Читайте только на Литрес

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4», sayfa 5

Yazı tipi:

CAPITOLO XLVIII

Emilia compì il viaggio felicemente. Avvicinandosi a Tolosa, d'onde era partita colla zia, riflettè sul tristo fine di lei, la quale, senza la sua imprudenza, avrebbe potuto vivere ancora felice in quella città. Anche Montoni le si presentava spesso al pensiero; parevale di vederlo ne' dì de' suoi trionfi, ardito, intraprendente, altiero, vendicativo; ed ora ecco che, scorsi pochi mesi, non aveva più il potere, nè la volontà di nuocerle, nè esisteva nemmen più; i di lui giorni erano svaniti come ombra fugace…

Giunta a Tolosa, scese al palazzo di sua zia, ora divenuto suo, ed invece d'incontrarvi Quesnel, vi trovò una sua lettera, colla quale, oltre a parecchie istruzioni circa i di lei beni, l'informava essere stato obbligato di partire due giorni prima per un affare importante. Il poco interesse che Quesnel mostrava di rivederla, non occupò a lungo i di lei pensieri, i quali si volsero alle persone vedute in quel palazzo, e sopratutto all'imprudente ed infelice signora Montoni; essa aveva fatta colazione secolei la mattina della sua partenza per l'Italia. Il salotto in cui ritrovavasi, rammentavale più che mai tutto quel che aveva sofferto allora, e le belle speranze di cui pascevasi a quell'epoca la zia. Affacciandosi alla finestra del giardino, vide il viale in cui la vigilia del suo viaggio erasi separata da Valancourt. La di lui ansietà, il premuroso interesse dimostrato per la sua felicità, le pressanti sollecitazioni fattele, affinchè non si abbandonasse all'autorità di Montoni, e la sincerità della sua tenerezza, tutto tornavale in mente. Le parve quasi impossibile che Valancourt si fosse reso indegno di lei, dubitava di tutti i rapporti, e perfino delle di lui proprie parole, confermanti quelle di Villefort. Oppressa dalle idee destatele da quel viale, si ritirò dalla finestra, e buttossi in una poltrona inabissata nel più vivo dolore. Annetta, entrando di lì a poco con qualche rinfresco, la trasse dai tristi pensieri.

Dal dì dopo, serie occupazioni la divagarono dalla sua malinconia; desiderava partir presto da Tolosa per recarsi alla valle: prese informazione dello stato de' suoi possessi, e finì di regolarsi dietro le istruzioni di Quesnel. Abbisognò d'un grande sforzo per interessarsi in simili oggetti, ma se ne trovò ben compensata, e si convinse ognor più che la continua occupazione è il miglior rimedio contro la tristezza. Tutta la giornata la consacrò agli affari; s'informò degli abitanti più poveri dei dintorni, e distribuì loro soccorsi copiosi. Andata a passeggiare in giardino, si diresse verso il padiglione dov'erasi abboccata con Valancourt. Il desiderio di rivedere un luogo in cui era stata felice, vinse in lei l'estrema ripugnanza di rinnovare la sua ambascia entrandovi; ne spinse l'uscio: le finestre erano chiuse. Una sedia stava presso al terrazzino, come se vi avesse seduto qualcuno di recente. Il silenzio e la solitudine del luogo secondavano in quel momento le sue malinconiche disposizioni. Postasi a sedere presso una finestra, si rammentò la scena dell'abboccamento avuto quivi coll'amante. In quel luogo aveva passati seco lui i più bei momenti, quando la zia favoriva i loro progetti. « Come è mai possibile, » sclamò Emilia, « che un cuore così sensibile abbia potuto darsi in preda al vizio! » Si alzò, e volendo sfuggire alle chimere d'una felicità che non esisteva più, tornò verso casa. Traversando il viale, vide da lungi una persona passeggiare lentamente sotto gli alberi. Il crepuscolo non le permise di distinguere chi fosse: credè da principio che fosse un servitore, ma nell'avanzarsi egli volse la testa, e le parve riconoscere Valancourt; ma tosto sparve nel boschetto. Emilia, cogli occhi fissi al punto dove era sparito, restò immobile e tremante. Infine, fattasi animo, rientrò in casa, e temendo di lasciar conoscere la sua alterazione, si astenne dal chiedere chi fosse andato in giardino. Quando fu sola, si rammentò la figura veduta; era sparita così presto, che non aveva potuto distinguer nulla; pure quell'improvvisa partenza le faceva credere che fosse Valancourt. Passò quella sera nell'incertezza e nei continui sforzi che faceva per cancellarlo dalla memoria. Vani tentativi: essa era agitata da mille contrari affetti; temeva al tempo istesso che fosse lui, oppure un'illusione. Voleva persuadersi che non desiderava più di rivedere Valancourt, ed il suo cuore con altrettanta costanza contraddiceva la ragione.

