Kitabı oku: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 3», sayfa 4
CAPITOLO XXVIII
Il giorno di poi Montoni mandò ad Emilia una seconda scusa, che la sorprese non poco.
Verso sera, il distaccamento che aveva fatta la prima scorreria nelle montagne, tornò al castello: dalla sua camera remota, Emilia sentì le frenetiche grida ed i canti di vittoria. Annetta venne poco dopo ad avvertirla che coloro si rallegravano alla vista d'un immenso bottino. Tal circostanza la confermò nell'idea, che Montoni fosse realmente un capo di masnadieri, e si fosse prefisso di ristabilire la sua opulenza assaltando i viaggiatori. In verità, quand'essa rifletteva alla posizione di quel castello fortissimo, quasi inaccessibile, isolato in mezzo a quei monti selvaggi e solilari, lontano da città, borghi e villaggi, sul passaggio dei più ricchi viaggiatori; le pareva che tal situazione fosse adattatissima per progetti di rapina, e non dubitò che Montoni non fosse realmente un capo di assassini. Il di lui carattere sfrenato, audace, crudele e intraprendente, conveniva molto ad una simile professione; amava il tumulto, e la vita burrascosa; era insensibile a pietà e timore; il suo coraggio somigliava alla ferocia animale: non era quel nobile impulso che eccita il generoso contro l'oppressore a pro dell'oppresso; ma una semplice disposizione fisica che non permette all'anima di sentire il timore, perchè non sente null'altro.
La supposizione di Emilia, quantunque plausibile, non era però abbastanza esatta: essa ignorava la situazione dell'Italia, e l'interesse rispettivo di tante contrade belligeranti. Siccome i redditi di parecchi Stati non bastavano a mantenere eserciti, neppure nel breve periodo in cui il genio turbolento dei governi e dei popoli permetteva di godere i benefizi della pace, si formò a quell'epoca un ordine di uomini ignoti nel nostro secolo, e mal dipinti nella storia di quello. Fra i soldati licenziati alla fine di ciascuna guerra, un piccolissimo numero soltanto tornava alle arti poco lucrative della pace e del riposo. Gli altri, talvolta passavano al servizio de' potentati in guerra; tal altra formavansi in bande di briganti, e padroni di qualche forte, il loro carattere disperato, la debolezza dei governi, e la certezza che al primo segnale sarebbero corsi sotto le bandiere, li metteva al coperto da ogni persecuzione civile. Si attaccavano spesso alla fortuna d'un capo popolare, che li conduceva al servizio di qualche Stato, e trafficava il prezzo del loro coraggio. Quest'uso fe' dar loro l'epiteto di condottieri, nome formidabile in Italia per un periodo assai lungo. Ne vien fissato il fine al principio del secolo decimosettimo; ma sarebbe quasi impossibile indicarne con precisione l'origine.
Quando non erano assoldati, il capo d'ordinario risiedeva nel suo castello; e là, o ne' luoghi circonvicini, godevano tutti dell'ozio e del riposo. Talvolta soddisfavano i bisogni a spese dei villaggi, ma tal altra la loro prodigalità, allorchè dividevano il bottino, ricompensava ad usura delle loro sevizie, ed i loro ospiti prendevano alla lunga qualche tinta del carattere bellicoso. Montoni, spinto dalle grosse perdite al giuoco, aveva finito col farsi anch'egli capo d'una di queste bande; Orsino ed altri si riunirono a lui, e l'avanzo de' loro averi avea servito a formare un fondo per l'impresa.
Appena fu notte, Emilia tornò alla finestra, decisa di osservare più esattamente la figura, caso mai ricomparisse. Intanto perdevasi in mille congetture. Sentivasi spinta quasi irresistibilmente a cercar di favellarle; ma ne la tratteneva il terrore. « Se fosse una persona, » pensava, « che avesse progetti su questo castello, la mia curiosità potrebbe forse divenirmi fatale; eppure que' lamenti, quella musica da me intesi son certo suoi, nè posson venire da un nemico. »
La luna tramontò, l'oscurità divenne profonda; ella intese suonare la mezzanotte senza vedere nè sentir nulla, e cominciò a formar qualche dubbio sulla realtà della precedente visione, per cui, stanca di aspettare invano, se ne andò a letto.
