Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II», sayfa 8
CAPITOLO VIII
Tra le raccontate guerre civili dell'isola, gli Italiani di Terraferma, arrivati, con rara vicenda di fortuna, a collegarsi per pochi mesi, estirparono i Musulmani dal Garigliano. Durevoli accordi poteano seguirne men che prima allo entrar del decimo secolo, quando i feudatarii dell'Italia di sopra si fecero quasi principi assoluti; l'autorità dell'impero occidentale calò tuttavia, per esser piccioli e troppi i pretendenti; le armi bizantine valser nè più nè meno quanto bastava a non poterle cacciare dall'Italia meridionale; la tiara pontificale s'avvilì, nei misfatti, nelle atrocità, nelle brutture, dispensata alfine per man delle Marozie e delle Teodore. E pure, com'è capricciosa la storia, quella lega italiana, sì giusta, sì necessaria, sì felice nel successo, ebbe origine a Roma in mezzo di tanto vitupero; l'eroe della impresa fu Giovanni decimo, nato di scandalo, esaltato per doppio scandalo, sì che gli scrittori ecclesiastici te l'abbandonano.
Quando Giovanni decimo salì al pontificato (914), que' del Garigliano stavano in sul termine di passar da ladroni a conquistatori. Accozzati, come narrammo, dei Musulmani che avean guerreggiato in quelle parti al tempo di Giovanni ottavo, inaugurarono la nuova compagnia con saccheggi di monasteri: la sconfitta che toccarono in Calabria dell'ottocento ottantacinque li fiaccò;324 poi è verosimile che si fossero riforniti, sotto il regno d'Ibrahim-ibn-Ahmed, di fuorusciti Affricani e sopratutto dei Siciliani del novecento. Il passaggio d'Ibrahim (902) in Calabria lor diè ardire e, credo, rinforzi; credo lor siasi raggiunta la più parte della banda d'Agropoli, il cui nome sparisce dopo la fine del nono secolo; onde, s'ei ne restò qualche drappello, stava ai soldi della repubblica napoletana.325 Cresce, all'incontro, per tutte le croniche di questo tempo, lo spavento dei barbari del Garigliano, cui ci dipingono infestissimi e più terribili degli Ungheri che desolavano la Lombardia;326 e pur venendo ai particolari niuno accusa i Musulmani d'aver arso, come fecero gli Ungheri, le centinaia di prigioni. Il vero è che i Musulmani non avanzavano i Magiari di crudeltà, nè di numero; sì bene di sveltezza, di perseveranza e d'ordini. Già già appariva, nel bel mezzo della nostra costiera del Tirreno, quel nocciolo normale dello stato musulmano: il Kairewân.327 Il campo del Garigliano cominciava a prendere aspetto di città: aveanlo afforzato di ripari e torri;328 vi tenean le donne, i figliuoli, i prigioni, il bottino.329 I gioghi del vicin colle, eran cittadella nel pericolo estremo. Il breve tronco del fiume, navigabile a barche, rendea comoda la stanza e agevoli gli aiuti; sedendo alla foce i confederati cristiani di Gaeta, e un po' più lungi la repubblica di Napoli, che si facea rispettare, ma in fondo era amica. Non si ritrae che costoro ubbidissero agli Aghlabiti, nè poscia ai Fatemiti, nè mai agli emiri di Sicilia. Facean corpo politico dassè, fuor della legge; come tante altre compagnie musulmane in vari tempi e luoghi: a Creta, a Bari, a Taranto, a Frassineto. Al par che quelle scegliean lor capo, che un cronista italiano chiama califo330 e s'intitolava forse così.