Passò una settimana prima d'arrischiarsi nuovamente a passeggiare in giardino. Infine, non volendo esporsi sola, si fece accompagnare da Annetta, la quale, dopo un lungo silenzio, le disse:

« Signora Emilia, perchè mai siete così afflitta? Parrebbe quasi che voi sapeste che cosa è accaduto.

– Cos'è accaduto? » rispose Emilia con voce tremante.

– La scorsa notte v'era un ladro nel giardino.

– Un ladro! » sclamò Emilia con vivacità.

– Così suppongo; chè altrimenti chi poteva essere?

– Dove l'hai tu veduto, Annetta? » rispose Emilia guardandosi attorno.

– Non l'ho veduto io, ma Giovanni il giardiniere. Era mezzanotte: Giovanni traversava il cortile per andarsene a dormire, allorchè vide una figura nel viale in faccia alla porta d'ingresso; indovinò chi era, ed andò a prendere lo schioppo.

– Lo schioppo!

– Sì, signora. Tornò nel cortile per osservarlo meglio; lo vide avanzare lentamente nel viale e guardare attento il castello. Vedendo che il ladro entrava nel cortile, Giovanni credè bene allora domandargli chi fosse e cosa volesse, ma colui non rispose e tornò indietro. Giovanni allora gli sparò addosso. Gran Dio! Voi impallidite! Quell'uomo non fu ucciso, ve ne assicuro; o almeno i suoi compagni l'hanno portato via. Giovanni, di buon mattino, andò a cercare il di lui cadavere, e non lo trovò; non vide altro che una striscia di sangue; la seguì per iscuoprire da qual parte erano usciti, ma essa si perdeva sull'erba, e… »

Emilia svenne, e sarebbe caduta in terra se Annetta non l'avesse sostenuta, ed appoggiata ad un sedile di pietra. Allorchè, dopo un lungo deliquio, Emilia ebbe ripreso l'uso dei sensi, si fece condurre al suo appartamento, non volendo udir altro per timore di riconoscere che l'incognito era Valancourt.

Allorchè si credè abbastanza forte per sentir Giovanni, lo mandò a cercare; egli non potè dare nessuno schiarimento. Essa gli fece forti rimproveri per aver tirato a palla, ed ordinò di fare esatte ricerche per iscoprire chi fosse il ferito, ma indarno. Più essa vi riflettea, e più convincevasi che fosse Valancourt. Alfine l'inquietudine le cagionò un'ardentissima febbre, che l'obbligò a letto per qualche giorno.

La sua indisposizione e gli affari avevano già prolungato il di lei soggiorno a Tolosa al di là del tempo prefisso. La sua presenza ormai era necessaria alla valle: ricevè una lettera da Bianca, nella quale l'informava che il conte e lei, essendo tuttavia presso il barone di Santa-Fè, si proponevano al loro ritorno di andare a trovarla al di lei castello, se vi fosse stata, aggiungendo che le avrebbero fatta questa visita colla speranza di ricondurla a Blangy.

Emilia, rispose all'amica che fra pochi giorni sarebbe stata alla valle; fece in fretta i preparativi di viaggio, e partì sforzandosi di credere che se fosse accaduto qualche sinistro a Valancourt, ne sarebbe stata in qualche modo informata.