Montoni non pensò neppure il giorno seguente a farla chiamare pel richiesto abboccamento. Più interessata che mai di vederlo, gli fece domandare, per mezzo di Annetta, a qual ora potesse riceverla; egli le assegnò le undici ore. Emilia fu puntuale, si armò di coraggio per sopportar la vista dell'assassino di sua zia, e lo trovò nel salotto di cedro circondato da tutti i suoi ospiti, alcuni dei quali si volsero appena l'ebbero veduta, facendo un'esclamazione di sorpresa. Emilia, vedendo che Montoni non le badava, voleva ritirarsi, allorchè esso la richiamò indietro.
« Vorrei parlarvi da sola, signore, se ne aveste il tempo.
– Sono in compagnia di buoni amici pei quali non ho segreti; parlate dunque liberamente, » rispose Montoni.
Emilia senza aprir bocca, s'incamminò verso la porta, ed allora Montoni si alzò e la condusse in un gabinetto, chiudendone l'uscio dispettosamente. Essa sollevò gli occhi sulla di lui fisonomia barbara, e pensando che contemplava l'assassino della zia, compresa d'orrore, perdette la memoria dello scopo della sua visita, e non osò più nominare la signora Montoni. Questi finalmente le domandò con impazienza ciò che volesse da lui, « Non posso perder tempo in bagattelle, » diss'egli, « avendo affari di molta importanza. » Emilia gli disse allora che, desiderando tornarsene in Francia, veniva a domandargliene il permesso. La guardò con sorpresa, chiedendole il motivo di tale richiesta. Emilia esitò, tremò, impallidì, e sentì scemarsi d'animo. Egli vide la sua commozione con indifferenza, e ruppe il silenzio per dirle che gli premeva di tornare nel salotto; Emilia facendosi forza, ripetè allora la domanda, e Montoni le diede un'assoluta negativa. Resa allora ardita: « Non posso più, signore, » diss'ella, « restar qui convenientemente, e potrei chiedervi con qual diritto volete impedirmi di partire.
– Per volontà mia, » rispose egli incamminandosi verso la porta, « ciò vi basti. »
Emilia, vedendo che simile decisione non ammetteva appello, non tentò di sostenere i suoi diritti, e fe' solo un debole sforzo per dimostrarne la giustizia. « Fin quando viveva mia zia, » diss'ella con voce tremante « la mia residenza qui potea esser decente, ma or ch'essa non è più, mi si deve concedere di partire. La mia presenza, o signore non può tornarvi gradita, e un più lungo soggiorno qui non servirebbe che ad affliggermi.
– Chi vi ha detto che la signora Montoni sia morta? » diss'egli fissandola con occhio indagatore. Ella esitò; nessuno aveaglielo detto, ed essa non ardiva confessargli come avesse veduto nella stanza del portone l'orribile spettacolo che glielo aveva fatto credere.
– Chi ve lo ha detto? » ripetè Montoni con impaziente severità.
– Lo so pur troppo per mia sventura; per pietà, non parlatemene più. » E sentivasi venir meno.
– Se volete vederla, » disse Montoni, « lo potete; essa è nella torre d'oriente. » E la lasciò senza aspettare risposta. Parecchi dei cavalieri, che non avevano mai veduta Emilia, cominciarono a motteggiarlo su tale scoperta, ma Montoni avendo accolte siffatte celie con serio contegno, e' cambiarono discorso.