Guardando su la carta d'Italia i nomi dei luoghi infestati, si vedran le gualdane spiccarsi dalla stanza del Garigliano, come raggi che vadano a ferire per tutta l'area d'un vasto semicircolo; se non che i raggi son corti e rintuzzati tra mezzogiorno e levante, ove incontravano Napoli e i principati longobardi; e corron lungi assai tra ponente e tramontana per entro lo Stato Ecclesiastico. Provocati da qualche insolito guasto di que' del Garigliano dopo la guerra d'Ibrahim-ibn-Ahmed, i Cristiani vennero ad osteggiarli alla sponda del fiume, di giugno del novecentotrè; e toccarono sanguinosa sconfitta.331 Atenolfo principe di Capua, testè insignoritosi di Benevento (900), volle ritentare la sorte delle armi, il novecento otto: trasse alla lega i Napoletani e gli Amalfitani; raccolta gran gente, passò il Garigliano sopra un ponte di barche a Setra, come si chiamava il luogo presso Traietto; dove fortuneggiò in un assalto notturno dei Musulmani e dei Gaetini lor ausiliari; ma, ristorata la battaglia, ruppe i nemici e inseguilli fino ai ripari.332 Visto poi che non bastassero le forze a quella espugnazione, ovvero che i Napoletani balenassero nella lega, mandò il figliuolo Landolfo a chiedere aiuti a Leone, al quale premeva altrettanto d'assicurare i dominii bizantini in Italia. E così la impresa si apparecchiava a Costantinopoli, quando Landolfo ebbe a tornare a Benevento per la morte del padre (910), e mancò di lì a poco (911) lo stesso Leone.333 Landolfo, preso lo stato, rinnovò il novecentoundici i patti con la repubblica di Napoli; la quale in parole gli promesse d'aiutarlo contro i Musulmani come se Benevento fosse terra sua propria;334 ma in fatti par non abbia cessato quel gioco d'equilibrio incominciato ottant'anni prima. La fortuna delle armi fu varia. I Musulmani condotti da Alliku, come leggesi il nome nella cronica, avean fatto una punta fino alla costiera dell'Adriatico, quando Landolfo li raggiunse e ruppe in due scontri a Siponto335 e Canosa.336 Tornaron fuori con novelle forze; dettero il guasto a Venosa, Frigento, Taurasi, Avellino, e al contado proprio di Benevento.337 In ultimo saccheggiarono e arsero il monastero d'Alife.338
Maggior danno recarono dalla parte di Roma. Il monastero di Farfa, celebre nel medio evo per grandi possessioni e baldanza contro i papi, fu distrutto in questo tempo, l'anno non si sa, abbandonato dai frati quando si sentirono addosso i Musulmani.339 Giace Farfa nella Sabina; la qual provincia era tutta corsa al par che la Campagna di Roma e il territorio di Ciculi, con uccisioni, incendii, saccheggi. Si spinsero i nemici oltre il Tevere a Nepi; salirono fino ad Orta e a Narni, nelle quali città stanziarono.340 Impadroniti così dei passi, misero grave taglia sopra i Cristiani che andassero in pellegrinaggio alla tomba degli Apostoli. Il contado della metropoli fu sì fattamente infestato, che uno storico mordace scrivea quindici anni appresso, aver tenuto mezza città di Roma i Romani e mezza gli Affricani.341
Tra tanta calamità, appresentossi a Giovanni decimo un Musulmano, disertore per ingiurie avute da' suoi; il quale si vantò di rintuzzarli, sol che il papa gli desse una man di forti giovani, armati di targa, brando, giavellotto, cinti di legger saio, provveduti d'un po' di cibo: alla quale descrizione si ravvisa la milizia degli almugaveri Catalani, sì famosi nelle guerre del vespro siciliano.342 Giovanni decimo gli diè una sessantina d'uomini; coi quali il disertore, appostati gli antichi compagni, li svaligiò in uno stretto passo. Indi i Romani a rincorarsi; ad uscire alla campagna; a combattere con avvantaggio la guerra spicciolata.343 Un Akiprando di Rieti fece oste, con altri longobardi e gente della Sabina, contro i Saraceni afforzati nelle ruine di Trevi:344 e li vinse e passò a fil di spade. Da un'altra banda i terrazzani di Nepi e di Sutri felicemente combatteano gli Infedeli a campo Baccani. Dopo le quali sconfitte, le schiere musulmane di Narni e di Ciculi si ritrassero al Garigliano.345