CAPITOLO XLIX

Il dì dopo, Emilia arrivò al suo castello della valle verso il tramonto. Alla malinconia inspiratale dal luogo già abitato da' suoi genitori, e dove aveva passato anni felici, si unì tosto un tenero infinito piacere. Il tempo aveva smussato i dardi del suo dolore, ed allora rivedeva con compiacenza tutto ciò che rinnovavale la memoria de' suoi cari; le pareva che respirassero ancora in tutti quei luoghi ove li aveva veduti, e sentiva che la valle era per lei il più delizioso soggiorno. La prima stanza che visitò fu la sua libreria, ove, seduta sulla poltrona del padre, riflettè con rassegnazione al quadro del passato.

Poco dopo il suo arrivo ricevè la visita del venerabile Barreaux, che venne con premura ad accogliere l'unica figlia del suo rispettabile vicino, in una casa troppo lungamente derelitta. La presenza del vecchio amico fu di grande conforto per Emilia; la loro conversazione fu per amendue interessante, e si comunicarono reciprocamente le circostanze principali di quanto era accaduto. La mattina di poi, la giovine andò a passeggiare nel giardino gustando con tenera avidità il piacere di vagare sotto quegli alberi, piantati dal diletto genitore, ciascuno dei quali le ne rammentava la bontà i discorsi, il sorriso. Prima sua cura fu d'informarsi della vecchia Teresa, stata crudelmente licenziata da Quesnel senza veruna pensione, quando affittò quei beni. Avendo saputo ch'ella viveva in una casuccia poco lontana, vi andò subito, e fu lieta di trovarla sana ed allegra; essa si occupava a potar viti, ed appena la povera vecchia riconobbe Emilia, le saltò al collo, gridando:

« Ah! mia cara padroncina, io credeva di non rivedervi più; ma ora son contenta. Sono stata maltrattata assai; non aspettava certo nella mia età di essere scacciata in tal guisa. »

Entrate nell'abituro rustico, ma decentissimo, Emilia si congratulava seco lei di averla trovata in quell'abitazione passabilmente bella nella sua sventura. Teresa la ringraziò colle lagrime agli occhi.

« Sì, signora, » le disse, « è anche troppo bella per me, grazie all'amico caritatevole che mi ha strappato dalla miseria. Voi eravate troppo lontana per aiutarmi: egli mi ha messa qui, ed io credeva quasi… ma non parliamone più.

– Chi è dunque quest'ottimo amico? chiunque ei sia diverrà anche il mio.

– Ah! signora padrona, egli mi ha proibito di palesare la sua buon'azione, e perciò non posso nominarvelo. Ma come siete cambiata dacchè non vi ho veduta! Siete pallida e magra! Ma, a proposito, che fa adesso quel caro signor Valancourt? Sta bene? »

Emilia, agitatissima, non le rispose; Teresa continuò:

« Dio lo ricolmi di benedizioni! Mia cara padrona, di grazia, non siate meco così riservata; credete voi ch'io non sappia ch'egli vi ama? Quando foste partita, veniva sempre al castello. Com'era afflitto! Voleva entrare in tutte le stanze, qualche volta stava a sedere colle braccia incrociate sul petto, senza dir verbo, tutto pensieroso. A un tratto si scuoteva e mi parlava di voi! e con che fuoco, con qual passione! Io lo amava appunto per questo… Quando poi il signor Quesnel ebbe affittato il castello, io credeva che il cavaliere impazzisse dal dolore.

– Teresa, » disse Emilia con serietà, « non mi nominate più il cavaliere.

– Non nominarvelo più! e per qual ragione! Io amo il cavaliere quasi quanto voi.

– Potrebbe anche darsi che spendeste male il vostro amore, » soggiunse Emilia cercando di nascondere le lacrime; « ma, checchè ne sia, noi non ci rivedremo mai più.

– Gran Dio, che ascolto! Il mio amore non può esser più giusto. È lo stesso signor Valancourt che mi regalò questa casa, e sorresse la mia vecchiaia dal momento che il signor Quesnel mi bandì da casa vostra.

– Il cavalier Valancourt? » disse Emilia tutta tremante.

