Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II», sayfa 20
CAPITOLO XIV
Arrivati a scoprire per quante vie s'era messo lo spirito umano al tempo dell'antica civiltà, i popoli musulmani le tentaron qua e là con ardore giovanile; in molte si lasciarono addietro i Cristiani contemporanei; sovente aggiunsero lor trovati al patrimonio degli antichi; il che non avveniva allora in Cristianità. Sopra ogni altro lussureggiarono in due esercizii connaturali a loro società. L'arte della parola in rima e in prosa, antico vanto degli Arabi, mutando corso nell'islamismo e allontanandosi dalle forme del bello, si allargò in ogni più sottile investigazione di grammatica, lessicografia, versificazione, delle quali parteciparono i popoli conquistati: talchè per tutta Musulmanità fu studiata la filologia minore quanto nol fecero mai i Greci nè i Latini; e se le Muse dessero la corona a chi più s'affatica, gli Arabi se l'avrebbero senza contrasto. Surse dal Corano quella scienza mescolata di teologia e dritto, la quale, sendo come il pan quotidiano dei Musulmani, non è maraviglia che attirasse tutti gli ingegni disposti a così fatte contemplazioni e bramosi di onori e stato. La filologia e le scienze coraniche, per aver sì profonde radici l'una nella schiatta arabica, le altre nella società musulmana, occuparono quasi tutto il campo, rinvigorite dalla metafisica e dialettica dell'Occidente; rimasero sole dopo la decadenza politica e sociale dagli Arabi; e si possono dir vegete fino ai dì nostri dovunque regga la legge di Maometto, dal Gange allo stretto di Gibilterra. Ma le scienze antiche, come le chiamarono gli Arabi per averle tolte in presto dai Greci, trovarono ostacolo nella tenacità semitica del popolo dominatore, il quale se n'era invaghito per ebbrezza di nuovo acquisto, e d'un subito s'arretrò, spaventato, dal cammin che credea lo menasse all'inferno. Poi prevalendo genti più grossiere, in Levante i Turchi, in Occidente i Berberi; irrompendo Cristiani d'ogni banda nell'impero musulmano, esacerbaronsi le passioni religiose, rinnegòssi il secolo di Harûn Rascîd, e quelle sospette scienze sparvero ad una ad una tra le tenebre ricadenti sul mondo musulmano.
Le ristorate dottrine dunque d'Aristotele, d'Euclide, d'Ippocrate, non solo ebbero minor tratta di seguaci al tempo della civiltà arabica, ma sendo ite in bando dalla terra d'islam, dileguavasi dal decimoquarto secolo in poi la memoria di cui le coltivò. I biografi tuttavia s'affaticarono a rintracciare nomi e aneddoti di grammatici, retori, lessicografi, interpreti del Corano, tradizionisti, giureconsulti, teologi e mistici d'ogni maniera, e vennero a capo di trovarne molti sfuggiti alle ricerche dei predecessori; ma fecero guarda e passa nelle altre scienze. Similmente si smettea di copiarne i libri. Ho voluto notare cotesta disuguaglianza nelle proporzioni della storia letteraria e le due cause da che venne, perchè la non sembri difetto peculiare degli Arabi Siciliani. Un pugno d'uomini, del resto, datisi alla cultura intellettuale per qualche secolo e mezzo, soggiogati quando coglieano il frutto, perseguitati e dispersi entro un altro secolo: meraviglia è che ce ne rimanga qualche brano di memorie letterarie per carità di cui accolse in casa gli esuli sconsolati. Nei paesi rimasti musulmani, l'amor di patria o la vanagloria municipale dei tempi di decadenza, religiosamente ragunò ogni ricordo dei cittadini più o meno illustri. E i coloni di Spagna, più numerosi assai dei Siciliani, pervenuti all'incivilimento dopo tre secoli, n'ebber agio altri quattro a compiere il pio oficio pria che sgombrassero d'Europa.
