Kitabı oku: «I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4», sayfa 6
Comparvero di lì a poco due altri col moschetto in ispalla e le pistole alla cintura.
« Ebbene, fratelli, avete fatto buona caccia? Se portate nulla, non avrete da cena.
– Chi diavolo son costoro? » dissero essi in cattivo spagnuolo, accennando il conte ed il suo seguito. « Sono Spagnuoli o Francesi? Dove li avete incontrati?
– Son loro che hanno incontrato noi, » disse Giacomo in francese, « e l'incontro è gradevolissimo. Il cavaliere e la sua comitiva s'erano smarriti in queste montagne, e ci hanno chiesto di passar la notte nel forte. »
Gli altri non risposero nulla, e cavarono da una bisaccia una gran provvisione di uccelli: quindi lasciarono cascare in terra la bisaccia, che risuonò facendo conoscere che conteneva una quantità non indifferente di monete. Il conte allora, insospettito, considerò colui che la portava. Era un uomo grande e robusto, di faccia audace, ed invece di un abito da cacciatore, vestiva una divisa militare logora; i suoi sandali laceri erano affibbiati sulle gambe nude e nerborute; portava in testa una specie di berretto di cuoio somigliante molto ad un antico elmo romano. Il conte alla perfino abbassò gli occhi, e restò muto e pensieroso. Nel rialzarli, vide in un canto della sala l'uomo che non cessava di guardare Santa-Fè, il quale parlava con Bianca e non gli badava. Poco dopo, vide quell'istesso uomo battere sulla spalla del soldato, egualmente attento ad osservare Santa-Fè; egli, vedendo che il conte lo guardava, volse gli occhi altrove, ma Villefort concepì qualche diffidenza, che però non volle esternare, e facendo ogni sforzo per sorridere, si mise a parlar con Bianca. Poco dopo rialzò gli occhi, ma il soldato ed il suo compagno erano scomparsi.
Colui che si chiamava Pietro ritornò quasi nell'istesso momento dicendo: « Il fuoco è acceso, e gli uccelli son pelati. Ceneremo in un'altra stanza più piccola ma più calda di questa. » Tutti i compagni applaudirono, ed invitarono gli ospiti a seguirli. Bianca parve afflitta di cotesto cambiamento, e se ne stava al suo posto. Santa-Fè guardò il conte, il quale dichiarò che avrebbe preferito di non uscir dalla sala. I cacciatori però reiterarono le loro istanze con tanta cortesia, che Villefort, malgrado i suoi dubbi e temendo di manifestarli, acconsentì finalmente ai loro inviti. Gli anditi lunghi e rovinati pei quali li fecero passare lo spaventarono; ma il rumoreggiar del tuono, che aveva già cominciato a farsi udire, non permetteva più di uscire da quel luogo a notte così avanzata, ed il conte temeva di provocare i suoi conduttori, lasciando travedere la sua diffidenza.
I cacciatori lo precedevano. Il conte e Santa-Fè, desiderando amicarseli, affettando famigliarità, portavano una sedia per ciascheduno, e Bianca li seguiva lentamente. Il di lei abito si attaccò ad un chiodo d'un uscio, e fu costretta a fermarsi per liberarsene. Il conte, che parlava con Santa Fè, non se ne accorse, e svoltando essi da un'altra parte dietro i cacciatori, Bianca restò sola in perfetta oscurità. Chiamò il padre; ma la burrasca aumentava, e lo scroscio dei fulmini impedì loro di udirla. Appena ebbe staccato l'abito dal chiodo, seguitò con celerità il cammino per dove credeva fossero andati. Un lume che vide da lontano la confermò in quest'idea. Si avanzò verso una porta aperta, credendo trovare la stanza ove dovevano cenare. Sentì alcune voci, e s'arrestò a qualche distanza per assicurarsi di non essersi ingannata. Al debole chiarore d'una lampada vide quattro uomini intorno ad una tavola, i quali sembravan tener consiglio, e riconobbe fra loro colui che aveva fissato Santa-Fè con tanta attenzione: egli parlava con veemenza, benchè sottovoce. Un altro pareva contraddirlo, rispondendo con piglio imperioso. Bianca, inquieta di non trovarsi vicina nè al padre, nè a Santa-Fè e spaventata dall'aspetto di coloro, stava per allontanarsi, allorchè udì dire ad uno di coloro:
« Non litighiamo più. Seguite il mio consiglio, e svanirà ogni pericolo. Assicuratevi di quei due; il resto è una preda facilissima. »
Bianca allarmata da queste parole, volle sentire qualche cosa di più.