Emilia, intanto, confusa dell'ultime di lui parole, non pensò che a rivedere l'infelice zia, a ciò spronata dall'imperioso dovere. Appena vide Annetta, la pregò di accompagnarla e l'ottenne con grande difficoltà. Uscite dal corridoio, giunsero appiè della scala insanguinata; Annetta non volle andare più innanzi. Emilia salì sola; ma quando rivide le strisce di sangue, si sentì mancare, e fermossi. Alcuni minuti di pausa la rinfrancarono. Giunta sul pianerottolo, temè di trovar la porta chiusa; ma s'ingannava: la porta s'aprì facilmente, introducendola in una camera oscura e deserta. La considerò paurosa: si avanzò lentamente, ed udì una voce fioca. Incapace di parlare o di fare alcun moto, ristette: la voce si fece sentire nuovamente, e parendole allora di riconoscere quella della zia, si fece coraggio, si avvicinò ad un letto che scorse in fondo alla vastissima camera, ne aprì le cortine, e vi trovò una figura smunta e pallida; rabbrividì, e presale la mano che somigliava a quella di uno scheletro, e guardandola attenta, riconobbe madama Montoni, ma sì sfigurata, che i suoi lineamenti attuali le rammentavano appena ciò ch'era stata. Essa viveva ancora, ed aprendo gli occhi, li volse alla nipote. « Dove siete stata tanto tempo? » le chiese col medesimo suono di voce; « credeva che mi aveste abbandonata.
– Vivete voi, » parlò alfine Emilia, « o siete un'ombra?
– Vivo, ma sento che sto per morire. »
Emilia procurò di consolarla, e le domandò chi l'avesse ridotta in quello stato.
Facendola trasportare colà per l'inverosimile sospetto ch'ella avesse attentato alla sua vita, Montoni erasi fatto giurare dai suoi agenti il più profondo segreto. Due erano i motivi di questo rigore: privarla delle consolazioni di Emilia, e procacciarsi l'occasione di farla morire senza strepito, se qualche circostanza venisse a confermare i suoi sospetti. La perfetta cognizione dell'odio che aveva meritato dalla moglie l'aveva indotto naturalmente ad accusarla dell'attentato. Non aveva altre ragioni per supporla rea, e lo credeva ancora. L'abbandonò in quella torre alla più dura prigionia, ove, senza rimorsi e senza pietà, la lasciò languire in preda ad una febbre ardente, che l'aveva infine ridotta sull'orlo del sepolcro.
Le striscie di sangue vedute da Emilia sulla scala, provenivano da una ferita toccata, nella zuffa, da uno dei satelliti che la trasportavano, e sfasciatasi nel camminare. Per quella notte accontentaronsi coloro di chiuder bene la prigioniera, non pensando a farle la guardia. Ecco perchè, alla prima ricerca, Emilia trovò la torre deserta e silenziosa. Allorchè tentò d'aprire la porta della stanza, sua zia dormiva. Se però il terrore non le avesse impedito di chiamarla di nuovo, l'avrebbe alfine svegliata, e sarebbesi così risparmiati tanti affanni. Il cadavere osservato nella camera del portone, era quello del ferito da lei veduto trasportare nella sala dove aveva cercato un asilo, spirato sul tettuccio pochi dì appresso, e che doveva esser sepolto la mattina seguente nella fossa scavata sotto la cappella per dov'era passata con Bernardino.
Emilia, dopo mille interrogazioni, lasciò la zia un istante per andar in cerca di Montoni. Il vivo interesse che sentiva per lei le fece obliare il risentimento a cui l'esporrebbero le sue rimostranze, e la poca apparenza di ottenere quanto voleva chiedergli.
« Vostra moglie è moribonda, signore, » gli diss'ella appena lo vide; « il vostro corruccio non vorrà perseguitarla certo fino agli ultimi momenti. Permettete dunque che sia trasportata nelle sue stanze, e se le apprestino i soccorsi necessari.
– A che gioverà questo, s'ella muore? » disse Montoni con indifferenza.
– Gioverà, signore, a risparmiarvi qualcuno dei rimorsi che vi lacereranno allorchè sarete nella di lei situazione. »
L'audace risposta non lo scosse guari; resistè lunga pezza alle preghiere ed alle lagrime; al fine la pietà, che aveva assunto le espressive forme di Emilia, riuscì a commovere quel cuore di macigno. Si volse vergognandosi di un buon sentimento, e a volt'a volta inflessibile ed intenerito, acconsentì a lasciarla riporre nel suo letto, e assistere la nipote temendo insieme che il soccorso non fosse troppo tardo, e che Montoni non si ritrattasse, Emilia lo ringraziò appena, s'affrettò a preparare il letto della zia, aiutata da Annetta e le portò un ristorativo, che la ponesse in grado di reggere al trasporto.