Perchè il papa e Landolfo, accorgendosi ch'era niente superare il nemico qua e là, se non lo si estirpava da' suoi ridotti, in men di due anni aveano mandato ad effetto un abbozzo di crociata. Ristorarono e allargarono la lega del novecento dieci: il papa vi trasse la imperatrice Zoe, Alberico duca di Camerino, Berengario duca dei Friuli che avea da tanti anni il titolo ed or quasi la potenza di re d'Italia. Berengario, aiutato di danari dal papa, veniva a Roma in su la fine del novecentoquindici: tra, plausi che non fu uopo di comperare si cingea la corona imperiale. Alla nuova stagione, congiunti per la prima ed ultima volta a ben dell'Italia, il papa e l'imperatore marciarono al Garigliano. Li seguian le milizie dei ducati di Camerino e Spoleto. Landolfo andò al ritrovo con le genti del principato di Capua e Benevento. L'impero bizantino diè valido aiuto: l'armata, grosse schiere di Pugliesi e Calabresi, e la greca astuzia dello stratego Niccolò Picingli; il quale trasse alla lega il principe di Salerno, e quel che più era, Napoli e Gaeta, lusingando i due duchi col titolo di patrizii, e minacciando di opprimerli se favorissero tuttavia gli Infedeli.
Del mese di giugno il navilio greco saliva su pel Garigliano; il papa in persona e i collegati italiani stringeano dagli altri lati; davansi fieri assalti, nei quali Alberico e Landolfo meritarono lode di valorosi. Sforzati nei ripari, i Musulmani si rifuggirono alle alture del monte; dove il cerchio delle armi cristiane più stretto li rinserrò. I Bizantini innalzarono un castello a piè della costa ripida donde gli assediati soleano far le sortite per procacciar vettovaglia. Dopo tre mesi, perduta assai gente negli scontri; pressati dalla fame; per segreto consiglio, come si sparse, dei duchi di Napoli e di Gaeta, i Musulmani poser fuoco agli alloggiamenti, e nel trambusto chi potè cercò scampo nei boschi d'intorno, ove i Cristiani dando loro la caccia, tutti li uccisero o fecer prigioni. Così ebbe fine la colonia del Garigliano, d'agosto novecento sedici. Nè mancarono i frati di spacciare ch'avean visto con gli occhi proprii San Pietro e San Paolo mescolarsi tra i combattenti.346
La qual vittoria non liberò tutta Italia. A settentrione i Musulmani di Frassineto, venuti di Spagna, gittatisi nelle Alpi, corsero per un secolo o poco meno (889-975) l'odierno territorio del Piemonte, non che la Svizzera e la Francia meridionale; dei quali non dirò, sendo fuor dell'argomento propostomi.347 All'altro capo della penisola non durò a lungo la pace. Forse il principato fatemita non volle osservare i patti stipolati dal ribelle Ibn-Korhob. Più certamente, l'impero bizantino non seppe guardar quelle province con la spada, nè farvi osservare la pace, nella condizione precaria con che le tenea.
A trattare i popoli col bastone vuolsi avere in pugno un baston sodo e dare ad occhi aperti; ma l'impero, con sue triste soldatesche ed amministrazione scomposta, troppo si affrettava a spossessare ad un tempo i principi longobardi, estirpare la nobiltà feudale, assoggettare i comuni, e spolpare e calpestare il popolo. Dopo aver dunque racquistato, verso la fine del nono secolo, le Calabrie e gran tratto della Puglia,348 i Bizantini presero e riperdettero entro quattr'anni (891-895) lo stato di Benevento; si provarono indarno contro Capua e Salerno; furon costretti a collegarsi coi principati longobardi (908-916) contro i Musulmani del Garigliano;349 non seppero nè prevenire nè reprimere la ribellione di tante città di Puglia e di Calabria che si davano (921) a Benevento; nè l'impero le riebbe altrimenti che per pratiche col principe Landolfo.350 In questo mentre non si pagò il tributo ai Musulmani di Sicilia.
E per dieci anni i miseri popoli dell'Italia meridionale vider venire di Sicilia, sotto le insegne fatemite, nuove facce di predoni stranieri: in cambio d'Arabi, di Berberi, di Negri, più fiera genía settentrionale. Perchè il Mehdi par non si fidasse di rendere le armi all'universale de' Musulmani in Sicilia, non degli Arabi in Affrica; i Kotamii suoi gli servivano a spegnere gli incendii in casa ed a tentare il conquisto d'Egitto, massima ambizione di sua dinastia. Adocchiò allora i giannizzeri prediletti d'Ibrahim-ibn-Ahmed: gli Slavi, derrata di prima qualità nel commercio di schiavi che conduceasi nel Mediterraneo dal settimo al decimo secolo, talchè par abbian dato il nome alla cosa.351 Gente sobria del resto; prode nelle armi, amante di libertà più che niun altro popolo di que' tempi, nelle province europee dov'era costituita a governo suo proprio; gente anco umana verso gli schiavi che riteneva in casa:352 ma non le parea male di vendere gli uomini del suo stesso sangue e del germanico, presi nelle guerre e nei ladronecci di confini.353 Allora, sì com'oggi, il grosso della schiatta slava occupava l'Europa orientale; s'addentellava coi popoli finnici, con l'impero germanico, coi Magiari, con l'impero bizantino: Schiavoni, Croati, Serbi ed altri rami slavi ingombravano le regioni a levante dell'Adriatico; mettean tralci infino al Peloponneso; frammezzati ad avanzi più o meno frequenti delle antiche popolazioni; fatti cristiani di fresco; e dove vicini temuti, dove tributarii, dove sudditi di Costantinopoli.354 Lo sbocco principale di loro schiavi era l'Adriatico; gli emporii eran tenuti da essi e dalle città latine e greche della costiera orientale; i navigatori della costiera italiana aiutavano al trasporto; i Musulmani del Mediterraneo, dalla Spagna alla Siria, più che altri popoli, consumavan cotesta merce, in soldati, paggi ed eunuchi. E il Mehdi ne congegnò una macchina produttrice di novelle derrate: il bottino, dico, e i prigioni che gli Slavi gli andassero a buscare in terraferma d'Italia.355
La prima frotta, passata d'Affrica in Sicilia su barcacce, piombava di notte a Reggio, nella state del novecentodiciotto; prendea la città senza contrasto.356 Sopravvenne, del novecento ventiquattro, lo schiavo liberto slavo Mes'ud,357 con venti galee; il quale occupò la rôcca di Sant'Agata, quella, credo io, presso Reggio,358 e tornossene a Mehdia coi prigioni.359 Assaporato il qual guadagno, il principe apprestò maggiore espedizione, affidata all'hâgib, o vogliam dir primo ministro, Abu-Ahmed-Gia'far-ibn-Obeid; il quale veniva il medesimo anno con armata poderosa a svernare in Sicilia.360 Alla primavera del novecentoventicinque passò in Calabria; s'insignorì di Bruzzano361 e di molti altri luoghi; alfine andò ad osteggiare Oria, in Terra d'Otranto. Fazione importantissima, sanguinosa, notata nelle cronache cristiane con l'epigrafe: quest'anno, del mese di luglio, Oria fu presa;362 se non che oggi l'attestato d'uno scrittore ebreo che vi fu fatto prigione dà precisamente il primo luglio;363 ed un brano d'annali musulmani ci fa argomentare che si fossero ridotte in Oria le forze bizantine della Calabria, riparate le popolazioni d'un gran tratto di paese, sostenuto un assedio o almen mostrata la faccia a' nemici nell'assalto. Tanto significa il fatto che Gia'far v'uccise seimila combattenti, tra la battaglia e dopo, s'intende; che trassene diecimila prigioni e presevi un patrizio, il quale riscattava sè stesso e la città per cinquemila mithkâl d'oro,364 o vogliam dir settantaduemila lire italiane.365 Il capitan musulmano stipulò anco la tregua per tutta la Calabria, datigli statichi a sicurtà del tributo, lo stratego della provincia e un Leone vescovo di Sicilia;366 coi quali ripartì per l'isola a' diciannove di luglio.367 Par si fosse fermato il trattato a Taranto; poichè l'autore che testè citai, nato probabilmente in Calabria, il dotto medico Sciabtai Donolo, narra che preso ad Oria con molti altri Giudei, fu condotto a Taranto e quivi riscattato.368 Giunto in Sicilia Gia'far significò immantinenti la vittoria al principe fatemita; indi gli recò egli stesso il bottino a Mehdia: fece ammonticchiare in una sala della reggia drappi di seta a disegni e colori,369 gioielli, moneta e ogni roba di pregio. Il Mehdi se li godea con gli occhi, quando un cortigiano che gli era allato “Oh padrone,” sclamò, “non vidi mai sì gran tesoro!” e il Mehdi a lui: “È il bottino d'Oria.” Onde l'adulatore per bruciare incenso al primo ministro, “Puoi chiamare uom fidato,” ripigliò, “chi ti riporta a casa tutto questo.” Ma il principe avaro gli troncò la parola: “Perdio, s'è mangiato il camélo e me ne reca gli orecchi!”370 I prigioni furono venduti in Affrica.371
Intanto si fermava tra le corti di Mehdia e di Costantinopoli un trattato che ratificò, a quanto parmi, i patti di Calabria e que' d'Ibn-Korhob. Narra il Cedreno, com'apprestandosi Simeone re dei Bulgari a nuovo assalto sopra la capitale dell'impero, mandava a propor lega al principe d'Affrica ch'aiutasse dalla parte sua col navilio; e l'Affricano assentiva e rinviava gli ambasciatori bulgari insieme coi propri per ultimar la cosa, quando gli uni e gli altri caddero in man de' Greci in Calabria e furon addotti a Costantinopoli. Romano Lecapeno, per sturbare la lega, ritenne i prigioni bulgari; rese gli affricani al signor loro, con doni e profferta di soddisfare il tributo della Calabria; e sì bene condusse la pratica, che il Fatemita fermava la pace con esso lui e gli rimettea metà della somma promessa dalla imperatrice Zoe; onde il tributo scemò a undicimila bizantini all'anno. E così rimase in dritto fino alla esaltazione di Niceforo Foca (963); ma in fatto, gli strateghi di Calabria onesti il pagavano, e i ladri si metteano il danaro in tasca.372 Tanto il Cedreno, senza data precisa e sbagliando il nome del Mehdi;373 il che non porta punto a mettere in dubbio la cosa.
Cotesta pace e le vicende che le tenner dietro, dettero argomento a supporre altra maggiore vergogna dell'impero bizantino, che si è ripetuta infino ad oggi e sembra esagerata, anzi trasnaturata. Liutprando, trent'anni appresso il trattato,374 scrivea avere inteso a dire che Romano Lecapeno, quando gli si ribellaron le Calabrie e la Puglia, non trovando modo a ripigliarle, chiese aiuto ai Musulmani d'Affrica; ch'essi vennero in Italia con esercito innumerevole; che, soggiogate le province, reserle ai Greci; e fornita lor cortesia, “giraron verso Roma e s'andarono a porre al Garigliano:” il quale anacronismo di mezzo secolo,375 per certo non aggiugne fede al racconto. Nelle altre croniche cristiane, negli annali musulmani, non troviamo vestigia di cotesta avventura;376 a meno che il trattato riferito del Cedreno non si voglia supporre anteriore alla fazione d'Oria, e questa combattuta non contro le armi bizantine ma contro i ribelli: che sarebbe far troppo lavoro di fantasia. Pertanto io tengo falsa la tradizione; la quale nacque dal trattato di pace e dall'odio immenso e giusto che portavano tutti gli Italiani ai Greci. Liutprando l'accettò lietamente, non solo per quel suo mortalissim'odio, e disprezzo e dispetto contro la corte di Costantinopoli, ma anche per l'analogia dei fatti che seguivano al suo tempo, quando gli strateghi bizantini di Calabria sfacciatamente traccheggiavano con gli emiri di Sicilia. Il sol patto tacito o espresso da sospettarsi tra il novecentoventicinque e 'l novecentotrenta, è che i Bizantini escludessero dalla tregua e designassero ai Fatemiti le città di Calabria e Puglia che lor non obbedivano e però non pagavan la quota del tributo musulmano. A ciò dunque si ristringa il biasimo dei Bizantini; e si cancelli dalla storia quella impossibilità dell'Italia meridionale racquistata da loro con eserciti musulmani.377
Tra gli stati independenti dall'impero greco, le città che gli si ribellavano, e gli strateghi che differivano a pagare il tributo, non mancò occasione di preda alle soldatesche slave. Di luglio novecento ventisei preser Siponto, capitanati, al dir d'una cronica, da Michele re loro,378 forse zupano, come si chiamava il primo magistrato delle repubbliche slave della Dalmazia, e però venuto a dirittura e dassè, non d'Affrica da servidore del Mehdi. Ma il costui paggio slavo Sâin, l'anno appresso, che cadde nel trecentoquindici della egira, passava d'Affrica in Sicilia con quarantaquattro navi la più parte da guerra: accozzate le sue con le genti dello emir di Sicilia, facea vela per Taranto; assediava la città, difesa virilmente dagli abitatori; entrava d'assalto; menava strage degli uomini da portar arme, e mandava il rimanente della popolazione a vendere in Affrica.379 Del novecentoventotto, par che l'esercito di Sicilia e gli Slavi si fossero divisi per portar la guerra in due province diverse. Il primo, andato a campo ad Otranto, espugnavala il diciassette agosto; distruggea le case e s'apprestava a correre altri paesi, quando una moría lo costrinse a tornarsi in Palermo.380 Sâin co' suoi Slavi assaliva i principati longobardi dalla parte del Tirreno; prendeavi parecchie fortezze, tra le quali le memorie musulmane notano una Ghirân ossian “Le Grotte,” ed una Kalat-el-Khesceb, ch'è a dir “La Rocca del Legno:” nomi da non si riconoscere agevolmente nella nostra topografia del medio evo, poi ch'è evidente che i vincitori li posero a capriccio o li tradussero in lor linguaggio. Fatto fardello quanto potè, Sâin si appresentava a Salerno; i cui cittadini comperaron la pace a prezzo di danaro e drappi di seta dibâg.381 Donde passato a Napoli, la sforzava a simil patto; se non che prese danaro e vesti, dice la cronica:382 senza dubbio per significar le pezze di tela di quel lavorío che non avea pari al mondo e facea la ricchezza della città, com'afferma il mercatante arabo Ibn-Haukal, trovatosi a Napoli una quarantina d'anni appresso.383 Sâin riscosse anco il tributo della Calabria e fece ritorno in Palermo col bottino e numero grandissimo di prigioni.384
Ma l'anno seguente, com'e' par che gli strateghi di Calabria andasser sempre a rilento nel pagare, Sâin si mostrò nell'Adriatico, con quattro navi grosse. Imbattutosi nello stratego che n'avea ben sette, lo slavo non se la stette a pensare che l'assalì e il vinse. Sbarcato poi, prendea Termoli nel mese di settembre o d'ottobre; e si riducea alfine a Mehdia con dodici migliaia di prigioni.385 Fu ultima di sue scorrerie questa del novecentoventinove. E credo che in tal tempo l'armata e le genti slave fossero venute a svernare ogni anno in Palermo, e che parte ve ne rimanesse a mercatare dopo la partenza di Sâin; poichè il rione più grosso della città, contiguo al porto, si addimandò il Quartiere degli Slavi.386
Lunga pezza poi respirò l'Italia meridionale sendo stato soddisfatto il tributo dai Bizantini fino alla morte del Mehdi;387 racceso poscia il fuoco della guerra civile in Sicilia; e nel frattempo rivolte le forze navali dei Fatemiti contro Genova. In que' primordii della repubblica, sembra già cresciuto il commercio, poichè attirò gli avvoltoi, fatemiti. Abu-l-Kasem-Mohammed, figliuolo del Mehdi, salito al trono il novecentotrentaquattro, allestiva immantinenti un'armata di trenta legni da guerra;388 con la quale Ja'kûb-ibn-Ishak corse la riviera ligure, sbarcò nei contorni di Genova, fecevi bottino e prigioni.389 Donde Abu-l-Kasem, ragunato novello esercito il novecentotrentacinque, rimandavalo in quelle parti. I Musulmani allor posero l'assedio alla città; apriron la breccia;390 entrati con la spada alla mano fecero carnificina degli uomini, preser le donne e i fanciulli, saccheggiaron le case e i tesori delle chiese391 e rimontarono su lor legni. Di passaggio approdano in Sardegna; opprimon col numero que' fieri isolani; lor ardono molte navi; fan lo stesso gioco in Corsica;392 e impuni se ne tornano a Mehdia, recando in cattività un migliaio di donne italiane.393 Così leggiamo ne' ricordi loro il lagrimevol caso di Genova,394 accennato appena dai nostri scrittori del tempo, con giunta dell'avviso che n'avesse dato il Cielo, tingendo di sangue una polla d'acqua.395 Alla fine del decimoterzo secolo, non bastando tal prodigio alla repubblica potente e vittoriosa, si finse una terribile vendetta: come la gioventù genovese fosse ita fuori con l'armata; come al ritorno, vedendo la città vota, d'un subito rivolte le prore in caccia de' Saraceni, colseli che si godean l'acquisto in un isolotto disabitato presso la Sardegna, ne fece un monte di cadaveri, e riportò a casa le mogli, le sorelle, i figliuoli. Favoletta sì semplice che par trovata pei bambini; e sta bene in bocca di chi la compose o la ripetè: Iacopo da Varaggio, arcivescovo di Genova, compilator della Leggenda Dorata.396
Si legge nel Muratori, Annali d'Italia, e indi in quei che l'hanno compendiato o anche combattuto. Che nel 919 Landolfo e Atenolfo riportassero non poche vittorie sopra i Saraceni a i Greci. La sorgente è un passo della Cronica del monastero al Volturno, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 418, nel quale si fa quel vago cenno senza data, dopo un documento del 916. Ma il testo si riferisce in generale al regno di que' due principi, e però allude alle vittorie che riportarono contro i Musulmani del Garigliano il 916 e innanzi, e contro i Bizantini dopo il 920.
Finalmente le interpolazioni alla Cronaca della Cava e la falsa Cronica di Calabria, portano tanti scontri dei paesani coi Musulmani; di che il Martorana ha accettato alcuni e altri no.
Donolo (Δόμνουλος) ricomparisce medico famoso in Calabria verso la metà del decimo secolo, e rivaleggia in sua arte col taumaturgo San Nilo il giovane. Veggasi Vita sancti patris Nili junioris etc., greco-latina, pubblicata da Gio. Mat. Caryophilo, Roma 1624, in-4, p. 88.
Debbo avvertire che la discrepanza delle croniche mi sforza ad ordinare i fatti alla meglio, senza la certezza ch'io soglio ricercare. Per esempio, un dice che Sâin venne con 44 navi; un altro gli dà 33 navi da guerra; chi parla delle forze unite di Sâin e dell'emir di Sicilia, chi di Sâin solo; chi sbaglia evidentemente le date; chi confonde in un sol anno tutte le imprese; chi pone i nomi geografici, e chi no; chi li scrive in guisa da doversi indovinare la giusta lezione. Ciò sia detto per tutte queste fazioni dal 927 al 929.