« Non si guadagnerebbe nulla col resto, » disse un altro; « io non son mai di parere di versare il sangue, quando si può risparmiarlo. Sbrigatevi di quei due, e il nostro affare è fatto; gli altri potranno andarsene.
– Oibò! » disse il primo, bestemmiando orribilmente; « andrebbero a dire ciò che abbiamo fatto dei loro padroni, verrebbero le truppe reali, e ci trarrebbero al supplizio. Bravo! tu dai sempre di buoni consigli; ma io però mi rammento il giorno di san Tommaso dell'anno scorso. »
Bianca fremè d'orrore. Il suo primo sentimento fu quello di fuggire, ma pensò che, ascoltando ancora, avrebbe forse potuto esser a tutti di qualche utilità, ed intese il dialogo seguente:
« E perchè non ammazzarli tutti?
– Giuraddio! La nostra vita è cara più della loro; se non li ammazziamo, ci faranno impiccare.
– Sì, sì, » gridarono tutti.
– Commettere un omicidio è il mezzo più sicuro per iscansare la ruota, » disse il primo brigante.
– Dove diavolo sono andati stasera gli altri nostri compagni? » disse un altro con impazienza; « se erano qui, a quest'ora la faccenda era già spicciata. Non potremo far il colpo stanotte, perchè il seguito è più numeroso di noi. Appena farà giorno vorranno partire; e come impedirlo senza impiegar la forza?
– Ho formato un bel piano, » disse un altro. « Se possiamo sbrigare cheti cheti i due padroni, tutto il resto ci darà poca pena.
– È un piano maraviglioso, » rispose un altro ironicamente. « Se io posso fuggire di prigione, sarò certamente in libertà! Come vuoi far tu a sbrigarli cheti cheti?
– Col veleno, » rispose colui.
– Ben pensato! » disse un'altra voce; « così la mia vendetta sarà pienamente soddisfatta con una morte più lenta. Un'altra volta i signori baroni impareranno a non irritarla.
– Ho riconosciuto subito il figlio, appena l'ho veduto, » disse uno, che Bianca riconobbe per l'individuo che fissava Santa-Fè; « ma non mi rammento più la fisonomia di suo padre.
– Potete dire tutto quello che volete, » soggiunse un altro, « ma io scommetterei che quello non è il barone. Lo conosco bene quanto voi, giacchè io era uno di quelli che l'attaccarono coi nostri bravi colleghi che son periti.
– Che! forse non c'era anch'io? » disse il primo. « Vi assicuro che è il barone. Ma cosa importa che sia o non sia lui? Dovremo perciò lasciarci sfuggire questo bottino? non ci capitano tanto spesso sì fatte avventure. Quando si arrischia la ruota per frodare una pezza di raso, rompendosi il collo attraverso precipizi; quando svaligiamo un infelice viaggiatore, o qualche contrabbandiere nostro collega, che c'indennizzano appena della polvere che ci costano, ci lasceremo noi scappare questa ricca preda? Hanno seco denari ed oggetti di valore…
– Non è per questo, non è per questo, » disse il terzo; « prenderemo quel che troveremo. Ma, se è il barone, voglio dargli un colpo di più, in onore dei nostri bravi compagni che fece andare al patibolo.
– Sì, ciarlate quanto volete, io vi ripeto che il barone è di statura più alta.
– Maledette le vostre liti, » disse il secondo; « dovremo noi lasciarli partire sì o no? Ecco ciò che dobbiamo decidere. Se perdiamo ancora tempo, sospetteranno il nostro progetto, e se ne andranno subito. Siano pure quel che si vogliono, mi sembrano ricchi; hanno tanti servitori! Avete osservato il brillante che aveva il conte? ma ora lo ha nascosto, essendosi accorto ch'io lo guardavo.
– Sì, è bellissimo, e quel ritratto che pende al collo della giovine, contornato di diamanti?
– Convien dunque pensare ad assicurarsene, » dissero gli altri; « li avveleneremo; ma ricordiamoci che il loro seguito è composto di nove o dieci persone bene armate. Noi siamo in sei soli. Potremo attaccarne dieci a forza aperta? Diamo intanto il veleno, e poi penseremo al resto.
– Io vi consiglierò un altro mezzo più sicuro, » disse uno di coloro impazientemente; « sentite. »
Bianca, che ascoltava tal diverbio con orribile ambascia, non potè sentir più nulla, perchè coloro si parlarono sottovoce. La speranza di salvare il padre, Santa-Fè e tutto il seguito, se poteva raggiungerli subito, le somministrò all'improvviso forza novella, e si diresse di volo verso il corridoio. Il terrore e l'oscurità cospirarono allora contro di lei. Appena ebbe fatto qualche passo, urtò in un gradino, all'ingresso del corridoio, e cadde al suolo. I masnadieri si riscossero a tal rumore, e precipitaronsi immediatamente fuori per assicurarsi se ci fosse qualcuno che ascoltasse i loro discorsi. Bianca li vide avvicinarsi, e prima che potesse alzarsi, la presero per un braccio, la trascinarono nella stanza e le sue strida non servirono che a ricevere le più spaventose minacce. Consultarono su quel che dovevan fare di lei.
« Procuriamo prima di sapere ciò ch'essa ha inteso, » disse uno di loro. « Da quanto tempo eravate nel corridoio? Ed a far che? » le chiese colui.
– Assicuriamoci intanto di questo ritratto, » disse un altro, avvicinandosi a Bianca. « Bella signorina, con vostro permesso, questo gioiello è mio: datemelo, o ve lo prendo. »
Bianca, chiedendo misericordia, gli diè il medaglione, ed intanto un altro ladro l'interrogava con fiero cipiglio. La sua confusione ed il suo spavento spiegavano troppo chiaramente quel che la sua lingua non ardiva confessare. I briganti si guardarono con aria significante, e due di essi ritiraronsi in un canto, come per deliberare.
« Giur'al cielo! Sono brillanti di molto valore, » disse colui che guardava il medaglione; « anche il ritratto è bello: senza dubbio sarà quello di vostro marito, signora, che m'immagino debba essere il giovine cavaliere ch'era in vostra compagnia. »
Bianca, smarrita e disperata, lo scongiurava di aver pietà di lei: gli diè la sua borsa, e gli promise di tacere, se la riconduceva ai suoi compagni di viaggio; sorrideva egli ironicamente alle di lei parole, allorchè un rumore lontano fissò la di lui attenzione. Mentre ascoltava, afferrolla pel braccio con violenza, quasi temendo ch'ella volesse fuggire. Bianca gridò aiuto. Il rumore, avvicinandosi, scosse i banditi dalla loro irresolutezza.
« Siamo traditi, » dissero essi; « ma potrebbe darsi che fossero i nostri colleghi di ritorno dalla scorreria: in tal caso l'affare è fatto: ascoltiamo meglio. »
Una scarica in lontananza confermò la loro supposizione; ma il primo rumore si avvicinava sempre più: si udiva uno strepito d'armi, il fracasso di una zuffa, e qualche gemito che partiva dal fondo del corridoio. I briganti allora prepararono le armi: fu suonato un corno al di fuori; tre di essi lasciarono Bianca in custodia del quarto, ed uscirono a precipizio.
Intanto che Bianca, tremante e confusa, implorava pietà, riconobbe la voce di Santa-Fè, il quale comparve tutto coperto di sangue ed inseguito da alcuni banditi. Bianca non vide, non sentì più nulla, e cadde svenuta nelle braccia di chi la teneva.
Appena riacquistò l'uso de' sensi, riconobbe, all'incerta luce che vacillava intorno a lei, d'esser sempre nella medesima stanza. Restò alcun momento nell'incertezza e nello stupore. Un sordo gemito vicino a lei la fece memore di Santa-Fè, e dello stato in cui l'aveva veduto; allora alzandosi, si avanzò dalla parte d'onde veniva il sospiro. Non tardò molto a riconoscere, in un corpo steso sul pavimento, Santa-Fè pallido e sfigurato, che non poteva parlare. Aveva gli occhi chiusi, ed una delle sue mani, ch'ella prese nell'ambascia della disperazione, era bagnata di freddo sudore. Lo chiamò per nome, e gridò aiuto; qualcuno s'avvicina, un uomo entra: non era il conte; ma qual fu la di lei sorpresa, quando, supplicandolo di soccorrere Santa-Fè, riconobbe Lodovico! Ebbe egli appena tempo di riconoscerla; si occupò subito delle ferite del cavaliere, e giudicando che l'immensa perdita del sangue cagionava probabilmente la sua debolezza, corse a cercare acqua per lavargli le ferite e fasciargliele alla meglio.
Appena egli fu uscito, Bianca udì camminare, e vide entrare Villefort con una torcia nella mano sinistra, e la spada insanguinata nella destra, che, tutto anelante, chiamava impazientemente la figlia. Al suono di questa voce ben nota essa volò nelle di lui braccia. Il conte, lasciando cadere la spada, la strinse al seno con indicibil trasporto di gioia e stupore: le domandò di Santa-Fè, e lo vide per terra dando qualche segno di vita. Lodovico tornò di lì a poco ben provvisto d'acqua e di acquavite; gli applicò l'una alla bocca e l'altra alle tempie, e Bianca lo vide finalmente aprir gli occhi, domandando subito di lei. La gioia ch'essa provò in quel momento, fu subito sturbata da una nuova inquietudine: Lodovico dichiarò che bisognava senza ritardo trasportare il cavaliere.
« I banditi che sono di fuori erano aspettati, e se perdiamo tempo ci troveranno qui. Sanno benissimo che il suono del corno, ad un'ora così strana, è sempre il segnale d'un estremo pericolo, e l'eco di questi monti ne porta la voce a molta distanza. Li ho veduti tornare in consimili casi dalle falde del Melicante. Avete voi appostata una vedetta all'ingresso del forte?
– No, » disse il conte, « la mia gente è dispersa, e non so dove sia. Lodovico, va tosto a riunirla, ma abbi cura di te stesso, e ascolta se senti i muli. »
Lodovico uscì immediatamente, ed il conte riflettè al modo di trasportar Santa-Fè, il quale non avrebbe potuto sopportare il moto d'una mula, quand'anche fosse stato in grado di reggersi in sella.
Mentre il conte raccontava come i banditi fossero stati rinchiusi nella torre, Bianca osservò che era ferito anch'esso nel braccio sinistro; egli le rispose, sorridendo, quella ferita esser leggerissima. I servi, tranne due che furon lasciati alla porta della fortezza, comparvero allora tutti, preceduti da Lodovico.
« Mi pare, signore, » diss'egli, « di sentir venire de' muli dal fondo della valle, ma il mormorio del torrente m'impedisce di accertarmene; ho portato meco l'occorrente pel trasporto del signor cavaliere. »
Mostrò allora una gran pelle d'orso attaccata a due pertiche che formava una comoda lettiga, di cui si servivano i banditi per trasportare i loro feriti. Lodovico la spiegò, vi adattò sopra alcune pelli di capra per renderla più morbida, fasciò le ferite del cavaliere, ed avendovelo posato dolcemente, le due guide, prendendo le quattro estremità delle pertiche sulle spalle, s'incamminarono per andarsene insieme ai servitori del conte, alcuni dei quali erano stati leggermente feriti. Passando per la sala, udirono da lontano un tumulto orribile: Bianca ne fu molto allarmata.
« Non temete, » disse Lodovico, « son tutti quei birbanti chiusi nella torre.
– Mi sembra che atterrino la porta, » disse il conte.
– È impossibile, signore, » rispose Lodovico, « perchè la porta è di ferro. Noi non abbiamo nulla da temere: intanto io andrò avanti per osservar meglio se mai si ode o non si vede nulla. »
Tutti lo seguirono; dopo essere stati alcun poco in ascolto, non udirono altro che il mormorio del torrente, ed una fresca brezzolina che agitava i rami dell'antica quercia nel cortile. I viaggiatori videro allora con estremo piacere che cominciava a spuntar il giorno, e Lodovico, alla testa della comitiva, la fece scendere nella valle per un sentiero opposto a quello pel quale erano venuti colà.