– Sì, signora, lui appunto, sebbene gli abbia promesso di non nominarlo. Fu egli che mi comprò questa casetta, e mi diè il denaro necessario per istabilirmivi. Ordinò inoltre al fattore di suo fratello di pagarmi regolarmente trenta franchi al mese. Ora, giudicate, signora padrona, se posso dirne male? Temo solo che la sua generosità abbia oltrepassato le sue forze; sono ormai tre mesi che non ricevo nulla. Ma non piangete, signorina; mi lusingo che non sarete meco in collera per avervi raccontato i benefizi del cavaliere?

– In collera! » sclamò Emilia, e versava lagrime in copia. « Quanto tempo è che non l'avete veduto?

– Oimè! non ne ho più avuta notizia dacchè egli partì improvvisamente per la Linguadoca; veniva allora da Parigi, e, come vi diceva poc'anzi, son tre mesi che il fattore non mi manda la mia pensione. Comincio a temere che gli sia accaduta qualche disgrazia. Se non fossi così lontana da Estuvière, e potessi camminare, sarei già andata ad informarmi di lui. »

L'ansietà d'Emilia era divenuta insopportabile; essa non poteva convenientemente mandare dal fratello di Valancourt; ma pregò Teresa di far partire, a nome suo però, un espresso per informarsi dal fattore sul destino del cavaliere. Si fece promettere dalla vecchia di non nominarla mai in questo affare, e di non parlarne neppure al giovane. Teresa trovò subito il mezzo di contentar la padrona. Emilia le diè qualche denaro, e tornò al castello più afflitta che mai: non poteva persuadersi che un cuore benefico come quello di Valancourt si fosse lordato di vizi, e sentivasi commossa dalla sua prova di bontà per la povera Teresa.

CAPITOLO L

Nell'intervallo, il conte di Villefort e Bianca avevano passato quindici giorni nel castello del barone di Santa-Fè. Avevan fatte molte gite ne' Pirenei ed ammiratene le bellezze. Il conte erasi separato dagli amici con dispiacere, quantunque dovessero in breve formare una sola famiglia, essendosi stabilito, che il giovane Santa-Fè, il quale l'accompagnava in Guascogna, avrebbe sposato Bianca appena giunti a Blangy. La strada che andava alla valle era nella parte più alpestre de' Pirenei ed impraticabile alle carrozze. Il conte noleggiò muli per sè e per tutto il suo seguito; prese due guide bene armate e pratiche di quelle montagne, le quali vantavansi di conoscere tutti i sentieri, non che la posizione delle scarse capanne di pastori, presso le quali dovevano passare.

Il conte partì di buon'ora coll'intenzione di passar la notte in un'osteriuccia a mezza strada dalla valle, di cui avevangli parlato le guide, e dove solevan riposare i mulattieri spagnuoli.

Dopo una giornata d'ammirazione e di fatiche, i viaggiatori trovaronsi in una valle coperta di boschi, e circondata da alture scoscese. Avevano già percorse molte leghe senza incontrare una sola abitazione, e udendo solo tratto tratto i campanelli degli armenti, quando intesero da lontano una musica bizzarra, e videro sopra un'eminenza un gruppo di montanari che ballavano allegramente. Il conte si fermò per godere di quella festa campestre. Erano contadini spagnuoli e francesi che abitavano in un villaggio poco distante. Villefort sospirava pensando che le grazie ed i piaceri innocenti fiorivano nella solitudine, rifuggendo dalle città incivilite. Il sole aveva già percorsa metà della sua carriera, ed i viaggiatori, riflettendo che non avevan tempo da perdere, si rimisero in cammino.

Strada facendo, Bianca osservava in silenzio quelle solitudini, sentiva il lene stormir degli abeti, ed a misura che il sole scendeva all'occaso, sentivasi colta da insolita malinconia. Domandò al padre, quanto fosse ancor distante l'osteria, e se la strada era sicura di notte. Il conte ripetè alle guide la prima di queste due domande: n'ebbe risposta ambigua; e soggiunsero che se la notte si avanzava, sarebbe stato meglio fermarsi, finchè sorgesse la luna. « Ma adesso non si può forse viaggiare con sicurezza? » disse il conte. Le guide l'assicurarono che non eravi nessun pericolo, ed andarono innanzi. Bianca, tranquillata da tale risposta, si compiaceva ad osservare i progressi della notte. Il giovine Santa-Fè, la cui immaginazione, scevra da timore, vedeva in ogni cosa oggetti d'ammirazione, faceva osservare a Bianca i punti di vista più interessanti.

