Kitabı oku: «Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II», sayfa 9
CAPITOLO IX
Non fia lungo a narrare le vicende interiori della Sicilia da una rivoluzione ad un'altra. Ressela per venti anni, con titolo di emir, quel Sâlem-ibn-Rescid, lasciatovi alla partenza d'Abu-Sa'îd.397 Ma l'autorità era mutilata. Le fazioni in Terraferma, com'abbiam visto, si condussero per capitani mandati apposta d'Affrica; nelle quali, se talvolta andò Sâlem, fu da ausiliare.398 Il navilio siciliano, che diè tanta briga al Mehdi al tempo d'Ibn-Korhob, combatteva ora gli ortodossi sudditi degli Abbassidi in Egitto; i quali ben sapeano che i Siciliani ci andassero contro voglia. E però dopo la giornata navale che guadagnarono gli Abbassidi fuori Rosetta (919), menati a terra i prigioni, il popolo di Misr nè scevrò i Kotamii per ammazzarli; perdonò la vita ai Siciliani, Tripolitani e abitatori dell'Africa propria.399 Del novecentoventisette; venne d'Affrica a por taglie400 su la Sicilia, il figliuolo dell'emiro Sâlem, con due sceikhi401 detti il Belezmi e il Kalesciani402; e tornovvi del trentadue, con preposti nuovi: Ibn-Selma e Ibn-Dâia; i quali aggravaron la mano sul popolo, ma rappresentatisi a corte l'anno appresso, caddero in disgrazia del padrone;403 parendogli forse, che del camelo, com'ei solea dire, gliene avessero recato gli orecchi.404 Veggiamo infine che Sâlem accordava la tregua a Taormina e altre castella dei Cristiani dì Sicilia nella state del novecentodiciannove.405 Da tutto ciò è manifesto che il Mehdi adoperasse in Sicilia l'espediente tollerato dai pubblicisti musulmani del tempo: scindere l'emirato in due oficii, l'un di guerra e polizia, l'altro di azienda e giurisdizione;406 e che non contento a ciò, togliesse l'occasione e le forze da far la guerra. Un capitan generale della sbirraglia con l'antico titolo d'emir; un presidio di Kotamii o fanti poliziotti, com'or diremmo; pace coi Cristiani dell'isola, per lasciarvi disarmati i coloni; gli affari d'azienda e di guerra accentrati in Affrica: con questi ordini il Mehdi tenne la Sicilia. Usò modi somiglianti con le popolazioni arabiche d'Affrica. In generale serbò la pace con l'impero bizantino, e con le popolazioni berbere independenti. Meglio che la spada, amò la penna, i raggiri fiscali, gli artifizii da gran maestro, ai quali era stato educato. Condusse per man del figliuolo la guerra d'Egitto, saviamente ostinandosi a quel conquisto; ma non gli riuscì.
La morte del Mehdi, seguita il tre marzo novecentrentaquattro, si riseppe in Sicilia il venticinque agosto; poichè il figliuolo che gli succedette, Abu-l-Kasem-Mohammed, soprannominato El-Kâim-biamr-illah, la occultò quanto ei potè,407 temendo gli umori ostili degli Arabi d'Affrica, le sètte karegite dei Berberi e lo scompiglio che dovea recare nella setta ismaeliana la disparizione del semideo. A' dieci marzo del medesimo anno, fu morto dinanzi il palagio di Sâlem in Palermo, un Rendasc, governatore di Taormina:408 questo sol ne sappiamo; ma il nome greco ci porta a supporlo capitan del municipio cristiano che avesse infranto la tregua, e caduto in mano di Sâlem fosse mandato al supplizio. Il diciannove poi d'ottobre, ingrossati per piogge i torrenti delle montagne che circondano Palermo, calamità troppo frequente, si rovesciarono su la città, portaron via molte case fuori e dentro le mura, e v'annegò della gente.409 Corso poco più d'un anno, l'undici luglio del trentasei, soffiò sopra l'isola uno scirocco sì infocato, ch'arse le frutta in sugli alberi; nè quella stagione si potè far vendemmia.410