Il solo autore arabo che appositamente abbia scritto la storia dei filosofi, matematici e medici, non ricorda altri Siciliani che un del duodecimo, secolo e tre dell'antichità, Archimede, Empedocle, Corace;1189 su i quali dà ragguagli meno scontraffatti che non si potrebbero aspettare così di rimbalzo; ma non appartengono al nostro argomento. Del resto, se l'abbiano ignorato Zuzeni al tempo di Federigo secondo ed Ibn-Khallikân nella generazione seguente, si coltivaron pure le sciente matematiche in Sicilia sotto la dominazione arabica. Ne fan fede le memorie dei tempi normanni, delle quali diremo a suo luogo; ed anco alcun cenno immediato dell'undecimo secolo. Makrizi nella Topografia dell'Egitto, venendo a parlare dell'osservatorio che fondò al Cairo il mecenate Afdhal l'anno cinquecento tredici (1119-20), e il califo Amer spiantò a capo di sei anni, novera tra gli astronomi che v'erano condotti a stipendio, il geometra siciliano Abu-Mohammed-Abd-el-Kerîm,1190 esule ch'ei sembra dopo il conquisto normanno. Ibn-Kattâ', nell'Antologia dei poeti siciliani, trascrivendo alcuni versi di Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan-ibn-Kûni con due righi di cenno biografico, gli diè lode anco di geometra ed astronomo. Il titol che aggiugne di Kâtib, ossia segretario; mostra che quest'Omar il fu in alcun oficio pubblico, forse nella segreteria di Stato. Del quale se i versi d'amore son troppo geometrici, v'ha uno squarcio d'elegia che direbbesi scritto da stoico romano anzi che da credente arabo: sì sdegnoso il pensiero, alto senza puntello di religione; ed anco semplice e grave nella forma; se non forse per due bisticci che il poeta incastrò nell'ultimo verso.1191 Ibn-Kattâ' similmente fa ricordo del Segretario Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Kereni,1192 astronomo, aritmetico e poeta.1193
Che la matematica e l'astronomia si fossero applicate in Sicilia a studii topografici, non si può negar nè affermare. In vero scorgiamo una bella. correzione della postura dell'isola rispetto all'Affrica. Ibn-Haukal Bel decimo secolo supponea la Sicilia guardare dritto Bugia, Tabarca e Marsa Kharez (La Calle); cioè la spingea due gradi più a ponente.1194 Ibn-Iûnis, il celebre astronomo del Cairo, alla fine del decimo secolo, con errore contrario la tirava dieci gradi a levante di Tunis.1195 Ma una notizia anonima che leggiamo in Iakût e par si debba riferire a sorgenti siciliane dell'undecimo secolo, pone vicinissima alla Sicilia tra le terre d'Affrica l'antica Clipea presso il Capo Bon, aggiugnendo correr tra quella e l'isola cenquaranta miglia, ossia due giornate di navigazione con buon vento, e, da un altro lato, lo Stretto del Faro misurarsi due miglia, là dove l'isola più s'accosta alla terraferma.1196 Donde parmi che la correzione sopraddetta si debba riferire ai navigatori siciliani ed affricani, non agli astronomi; tanto più che lo sbaglio delle longitudini non si potea riconoscere da privati senza un osservatorio fornito di quegli smisurati stromenti che gli Arabi furon primi a costruire. Ignoriamo in qual tempo visse chi immaginò l'isola triangolo equilatero, misurandovi sette giornate di cammino da un vertice all'altro.1197 Ibn-Haukal s'avvalse forse delle nozioni che correano nel paese e avvicinossi al vero quando assomigliò la Sicilia a triangolo isoscele con la punta rivolta a ponente,1198 la base di quattro giornate, e ciascun lato di sette.1199 Bekri ne fe' triangolo scaleno, troppo largo alla base, di cencinquantasette miglia, con censettantasette di lato maggiore e cinquecento di perimetro.1200 Altri diè il giro di quindici giornate.1201 Infine una misura che sembra oficiale e dell'undecimo secolo, portava undici merhele o diremmo stazioni di posta, da Trapani a Messina, e tre giornate di larghezza;1202 onde s'argomenta che mancassero i rilievi di posta nella riviera orientale, e le distanze perciò si ritraessero il manco male che si potea dai viandanti. La somma è che i dotti siciliani studiarono piuttosto la geografia descrittiva che la geografia matematica del suolo ov'erano nati.
Lo Sceikh Abu-Sa'îd-ibn-Ibrahim, detto il Maghrebino e il Siciliano, compilò un libro di terapeutica, del quale v'hanno due codici, ad Oxford e Parigi. S'intitola il primo Ausiliare alla guarigione d'ogni sorta di morbi ed acciacchi;1203 e il secondo Taccuino1204 dei medicamenti semplici: unica opera, della quale il manoscritto bodleiano parmi il primo dettato, e il parigino la seconda edizione, corretta e semplificata. Considerato, che vogliansi adattare i medicamenti alle particolarità degli individui e dei mali; e che fin qui le opere di materia medica siano state compilate secondo i nomi dei semplici o delle malattie, l'autore si propone di presentar l'uno e l'altro ordine uniti insieme a colpo d'occhio per sussidio di memoria al medico. Fa dunque un volume di tavole sinottiche, notando nelle linee orizzontali ciascun semplice con sue qualità ed usi, secondo le divisioni che fanno le linee verticali o vogliam dire colonne. Pon quattro classi di malattie; del capo, degli organi respiratorii, degli organi digestivi e del corpo tutto; e poi nota nella linea orizzontale la denominazione tecnica della infermità. Tratta soltanto dei medicamenti semplici i quali son messi nell'ordine dell'antico alfabeto detto Abuged,1205 seguíto sempre dai medici e matematici arabi. Nella introduzione si discorrono con dotta brevità i principii generali della materia medica.1206
Spedito ed utile manuale, il cui linguaggio tecnico, le divisioni, le teorie e qualche tradizione greca che s'accenna nella introduzione, rispondono al corpo di dottrine mediche che possedeano gli Arabi nell'undecimo secolo, qual si vede nella famosa compilazione d'Avicenna. Il riscontro col Canone ci conduce inoltre a supporre contemporaneo o anteriore ad Avicenna (980-1037) il Siciliano Abu-Sa'îd, il quale afferma niuno avere steso prima di lui tavole comparate di rimedii e malattie; e noi le troviamo appunto nel secondo libro del Canone.1207 D'Abu-Sa'îd non avanza alcun cenno biografico. Tuttavia nè menzogna nè plagio non son da sospettare, quand'ei fa categorie patologiche diverse da quelle d'Avicenna; e dà un catalogo di semplici molto minore, dove pur se ne trova di tali che mancano nel Canone, ed è diversa la disposizione dei nomi identici. Se imitazione v'ebbe, par dunque l'abbia fatta Avicenna da Abu-Sa'îd, o ch'entrambi abbiano attinto alle medesime sorgenti, e recato nelle esposizione della materia medica quel genio simmetrico degli Arabi, senza conoscere i lavori l'uno dell'altro in regioni si lontane. Se non che il manuale apposito del Siciliano fu ecclissato dal trattato generale del Persiano, al quale poi si è attribuito, come a Tolomeo, Averroès ed altri compilatori antichi e moderni, tutto l'onor delle dottrine ch'egli coordinò ed espose.
Più che Abu-Sa'îd meritò della scienza il Siciliano Ahmed-ibn-Abd-es-Selâm, sceriffo, ch'è a dir della stirpe d'Ali, autore d'un trattato di medicina che serbasi a Leyde ed era intitolato: Il libro dei medici su tutte le malattie dal capo alle piante.1208 Limitandosi ai medicamenti semplici, chè i composti, dice egli, difficilmente riescono nè mai n'è certo lo sperimento, Ahmed breve accenna i rimedii indicati secondo le diagnosi; non tacendo le credenze volgari e contrapponendovi i dettami dei maestri greci ed arabi e sovente la propria esperienza. Divide l'opera in venti capitoli; da alcuno dei quali che ho percorso, specialmente il paragrafo su l'idrofobia, il Libro dei medici mi sembra ricco di osservazioni, dettato con quella saviezza sperimentale che si fa scorta delle teorie e ch'è sola via dritta in quest'arte. Ma pieno giudizio non se ne potrà dare, se la storia della medicina appo gli Arabi non sia meglio studiata che al presente, e se eruditi medici non approfondiscano quest'opera, la quale a prima vista sembra di gran momento. Ahmed ne compose un'altra, forse d'igiene, intitolata: Conservazione della salute; divisa in ottanta capitoli e dedicata ad un Abu-Fâres-Abd-el-Azîz-ibn-Ahmed; della quale tanto sol sappiamo da Hagi-Khalfa, e che l'autore si appellava Siciliano e Tunisino.1209 Di lui non troviamo cenno nelle biografie dei medici arabi; talchè dobbiam lasciarlo tra quei d'età incerta, non potendo affidarci ad un barlume che ci condurrebbe all'ultima emigrazione dei Musulmani di Sicilia, sotto Federigo secondo imperatore.1210 Visse di certo nella dominazione musulmana Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Tazi, poeta e letterato di gran fama in Sicilia, al quale Ibn-Kattâ' dà appellazione di medico, senza dirne altro;1211 e noi ne riparleremo tra i poeti con l'onore e il biasimo ch'ei meritò. Del rimanente questo picciol numero di medici, le cui notizie ci pervengono come per caso, non prova che la scienza fosse trascurata in Sicilia.
Scarsi al paro i ricordi di cui seguì la filosofia antica, che gli Arabi chiamarono col proprio nome greco: e diceano Kelâm ossia “ragionamento,” la metafisica e logica religiosa acconciate a lor modo. I filosofi, spesso perseguitati in vita e dimenticati dopo morte, non tornan a galla nella storia letteraria degli Arabi, se non li spinge su qualche vestimento più leggiero: poesia o filologia. Così ci vien trovato nelle biografie dei linguisti di Soiuti, un Sa'îd-ibn-Fethûn-ibn-Mokram da Cordova, della illustre gente dei Togibiti, grammatico, filologo e scrittor di due trattati di versificazione; dato anche, dice Soiuti, alla filosofia. Fu costui contemporaneo del terribil ministro Ibn-Abi-'Amir, detto Almanzor, protettore delle lettere, persecutore delle scienze antiche; quel che bruciò i libri di filosofia ed astronomia della biblioteca di Cordova. Sa'îd, accusato non sappiamo se di scetticismo o ribellione, forse senz'altra colpa che il nascer di schiatta possente e temuta, fu chiamato da Almanzor, interrogato severamente e messo in prigione. Poi lasciaronlo andare in esilio; ed elesse la Sicilia, dove passò il resto de' suoi giorni, alla fine del decimo o principio dell'undecimo secolo.1212
Primaria scienza sacra appo loro la lettura del Corano, la quale portando seco interpretazione, riesce a gravi conseguenze legali, dommatiche e morali. Fu dettato il Corano quando tra gli Arabi contavasi a dito chi sapesse scrivere; nè a grammatica si pensava pur anco nè ad ortografia. Poscia Othmân nell'edizione canonica eliminò i luoghi apocrifi, le frasi estranee al dialetto coreiscita, ma non potè mettere in carta la sacra parola con segni più perfetti che gli Arabi non ne possedessero. Cioè che notavano precise tanto o quanto le consonanti,1213 e delle vocali sol quelle rinforzate da accento, e non pur tutte: donde l'ambiguità di tanti vocaboli che non sono distinti se non dalle vocali, di tanti periodi varii di significato secondo i modi grammaticali che si accennassero leggendo.1214 Il testo dunque sendo scritto, come oggi diremmo, in cifera di stenografia, nè bastando averlo sotto gli occhi per saperne appunto il tenore, era forza supplirvi con la tradizione orale e con le regole della grammatica. Indi i Lettori, i maestri di Lettura, i trattati e anche poemi didascalici, le sette scuole principali di lettura e non so quante secondarie, gli arabici assottigliamenti in cotesta novella scienza; e s'arrivò a notare il Corano con segni più presto musicali che ortografici: lettere, punti, lineette, sigle che si dipingeano a varii colori intorno gli arcaici caratteri negri del testo d'Othmân, e prescrivean le pause, le modulazioni e oficio dell'a, le articolazioni da elidere o permutare e simili.