La notte diveniva più cupa, e negre nubi ne raddoppiavano l'oscurità; le guide proposero di aspettare il sorger della luna, aggiungendo che il tempo minacciava. Guardando intorno per trovare un ricovero, scorsero un oggetto sulla punta d'una rupe. La curiosità li spinse ad andar a veder cosa fosse, e quando furono a poca distanza scorsero una gran croce piantata colà a mo' di monumento per attestare ch'eravi stato commesso un omicidio. L'oscurità non permise di leggerne l'iscrizione; ma le guide si rammentarono allora esservi stata eretta in memoria del conte Beliard, stato ucciso da una banda di malfattori che infestavano i Pirenei qualche anno addietro. Bianca fremè all'udir raccontare alcune orribili particolarità sul destino delle sventurato conte. Una delle guide le narrava con voce sommessa, come se i suoi propri accenti gli facessero paura. Mentre i viaggiatori ascoltavano quel racconto cominciò a lampeggiare, laonde ripartirono tosto in traccia di qualche ricovero. Tornati sulla strada, le guide si misero a narrare molte istorie di rapine, e d'assassinii commessi in quei luoghi medesimi, aggiungendo molte ciarle e millanterie sul loro coraggio, e sul modo maraviglioso con cui n'erano sfuggiti. La guida meglio armata cavò dalla cintura una delle sue quattro pistole, e giurò che quell'arme aveva purgata la terra in quell'istesso anno da tre assassini. Sguainò quindi uno stile lunghissimo, accingendosi a raccontare le prodezze in cui aveva figurato; ma Santa-Fè, accortosi che cotesto racconto affliggeva Bianca, cercò d'interromperlo. Infine, minacciando il tempo ognor più, rifugiaronsi in una grotta che scorsero appiè dei dirupi al chiaror de' baleni. Una guida accese un buon fuoco, e quella fiamma, insieme al riposo, fu di gran sollievo ai viaggiatori.

I servi del conte trassero fuori alcune provvigioni, ed imbandirono una buona cena. Dopo essersi rifocillati, Santa-Fè ascese la rupe dirimpetto. Tutto era tenebre, e nulla turbava in quel punto il silenzio notturno, meno il mormorio del vento, il rimbombo lontano dei tuoni e le voci della carovana.

Il giovine osservava il quadro che formavano i viaggiatori sotto la grotta. La figura elegante di Bianca contrastava colla maestà del conte, assiso accanto a lei sopra una pietra. Gli abiti grotteschi e le figure spiccate delle guide e dei servi situati in fondo alla grotta, producevano un bellissimo effetto. La luce della fiamma faceva parer pallida la faccia dei circostanti, e scintillare le armi, imporporando al contrario le foglie d'un castagno gigantesco, che ombreggiava la grotta, e questa tinta si confondeva gradatamente coll'oscurità del resto della scena.

La luna spuntò alfine ad oriente; e mentre Santa-Fè contemplava con ammirazione il suo disco atraverso le nubi, fu scosso dalle voci delle guide che lo chiamavano. Tornò subito alla grotta, e la di lui presenza calmò Bianca ed il conte, inquieti per la sua assenza.

La burrasca che cominciava ad imperversare li obbligò a trattenersi colà. Il conte in mezzo alla figlia ed a Santa-Fè, procurava distrarre la prima, parlandole dei fatti celebri avvenuti in que' monti. D'improvviso, udirono latrare un cane. I viaggiatori ascoltarono con qualche speranza; il vento soffiava forte, e le guide parvero non dubitar più, a quel segno, di essere vicini all'osteria che cercavano. Il conte allora si decise a proseguire il suo cammino.