Ridestossi nel trentasette la rivoluzione a Girgenti; la quale città par che il governo fatemita non avesse disarmato nè imbrigliato al par di Palermo, in grazia, sia del sangue berbero, sia della pinta data a Ibn-Korhob. Ciò non togliea nè l'avarizia del fisco, nè i soprusi degli oficiali di Sâlem; sul quale piombò l'odio dei Girgentini, come d'ogni altro musulmano di Sicilia. Levatosi dunque il popolo, a' diciassette aprile, contro Ibn-'Amrân ch'era 'âmil, o, diremmo noi, delegato di Sâlem in Girgenti, lo andarono ad assalire in Caltabellotta, forte rôcca a trentadue miglia, ov'ei si tenea sicuro con suoi gendarmi;411 e, fatto impeto nella fortezza, il capo fuggì; gli sgherri furono svaligiati. Al quale annunzio Sâlem mandava Abu-Dekâk, Kotamio, con le genti di sua tribù, le milizie siciliane, e i fanti di Meimûn-ibn-Musa, che sembran altra caterva di gendarmi: e Abu-Dekâk s'era messo a stringere 'Asra, terra d'incerto sito,412 tra Palermo e Girgenti e rivoltata anch'essa, quando lo sopraggiunsero i Girgentini. Appiccata la zuffa il ventiquattro giugno, par che i soli a combattere tra i regii fossero stati que' di Kotama; poichè di lor soli si narra la sconfitta e la strage, nella quale cadde anco il capitano, e la prigionia dei rimagnenti. I vincitori marciarono sopra Palermo. Dove, o che il popolo non si fidasse per anco di levar la testa, o che il movesse l'antica nimistà coi Girgentini, si lasciò condurre da Sâlem e da Meimûn-ibn-Musa a combattere per gli oppressori. Scontrati i Girgentini, il due luglio, a Mesîd-Bâlîs,413 i Palermitani li ruppero dopo fiero combattimento, e li inseguiron fino a' mulini di Marineo.414 Se fosse lecito di ristorar a conghietture le memorie de' tempi, diremmo risolutamente che la nobiltà palermitana non proseguì volentieri la guerra contro i ribelli; che cercò di patteggiare col governo e resistergli, avendo di nuovo le armi alla mano. Certo, che la rivoluzione non fu repressa a Girgenti, e che a capo di due mesi divampò in Palermo.
Dove la domenica diciassette settembre sorgea contro Sâlem il popolo condotto da un Ibn-Sebâia e un Abu-Târ;415 ai quali l'emiro fe' testa, notandosi che gli fu ucciso nella zuffa un Abu-Nottâr, detto il Negro: qualche gran colonna della polizia al suo tempo. Nondimeno rimase l'avvantaggio a Sâlem, poichè ei faceva impalare parecchi ribelli il dì venti nell'arsenale. Più poderosi stuoli corsero alle armi, il sette ottobre; ritentarono la prova; e furono sconfitti di nuovo da Sâlem ed assediati nella città vecchia, ov'e' si ritrassero.416 Pure finì senza molto sangue. Avea Sâlem fin dai primi movimenti scritto al principe: tutta la Sicilia essere rivoltata; se non la volea perdere, mandasse rinforzi; e i notabili dell'isola, titubanti nella ribellione, aveano spacciato altre lettere nelle quali diceano voler obbedire al califfo, ma che non poteano sopportare quel tiranno di Sâlem. Donde Kâim, lor ne mandò un altro di tempra più fina; con possente esercito, nel quale contavansi parecchi condottieri,417 forse di soldatesche mercenarie. Il capitan supremo ebbe nome Abu-Abbâs-Khalîl-ibn-Ishâk-ibn-Werd. Nato in Tripoli di nobile famiglia arabica, s'era dato in gioventù agli studii, alla devozione, alle ascetiche fantasie dei sufì; poi s'era venduto ai Fatemiti, fattosi ministro d'espilazioni e di supplizi contro i