Appena giunta nelle sue stanze, Montoni revocò l'ordine; ma Emilia, lieta di avere agito con tanta sollecitudine, corse a trovarlo, gli rappresentò che un nuovo tragitto diverrebbe fatale, ed ottenne che la lasciasse dov'era.
Per tutto il dì, essa non abbandonò la zia, se non per prepararle il cibo necessario. La signora Montoni lo prendeva per compiacenza, convinta di dover morire fra poco. La fanciulla la curava con tenera inquietudine: ormai non trattavasi più d'una zia imperiosa, ma della sorella di un padre adorato, la cui situazione faceva pietà. Giunta la notte, voleva passarla presso di lei, ma ella vi si oppose assolutamente, esigendo che andasse a riposarsi, e contentandosi della compagnia di Annetta. Il riposo per verità era necessario a Emilia, dopo le scosse e il moto di quella giornata, ma non volle lasciar la zia prima di mezzanotte, epoca riguardata dai medici come critica. Allora, dopo aver ben raccomandato ad Annetta di assisterla con cura e di andare ad avvisarla al minimo sintomo di pericolo, le augurò la buona notte e ritirossi. Aveva il cuore straziato dallo stato orribile della zia, di cui ardiva appena sperare la guarigione. Vedeva sè stessa chiusa in un antico castello isolato, lontana d'ogni ausilio, e nelle mani di un uomo capace di tutto che avrebbe potuto dettargli l'interesse e l'orgoglio.
Occupata da queste tristi riflessioni, Emilia non andò a letto, e si appoggiò al davanzale della finestra aperta. I boschi e le montagne, fiocamente illuminati dall'astro notturno, formavano un contrasto penoso collo stato del suo spirito; ma il lieve stormir delle frondi ed il sonno della natura finirono ad addolcire gradatamente il tumulto degli affetti, e sollevarle il cuore al punto di farla piangere. Restò così in quella posizione senza avere altra idea che il sentimento vago delle disgrazie che l'opprimevano; quando alfine scostò il fazzoletto dagli occhi, vide sul bastione, in faccia a lei, immobile e muta, la figura già osservata: l'esaminò attentamente tremando, ma non potè parlarle com'eraselo proposto. La luna rifulgeva, e l'agitazione del suo spirito era forse l'unico ostacolo che le impedisse di chiaramente distinguere quella figura, la quale non facendo movimento alcuno, pareva inanimata. Raccolse allora le idee smarrite e voleva ritirarsi, quando la figura parve allungar una mano come per salutarla, e mentre ella stava immobile per la sorpresa e la paura, il gesto fu ripetuto. Tentò parlare, ma le spirarono le parole sul labbro, e nel ritirarsi dalla finestra per prender la lampada, udì un sordo gemito; ascoltò senza osar di riaffacciarsi, e ne udì un altro.
« Gran Dio! » sclamò essa; « che significa ciò? » Ascoltò di nuovo, ma non intese più nulla. Dopo un lungo intervallo, riavutasi, tornò alla finestra, e rivide la figura. Ne ricevè un nuovo saluto, e intese nuovi sospiri.
« Questo gemito è certamente umano! Voglio parlare, » diss'ella. « Chi va là? » gridò poi sottovoce; chi passeggia a quest'ora? La figura alzò la testa, e s'incamminò verso il parapetto. Emilia la seguì cogli occhi, e la vide sparire al chiaro della luna. La sentinella allora si avanzò a passi lenti sotto la finestra, ove fermatasi, la chiamò per nome, e le domandò rispettosamente se avesse veduto passar qualche cosa. Essa rispose parerle aver veduto un'ombra. La sentinella non disse altro; e tornò indietro; ma siccome quell'uomo era di guardia, Emilia sapeva che non poteva abbandonare il suo posto, e ne aspettò il ritorno. Poco dopo lo sentì gridare ad alta voce. Un'altra voce lontana rispose. Uscirono soldati dal corpo di guardia, e tutto il distaccamento traversò il bastione. Emilia domandò cosa fosse; ma i soldati passarono senza darle retta.
Intanto essa si perdeva in mille congetture. Se fosse stata più vana, avrebbe potuto supporre che qualche abitante del castello passeggiasse sotto la sua finestra colla speranza di rimirarla e dichiararle i suoi sentimenti; ma tale idea non le venne, e quando ciò fosse stato, l'avrebbe abbandonata come improbabile, poichè quella persona, che avrebbe potuto favellarle, era stata muta, e quando ella stessa aveva detta una parola, la figura erasi allontanata d'improvviso. Mentre riflettea così passarono due soldati sul bastione, e parlando fra loro, fecero comprendere ad Emilia, che un loro compagno era caduto tramortito. Poco dopo vide avanzarsi tre altri soldati lentamente, ed una voce fioca; quando furono sotto la finestra, potè distinguere che chi parlava era sostenuto da' compagni. Essa li chiamò per domandar che cosa fosse accaduto; le fu risposto che il camerata di guardia, Roberto, era caduto in deliquio, e che il grido da lui fatto svenendo, aveva dato un falso allarme.
« Va egli soggetto a questi deliqui? » chiese la giovane.
– Sì, signorina, sì, » replicò Roberto: « ma quand'anco nol fossi, ciò ch'io vidi avrebbe spaventato anche il papa.
– E che cosa vedeste?
– Non posso dire nè cosa fosse, nè che cosa vidi, nè com'è scomparso, » rispose il soldato, rabbrividendo ancora dallo spavento. « Quando vi lasciai, signorina, poteste vedermi andar sul terrazzo; ma non iscorsi nulla fin quando mi trovai sul bastione orientale. Splendea la luna, e vidi come un'ombra fuggire poco lungi a me dinanzi; sostai all'angolo della torre dove avea vista quella figura: era sparita; guardai sotto l'antico arco: nulla. D'improvviso udii rumore, ma non era un gemito, un grido, un accento, qualcosa insomma che avessi inteso in vita mia. L'udii una sol volta, ma bastò; non so più che mi avvenne sino all'istante in cui mi trovai circondato da' compagni.
– Venite, amici, » disse Sebastiano, « torniamo al nostro posto. Buona notte, signorina.
– Buona notte, » rispose Emilia, chiudendo la finestra, e ritirandosi per riflettere su quella strana circostanza che coincideva coi fatti delle altre notti; essa cercò trarne qualche risultato più certo d'una congettura; ma la sua immaginazione era tuttavia troppo riscaldata, il criterio troppo offuscato, ed i terrori della superstizione signoreggiavano ancora le sue idee.
CAPITOLO XXIX
Emilia recossi di buonissima ora dalla zia, e la trovò quasi nel medesimo stato: aveva dormito pochissimo, e la febbre non era cessata. Sorrise alla nipote, e parve rianimarsi alla di lei vista: parlò poco, e non nominò mai Montoni. Poco dopo entrò egli stesso; sua moglie ne fu molto agitata e non disse verbo; ma allorchè Emilia si alzò dalla sedia accanto al suo letto, la pregò con voce fioca di non abbandonarla.
Montoni non veniva per consolar la moglie, cui sapeva esser moribonda, o per ottenerne il perdono; veniva unicamente per tentare l'ultimo sforzo ad estorcere la sua firma, affinchè dopo la di lei morte potesse restar padrone di tutti i suoi beni, che toccavano ad Emilia. Fu una scena atroce, nella quale l'uno dimostrò un'impudente barbarie, l'altra una pertinacia che sopravviveva per fino alle forze fisiche. Emilia dichiarò mille volte che preferiva rinunziare a tutti i suoi diritti, anzichè vedere gli ultimi momenti della infelice zia amareggiati da quel crudele diverbio. Montoni nondimeno non uscì fin quando sua moglie, spossata dall'affannosa contesa, perdè alfine l'uso dei sensi, Emilia credette di vedersela spirar in braccio; pure ricuperò la favella, e dopo aver preso un cordiale, intertenne a lungo la nipote con precisione e chiarezza a proposito dei suoi beni di Francia. Insegnolle dove fossero alcune carte importanti sottratte alle ricerche del marito, e le ordinò espressamente di non privarsene mai.
