir polve negra simile all'antimonio; ma l'erbe e le vestimenta non accendersi alla lava, che consuma soltanto le pietre e gli animali, sì com'è scritto del fuoco della gehenna.1092 Un altro barbassoro musulmano di Sicilia affermava al viaggiatore Herawi dopo il millecentosettantatrè, che un uccello color di piombo in forma d'una quaglia solea svolazzare dal fuoco dell'Etna e rituffarvisi, ed era appunto la salamandra; ma io non ho visto altro che pomici nere, aggiugne Herawi.1093 Tanto ricaviamo dagli Arabi su la storia naturale dell'Etna: nel che non ho voluto metter da canto nè le minuzie nè le favole, e con Herawi son giunto infino alle eruzioni della seconda metà del duodecimo secolo, ricordate ormai dagli scrittori latini. Notevol è che Edrisi, dicendo del Monte del Fuoco, non faccia motto delle eruzioni, e poi descriva minutamente, anzi che no, i fenomeni di Stromboli e Vulcano. E ciò parmi indizio di lungo riposo dell'Etna nella prima metà del duodecimo secolo dopo gli incendii dell'undecimo, supposti fin qui su debolissimi argomenti,1094 e provati adesso dalle testimonianze di Abu-Ali e d'Abu-l-Kâsim-ibn-Hâkim.
Dall'Etna faremo principio alle produzioni minerali della Sicilia, tra le quali Masûdi pone il diaspro ch'ei tenea rimedio al mal di ventre, applicandolo esteriormente; ed anche, non so come, base del corallo.1095 Del diaspro par che dica Iakût supponendo trovarsene montagne in Sicilia:1096 ch'è esagerazione, non tutta bugia. Si cavava dall'Etna il sale ammoniaco, gran capo di commercio con la Spagna ed altri paesi.1097 Delle pomici abbiam già detto, adoperate dagli Arabi nel bagno e nello scrittoio;1098 e Bekri supponea costruite di pomici di Sicilia le volte del teatro romano a Susa.1099 In lista con le ricchezze minerali del Mongibello Abu-Ali ponea l'oro, argomentandolo dalle note miniere d'Ali, ovvero da qualche pirite; ed immaginò, non so per qual errore, l'Etna aver preso nome in lingua rûmi dall'oro che chiudea nelle viscere.1100 Con ciò narrano si cavasse nell'isola ogni altro metallo d'uso comune, argento, rame, ferro, piombo, mercurio.1101 L'autor della vita di San Filareto parla del cristallino e lucente salgemma di Sicilia.1102 Gli Arabi contemporanei noverano l'antimonio, l'allume e il vitriolo.1103 Lo zolfo e la nafta, adoperati allora nei fuochi da guerra e non ignoti ai Musulmani di Sicilia nell'undecimo secolo,1104 par non si fossero cavati nell'isola che alla fine del duodecimo.1105
L'abbondanza delle acque di fonti o fiumi accennata per le generali da Iakût,1106 sembra veramente maggiore dell'attuale, ove si risguardi alla descrizione particolareggiata che faceane Edrisi il millecencinquantaquattro ed ai fiumi ch'ei dice navigabili a barcacce di trasporto ed or più nol sono.1107 E così dovea intervenire per la distruzione dei boschi che s'è fatta dal duodecimo secolo in qua;1108 la quale non credo incominciata per man degli Arabi, poichè il sapiente agricoltore rispetta i boschi, e lo sciocco e affamato li taglia. Di notizie precise, Abu-Ali ne fornisce su le due regioni boschive che per natura sono le principali dell'isola: l'Etna e la catena d'Apennino. Della prima delle quali abbiam fatto parola. Dell'altra Abu-Ali afferma, le eccelse montagne e spaziose valli sopra Cefalù abbondar d'ogni maniera di legname atto a costruzioni navali.1109 Il monaco Nilo loda i cedri di Sicilia, i cipressi e i pini dritti e maestosi, i cui rami servivan di fiaccole.1110