proprii concittadini; rimeritato con oficii d'azienda, con governi di città; e n'abusò, sapendosi che pericolò la vita sotto l'avaro Mehdi, e che campò per intercessione di Kâim; il quale, salito al trono, lo fe' capitano della cavalleria d'Affrica, con giurisdizione sul giund e sul navilio.418 Questo suo fidatissimo deputò all'impresa di Sicilia. Sembra, che parte dell'armata fosse allestita in fretta a Susa. Poichè torna a tal tempo la leggenda affricana che, avendo i calafati svelto i cippi del cimitero di Susa per far puntello alle navi che si racconciavano per la spedizione di Sicilia, niuno osò toccare la pietra sepolcrale del devoto Iehia-ibn-Omar-ibn-Iusûf, dalla quale si vedea raggiare una portentosa luce.419
Khalîl, arrivato in Palermo a' ventitrè ottobre,420 fe' buon viso ai cittadini, che gli si appresentarono protestando lealtà al califo; ed ascoltò lor querele contro Sâlem; le quali furono ripetute con molte lagrime e strida dalle donne, uscite anch'esse dalla città, menando seco i fanciulli: doloroso spettacolo che commosse quanti il videro, scrive Ibn-el-Athîr, e ne piansero per pietà. Ripeteano tantosto le accuse contro Sâlem i deputati delle altre terre dell'isola, e i Girgentini medesimi che si sottomessero. Khalîl soddisfece in apparenza ai Siciliani con deporre d'oficio gli 'âmil di Sâlem: commedia ripetuta e applaudita in tutti i tempi. Quanto a Sâlem, nè andò via da Palermo, nè perdè il titol di emiro, nè par gli fosse tolta altra autorità, che il comando dell'esercito.421 Di che imbaldanziva tanto l'animo servile, da non sapersi frenare una volta che, abboccatosi coi deputati girgentini e punto forse da loro, rimbeccò: non ridessero poi tanto; aspettassero, e vedrebbero se il principe non avea mandato Khalîl a vendicare il sangue dei soldati uccisigli nella rivoluzione.422
Calmati che parvero i Siciliani, Khalîl diè opera al freno da por loro in bocca. Il palagio o castello degli emiri in Palermo giacea fuor la città vecchia, nel medesimo luogo ov'è adesso la reggia.423 Provano ciò le stanze dei soldati rimaste lì presso nel decimo secolo,424 e il portico, o, come lo chiamarono ai tempi normanni, la Via coperta, che dalla cattedrale riusciva a quel sito e che per certo, ai tempi musulmani, avea congiunto il palagio alla moschea giâmi'; sì come a Cordova,425 a Kairewân,426 e ad Algeri.427 Posto dunque ad un miglio dal mare, e standovi di mezzo città sì forte e popol sì contumace, il palagio non era bel soggiorno agli emiri negli spessi tumulti palermitani. Al contrario, la penisola in sul porto dove par si fosse accampato Abu-Sa'îd nell'assedio del novecento sedici,428 offeriva sito difendevole, aperto agli aiuti di fuori, ed acconcio a vietarne ai Palermitani. Khalîl vi gettò subito le fondamenta d'una cittadella cui diè nome El-Khâlisa, che suona “L'eletta;” e in vero dovea rinserrare il fior dei leali: l'emiro, i suoi mercenarii da spada e da penna; palagio, arsenale, oficii pubblici; prigione: tutta la macchina governativa; come una Mehdia in piccolo, circondata di mura, e molto bene afforzata.429 All'uso dei tempi, Khalîl risparmiò danari, sforzando la gente a lavorarvi;430 oltrechè fece abbattere le mura della città vecchia, e toglierne un'altra fiata le porte.431 I Palermitani fremevano, e non poteano dar crollo. Ma i Girgentini, addandosi che Sâlem avea ragione, vollero ripigliare le armi pria che Khalîl non architettasse qualche altra cittadella in casa loro.