I viaggiatori, diretti dai latrati del cane, costeggiarono nuovamente il precipizio, preceduti da una torcia a vento, che le guide avevano per mero caso. Si udiva il cane ora più, ora meno; talvolta cessava, e le guide cercavano dirigersi verso quella parte. Tutt'a un tratto il fracasso, spaventoso d'una cascata giunse al loro orecchio, e trovaronsi in faccia ad un burrone. Bianca scese dalla mula; il conte e Santa-Fè fecero altrettanto, le guide andarono in traccia di un ponte che potesse condurli dalla parte opposta, dove chiaro appariva trovarsi il cane; e confessarono alfine che avevano smarrita la strada. Trovarono da ultimo un passaggio pericolosissimo formato da due grossi abeti con rami d'albero e terra sopra. Tutta la comitiva fremeva all'idea di traversare un ponte di quella sorta. I mulattieri nondimeno si disposero a passare con le loro bestie. Bianca, tremante sull'orlo del torrente, ascoltava il mormorio dell'acqua, che a quel debolissimo chiaro di luna si vedeva precipitare dalle rupi in mezzo ad abeti d'altezza smisurata, e inabissarsi quindi in un'immensa voragine. Le povere mule traversarono il ponte colla precauzione lor dettata dall'istinto naturale. Quell'unica torcia, di cui fino a quel momento non era stato conosciuto il prezzo, fu pe' viaggiatori un tesoro inestimabile. Bianca, fattasi coraggio, preceduta dall'amante, ed appoggiata al braccio del padre, all'incerta luce della torcia, toccò finalmente l'opposta riva.

Nell'avanzarsi, le montagne si ristringevano, non formando più che una gola angustissima, in fondo alla quale scorreva con fragore il torrente. I viaggiatori intanto si consolavano nell'udire del continuo abbaiare il cane, che forse vegliava all'ingresso di qualche capanna. Guardando attorno, videro in distanza scintillare un lume a considerevole altezza. Si vedeva esso e si perdeva a misura che i rami degli alberi ne intercettavano o ne scoprivano i raggi. I mulattieri chiamarono ad alta voce, ma nessuno rispose. Finalmente, credendo di non poter essere intesi a quella distanza, spararono una pistola. Il rumore dell'esplosione, ripetuto dagli echi, fu la sola risposta, cui successe assoluto silenzio. Il lume però si vedeva più distintamente. Poco dopo udirono un suono confuso di voci. I mulattieri rinnovarono le loro grida; ma le voci tacquero, ed il lume sparì.

Bianca soccombeva quasi all'inquietudine ed alla stanchezza. Il conte e Santa-Fè andavano incoraggiandola, allorchè distinsero una torre dalla parte ov'erasi veduto il lume. Villefort, alla di lei situazione ed a qualche altra circostanza, non dubitò più non fosse una torre d'osservazione, e persuaso che il lume venisse di là, procurò di rianimare la figlia colla prospettiva dell'imminente riposo in un luogo fortificato, ancorchè senza comodi.

« Nei Pirenei fu fabbricato un gran numero di queste torri, » disse il conte, procurando distrarre l'attenzione di Bianca. « Il metodo che s'impiega per avvisare dell'avvicinarsi del nemico come voi sapete, è di accendere un gran fuoco in cima di esse. Gli antichi forti e le torri che difendono i passi più importanti son custoditi con molta cura. Alcune vennero abbandonate, e son divenute per lo più l'abitazione pacifica di qualche cacciatore o pastore. Dopo una giornata faticosa, la sera, accompagnati dai loro fedeli cani, tornano presso un buon fuoco a gustare il frutto della caccia, od a contare gli armenti. Qualche volta servono anche d'asilo ai contrabbandieri, i quali fanno un immenso commercio in queste montagne; talvolta si spediscono truppe per distruggerli. Il coraggio disperato di questi avventurieri li fa affrontare impavidamente i soldati; ma non sono mai i primi ad attaccare, quando possono farne a meno. I militari poi, i quali non ignorano che, in simili scaramucce, il pericolo è certo, e la gloria molto dubbia, non si danno gran premura di combatterli. Ma ecco la torre che cerchiamo. »

Bianca, osservando attentamente, si vide appiè di una rupe sulla quale sorgea la torre. Non vi si scorgeva alcun lume: i cani non latravano più, e le guide cominciarono a dubitare di essersi nuovamente ingannate. Al fioco chiaror della luna, quasi sempre coperta dalle nubi, riconobbero che quell'edifizio aveva un'estensione maggiore d'una semplice torre d'osservazione. Tutta la difficoltà dunque consisteva allora nel salire lassù, nè si vedeva nessuna traccia di strada.