« Evitiamo la strada, » diss'egli, « che hanno preso i banditi stamattina. »
I viaggiatori si trovarono ben presto in una strettissima valle: l'alba imbianchiva gradatamente i monti, e scopriva verdi praticelli che ricoprivan le falde delle rupi, sulle quali sorgevano le querce ed i lecci; la tempesta era cessata; l'aria del mattino e la vista di quella verzura, ancor più fresca per la pioggia della notte, rianimarono gli spiriti abbattuti della comitiva. Il sole sorse di lì a poco, e tutte le piante rosseggiarono in breve de' suoi raggi dorati; un resto di nebbia aggiravasi ancora in fondo alla valle, ma il vento la cacciava, ed a poco a poco il sole la fece sparir tutta. Dopo aver percorso una lega di cammino, Santa-Fè si querelò dell'eccessiva debolezza: sostarono per ristorarlo, e lasciar riposare i portatori. Lodovico si era munito, prima di partire, di qualche bottiglia di vino di Spagna, e ne distribuì a tutta la carovana; ma Santa-Fè non potè risentirne che un sollievo momentaneo. Una febbre ardentissima acquistò nuova forza per l'uso di questa bibita; egli non poteva nascondere i suoi orribili patimenti, nè astenersi dall'esprimere il desiderio impaziente di giungere all'osteria, in cui avevano prefisso di passar la notte precedente.
Mentre riposavano tutti all'ombra degli abeti, il conte pregò Lodovico di spiegargli brevemente in qual modo fosse sparito dall'appartamento del nord, come avesse potuto cadere nelle mani di quei banditi, e contribuito in una maniera così prodigiosa a salvarlo colla sua famiglia. Il conte gli attribuiva giustamente la loro salvezza. Lodovico accingevasi ad obbedirlo, ma un colpo di pistola sparato nella strada già da essi percorsa cagionando nuovi timori, obbligò i viaggiatori a rimettersi in cammino.
CAPITOLO LI
Emilia intanto provava la massima inquietudine sul destino di Valancourt. Teresa trovò finalmente una persona fidata da spedire al fattore, la quale s'impegnò di tornare il giorno dopo, e Emilia promise di trovarsi alla capanna di Teresa, che, divenuta zoppa, non poteva uscir di casa. Verso sera Emilia s'incamminò sola a quella parte con tetri presentimenti. L'ora già avanzata accresceva la sua malinconia. Era la fine dell'autunno; una densa nebbia nascondeva in parte la cima dei monti, e il vento freddo, che soffiava nei faggi, copriva la via delle ultime foglie ingiallite. La loro caduta, presagio della fine dell'anno, era l'immagine della desolazione del suo cuore, e sembrava predirle la morte di Valancourt: ne provò un presentimento sì forte, che fu più volte sul punto di tornare addietro. Non aveva forza bastante per andare incontro a cotest'orribile certezza; ma lottò contro la sua emozione e continuò ad avanzare.