Onde afforzan le mura alla meglio; fanno preparamenti di guerra: Khalîl, dal suo canto, accozzò grosso esercito, tra i Siciliani e le forze recate d'Affrica; coi quali movea di Palermo il nove marzo del novecentrentotto. Usciti i Girgentini allo scontro, vinsero per sanguinosa battaglia, nella quale cadeano due capi di gran nome tra i regii: Ibn-abi-Khinzîr, ch'è lo stesso casato dell'emiro del novecentoundici; ed Ali-ibn-abi-Hosein della tribù di Kelb, genero di Sâlem e ceppo della dinastia che poi regnò in Sicilia. Pur l'esercito regio, poderoso e condotto dalla volontà inflessibile di Khalîl, non ostante la prima sconfitta, continuò l'assedio per otto mesi; nei quali non passò giorno che poco o molto non si combattesse; finchè, sovrastando la stagione piovosa, Khalîl levò il campo a' ventidue ottobre. Svernò alla Khâlesa; fece venir d'Affrica altri Berberi, come il provano i nomi de' capitani Wasâmâ e Ibn-Modû;432 ed attese a levar novelli tributi su le popolazioni siciliane che gli ubbidivano. Onde, oppresse della gravezza, mosse dall'esempio e dalle istigazioni dei Girgentini, si chiarirono ribelli tutte le castella e il popol di Mazara, scrive Ibn-el-Athîr, particolareggiando molto i casi di cotesta guerra. E le castella si deve intendere del Val di Mazara; trovandosi tutti in quella provincia i nomi dei quali si fa ricordo; nè parendo da altro indizio che fossero per anco sparse le colonie musulmane a levante del Salso. “Misero in campo (continua Ibn-el-Athîr) loro gualdane; la ribellione fece passi da gigante; scrissero all'imperatore di Costantinopoli, chiedendo aiuti; il quale mandò navi con uomini e frumenti.” A tal partito si scorge la disperazione; ed anco all'insolito accordo che par sia stato tra gli Arabi e i Berberi dell'isola; ed alla ostinatissima resistenza: e vincean la prova, se Palermo voleva o potea tentare uno sforzo estremo; se i sollevati sapeano sottomettersi ad unità di comando; e se la carestia non combatteva anco pei Fatemiti. Khalîl, nella primavera del novecentrentanove, cominciò la guerra ai passi delle Madonie: espugnò Caltavuturo, Kalat-es-sirât,433 Sclafani; le quali non si ritrae che fossero state soccorse dai distretti meridionali. Assicurate così le spalle e le vittovaglie, volse a ponente; occupò Mazara;434 indi una penisola, ch'io credo il Capo San Marco, dove fu preso un condottiero bizantino o di schiatta siciliana, per nome Foca o simile, cui Khalîl fe' morire tra i tormenti:435 indi mosse con tutte le genti all'assedio di Caltabellotta. Ebbela a patti, dopo sanguinosa battaglia vinta il dieci luglio; nè potè fare altra impresa fino al settembre, quando messe il campo a Platani. La quale giaceva a dieci miglia in circa da Caltabellotta, una ventina da Girgenti e sei dal mare: antica fortezza d'un miglio in giro, su la cima del monte chiamato in oggi di Platanella, che sorge stagliato e dirupato d'ogni banda su la ripa destra del fiume di Macasoli e su la sinistra del Lico, il quale ha mutato il nome in Platani. La trovarono i Musulmani al conquisto; la tenner anco sotto i Normanni, formidabile e munita d'una rôcca; vi s'afforzarono nelle guerre civili al principio del regno di Federigo Svevo, quando par siano stati smantellati i ripari, e il villaggio conceduto coi terreni alla Cattedrale di Palermo. Tantochè nel decimosesto secolo ne avanzavan, dice Fazzello, mirabili rovine, ed oggi il nome di Calata attesta su le carte geografiche il sito della rôcca.436
Indarno travagliossi Khalîl contro Platani; anzi abbandonò o perdè Caltabellotta; a ripigliar la quale avendo spiccato parte de' suoi, i Girgentini una notte di novembre assalivano improvvisi l'uno e l'altro campo; sforzavano quel di Caltabellotta; lo saccheggiavano, metteano in fuga gli assedianti. Khalîl allora risolutamente lasciò anco l'assedio di Platani, per concentrar tutte le forze contro Girgenti, nodo principale della guerra; per chiudere quegli audaci entro lor mura, sì che non gli facessero altra vergogna, e che sentissero più crudelmente la fame.
La quale straziava tutta l'isola; prodotta non tanto da inclemenza di stagioni e da' guasti inevitabili della guerra, quanto da satanic'arte di Khalîl; il quale non mentì al certo quando vantossi d'avere spento di ferro e di fame centinaia di migliaia d'anime in Sicilia. Ormai tutta la strategia stava nel nudrire i proprii soldati, poichè i nemici sarebbero morti senza ferite: e il capitano computista d'Affrica, facendo rapir ogni maniera di cibo che potesse, conseguiva a un tratto la salute de' suoi e la distruzion de' Siciliani. La carestia ingombrò cittadi e campagne, scrive la cronica del paese; padri e madri mangiarono i cadaveri dei figli; abbandonate dagli uomini, rovinarono le castella; le terre coltivate rinsalvatichirono: una infinità di gente, aggiugne il Baiân, fuggendo la carestia e i sicarii di Khalîl, riparò qua e là nei paesi di Rûm, ch'è a dire Italia o Grecia; dove la più parte si fecero cristiani. Mentre seguia nell'isola cotesto scempio, Khalîl stava all'assedio di Girgenti: poi lasciovvi forte schiera con Abu-Kelef-ibn-Harûn, ed egli si ridusse in Palermo, certo ormai dell'esito. E di marzo del novecenquaranta, Platani inespugnabile s'arrendè; Girgenti tenne il fermo finchè i più savii o avventurati si salvarono con la fuga; i rimagnenti aprirono le porte a patto d'uscire salvi, il venti novembre: ma Khalîl, quand'ebbeli nelle sue forze, spezzando la fede menolli in Palermo. Le altre castella spaventate a questo eccesso s'affrettarono a chiedere perdono, sperando placare il tiranno: tutta la Sicilia tornò al nome dei Fatemiti. Khalîl mandava a Kâim in Affrica le caterve dei prigioni da vendere;437 nè andò guari che parendogli queta ogni cosa, s'imbarcò egli stesso per l'Affrica a' dieci settembre novecenquarantuno; lasciando al governo di Palermo due delegati, per nome Ibn-Kufi e Ibn-'Attâf della tribù di Azd;438 chè Sâlem era morto l'anno innanzi. Si tirò dietro in altro legno i notabili di Girgenti. E in alto mare comandò di sfondare la nave; sì che tutti perirono.439
Donde gli annalisti musulmani si scoton di loro aritmetica impassibilità, venendo a parlare di questo Khalîl; e chi l'infama d'aver ecceduto ogni limite di efferata barbarie, chi nota aver costui fatto in Sicilia ciò che niun altro Musulmano osò prima nè poi in alcun paese. Si narra che al ritorno in Mehdia, sedendo un giorno a brigata coi primi della città, caduto il discorso su la guerra di Sicilia, l'empio si millantava: “Non saprei giusto giusto quanti ve ne feci morire; non furono più d'un milione, non meno di secentomila.” E fatta breve pausa, ripigliò: “Sì, per Dio, passarono i secentomila.” E una voce s'alzò, del maestro di scuola Abu-abd-Allah, che gli rispose senza cirimonie:440 “Va, Abu-l-Abbâs, che ti basta un omicidio solo,”441 alludendo al grave peccato ch'era di sparger sangue per caso di maestà.442
Non andò guari che Khalîl n'ebbe il gastigo dalle mani degli uomini; Minacciata Kairewân dal ribelle Abu-Iezîd, e tentennando i cittadini tra la paura delle sfrenate sue moltitudini, e l'odio contro casa fatemita, Kâim vi mandò il gran sicario della dinastia con una banda di mille Negri a cavallo. Il quale, all'usanza vecchia, cominciò a velare e maltrattare, e tentava anco la cura della fame, spazzando il contado con orribile guasto; ma fe' contrario effetto, poichè i cittadini mormorarono, poi cospirarono, e, come minor male, chiamarono Abu-Iezîd. Appressandosi l'esercito ribelle (ottobre 944), Khalîl perdè l'animo: uscì alla battaglia quasi sforzato; fuggì pria che si venisse alle mani; e corse a chiudersi nel palagio di Kairewân. Dove preso dai ribelli, l'uccisero coi suoi sgherri, e appiccarono il cadavere a un palo, alla porta chiamata di Rebi'.443
CAPITOLO X
Fortuneggiarono i Fatemiti in questa rivoluzione. Dicemmo noi che le sètte kharegite ardeano ab antico tra i Berberi, or covando, or divampando. Dal ramo degli Ibaditi si spiccò, com'egli avviene, novella affiliazione che prese nome di Nekkariti;444 e contaminò la giustizia dello scopo con la stolta iniquità dei mezzi; insegnando legittimi, l'omicidio, lo stupro, la rapina su tutti i non Nekkariti; ch'era a dir quasi tutto il genere umano. Gli ultimi proseliti par che oggidì rimangano gente industre e tranquilla, nell'isola delle Gerbe; ove al certo fecero gran parte della popolazione e corpo politico dassè, infino al decimoquarto e al decimoquinto secolo.445 La setta prese subito augumento, nei principii del decimo secolo, alla esaltazione dei Fatemiti; quando si vide per prova la efficacia di coteste trame nella schiatta berbera, e quando la servile superstizione ismaeliana insultò e provocò i liberi spiriti dei Kharegi. Surse allora nel Gerîd tunisino, o vogliam dire regione meridionale dell'odierno Stato di Tunis, un Abu-Iezid-Mokhalled-ibn-Keidâd della tribù d'Ifren e nazione di Zenata; uom povero, piccino, zoppo, deforme in volto, ma di grande intelletto e animo da bastare a qualunque impresa; il quale, noiato di stentar la vita insegnando il Corano ai giovanetti, si mescolò coi dottori nakkariti che volean fare e non sapeano; divenne dei principali della setta; osò allargarla e mutarla in cospirazione. A capo d'una ventina d'anni d'affaticamento e persecuzioni, imprigionato dal governatore di Tauzer, liberato da' suoi per audace colpo di mano, si rifuggiva all'altra estremità dell'impero fatemita, tra i monti Aurès; dove accozzatisi con esso altri rami di sètte kharegite ed alcune tribù della nazione di Howâra, l'anno trecentrentuno (942-43) si deliberò la ribellione: che Abu-Iezîd ne fosse capo, e che, cacciati i Fatemiti, l'Affrica si reggesse a repubblica. Abu-Iezîd s'intitolò democraticamente Sceikh dei Credenti; si mostrò alla testa degli eserciti, vestito d'un rozzo saio di lana; montato sur un asinello balzano; onde gli dissero “Il cavalier del ciuco.” E con centomila Berberi di varie tribù, di varie sètte, feroci tutti e indisciplinati, occupò l'Affrica propria. Delle molte battaglie ch'ei combattè con varia fortuna, sempre con valore e costanza, ricorderemo sol due, nelle quali gli stette a fronte un Siciliano, probabilmente di schiatta greca, per nome Boscera,446 schiavo di Kâim. Aveva il califo a un tempo mandato Khalîl-ibn-Ishak a Kairewân, e questo Boscera con un esercito a Begia, città dentro terra tra Tunis e Bona, perchè la difendesse contro il ribelle che s'avanzava a quella volta, l'anno quarantaquattro. Appiccata la zuffa andavano in volta i seguaci d'Abu-Iezîd, quand'ei corso addosso ai fuggenti, smontava dal destrier di battaglia, si facea recare il baston da pellegrino, e l'asinello balzano; lo cavalcava gridando: “Così fa chi vuol non fuggire, ma vincere o morire!” Li rattestò; girò di fianco, tanto che giunse dietro gli accampamenti di Boscera, minacciando tagliargli la ritirata. Alla quale mossa, il capitano fatemita fe' suonare a raccolta; precipitosamente prese la via di Tunis, inseguito da Abu-Iezîd; il quale gli uccise gran gente; prese e messe a sacco Begia; occupò Tunis, abbandonata anco da Boscera che indietreggiava a Susa. Quivi gli giunsero rinforzi di Mehdia, e ordini di Kâim che ripigliasse le offese. Onde uscito da Susa, trovandosi a fronte un luogotenente d'Abu-Iezîd per nome Aiûb-ibn-Kheirân, combatterono ad Herkla, com'or si chiama, in sul golfo di Hammamet; dove trionfò Boscera con grande strage dei nemici; ma ritirossi a Mehdia pria che lo sopraggiugnesse Abu-Iezîd, col grosso dell'esercito.447 Così, facendo una punta quando si poteva, Kâim contese l'Affrica ai ribelli; senza impedire che il medesimo anno cacciassero i suoi d'ogni luogo, fuorchè Susa e Mehdia, e lo assediassero nella capitale (gennaio 945). Occuparono tosto i sobborghi; dettero assalti alla fortezza, un de' quali (luglio 945) recò tal paura; che grande numero di cittadini, massime i mercatanti, rifuggivansi chi in Tripoli, chi in Egitto, molti in Sicilia.
Nondimeno le fortificazioni di Mehdia salvarono la dinastia, dando tempo alla dissoluzione delle forze d'Abu-Iezîd che si componeano d'elementi eterogenei. La cittadinanza di Kairewân, e, poco più poco meno, il rimanente della schiatta arabica, mal soffriva la eresia nekkarita, quantunque Abu-Iezîd per soddisfar loro avesse ristorato in pubblico il culto ortodosso. Peggio potean tollerare le licenze e rapine dell'esercito, e la dominazione dei Berberi. Però la municipalità di Kairewân, quando aprì le porte ad Abu-Iezîd, fece secolui un accordo che si chiamassero gli Omeiadi di Spagna; ai quali furono mandati veramente oratori: e gli Omeiadi promesser molto, ma non si venne a conchiusione.448 Intanto Abu-Iezîd, inebbriato dell'aver che fare con gentiluomini, si vestì di seta, montò bei cavalli, e si alienò gli animi dei Kharegi più schietti o più rozzi; de' quali un gli surse contro con le armi; altri a poco a poco l'abbandonavano; nè gli valse allora ripigliar l'asinello e la casacca di lana. La difficoltà dell'impresa di Mehdia, accrebbe le discordie tra gli assedianti. Vi si aggiunse la virtù d'Ismaele figliuolo di Kâim, giovane animoso, eloquentissimo, attivo, dotato di sagacità politica e di gran vedere nelle cose di guerra, al quale il padre affidò il comando supremo.
Donde Abu-Iezîd, ributtato in varii assalti, vedendo assottigliare l'esercito da' malcontenti che se ne andavano e da' masnadieri che correano qua e là per l'Affrica in busca di più facil preda, partitosi di Mehdia (gennaio 946), osteggiò Susa, cui sperava ridurre di leggieri; e gli fallì. Venuto intanto a morte Kâim (maggio 946), Ismaele l'occultò; poi, avuti segnalati avvantaggi sopra il ribelle, promulgò la esaltazione al trono; preso il soprannome di Mansûr-biamr-Illah, o diremmo “Vittorioso per voler di Dio.” Continuando la guerra in persona, incalzò Abu-Iezîd ritrattosi negli Aurès; dopo fieri combattimenti lo assediò in un castello tra i monti di Kiâna; donde il ribelle tentò una sortita: fu colpito in fronte e alle spalle; fuggì; lo presero; e dopo pochi giorni morì di sue ferite (agosto 947). I Nekkariti intanto erano uccisi per tutta l'Affrica alla spicciolata. Fadhl, figliuolo di Abu-Iezîd, che rimase in su le armi dopo il padre, fu morto a tradimento e mandata la testa a Mansûr; morto a tradimento Aiûb, altro figliuolo rinomato scrittore di genealogie berbere; perseguitata fieramente tutta la tribù d'Ifren.
Così ebbe fine dopo quattro anni la ribellione nekkarita. Kâim, serrato in Mahdia, non s'era trovati altri amici fedeli che la tribù di Kotâma e una parte della nazione di Sanhâgia che ubbidiva a Zîri-ibn-Menâd: e da ciò venne la grandezza della casa di Zîri, che regnò in Affrica per due secoli. Capitano e consigliere fidatissimo di Mansûr nella medesima guerra fu Abu-l-Kâsem-Hasan-ibn-Ali-ibn-Abi-Hosein, della tribù arabica di Kelb; rimunerato incontanente col governo della Sicilia, che rimase per un secolo a' suoi discendenti.449 Aggiugne un diligente compilatore, essersi dato ad Hasan tal altro carico che parrebbe macchia ai nomi più infamati dei nostri dì; ma lo possiam credere al decimo secolo, sì come i posteri sarà forza che credano al secol decimonono il supplizio del bastone in Italia. Quel prode e colto Mansûr avea fatto scorticare il cadavere d'Abu-Iezîd, imbottir di bambagia la pelle e condurre il misero sembiante per cinque mesi per le città principali d'Affrica, legato sopra un camelo, in mezzo a due scimmie addestrate a schiaffeggiarlo e pelargli la barba. Or si narra che Hasan dovesse recarlo a spettacolo in Sicilia, con giunta della testa di Fadhl, ucciso di fresco. Se non che il legno fece naufragio; la pelle d'Abu-Iezîd fu salvata; e si tennero contenti d'appenderla a quella stessa porta di Mehdia, ov'egli era arrivato a piantare una lancia al tempo dell'assedio.450
In Sicilia per sei anni non s'erano più udite nè guerre nè tumulti, ma furti, soprusi, violenze private: il forte, dice la cronica, si mangiava il debole;451 accennando senza dubbio alle enormezze dei nobili e dei condottieri berberi e mercenarii che avea lasciato Khalîl. Nè l'abbondanza potea succedere alla fame, là dove mancavan le braccia a coltivare il suolo, dopo la orrenda cavata di sangue del novecenquaranta. In questo incontro un Crinite, armeno, stratego di Calabria,452 incettava frumento a basso prezzo nella provincia e rivendealo a peso d'oro nella Sicilia oppressa (son le parole di Cedreno) dalla fame e dalla guerra che vi portarono i Cirenaici; nella quale guerra i Romani dettero asilo ai fuggitivi Cartaginesi, nè lor nazione osò ridomandarli nè esigere il tributo, temendo non i Romani negassero le vittuaglie.453 Traducendo cotesti nomi di storia antica che i Bizantini non sapeano smettere, si ha la confermazione di quanto ci narrano gli scrittori arabi. Si ritrae che il Crinite continuava suo traffico almen fino al novecenquarantacinque; poichè l'imperatore che lo spogliò dell'oficio e dei danari mal tolti, fu Costantino Porfirogenito.454
Veramente la colonia di Sicilia in questo breve tratto era divenuta ludibrio delle genti vicine. Ibn-'Attâf e Ibn-Kufi preposti da Khalîl, quand'ei tornossi in Affrica, sembrano proprio il capo bargello e il capo riscotitore; nè alcuno avea titolo d'emir, come poc'anzi Sâlem: motewalli, in fatti, li chiama la cronica siciliana, che vuol dire “delegati” e litteralmente “pseudo-wâli.”455 Forse fu surrogato, il novecentrentaquattro, un Ibn-Asci'ath a Ibn-Kufi, che tra i due sembra il riscotitore; forse Ibn-'Attâf, il bargello, ebbe autorità un po' più larga il novecentrentacinque, quando il califo fatemita pericolava in Affrica e ricominciavano le mormorazioni in Palermo.456 Ma la debolezza che i compilatori appongono a Ibn-'Attâf era per vero la poca autorità dell'oficio, da non poter armare la gioventù, dare gli stipendii, osteggiare gli Infedeli, strappar loro il tributo o far colta di bottino e prigioni. Kâim, seguendo e rincalzando la pratica del padre, avea tanto accentrato il governo in Affrica e indebolito la colonia, da toglierle il principio vitale della società musulmana, ch'era la guerra: perpetuo errore dei despoti a tener il popolo tra morto e vivo per assicurarsi di lui. Il che nuoce al popolo, nuoce al despota e non impedisce le rivoluzioni; poichè e gli oppressi n'avran voglia sempre e l'oppressore non potrà prevenirle sempre. Di tutte le città musulmane, Palermo avea patito minor danno nella guerra di Khalîl. La nobiltà, i giuristi, la plebe, mal soffrendo tanta abiezione; suscitati dalle nuove d'Affrica, dove Abu-Iezîd tuttavia combattea, non seppero star cheti l'anno novecenquarantasette alla fine del ramadhan, quando le pratiche religiose e la frequenza del popolo in piazza riscaldan più le teste ai Musulmani.
Nella festa che sorvenne del primo scewâl trecentrentacinque (24 aprile 947), i Beni-Tabari, nobil casato d'origine persiana ch'era dei primi nel consiglio municipale di Palermo, levano il romore contro Ibn-'Attâf, gridando che per la costui dappocaggine e viltà i Cristiani calpestano il nome musulmano, si ridon dei patti e da tanti anni non pagan tributo. Il popolo li seguì: uscito in piazza 'Attâf coi fanti del bargello, si vien alle mani; sbaragliati i fanti e molti uccisi; prese le bandiere e le taballe di 'Attâf; sì che a mala pena arrivò a chiudersi in castello. I cittadini se ne tornavano a lor case senza incalzarlo altrimenti. Attâf indi a scrivere i soliti letteroni al principe che mandasse stuoli di soldati subito subito. I capi del tumulto procacciaron dal canto loro di ritrar come andasse la guerra d'Abu-Iezîd e che intendesse di fare in Sicilia Mansûr. Saputo ch'egli fosse per commettere il governo dell'isola ad Hasan-ibn-Ali, partirono per Mehdia Ali-ibn-Tabari ed altri uomini di nota, a chiedere, in scambio di Hasan, un emiro di lor piacimento. Il qual fine si proponeano di conseguir per amore o per forza; raccomandando ai partigiani in Palermo che non lasciassero entrare in città Hasan-ibn-Ali, nè sbarcare i seguaci dalle navi; ma aspettassero le lettere ch'essi avrebbero scritto dall'Affrica dopo l'abboccamento con Mansûr.457 Cotesta pratica si dèe riferire alla state del novecenquarantotto, quando Mansûr, spenti gli ultimi avanzi della ribellione in Affrica, ebbe agio di pensare alla Sicilia.458