Fu dei più rinomati Lettori del Corano al suo tempo Abd-er-Rahmân-ibn-Abi-Bekr-ibn-'Atîk-ibn-Khelef da Siracusa, detto Ibn-Fehhâm (Il figlio del Carbonaro), nato il quattrocencinquantaquattro (1062), uscito, com'è probabile, alla presa di Siracusa, l'ottantotto (1095), e morto il cinquecento sedici (1122-3). Andò cercando in Oriente i dottori principi della Lettura; praticò con parecchi d'Egitto; e soggiornò, forse diè studio, in Alessandria, essendo stato chiamato lo Sceikh Alessandrino. Compose il Soddisfacimento a chi brami saper bene le Sette Lezioni, e La Gemma Solitaria d'Ibn-Fehhâm su la Lettura: com'è vezzo degli scrittori arabi di porre titoli millantatori e avviluppati, purchè sembrino bizzarri. Si ricorda inoltre un suo Commentario su i Prolegomeni Grammaticali d'Ibn-Babesciâds: che grammatico ei fu anco e giurista, e poeta. Abbiamo, solo avanzo de' suoi scritti, qualche verso, elegante di lingua e stile, studiato di immagini, se il raccoglitore non trascelse appunto gli squarci ampollosi per dare un bel saggio.1215 Nella poesia erotica d'Ibn-Fehhâm è tenerezza e delicatezza d'affetto non comune.1216 Il disinganno d'uom battuto dalla fortuna gli dettò un epigramma, contro il suo secolo, ma la saetta arriva fin qui.1217
Segnalossi nella medesima scienza Abu-Tâher-Ismail-ibn-Kelef-ibn-Sa'îd-ibn-'Amrân, autore d'un trattato in nove volumi su le forme grammaticali1218 del Corano, e d'un sommario intitolato Cenno su la Lettura: dov'ei messe a riscontro le Sette Lezioni, con dettato conciso da potersi tenere a mente, facile agli scolari, bastante anco ai dotti. Libro rinomato ai tempi d'Ibn-Kallikân, comentato poscia da molti e rimaso in onore fino al decimosettimo secolo, quando ne fe lode Hagi-Khalfa. Compendiò inoltre questo Ismail un'opera, credo teologica, intitolata L'Argomento, di Faresi. Fu noverato tra i primi letterati dell'età sua. Ibn-Khallikân, su la fede dello spagnuola Ibn-Baskowâl, gli dà per patria Saragozza; Soiuti lo ricorda coi due nomi di Siciliano e Spagnuolo; ed Hagi-Khalfa alterna l'uno e l'altro. Secondo tutti, fu Ansâri, cioè oriundo di Medina, e morì il quattrocentocinquantacinque (1063), in Spagna, credo io, dov'egli si fosse rifuggito, lasciando la Sicilia quando caddero i Kelbiti, o in quel torno.1219
Visse nella generazione seguente, e forse uscì di Sicilia al conquisto, Abu-Amr-Othmân-ibn-Ali-ibn-Omar da Siracusa, discepolo d'Ibn-Fehhâm in lettura e d'altri rinomati professori in tradizione, uomo di molta dottrina a giudizio del dotto Silefi che usò con lui; autor di varie opere di lettura, grammatica e versificazione, linguista inoltre e poeta, il quale tenea scuola di lettura del Corano nella moschea d'Amru1220 al Cairo vecchio, verso la metà del duodecimo secolo.1221 L'età non sappiamo di Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Haiun, siciliano, che scrisse al dir di Casiri un'appendice alla Parafrasi poetica del Corano, di cui v'ha un codice all'Escuriale.1222 Vengon poscia i Lettori che non lasciaron opere, tra i quali si ricorda Kholûf-ibn-Abd-Allah da Barca, dimorante in Sicilia alla metà del quinto secolo dell'egira, dotto nelle due parti della grammatica cioè forma e sintassi, non digiuno delle scienze filosofiche e morali, e buon poeta al dir di Dsehebi.1223 Lettore e moralista Abu-l-Kâsim-Abd-er-Rahman-ibn-Abdel-Ghanî; lettori anco Abu-Bekr-'Atîk-ibn-Abd-Allah-ibn-Rahmûn della tribù di Khaulân, passata in Siria e Spagna nei primi conquisti degli Arabi, ed Abu-Hasan-Ali-ibn-Abd-el-Gebbâr-ibn-Waddâni, il qual nome lo mostra oriundo d'Affrica. Tutti e tre poeti e vissuti nel decimo o undecimo secolo; i pochi versi dei quali, che trascrive Imâd-ed-dîn, mi sembran di pulite forme, e battono su la instabilità delle cose umane e consolazione delle sventure, tema grato ai Musulmani.1224 Nella prima metà dell'undecimo secolo, levò grido il Lettore siciliano Abu-Bekr-ibn-Nebt-el-'Orûk, sì che un valente giovane spagnuolo, che poi meritò importanti ofici in patria, tornando dalla Mecca e dall'Egitto dove avea compiuto gli studii, fermossi in Sicilia a ripigliare quei di lettura coranica con questo Abu-Bekr, e del dritto con Abd-el-Hakk-ibn-Harûn.1225 Si ricorda infine tra i Lettori il grammatico, linguista e poeta Abn-Bekr-Mohammed-ibn-Abd-Allah che volentieri direi venuto d'Affrica in Sicilia,1226 finito pazzo, se ben m'appongo a quel che ci narran di lui. In sua vita d'austera morale e uggiosa pietà, gli venne visto un giovanetto figlio d'alcun capitano o regolo dell'isola; e non osando svelare il brutto pensiero che gli nacque, trafitto di dolore, si fece pelle ed ossa; il sangue, dirompendo dal fegato, che gli Arabi tengon sede delle passioni, gli offese il petto, lo portò via, scrive Dsehebi, da questo all'altro mondo, innanzi tempo. Con altro giudizio che quel degli Arabi, si direbbe che la consunzione gli turbò il cervello, il che pur suole avvenire, e com'uomo nudrito negli scrupoli immaginò tal peccato ch'ei non avea. Nè vale la sua propria confessione in eleganti versi, degni di men tristo argomento, i quali incominciano col dubbio ch'ei fosse fuor di sè, e si chiudono con affrettare la morte.1227
I detti e pratiche di Maometto, raccontati con sommo zelo dai contemporanei, messi in carta da quei che vennero appresso, sono, come ognun sa, la seconda sorgente della dottrina musulmana nelle scuole ortodosse; se non che l'ampia raccolta non fu mai compilata in forma autentica, non porta a quel che i Musulmani chiaman precetto divino, e i dottori, secondo lor giudizio, ne accettano e ricusano, esercitando la critica non meno su l'autenticità, che su la interpretazione dei vocaboli antiquati e frasi oscure. Studio vasto che diè origine a scuole mal note l'una all'altra, e condusse i tradizionisti a lunghe peregrinazioni qua e là, dove fosse alcun rinomato dottore o chi aveva appreso da lui. Fanno le tradizioni importantissimo corpo di dritto pubblico, civile e penale, e disciplina religiosa; avvegna che proveggano alla spicciolata a tanti casi non contemplati dal Corano: onde la tradizione è preparamento necessario, anzi parte integrale della giurisprudenza.1228 S'ei fosse da stare ad una conghiettura dell'erudito Iakût, avrebbe preso soprannome dalla Calabria un Abu-Abbas, dei più antichi critici delle tradizioni: discepolo d'Abu-Ishak-Hadhrami, e maestro di Abu-Dâwûd-Soleiman, che dettò il Sinan, autorevole compendio. Ma Abu-Dâwûd morì l'ottocentottantotto di nostr'èra; onde si dovrebbe supporre che Abu-Abbâs-Kalawri avesse militato nelle prime squadre musulmane, che d'Affrica, Sicilia o Creta assaltarono la terraferma d'Italia (842). E non reggendo il supposto di Iakût altrimenti che su l'analogia del nome etnico, nè accompagnandolo alcun ragguaglio di biografia, ne rimarremo a questo cenno.1229
Oltre i giuristi che preliminarmente apparavano la Tradizione e l'arte critica di quella, parecchi dotti dell'isola vi attesero particolarmente. Fin dai primi anni del decimo secolo o poco innanzi, il siciliano Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Musa, della tribù di Temîm, passò in Irâk per approfondire cotesto studio che fioriva tuttavia nella capitale abbassida e nelle importanti città vicine. Scrisse molte opere delle quali non sappiamo i titoli, e diè lezioni a Waset; noverandosi tra i suoi discepoli alcun tradizionista di nome. Côlto insieme con l'erudizione il mal vezzo del misticismo che spuntava allora tra i dotti musulmani, frequentò le accademie di Gioneid e Nûri, barbassori sufiti; entrò nella setta1230 e lasciovvi nome onorato.1231 Dopo l'Irâk par abbia fatto soggiorno in Egitto, anzichè tornare in Sicilia.1232
Ignorasi l'età del cadi Abu-Hasan-Ali-ibn-Moferreg, autor di un'opera intitolata Annotazioni del Siciliano su la Tradizione, citato da Beka'i, nel decimoquinto secolo, tra i testi ch'egli soleva adoperare.1233 Due liberti siciliani, al certo degli schiavi cristiani venduti in altri paesi, ebbero nome di tradizionisti a Cordova, nella seconda metà del decimo secolo: dei quali, Derrâg, uom di molta pietà e dottrina, fu bandito per sospetti politici e morì in Oriente, dopo fatto il pellegrinaggio;1234 e l'altro per nome Râik, studiò tradizioni in Oriente e professolle poscia in Spagna.1235 S'applicò alla legge ed alla tradizione, tenuto uom dottissimo al principio dell'undecimo secolo, l'emir Abu-Mohammed-'Ammâr-ibn-Mansûr dei Kelbiti di Sicilia, di ramo collaterale ai due che regnarono. I frammenti poetici del quale spiran l'orgoglio guerriero della nobiltà non mansuefatto dalle elucubrazioni legali, e ci svelano che l'autore navigasse a golfo lanciato tra i tumulti e le trame che s'alternavano in Palermo.1236
Verso il milletrenta, si trovò in Spagna Abu-Fadhi-Abbâs-ibn-Amr, siciliano, il quale apprese da Kâsem-ibn-Thâbit di Saragozza la spiegazione dei vocaboli e modi disusati delle tradizioni ed insegnolla ad altri Spagnuoli; onde sembra stanziato nel paese.1237 Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Sâbik, nella generazione seguente, uscito forse in pellegrinaggio, apparò tradizione alla Mecca da parecchi dottori, tra i quali primeggia Karîma figliuola di Ahmed-Marwazi; e in luogo di tornare in Sicilia ove non era oramai che guerre e stragi, aprì scuola in Granata; ma sentendovi anco mal fermo il suolo, passò in Egitto; e quivi morì di gennaio del mille e cento. Lasciò in Granata desiderio di sè, e fama di gran teologo.1238 Son anco ricordati com'ottimi tradizionisti il Sementari, Ibn-Mekki, Ibn-Abd-el-Berr ed Ibn-Kattâ; del primo dei quali diremo tra i mistici, e degli altri tra i filologi. Sopra tutti s'innalzò il Mazari.
Così chiamato dalla città nativa e Temîmi dalla tribù, per nome Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Ali-ibn-Omar-ibn-Mohammed,1239 giurista malekita, uom sommo, scrive Ibn-Khallikân, nella dottrina testuale e critica delle tradizioni.1240 Celeberrimo nelle scuole musulmane il suo comentario di tradizione intitolato Il maestro delle dottrine (contenute) nel libro di Moslim.1241 Scrisse anco la Spiegazione dei (principii) che occorrono nello “Argomento dei dommi,”1242 ed un commentario sul libro intitolato Il buon indirizzo, opere entrambe di teologia scolastica;1243 un commentario sul Manuale di Mâlek che si chiama il Mowattâ;1244 quattro volumi su l'insegnamento del cadi Abd-el-Wehhâb;1245 ed altre di erudizione e belle lettere:1246 ma fu dotto in varii rami di scienze pratiche o speculative,1247 fin anco in medicina. Leggiamo in un comentario malekita come la gente accorresse a consultar il Mazari da medico al par che giurista, dal tempo ch'ei si diè con ardore a quello studio, punto da un medico israelita, il quale, curandolo in grave infermità, gli rinfacciava: “ecco il gran dottore dell'islamismo in balía d'un povero giudeo, che se il lasciasse morire farebbe opera meritoria in sua religione e grave danno ai Musulmani.1248” E veramente per tutta l'Affrica Settentrionale i contemporanei il tennero a luminare di giurisprudenza; si raccontò che il Profeta gli fosse comparso in sogno, confortandolo a scrivere, i posteri lo dissero ultimo legista inventore; e Khalîl-ibn-Ishak, compilator dell'oscuro codice che or si osserva in Affrica, pose il Mazari e il siciliano Ibn-Iûnis tra le quattro autorità cardinali, citate dopo la Modawwana,1249 Il Mazari seguì in teologia la dottrina asci'arita1250 o vogliamo dire scolastica, la quale soleva adoprare la filosofia e le interpretazioni per difendere il domma ortodosso dai duri colpi che gli traeano scismatici e razionalisti con le medesime armi. Uscito di Sicilia, com'ei pare, al conquisto normanno, soggiornò al Cairo vecchio, ad Alessandria; a Mehdia; quindi ad Alessandria di nuovo, dove insegnò tradizioni.1251 Si narra che a Mehdia abbia dato, poco appresso il mille, i primi rudimenti della scienza, a Mohammed-ibn-Tûmert, detto poi il Mehdi: un mezzo Savonarola berbero, che fondò l'impero almohade:1252 tra il qual legame col profeta avventurato, e la dottrina propria e l'acume dell'ingegno e la serena virtù dell'animo, il Mazari passò tra i beati dell'islamismo. Morto in Mehdia d'ottantatrè anni lunari, chi dice il quattro e chi il venti ottobre, del millecentoquarantuno,1253 fu sepolto sia a Mernâk presso Tunis,1254 sia a Monastir;1255 il qual disparere su le minuzie biografiche, mostra la grande rinomanza dell'uomo, al par delle lodi che ne fanno tutti gli scrittori.1256 Dalla riputazione di santità nacque una favola, ripetuta in Affrica nel decimoquinto secolo, la quale dava al Mazari trecento tredici anni di vita.1257
Per l'intima connessione che hanno le tradizioni con la giurisprudenza, si comprende come questa, ben avviata già in Sicilia nella prima metà del decimo secolo,1258 sia progredita nel corso dell'undecimo.
Nel confine di que' due, chè l'anno appunto non si sa, nacque, com'e' pare, in Palermo, Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Iûnis, dottore principe di scuola malekita, onorato quasi a ragguaglio col Mazari, citato insieme con lui, come dicemmo, da Khalîl, detto per antonomasia il Siciliano e famoso altresì per le prodezze fatte di sua persona nella guerra sacra, quella verosimilmente di Maniace. Trapassò Ibn-Iûnis il venti rebi' primo del quattrocencinquantuno (5 maggio 1059).1259 Suo discepolo il giurista malekita siciliano Abu-Mohammed-Abd-el-Hakk-ibn-Harûn, famoso per le opere e per gli illustri discepoli spagnuoli, Khelef-ibn-Ibrahim, detto Ibn-Hassâr, e Soleiman-ibn-Iehia-ibn-Othmân-ibn-Abi-Dunia da Cordova; dei quali il primo, come s'è detto, lo ritrovò in Sicilia1260 e l'altro alla Mecca, in pellegrinaggio, e seguillo in Egitto, studiando sempre con essolui.1261 Scrisse Abd-el-Hakk la Correzione dei Quesiti, trattato di casi legali;1262 e i Detti arguti, opera filologica o di erudizione, rimasa in voga fino al decimoquarto secolo.1263 Da lui anco avea appreso il dritto in patria, Thâbit il Siciliano; il quale, rifuggito poscia in Ispagna, ne diè quivi lezioni nella seconda metà del secolo.1264
Oltre i giureconsulti Ibn-Fehhâm, ed 'Ammar-ibn-Mansur, e Mazari, ed Ibn-Mekki ricordati di sopra; Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Ali-Rebe'i, da Girgenti, onorato molto per sapere e virtù, professava giurisprudenza malekita in Sicilia, indi in Affrica ed Alessandria; e morì l'anno cinquecentotrentasette (1142-3).1265 Forse della stessa famiglia un Ali-ibn-Othmân-ibn-Hosein-Rebe'i, Sikilli, il quale, mercatando a Cordova, recovvi il libro d'Ibn-Hâtim-Adsrei, intitolato Splendori sul fondamento del dritto; e da lui l'apprese il giurista spagnuolo Abu-Ali, Ghassâni.1266 Il dottore siciliano Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Abd-Allah, recatosi dopo il conquisto normanno in Granata, dievvi lezioni sul Lume di giurisprudenza d'Abu-Hasan-Lakhmi, e quivi morì il cinquecento diciotto (1124).1267 Un Mozaffer, siciliano o schiavone, chè spesso si scambiano nella scrittura arabica, fu deputato nel quattrocentoquattro (1013-14) a prefetto di Misr e del Cairo e mohtesib, l'ultimo dei quali officii richiedea scienza. legale.1268 Tenne in Egitto il sommo magistrato di cadi dei cadi, un Ahmed-ibn-Kâsim siciliano, che Imâd-ed-dîn ricorda col nome di Giusto, trascrivendo i versi ch'ei compose per Afdhal (1093-1121). La lindura dei quali non iscuserebbe certi modi d'adulazione, se non fossero all'usanza orientale e forse dettati da stretta amistà.1269 D'età incerta Abu-Mohammed-Hasan-ibn-Ali-ibn-Ge'd, dottore principe al suo tempo, e diè il proprio nome alle Porzioni Ge'dite secondo la scuola di Malek;1270 porzioni s'intenda nel partaggio delle eredità, ch'è ramo importante del dritto musulmano. Ai giureconsulti son da aggiugnere Kattâni, “il Sottil Grammatico,” del quale diremo tra i filologi; ed Abu-Omar-Othmân-ibn-Heggiâg da Sciacca in Sicilia, dimorante in Alessandria, morto il cinquecento quarantaquattro (1149); il quale era stato dei maestri del rinomato tradizionista Silefi d'Ispahan, e lasciò parecchi libri malekiti.1271 Dettò un comentario sul Mowattâ di Malek il letterato affricano Ibn-Rescîk, emigrato in Sicilia alla metà dell'undecimo secolo.1272 Nel medesimo tempo dava fuori opere di dritto il Sementari, col quale passiamo a discorrere la nuova edizione di devoti che pullulava nell'islamismo.
“Alla morte (appartien) ciò che nasce, non alla vita: l'uomo non è che ostaggio di essa.
Diresti gli anni suoi (foglio) di cui si spieghi un lembo, finchè sopravvien la morte e sel ravvolge.
Chi impreca al tempo non l'intacca, no; ma quand'esso scocca (suo strale) non fallisce mai il colpo.”
Del rimanente non solo i due MSS. sono identici al modo di prima e seconda edizione corretta, ma la seconda edizione corse anche sotto il titolo di “Ausiliare pei medicamenti semplici,” poichè Hagi-Khalfa, edizione Flüegel, tomo IV, p. 182, nº 13, 145, dà appunto questo ad un'opera di cui ignorava l'autore, la quale comincia con le stesse parole del MS. di Parigi. Il principio dell'introduzione con le varianti dei due MSS. si legge nella Biblioteca Arabo-Sicula, p. 694, seg., del testo.
Ecco la tavola dei capitoli: 1. Medicamenti semplici giovevoli contro la cefalgia; 2… contro le malattie degli occhi; 3… degli orecchi; 4… del naso; 5… della bocca; 6… della gola e del collo; 7… del fegato e dello stomaco; 8… degli intestini e purgativi; 9… del sedere e tumori che vi nascono; 10… delle reni; 11… della vescica; 12… degli organi maschili; 13… della matrice; 14… delle articolazioni; 15… ferite; 16… tumori e pustole (buthûr, donde i butteri del vaiolo); 17… malattie polmonari; 18… Febbri e mal'aria; 19… Veleni e morsicature di animali; 20… Sostanze proficue alla sanità generale della persona.
Nella Kharîda troviamo dodici versi di questo autore. I primi quattro son cavati da una elegia d'ignoto argomento; se non che vi leggiamo:
“Ed entra (il nemico o l'esercito ec.) in un deserto che ha abitatori: entra come il mare; se non che gli manca l'onda amara.
“Vedresti lor lettighe da camelo piene di nemici che portan via la preda, navigar quasi galee su le teste degli abitatori.” MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 49, v. 7, e del British Museum, fog. 37, v. 7.
“E vorrei lamentarmi seco di questo immenso affetto, ma non oso; tanto è il mio pudore!
“Quantunque ella sembri avara dell'amor suo, tutto io le dono il mio e la candida amistà.
“E nasconderolle, quand'anco ne dovessi morire, l'incendio di dolore che m'ha messo (in seno).” MSS. cit.
“E se vuoi che duri l'amistà col tuo compagno, studiati a chiudere gli occhi su quel ch'ei fa.” MSS. cit.
Ecco l'epigramma di 'Atîk, nella Kharîda, MS. di Parigi, fog. 46 verso, e del British Museum, f. 35 verso.
“Non temer (il soggiorno) di un poderetto presso picciol paese; chè là dove si respira, si mangerà.”
“Iddio scompartisce il nutrimento a tutte le creature, e il tribolarsene è da stolto.”
“Oh! sventura, amici miei, fui ferito; e non v'accorgeste che mi fiedean le spade di due pupille.”
“Il fegato mi si è versato nel petto. E fino a quando vedrò alternar la mattina e la sera, cruciato sempre dall'amore?” MS. di Parigi, fog. 133 recto, e del British Museum, fog. 100 recto.
“Ella mi dicea: Ho visto uomini prodi, ma nessuna (spada) del Iemen agguagliò mai la tua.
“Uso tanto ai tumulti della plebe, che ormai ti credi invulnerabile a lor sassi.
“Ma fino a quando affronterai temerario i fati, offrirai il petto alle lance?
“Ed io le risposi: Di tutto ho sentito parlare fin qui, fuorchè d'un Kelbita vigliacco.”
E scrisse ad un suo cugino questo rimbrotto:
“Ti credei spada ch'io sguainassi contro il nemico, non che volgessila contro me medesimo.
“Mi affaticai ad innalzarti ed onorarti; ed eccomi alfine sgarato (chiuso) in un carcere, non lungi dalle tue stanze.”
Il Baiân, testo, tomo I, p. 322, dà la morte di Mazari il 536; Makrizi il 530, Kâresci, l. c., il 536.
Debbo avvertire in ultimo che si potrebbero supporre due scrittori contemporanei nati a Mazara entrambi e nominati Mohammed; cioè il figlio di Alì e li figlio di Mosellim; Makrizi non solamente dà al suo Mazari questo nome patronimico ma anche altro nome di tribù, e lo dice morto di scia'bân 530 (maggio 1136); le quali particolarità tutte differiscono da quelle che leggiamo in Ibn-Khallikân e negli altri autori citati. Makrizi avrebbe dunque confuso il Mazari tradizionista domiciliato in Alessandria con quello assai più rinomato che morì in Affrica.
Probabilmente è questi lo Sceikh Siciliano che veggiamo nell'antica compilazione malekita anonima, intitolata Sciarh-el-Ahkâm, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 480, fog. 85 verso; e il Siciliano citato da Agihûri nell'altro Commentario sopra Khalîl, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 397, vol. I, fog. 390 recto. Secondo una lista messa a capo delle glose di Ahmed Zurkani all'opera di Khalîl, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 402, fog. 1 recto, la citazione Sikilli indicava sempre Mohammed-ibn-Iûnis.
“Per divina possanza si ammollì il ferro nelle mani di David, sì che il filò in maglie come gli piacque.
“Ed ecco arrendevole a te il corallo, pietra che l'è, forte e schiva al tratto.”
Un'altra volta, avendo fatto Afdhal condurre un canale infino al villaggio di Karâfa presso il Cairo, il cadi che possedea quivi una casa ed un orto, gli domandò l'acqua per la casa. Il fece in sette versi, nei quali descrivendo gli alberi intristiti del suo giardino, conchiude così:
“All'udire il lamento del bindoli (sul canale, gli alberi) dicono con favella d'afflitto innamorato:
“Veggo l'acqua ed ardo di sete, ma ahimè non ho modo di andarvi a bere.”
V'han di lui pochi altri versi erotici.