Camminava mesta, ed i suoi occhi seguitavano il movimento delle masse vaporose che stendevansi all'orizzonte; considerava le fuggitive rondinelle, le quali, in balìa all'agitazione de' venti, ora scomparendo tra le nubi, ora aleggiando in atmosfere più tranquille, sembravano rappresentarle le afflizioni e le vicende, ond'essa era stata vittima. Aveva subìto i capricci della fortuna ed i turbini della sventura; aveva avuto qualche corto istante di calma. Ma come dare il nome di calma a ciò che non era se non la sospensione del dolore? Sfuggita ormai ai più crudeli pericoli, indipendente da' suoi tiranni, trovavasi padrona di una sostanza ragguardevole; avrebbe potuto con ragione aspettarsi di gustare la felicità; ma essa n'era più lungi che mai: sarebbesi accusata di debolezza e d'ingratitudine, se avesse sofferto che il sentimento dei beni che possedeva fosse soffocato da quello d'un solo infortunio, se questo però non avesse colpito che lei sola. Ma essa piangeva per Valancourt, e se anche egli vivesse, le lacrime della pietà si univano a quelle del rammarico, afflittissima che un uomo come lui fosse caduto nel vizio, e quindi nella miseria. La ragione e l'umanità reclamavano assieme le lacrime dell'amicizia, ed il suo coraggio non poteva separarle ancor da quelle dell'amore. Nel momento attuale però non la tormentava la certezza dei torti di Valancourt, bensì il timore della di lui morte; le pareva, per così dire, di essere la causa innocente di questa disgrazia. La sua inquietudine aumentava ad ogni passo, e quando vide da lontano la capanna, le mancò il coraggio di avvicinarsi e sedette sur un banco nel sentiero. Il vento che susurrava tra le frondi pareva alla sua rattristata immaginazione recar suoni queruli; ed anche negl'intervalli di calma credea udire ancora dolorosi accenti. Prestando maggior attenzione, si convinse dell'error suo, e le tenebre, divenute più folte per la prossima caduta del dì, l'avvertirono d'allontanarsi, e con passo vacillante giunse alla capanna. Traverso i vetri si vedea scintillare un buon fuoco, e Teresa, avendo veduto venire Emilia, stava sulla porta ad aspettarla.
« La sera è fredda assai, signorina, » le disse ella. « Vuol piovere, ed ho creduto che un buon fuoco non dovesse spiacervi. Sedete dunque vicino a me. »
Emilia la ringraziò della sua attenzione, e guardandola in volto, fu colpita dalla sua tristezza. Si gettò sulla sedia, incapace di parlare, e la di lei fisonomia esprimeva tanta disperazione, che Teresa ne comprese il motivo, eppure taceva.
« Ah! » sclamò finalmente Emilia; « è inutile che me lo diciate. Il vostro silenzio, i vostri sguardi parlano abbastanza; egli è morto.
– Oimè! mia cara padrona, » rispose Teresa colle lacrime agli occhi, « questo mondo è pieno di affanni. I ricchi ne hanno la lor dose come i poveri; ma procuriamo di sopportare in pace il carico che ci manda il cielo.
– Egli è dunque morto? » interruppe Emilia. « Ah! Valancourt è morto!
– Orribil giorno! Io ne temo, » soggiunse Teresa.
– Lo temete soltanto? »
– Sì, signorina, lo temo. Nè il fattore, nè verun'altra persona ha sentito più parlare di lui a Estuvière, dacchè è partito per la Linguadoca. Suo fratello ne è afflittissimo. Egli dice che scrive sempre esattamente, ma che non ha ricevuto veruna lettera da lui dopo la sua partenza: doveva esser già di ritorno da tre settimane: non ha scritto, non è tornato, e si teme che gli sia accaduta qualche disgrazia. Oimè! io non credeva di viver tanto da dover piangere la sua morte. Io son vecchia, e poteva morire senza dispiacere; mentre lui… »
Emilia, quasi moribonda, chiese un po' d'acqua: Teresa, spaventata, affrettossi a soccorrerla, e mentre le porgeva l'acqua, continuò: « Cara signorina, non vi affliggete tanto; il cavaliere può essere sano e salvo. Speriamo!
– Oh! no, non posso sperare, » disse Emilia. « Io so circostanze che mi piombano anzi nella disperazione; ma or mi sento meglio, e posso ascoltarvi: dettagliatemi tutto quel che avete saputo.
– Aspettate d'esservi rimessa, signorina; mi sembra che stiate sì male!
– Oh! no, Teresa, ditemi tutto intanto che posso ascoltarvi, ditemi tutto, ve ne scongiuro.