Dopo questo colloquio, la Montoni si assopì, e sonnecchiò fino a sera: destatasi, le parve di star meglio, ma Emilia non la lasciò se non molto tempo dopo mezzanotte, e quando le fu ordinato assolutamente; essa obbedì volontieri, chè la malata appariva alquanto sollevata. Era allora la seconda guardia e l'ora in cui la figura era già comparsa. La fanciulla udì cambiar le sentinelle, e quando tutto tornò quieto, affacciossi alla finestra, e celò la lampada per non essere scorta. La luna proiettava una luce fioca ed incerta; folti vapori l'oscuravano, immergendola talvolta nelle tenebre. In un di questi intervalli, notò una fiammella aleggiar sul terrazzo; mentre la fissava, essa svanì. Un bagliore le fece alzare il capo; i lampi guizzavano tra una negra nube, diffondendo una luce funesta e fugace sui boschi della valle e sugli edifizi circostanti.
Tornando a chinar gli occhi, rivide la fiammella: essa parea in movimento. Poco stante udì rumor di passi: la vampa mostravasi e spariva volt'a volta. D'improvviso, al baglior d'un lampo, scorse qualcuno sul terrazzo. Tutte le ansietà di prima rinnovaronsi; la persona inoltrò, e la fiammella, che parea scherzare, appariva e svaniva ad intervalli. Emilia, desiderando finirla co' suoi dubbi, allorchè vide la luce proprio sotto la finestra, chiese con voce languente chi fosse.
« Amici: sono Antonio, il soldato di guardia, » fu risposto.
– Che cos'è quella fiammella? vedete come splende e poi scompare!
– Stanotte essa è comparsa sulla punta della mia lancia, mentr'era in pattuglia; ma non so cosa significhi.
– È strano, » disse Emilia.
– Il mio camerata, » proseguì il soldato, « anch'egli ha una consimile fiammella sulla punta della picca, e dice aver già osservato il medesimo prodigio.
– E come lo spiega egli?
– Accerta essere un segno di cattivo augurio, e null'altro. Ah! ma debbo recarmi al mio posto. Buona notte, signorina. » E s'allontanò.
Ella rinchiuse la finestra, e buttossi sul letto. La tempesta intanto, che minacciava all'orizzonte, era scoppiata con indicibile violenza; il rimbombo orrendo del tuono le impediva il sonno. Scorso qualche tempo, le parve udire una voce in mezzo al fracasso spaventoso degli elementi scatenati; alzossi per accertarsene, ed accostatasi all'uscio, riconobbe Annetta, la quale, quando le fu aperto, gridò:
« Essa muore, signorina, la mia padrona muore. »
La fanciulla sussultò e corse dalla zia; quando entrò, la signora Montoni pareva svenuta: era quieta e insensibile. Emilia, con un coraggio che non cedeva al dolore allorchè il dovere richiedeva la sua attività, non risparmiò alcun mezzo per richiamarla alla vita, ma l'ultimo sforzo era già fatto, la misera avea finito di patire.
Quando Emilia conobbe l'inutilità delle sue premure, interrogò la tremante Annetta, e seppe che la zia, caduta in una specie di sopore subito dopo la partenza di lei, era rimasta in quello stato fino all'istante dell'agonia. Dopo una breve riflessione decise di non informar Montoni dell'infausto caso se non alla mattina, pensando che colui sarebbe prorotto in qualche disumana espressione, ch'ella non avrebbe potuto soffrire. In compagnia della sola Annetta, incoraggita dal suo esempio, vegliò tutta notte presso alla defunta, recitando l'uffizio dei morti.