Vengon poscia le ubertose produzioni dei giardini, dei campi e della pastorizia lodate da Bekri;1111 le frutta d'ogni colore e sapore che non mancavano state nè verno, scrive Iakût, forse da Abu-Ali;1112 le mèssi che coprivano la più parte dell'isola secondo Ibn-Haukal;1113 lo zafferano che vi germogliava spontaneo;1114 il cotone e il canape coltivati a Giattini1115 e altrove; il primo dei quali sembra venuto dell'Affrica;1116 gli ortaggi che parean troppi ad Ibn-Haukal.1117 Nessuno scrittore arabo fa menzione degli ulivi, che in Sicilia comunemente si credono accresciuti in quella età, perchè i contadini soglion chiamar saracinesco qual veggano più possente di ceppo, e pittoresco di tronco e rami. Nel che i contadini s'accostano forse al vero, e gli altri no. La coltura dell'ulivo in Sicilia risalisce al quinto secolo innanzi l'era volgare, nè mai si abbandonò, ma decadde al par che tante altre sotto i Romani, nè rifiorì sotto gli Arabi; poichè sappiamo dell'olio che l'Affrica vendeva alla Sicilia nel nono, undecimo e duodecimo secolo.1118 Parmi piuttosto che l'isola debba ai Musulmani le melarance e altri agrumi ch'or son capo sì ricco di commercio;1119 ed anco la canna da zucchero,1120 i datteri1121 e i gelsi, o almeno la seta.1122 Al contrario se la vite non si sbarbicò per ogni luogo, se i poeti arabi di Sicilia lodarono il vin del paese con tal fervore anacreontico, i vigneti scemarono contuttociò sotto la dominazione musulmana; e sì lentamente si rifornirono in due secoli, che la Sicilia facea venir vini da Napoli verso la fine del decimoterzo.1123
Le razze equine di Sicilia, ricordate dagli Arabi nell'undicesimo secolo,1124 fornivano, al dir d'un autore cristiano, animosi destrieri, d'egregie forme e vario pelo;1125 abbondavano i muli1126 dalla zampa sicura nelle montagne, adoprati alla soma ed al tiro;1127 e con quelli, asini,1128 buoi, vaste greggi di pecore;1129 nè era smessa l'antica educazione delle api. Copiosa la pesca, e nei porti, scrive il monaco Nilo, le ostriche, e le conchiglie che danno la porpora.1130 Le foreste e montagne ripiene di cacciagione.1131 Nè vi mancan le belve, che giovano a spirare il timor di Dio negli animi semplici, riflette il frate,1132 volendo significare al certo i lupi. Gli Arabi, avvezzi ad altro che spauracchi da bambini, noveravano tra i pregi della Sicilia non esservi lioni, leopardi, iene, nè grossi serpenti, e gratuitamente aggiugneano nè vipere, nè scorpioni.1133
L'ubertà del paese non si riconoscea dalla sola matura, come direi forse trattando d'altri tempi; chè possentemente l'aiutava la industria degli abitatori, sulla quale dà un po' di lume il “Libro dell'agricoltura” d'Ibn-Awwâm, spagnuolo della metà dell'undecimo secolo, sagace compilatore degli insegnamenti d'opere più antiche forse fin dal tempo de' Nabatei, alle quali aggiunse le proprie osservazioni su le pratiche agrarie della Spagna. Da lui sappiamo che il modo più acconcio di piantare gli ortaggi, sopratutto le cipolle e i poponi, era detto alla Siciliana; e la minuta descrizione ch'ei ne fa, risponde appunto a quel congegno di schiene e rigagnoli che si pratica tuttavia in Sicilia.1134 Le voci arabiche d'orticultura che rimangono nel dialetto siciliano, non lascian dubbio sul tempo in cui ebbero origine queste e simili pratiche.1135 Un fiore ch'è forse la malvetta rosata,1136 si chiamava in Spagna al tempo d'Ibn-'Awwâm Malva siciliana, onde sembra venuto di Sicilia.1137 Quinci passò in Spagna una composizione di mostarda con miele e senape, descritta per filo e per segno in un luogo d'Ibn-Besâl.1138 Ma importantissima sopra ogni altra la pratica di porre il cotone in terreni ingrati che Ibn-Fassâl citato da Ibn-'Awwâm riferisce ai Siciliani, e la dice imitata con profitto nelle costiere di Spagna.1139 Un altro trattato arabico d'agricoltura ricorda che i Siciliani sarchiassero fino a dieci volte il terreno da seminare a cotone.1140 Rimase in Sicilia l'utile pianta nel duodecimo secolo;1141 e infino alla metà del decimoterzo;1142 ma allo scorcio del decimoquarto se n'era ita, seguendo quasi la schiatta arabica, in Malta, Stromboli e Pantellaria:1143 ed appena par che cominci a tornare adesso nelle spiagge di Pachino e su le sponde del Simeto.
In fatto d'opificii abbiam ricordo del prezioso drappo, al certo di seta, detto di Sicilia, del quale si trovò una catasta tra i tesori d'Abda, figliuola del califo fatemita Moezz, morta in Egitto in su la fine del decimo o principio dell'undecimo secolo.1144 Che innanzi quell'età si lavorasse la seta in Sicilia lo prova d'altronde la biografia del pio Abu-Hasaa-Hariri,1145 e v'accenna il nome di Kalat-et-Tirazi, castello in oggi abbandonato presso Corleone,1146 non che il regio Tirâz di Palermo, avanzo dell'industria arabica nel duodecimo secolo, di che sarà detto a suo luogo. Similmente abbiam pochi cenni del commercio, per non curanza degli scrittori o dispersione degli scritti. Oltre la esportazione del sale ammoniaco testè ricordata,1147 sappiamo la importazione dell'olio da Sfax,1148 e la frequente navigazione dalla Sicilia a Mehdia e Susa.1149 I patti di Hasan-ibn-Ali del novecencinquantadue1150 ci attestano l'importanza del traffico tra l'isola e Reggio; nè picciola parte dovea tornare alla Sicilia dalle relazioni commerciali ch'ebbe coi Musulmani la costiera di Terraferma bagnata dal Tirreno. Lasciando le regioni dal Tevere in su, lo conferma Ibn-Haukal per Napoli, Salerno, Amalfi;1151 lo conferma il doppio nome di Keitona-el-Arab che ritenne il Promontorio Circeo fino al tempo di Edrisi; nome analogo a quel che davano ad una città nelle parti meridionali della Sardegna,1152 ed a quel c'ha tuttavia la Catona in faccia a Messina.1153 Maggiore d'ogni altra prova è che a Salerno, fors'anco a Napoli e Amalfi, si contraffacea, non per frode ma per bisogno del commercio, la moneta d'oro di Sicilia,1154 come infino ne' tempi nostri v'ebbero belli e buoni colonnati di Spagna battuti in altri paesi.
Ove ponghiamo mente al genio randagio degli Arabi, alla comunanza di leggi, usi, costumi e in gran parte anco di schiatta, dei Musulmani che teneano il bacino occidentale del Mediterraneo, non staremo in forse che la Sicilia partecipò delle arti e lusso della Spagna e costiera d'Affrica, sì come è provato che ebbe analoghe vicende politiche e cultura di lettere. Così anco dei monumenti. Perirono nella guerra normanna quasi tutti que' dei Musulmani; e pur non vi ha menomo dubbio del loro splendore, quando l'autor della vita di San Filareto lodava i tempii ed altri sontuosi edifizii delle città maggiori della Sicilia;1155 e il conte Ruggiero, dopo averci lavorato per trent'anni con ferro e fuoco, scrivea patetico in un diploma del millenovanta, delle vaste e frequenti rovine delle città e castella saracene; de' vestigii di lor palazzi, fabbricati con mirabile artifizio, adatti, non che ai comodi, ad ogni lusso e delizia della vita.1156 Nel sesto libro toccheremo l'architettura arabica sotto i Normanni, alla quale dobbiam tutti i monumenti che avanzano in Sicilia del medio evo, da pochissimi in fuori. Dico due o tre, da che la iscrizione neskhi intagliata a mo' di fregio nelle mura del palagio della Cuba, porta il nome di re Guglielmo secondo e la data del millecentottanta.1157 Bagni di Cefalà e il palagio della Zisa sembrano più antichi, alla gravità della scrittura cufica che altra volta li coronò;1158 e il palagio e bagno di Maredolce, ancorchè non vi si trovino iscrizioni, parrebbe contemporaneo; ma rimanendo sempre incerta l'epoca, e sendo state racconce le fabbriche di poi, e la Zisa anche abbellita dai Normanni, non vi si può fondare giudizio su l'arte arabica di Sicilia nell'undecimo secolo. Questo sol noterò, che le linee di prospetto del cubo allungato e dell'arco aguzzo dei tempi normanni si trovano nelle cornici delle iscrizioni arabiche di Sicilia dell'epoca musulmana. Qui un rettangolo sormontato da una punta in forma di mitra vescovile;1159 lì inscritto dentro il rettangolo un arco spezzato in tre lobi alla foggia che s'è chiamata moresca.1160
Avvien sempre che sfugga alla più cruda rabbia di guerre o persecuzioni qualche monumento di minor mole, per trascuranza o stanchezza delle mani vandaliche, per capriccio o gusto d'alcun uomo: e così parecchie iscrizioni arabiche della dominazione musulmana rimasero in Sicilia, senza contar quelle de' tempi normanni delle quali si dirà a suo luogo. Quantunque i rami pubblicati dal Di Gregorio sian delineati così così, e io non abbia avuto sotto gli occhi migliori disegni delle iscrizioni inedite, potrò pur toccare la calligrafia lapidaria, la quale col disegno architettonico e coi rabeschi tenea luogo di tutt'arte grafica appo i Musulmani.1161 Ci occorse già far parola delle iscrizioni della torre di Baich in Palermo,1162 e del castello di Termini;1163 l'una perduta, se non che abbozzossi il disegno d'alcun brano; e l'altra pessimamente delineata, e temo adesso ita a male: entrambe del decimo secolo. Alla medesima età mi par da riferire la leggenda intagliata nel vecchio edifizio dei bagni di Cefalà, logora da lungo tempo, e in oggi, mi si dice, dileguata del tutto.1164 Le iscrizioni conservate sono sentenze coraniche scolpite in colonette di marmo che si tolsero dalle moschee e si murarono nelle chiese, ovvero epitaffii svelti dalle tombe, collocati in musei o case private. La scrittura cufica, semplice, robusta, con poche fioriture, e nessun ghiribizzo qual si notava nella torre di Baich,1165 appar anco nei due cippi sepolcrali del Museo di Verona,1166 in altri due di casa Calzola a Pozzuoli,1167 nei tre di Marsala, Siracusa e Messina, che non hanno data;1168 in quello del Museo Daniele a Caserta,1169 e in un picciol marmo di casa Emmanuele a Trapani,1170 e un altro del Museo di Messina:1171 le quali forme di caratteri, molto svariate e pur tutte appartenenti alla classe che ho posta, non differiscono dallo stile dei monumenti analoghi sparsi da Cordova infino a Bagdad. Frammisto a quello si vede nella stessa epoca in Sicilia, sì come in ogni altro paese musulmano, con linee più tortuose e bizzarre, il cufico ornato e talvolta intralciato di rabeschi, che si è chiamato impropriamente scrittura carmatica. Bellissima in questo stile, nè sopraccarica di capricci è la lapide sepolcrale di Oma-er-Rahman che si trovò pochi anni addietro in Palermo, dove manca la data, ma sembra alla vista del decimo o undecimo secolo.1172 Similmente dell'epoca musulmana le iscrizioni coraniche delle Chiese delle Vergini e San Francesco d'Assisi in Palermo,1173 del convento dei Francescani in Trapani,1174 che son più o meno ornate, ma di bella struttura di caratteri; e l'altra assai logora e ignuda, nè di forme eleganti, di una colonna nel portico meridionale della cattedrale di Palermo.1175 Un bel neskhi, o corsivo, modificato a forme monumentali, spoglio di ornamenti e notato di punti diacritici, si scorge in una pietra sepolcrale di Mazara, in parte logora, se il vizio non è nella stampa ch'io n'ho alle mani.1176 È scritto in neskhi grossolano, con qualche punto diacritico e qualche errore di grammatica, l'epitaffio mutilo che si serba nella Biblioteca comunale di Palermo: e stava su la tomba d'un Abu-Hasan-Ali, morto il trecencinquantanove dell'egira.1177
Farò cenno in ultimo delle monete dei Musulmani di Sicilia, su le quali manca un lavoro compiuto, nè io potrei provarmici, nè sarebbe da stenderlo qui.1178 Mi ristringo pertanto ai risultamenti, ritraendoli dall'accurato catalogo del Mortillaro, aggiugnendo qualche altra notizia che s'è pubblicata appresso e le monete inedite del Museo parigino. Degli Aghlabiti, dei quali è si povera la numismatica, rimangono poche monete siciliane.1179 Per lo contrario abbondano le fatemite; sì che ve n'ha di tutti i califi che regnarono di fatto o di nome in Sicilia, da Obeid-allah fondatore della dinastia fino ad Abu-Tamim-Mostanser-Billah, o meglio al quattrocentoquarantacinque dell'egira dopo caduta