Le guide presero la torcia per iscuoprirne il sentiero. Il conte, Bianca e Santa-Fè restarono appiè della rupe, e gli uomini deliberarono in segreto, se, trovandone anche la strada, la prudenza, permetteva d'entrare in un edifizio che poteva anche essere un covo d'assassini. Rifletterono nondimeno che il loro seguito era numeroso e ben armato, e calcolando il pericolo di passar la notte a cielo scoperto, esposti alla pioggia ed alla burrasca, risolsero cercare ad ogni costo di farsi ricevere.

Un grido delle guide fissò la loro attenzione. Un servo tornò ad annunciare la scoperta della strada; si affrettarono dunque raggiungerle salendo un angusto sentiero in mezzo ai cespugli ed ai rovi. Dopo molta fatica, ed anche con pericolo, giunsero sullo spianato. Alcune torri rovinate, circondate da un grosso muro, si offersero ai loro sguardi. L'esteriore di quell'edifizio annunziava un totale abbandono; ma il conte, conservando tutta la sua prudenza, disse sottovoce: « Camminate piano finchè abbiamo esaminato questi luoghi. » Si trovarono tosto in faccia ad un'immensa porta rovinata. Dopo qualche incertezza penetrarono in un recinto dove sorgea il fabbricato. Riconobbero allora che non era un semplice posto, ma un'antica fortezza abbandonata, di stile gotico; le sue torri erano enormi e le fortificazioni in proporzione. L'imponenza dell'edifizio risaltava ancor più per la rovina e la degradazione dei muri quasi distrutti, e pel disordine delle macerie sparse qua e là nell'immenso recinto solitario e coperto d'erbe selvatiche. Nel cortile d'ingresso un'annosa querce giganteggiava. La fortezza era stata importantissima: essa dominava il vallone, poteva arrestare il nemico e difendersi con facilità. Il conte, esaminandola attentamente, restò sorpreso di vederla negletta. Tanto abbandono e tanta solitudine gl'inspiravano malinconia. Mentre continuava le sue osservazioni, gli parve di distinguer voci nell'interno. Considerò la facciata, e non vide alcun lume. Fatti alcuni passi, udì latrare un cane, e parvegli riconoscer quello la cui voce li aveva guidati fin là, non si poteva più dunque dubitare che il luogo non fosse abitato; ma il conte, titubante, consultossi di nuovo con Santa-Fè. Dopo un secondo esame, le ragioni che li avevano decisi in principio, gli parvero convincentissime per tentar di passare la notte al coperto.