– Ebbene, » rispose Teresa, « vi acconsento. Il fattore ha detto pochissimo. Riccardo pretende ch'egli parlasse con molto riserbo del signor Valancourt. Quel ch'egli ha saputo, gli fu confidato da Gabriello, uno dei servitori del conte, che disse essergli stato confidato da un amico del suo padrone. Dice dunque che Gabriello e tutti i servitori erano in gran pena pel signor Valancourt; ch'esso era un giovine così buono così amabile, e che lo amavano tutti come loro fratello; che non comandava imperiosamente, come tanti altri signori; che perciò era molto rispettato, e che la servitù l'obbediva volentieri al primo cenno per paura di spiacergli. Il signor conte stava in gran pena pel cavaliere, quantunque fosse andato in collera con lui ultimamente. Gabriello dice aver saputo che il signor Valancourt aveva fatte pazzie a Parigi; che aveva spesi molti denari, ed era stato perfino messo in prigione. Che il signor conte ricusava di liberarnelo, pretendendo ch'egli meritasse un tal castigo. Appena il vecchio Gregorio il cantiniere ne fu informato, fece fare un bastone a punta ferrata per andar a piedi a Parigi a trovare il padroncino; quando furono avvertiti che il signor Valancourt era di ritorno. Oh! qual gioia al suo arrivo! egli era però molto cambiato. Il conte lo ricevè freddamente, ed era afflitto. Il cavaliere partì immediatamente per la Linguadoca; e da quel momento, disse Gabriello, non se n'è saputo più nulla. »
Teresa tacque; Emilia sospirava, nè ardiva sollevar gli occhi da terra. Dopo una lunghissima pausa, sclamò: « Oh! Valancourt, tu sei perduto, e perduto per sempre. E son io, son io che ti diedi la morte. »
Quelle parole, quegli accenti disperati allarmarono la povera Teresa, la quale temè che quel colpo terribile non avesse alterata la ragione di Emilia.
« Mia cara padrona, calmatevi, » diss'ella; « non dite di queste cose: è impossibile che voi abbiate potuto uccidere il signor Valancourt. »
Emilia non le rispose che con un gran sospiro.
« O mia cara signorina, » ripigliò Teresa, « il cuore mi si spezza vedendovi in tale stato, cogli sguardi fissi, pallida in volto, e sì afflitta. Mi spaventa il vedervi così. » Emilia non apriva bocca, e non parea udir nulla. « E d'altra parte, madamigella, » soggiunse la vecchia, « il signor Valancourt può essere sano ed allegro, malgrado quanto sappiam noi. »
A tal nome, la fanciulla alzò gli occhi e guardolla con occhi smarriti, come se avesse cercato di capirla.
« Sì, cara padroncina, » ripigliò Teresa ingannandosi sulla di lei intenzione, « il signor Valancourt può essere sano ed allegro. »
Alla ripetizione di quest'ultime parole, Emilia ne comprese il senso; ma invece di produrre l'effetto che ne aspettava Teresa, parvero soltanto raddoppiare il suo dolore: si alzò bruscamente, e percorse la cameretta a veloci passi, battendo palma a palma e singhiozzando. Mentre passeggiava così il suono dolce e sostenuto d'un oboè o flauto si mescolò alla bufera. La sua dolcezza colpì Emilia; sostò tutta attenta: i suoni recati dal vento si perdettero in una raffica più forte; ma il loro accento querulo le commosse il cuore, ed ella si strusse in lagrime.
« Oh! » sclamò Teresa, tergendo le lagrime; « è Riccardo il figlio del vicino che suona il suo strumento; è una musica malinconica. »
Emilia continuava a piangere.
« Egli suona spesso alla sera, » continuò la vecchia, « e fa ballare la gioventù. Ma, signorina, non piangete così. Venite qui vicino al fuoco che, fa freddo, e bevete un bicchier di vino per ristorarvi. »
Ed accomodatale una sedia al camino, andò a cavar dalla credenza un fiasco.
« Questo non è un vino ordinario, » soggiunse; « è del migliore di Linguadoca, e l'ultimo de' sei fiaschi che mi regalò il signor Valancourt quando partì per Parigi. Io non lo bevo mai senza pensare a lui, e alle sue parole piene di bontà nell'atto di consegnarmelo. Teresa, mi diss'egli, voi non siete più giovine; tratto tratto dovreste bere un bicchier di vino. Io ve ne manderò qualche altro fiasco, e bevendolo ricordatevi di me, vostro amico. Sì, furon queste le sue parole: Di me, vostro amico! » Emilia continuava a camminar per la stanza, senza badare alle parole di Teresa, la quale continuò: « Mi son sempre ricordata di lui; povero giovine! Egli mi donò questo ricetto e sostenne la mia vecchiaia. Ah! se è vero che sia morto, sarà in paradiso col mio rispettabile padrone. »
Qui si mise a piangere, e depose il fiasco. Il suo dolore rinnovò quello di Emilia, che si avvicinò a lei, e guardolla attentamente come oppressa dalla riflessione ch'essa piangeva per Valancourt. La buona vecchia però, asciugando le lagrime, si fece coraggio, e le disse:
« Per carità non v'affliggete di più; prendete, di grazia, un sorso di questo vino. Gustatelo per l'amor del signor Valancourt, che me lo ha regalato, come vi dissi. »
La mano d'Emilia, che aveva preso il bicchiere, tremò, e sparse il liquore nel ritirarlo dalle labbra.
« Per l'amore di chi? » sclamò ella; « chi vi ha dato questo vino?
– Il signor Valancourt, cara padroncina; sapea io che vi farebbe piacere; è l'ultimo mio fiasco. »
La fanciulla depose il bicchiere sulla tavola, proruppe nuovamente in un dirotto pianto, e Teresa, sconcertata e dolente, procurò di consolarla. Emilia le fe' cenno colla mano, che desiderava restar sola, e pianse sempre più forte. Un lieve colpo battuto alla porta non permise alla vecchia di lasciarla al momento. Emilia la pregò di non aprire a nessuno; ma pensando poi che poteva essere Filippo, il suo servitore, procurò di tergere il pianto, e Teresa andò ad aprire.
La voce ch'ella intese attirò tutta la di lei attenzione: tese l'orecchio, volse gli occhi verso la porta, una persona comparve, e la fiamma del fuoco le fe' riconoscere… Valancourt!…
Nel vederlo, si scosse da capo a piedi, tremò, e perdendo l'uso dei sensi non vide più nulla. Un grido di Teresa annunziò che anche lei aveva riconosciuto il giovane. L'oscurità, sul primo momento, non aveale permesso di distinguerlo. Egli cessò di occuparsi di lei, vedendo cadere una persona dalla sedia vicino al fuoco. Volò a soccorrerla, e s'avvide di sostenere Emilia. La commozione che provò per l'inaspettato incontro, ritrovando colei da cui si credeva diviso per sempre, tenendola pallida e svenuta fra le sue braccia, è più facile ad immaginare che a descrivere! Sarà egualmente facile figurarsi ciò che provò Emilia, allorchè riaprendo gli occhi, rivide Valancourt. L'espressione inquieta colla quale la considerava, si cambiò tosto in un misto di gioia e tenerezza. Allorchè i suoi occhi s'incontrarono in quelli di lei, e che la vide in procinto di rinvenire, potè esclamare appena: Emilia! ma essa, volgendo altrove gli sguardi, fece un debole sforzo per ritirare la mano. Nei primi momenti che succedettero alle angosce dolorose, cagionate dall'idea della sua morte, Emilia obbliò tutti i falli dell'amante: lo rivide qual era nel momento in cui meritava il suo amore, ne risentì altro che gioia e tenerezza; ma oimè! fu un'illusione passaggiera! Le di lei riflessioni s'innalzarono nuovamente, come tante nubi sull'orizzonte, ad oscurare l'immagine lusinghiera che inebriava il suo cuore. Rivide allora Valancourt degradato in faccia alla società, indegno ormai della sua stima e tenerezza. Le mancò la forza, ritirò la mano, e si volse dalla parte opposta per nascondere il suo dolore. Il giovane, più agitato ed imbarazzato di lei, se ne stava muto e dolente.
Il sentimento di quanto doveva a sè stessa, trattenne le sue lagrime, e le insegnò a dissimulare parte della gioia e del dolore, che facevano il più fiero contrasto nel fondo del suo cuore. Si alzò, ringraziollo della sua attenzione, salutò Teresa, e volle andarsene. Valancourt, svegliato come da un sogno, la supplicò umilmente di accordargli un momento d'attenzione. Il cuore d'Emilia perorava forte in favor suo; ma ebbe il coraggio di resistere, e non badando neppure alle suppliche di Teresa, che la pregava di non esporsi sola in tempo di notte, aveva già aperta la porta; ma la pioggia dirotta l'obbligò a rientrare.