la dominazione kelbita:1180 un centinaio di monete, la più parte d'oro, due sole d'argento e non poche di vetro di varii colori, che sembran usate in luogo dei quattrini di rame.1181 Hanno leggende cufiche; formole fatemite, molte con data e col nome della Sicilia. Quelle d'oro, quando se n'è fatto saggio, si son trovate di buona lega. Son tutte del peso d'un grammo più o meno, che torna alla quarta parte del dinâr omeiade, abbassida e fatemita: di certo il robâ'i, ossia quartiglio, del quale si legge nei ricordi arabici della Sicilia nel decimo e duodecimo secolo.1182 Picciola e comoda moneta come gli odierni cinque franchi d'oro, coniata tuttavia sotto i Normanni con leggende arabiche, e chiamata tari in un diploma greco, e tareni nelle croniche e carte latine di quel tempo.1183
Il commercio musulmano di Sicilia, non che mantener suoi robâ'i nell'isola sotto la dominazione normanna, avea costretto ad usarli, fin dai principii del decimo secolo, Napoli, Salerno, Amalfi; ed a batterne in casa propria, ed anteporli a tutt'altro conio. I diplomi latini di Napoli di quel secolo portan le vendite in solidi bizantini e più spesso in tari,1184 dei quali quattro faceano un solido bizantino, ch'era lo stesso del dinâr arabo. Dai medesimi atti si rileva che i solidi scarseggiavano o mancavan del tutto alla metà del secolo, ancorchè sempre si notassero come moneta legale; e che rimanea quasi solo conio corrente d'oro il tari.1185 Da un'altra mano i musei del regno di Napoli ci mostrano quartigli d'oro della stessa forma e peso di que' di Sicilia, col nome del califo fatemita Moezz (953-975); se non che comparisce la mano straniera, al cufico men franco, e la lega men buona, e si mostra talvolta alla scoperta, aggiugnendo in mezzo dell'impronta arabica “Salerno” e altre lettere latine: e perfino stampò la croce tra le sentenze unitarie dei Fatemiti, o scrisse sul dritto il nome di Gisulfo principe di Salerno (1052-1076) e sul rovescio quel di Moezz morto un secolo innanzi.1186 Parmi non cada in dubbio che i tari dei diplomi napoletani fossero appunto i robâ'i di Sicilia, e le copie più o men fedeli che se ne faceano nell'Italia meridionale. La voce tari, ignota di là del Garigliano, ignota nelle altre province bizantine, si accosta per articolazioni ed accento a dirhem o dirhim pronunziata velocemente dagli Arabi trihm,1187 ed al plurale terâhîm o trâhîm e trâhî, mangiandosi l'ultima consonante e battendo l'accento sull'ì. Le bocche italiane ne fecero tari. Nè questa è conghiettura, ove si ricordi il tari denominazione di peso, che risponde senza dubbio al dirhem, il quale gli eruditi di Sicilia scrissero tari-peso, ma il popolo credo l'abbia detto sempre trappeso, rendendo nella prima sillaba la volgare pronunzia arabica.1188 Così i Napoletani e i Siciliani del medio evo ripigliavano dagli Arabi il vocabolo drachma, che quelli aveano tolto dai Bizantini e mutato in dirhem.
Gli articoli su la Sicilia e sue città e terre, che io ho dato nella detta Biblioteca, p. 105 a 126 del testo, son tratti dai due soli MSS. di Oxford e British Museum. I nomi stessi leggonsi nel Compendio del Mo'gem intitolato Merasid-el-Ittilâ', pubblicato recentemente a Leyde dal professor Juynboll; ed io li ho posti nella Biblioteca, p. 127 a 132. Iakût non conobbe forse l'opera di Edrisi, e di certo non la usò trattando della Sicilia: la sola notizia che s'accordi un po' con Edrisi, è quella di Catania, di cui diremo più innanzi. Oltre i nominati nel testo, Iakût cita in due articoli Ibn-Herawi ed Abu-Hasan-Ali-Ibn-Badîs. Infine i versi ch'ei trascrive da una satira d'Ibn-Kalakis, venuto in Sicilia al tempo di Guglielmo il Buono; gli fornirono un sol nome geografico novello, cioè Oliveri; e nessuna notizia importante: D'Ibn-Kalâkis diremo nel Libro VI.
Donde la proporzione della popolazione in oggi torna a 0,52, 0,30 e 0,18.
Il falso Tolomeo dà a Palermo 40° di longitudine e 35° di latitudine, oroscopo la Vergine e casa di regno a dieci gradi dell'Ariete ec.; a Messina, 39° longitudine, 38° 40′ latitudine, oroscopo il Sagittario, casa della vita a 9° 27′ di quel segno; a Siracusa, 39° 18′ longitudine, 39° latitudine, oroscopo la Zampa del Lione, casa della vita a 13° del Cancro, casa del regno ad altrettanti dell'Ariete ec.
Gli errori degli Arabi su la posizione geografica di Palermo giunsero fino ai tempi d'Abulfeda, come si vede nella costui Géographie, versione di M. Reinaud, tomo II, p. 273, seg., dove la longitudine è notata 35° dall'isola del Ferro; e la latitudine, 36° 10′ ovvero 36° 30′. Nondimeno Abu-Hasan-Ali, astronomo di Marocco, segnava più correttamente latitudine 37° 30′, e più scorrettamente longitudine 45° 20′; presso Sédillot, Instruments astronomique des Arabes tomo II, p. 204.
Per comprendere od po' il gergo del Kitâb-el-Melhema, dirò, a chi non sta saputo in astrologia, che la posizione si determinava su i segni del zodiaco. Quello che spunta all'orizzonte in faccia al luogo n'è l'oroscopo principale, il tâli' come dicono gli Arabi. Le “case” della vita del regno e degli altri destini, rispondono ai punti dell'ecclittica divisa in dodici parti uguali facendo capo dal tâli', in un MS. d'astrologia intitolato Kitab-en-Nogiûm, Biblioteca di Parigi, Ancien Fonds, 1146, fog. 13 recto, la casa della vita è appunto all'oroscopo, e quella del regno al quarto scompartimento a sinistra; il che non risponde al sistema del falso Tolomeo. Anche le denominazioni son alquanto diverse; e il campo al sistemi era libero in vero agli astrologi.
Da un'altra mano si sa che varie sorta di melarance vennero dall'India in Siria ed Egitto dopo il principio del quarto secolo dell'egira e decimo dell'era cristiana. Veggasi una nota di M. de Sacy all'Abdallatif, Relation de l'Egypte, p. 117. Probabilmente la Sicilia, la Spagna, e con esse gli altri paesi in sul bacino occidentale del Mediterraneo ebbero gli aranci e i cedri in questo medesimo tempo dalla Siria e dall'Egitto.
Oro, anno 268, (881-2) di grammi 1,05 nel Museo di Parigi. In fin della leggenda del rovescio parmi leggere la voce robâ'i. Si confronti con quella simile pubblicata da Castiglioni e notata da Mortillaro, Opere, tomo III, p. 352, nº IX.
Oro, anno 295, (907-8) di grammi 4,25 nel Museo di Parigi col nome del parricida Abu-Modhar-Ziadet-Allah.
In queste monete non si legge il nome di Sicilia, ma i dotti le credono siciliane dall'opera. Le altre monete aghlabite di Sicilia notansi dal Mortillaro, Opere, tomo III, p. 343, seg., nº I a XII.
A queste 77 monete sono da aggiugnere le seguenti:
Una trentina di dinâr d'oro, tra omeiadi e abbassidi, che ho pesati nel Museo di Parigi, sono per lo più di 4 grammi traboccanti. Dieci dinâr fatemiti d'Egitto mi han dato lo stesso risultamento: il migliore arriva a grammi 4,35, e il più scadente a grammi 3,45.
Or il robâ'i tornava a tre dirhem nisâb, poichè il dinâr si ragionò dodici. Naturalmente gli Arabi di Sicilia, nel commercio, chiamavan quella moneta d'oro “un tre dirhem,” e nell'uso bastava dire trâhîm al plurale. Il vocabolo tari, introdotto in tal modo presso gl'Italiani di Napoli e poi presso i Normanni e Italiani di Sicilia, restò denominazione di moneta d'oro; mentre da un'altra mano i Normanni di Sicilia, usando il sistema degli Arabi, ebbero il dirhem moneta ed anche il dirhem, o tari, peso di argento. Indi la voce tari-peso o trappeso. Spariti con la dinastia normanna i tari d'oro, la voce tari restò come denominazione di peso e moneta d'argento. Gli eruditi del secolo passato arrivarono, dopo molti errori e ricerche, a distinguere i tari dei diplomi antichi da quei che aveano alle mani e che valeano quasi la quarta parte dei primi, cui chiamarono per questo tari d'oro. Il dotto Conte Castiglioni sbagliò, come parmi, negando cosiffatta etimologia della voce tari.