Bussarono dunque al portone: i cani ricominciarono ad abbaiare, ma nessuno rispose: tornarono a batter più forte, ed allora udirono un mormorio di voci lontane; pareva adunque che gli abitanti di quel luogo avessero udito battere, e le precauzioni che prendevano per rispondere, ne fecero concepire un'opinione favorevole. « Io credo che siano cacciatori, » disse il conte, « i quali abbiano cercato come noi un asilo in queste mura: sembra che temano in noi de' veri banditi: convien dunque rassicurarli. Noi siamo amici, » gridò ad alta voce, « e cerchiamo asilo per istanotte. » Allora udì camminare, ed una voce dimandò: « Chi va là? » « Amici, » rispose il conte; « aprite, e saprete tutto. » Fu tirato il catenaccio, si presentò sulla porta un uomo col lume in mano, vestito ed armato come un cacciatore, e disse: « Che cercate ad ora sì tarda? » Il conte rispose che aveva smarrita la strada, e che, se caso mai non potessero accordargli ricovero per poche ore, lo pregava ad insegnargli la via dell'abitazione o capanna più vicina. « Conoscete poco le nostre montagne, » rispose colui; « non se ne trova se non a qualche lega distante: io non posso insegnarvene la strada; e giacchè c'è la luna, cercatela da per voi. » Sì dicendo, accingevasi a chiuder la porta, quando parlò un'altra voce, ed il conte vide un altro lume, ed un uomo alla ferriata d'una finestra di sopra al portone. « Restate, amici, » disse questi; « vi siete smarriti, e senza dubbio siete cacciatori come noi. » Allora gli fu aperta la porta: alcuni uomini si presentarono all'ingresso dicendo al conte che entrasse ed invitandolo a passar la notte nella loro abitazione. Gli fecero un'accoglienza cortese, e gli offrirono di divider seco la loro cena già preparata. Il conte li osservava attentamente, e benchè circospetto, ed anche sospettoso, la stanchezza, il timore della tempesta, e sopra tutto la sicurezza che inspiravagli il suo numeroso corteggio, l'indussero ad accettar l'offerta. Fece entrar la sua gente, e furono condotti tutti insieme in un'immensa sala, illuminata in parte da un gran fuoco, intorno al quale stavano seduti due uomini in abito da cacciatore, che facevano arrostire carne sulla graticola, con alcuni cani accovacciati ai loro piedi. In mezzo alla sala eravi una gran tavola. Quando il conte si avvicinò, coloro si alzarono, ed i cani ricominciarono a latrare, ma, ad un cenno dei padroni, tornarono al loro posto.

Bianca osservava minutamente quella sala oscura e spaziosa, quegli uomini, e suo padre che sorrideva. « Ecco, » disse il conte, « un buon fuoco adattatissimo per l'ospitalità; la fiamma fa piacere dopo aver viaggiato molto per questi deserti selvaggi. I vostri cani sembrano stanchi: avete fatta una buona caccia?

– Secondo il solito, » rispose uno di coloro; « noi torniamo quasi sempre carichi di cacciagione.

– Son cacciatori come noi, » disse uno di quelli che avevano introdotto il conte; « eransi smarriti, ed io li accolsi dicendo che c'era posto per tutti.

– È vero, è vero, » rispose il suo compagno.

– V'ingannate, amico, » disse il conte; « noi siamo viaggiatori. Trattateci però come cacciatori, che ne saremo contenti, e sapremo ricompensare la vostra cortese accoglienza.

– Sedete dunque, » rispose un altro. « Giacomo, metti legna sul fuoco: mi pare che l'arrosto sia all'ordine. Dà una sedia a questa signorina: di grazia, assaggiate la nostra acquavite, ch'è di Barcellona, e di prima qualità. »

Bianca sorrise con timidezza, e non voleva accettarla, ma suo padre la prevenne prendendo egli stesso il bicchiere. Santa-Fè, seduto vicino a lei, stringendole la mano, la incoraggi con un'occhiata; ma ella occupavasi d'un uomo che taciturno vicino al fuoco, fissava costantemente Santa-Fè.

« Voi fate una vita deliziosa, » disse il conte; « la vita del cacciatore è piacevole e salubre, ed il riposo è più caro allorchè succede alla stanchezza.

– Sì, » rispose uno degli ospiti, « la nostra vita è piacevolissima, ma solamente nella stagione d'estate e d'autunno; nell'inverno, questi luoghi sono orribili, e non si può fare veruna caccia.

– È una vita libera ed amena, » soggiunse il conte; « passerei volentieri un mese con voi.

– A proposito, » disse Giacomo, « non mi rammentava che abbiamo tordi; Pietro, va a prenderli; li cuoceremo per questi tre signori. »

Il conte fece alcune interrogazioni sul loro modo di cacciare, ed ascoltava attento e con molta compiacenza i loro curiosi dettagli, quando si udì il suono d'un corno. Bianca guardò il padre: ma egli continuava il suo discorso, quantunque girasse spesso gli occhi verso la porta con qualche inquietudine. « Sono i nostri compagni, » disse negligentemente uno di quegli uomini.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
03 ağustos 2018
Hacim:
170 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin, ses formatı mevcut
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin, ses formatı mevcut
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre