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Kitabı oku: «I divoratori», sayfa 23

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XXIV

Ma prima che Bemolle potesse andare a casa sua, si dovevano ancora dare quattro concerti a Milano.

– Milano è la città che deve darti il battesimo dell'Arte, – disse ad Anne-Marie il giovane Commendatore-editore di musica, arbitro delle arti liriche nel mondo milanese. – In fatto di musica, Milano è l'unica città che conti.

E negli occhi del Commendatore – occhi grigi e penetranti come l'acciaio – passò il lampo d'un sorriso.

– Questo me l'hanno già detto anche a Berlino, – disse Anne-Marie.

– Anche a Vienna, – disse Fräulein.

– Anche a Parigi, – soggiunse timidamente Nancy.

– Appunto perciò lo diciamo anche noi, – disse il giovane Commendatore, passandosi la mano fine sul mento sbarbato.

– Dunque, che cosa ci suonerai? Bada che qui non siamo a Berlino. Qui fingiamo tutti di adorare il classico; e poi, quando lo sentiamo, diciamo: « Com'è bello! » E ce ne andiamo prima della fine, e non torniamo più.

Udendo ciò Bemolle mise sul programma un po' di Vieuxtemps e di Wieniawski, un po' di Sarasate e di Paganini. I milanesi accorsero al concerto, e restarono fino alla fine. E si prefissero di tornare ancora.

Ma i « Musicisti Veri » – quelli di cui se ne trovava sempre uno in ogni città (e a Milano ve n'erano quattro), quelli che si prendono sul serio, quelli che parlano della musica come di una sacrosanta e privilegiata malattia, di cui essi soli hanno il diritto di soffrire – quelli scossero le circospette teste con dolore. Che triste cosa udire da uno sbocciante genio qual'era questa bambina, la vilissima musica da virtuoso – l'acrobatismo violinistico, che indubbiamente e indegnamente piaceva al pubblico! Paganini! Vieuxtemps! Ah! quei nomi erano come pugni nel cuore ai Musicisti Veri.

– Oh! – gridavano, – dateci le glorie del Beethoven! Dateci gli splendori di Bach!

E clamavano il loro dolore su e giù per le colonne dei giornali.

Il Commendatore-editore di musica, leggendo queste critiche, sorrise passandosi la fine mano sul mento sbarbato.

Quando vide Nancy le disse:

– Date loro dunque del classico, niente altro che del classico!

E nel secondo concerto Anne-Marie suonò il Concerto di Beethoven e la « Sonata a Kreutzer »; e la « Chaconne », e la « Fuga », e il « Preludio », e la « Sarabanda » di Bach. E i Milanesi accorsero, e restarono fino alla fine, e si prefissero di tornare ancora.

Ma i quattro Musicisti Veri scossero le riservate teste con rinnovellato dolore. Come poteva una mera bambina comprendere il gigantesco Beethoven? Chi era quel criminale maestro che sovraccaricava il puerile cervello di Anne-Marie coi titani classici? Non era, quasi diremmo, un sacrilegio, udire una fanciulletta appressarsi alla misteriosa immensità della Chaconne di Bach? Solo i Musicisti Veri potevano comprendere tutta la profonda, la frenetica angoscia celata in quella semplice ed ingenua danza del settecento! Per carità, per carità! Che i bimbi non suonassero che del Händel e del Mozart!

Nel terzo concerto Anne-Marie suonò del Händel e del Mozart. E i Milanesi accorsero, e restarono fino alla fine; e si prefissero di tornare ancora.

Ma i quattro Musicisti Veri inarcarono le dolorose sopracciglia, dicendo che quella semplice e facile musica era ben dolce se suonata per il papà e la mamma entro le pareti domestiche; ma che, veramente, in una Sala da Concerto di Milano, si aveva il diritto di esigere qualche cosa di più possente e autorevole. E perchè questa bambina suonava il violino? Non sarebbe stato meglio se avesse studiato il contrappunto? O qualche altra cosa? La musica dovrebbe essere riservata per loro quattro Musicisti Veri.

Il Commendatore, che non era un Musicista Vero, sorrise e baciò in fronte Anne-Marie. Ma ciò non valse a consolare Nancy, che udì con attonita incredulità queste critiche; nè valse a calmare Bemolle, smaniante in frenetica ira; nè a trattenere l'indignata Fräulein dallo scrivere al « Corriere della Sera » al « Berliner Tageblatt » e al « Times » delle lunghe lettere in proposito. (Ma non è detto che quei giornali le pubblicassero).7

Anne-Marie che non leggeva critiche, nè sapeva che al mondo vi fossero dei Musicisti Veri, era gaia e felice e adorava l'Italia. Per consolarla del lontano Schopenhauer, Nancy le aveva regalato un piccolo cane bassetto. Anne-Marie lo conduceva a passeggio nei Giardini, vergognandosi non poco delle sue gambe storte, e del suo corpo lungo e contorto come una sinfonia del Mahler; ma essa lo adorava ancor più per queste sue immeritate disgrazie.

Il bassetto fu battezzato « Steiner » perchè univa a un colore bruno-dorato e ad una certa turgidità di corpo, una debolezza di voce spesso notata da Anne-Marie in quegli eccellenti violini tirolesi.

.... Molta gente veniva a trovarli all'Hôtel per esprimere le loro vedute. Vennero anche i Musicisti Veri, che fecero molta paura ad Anne-Marie, e ancor più paura a Nancy.

– Che cosa credete di farne di vostra figlia? – chiese uno di loro, sorseggiando il thè e mangiando dei biscotti nel salotto di Nancy, coll'aria di farle un favore. – Cosa sperate che diventi?

– Non lo so, – disse Nancy. – Per ora sono contenta di ciò che è.

– Male. Dovete pensare all'avvenire. Se voi desiderate che essa divenga una grande, una vera artista....

– Non so se lo desidero, – disse Nancy. – Se dall'essere una grande artista essa degenerasse – e Nancy sorrise – fino a non essere altro che una fanciulla felice, non credo che me ne lagnerei.

– Badate! – continuò il Musicista Vero, – badate bene: il Prodigio d'oggi uccide l'Artista di domani. Cogliendo il fiore, voi distruggete il frutto.

Nancy rise dolcemente.

– E' come se diceste: bisogna guardarsi dal cogliere un bocciolo di rosa! esso non diventerà mai una mela!

Anne-Marie, che presso alla finestra alzava per la coda il bassetto per provare se era puro sangue, rise.

– Proprio vero, – disse, senza aver sentito nulla del discorso precedente, ma per l'istinto di irritare il Musicista che le pareva noioso.

– Zitta, cara, – disse sua madre. Poi soggiunse: – Anne-Marie è ciò che è. Io sono contenta che fiorisca libera quale Iddio l'ha fatta, senza preoccuparmi di ciò che potrà divenire un giorno; purchè sia buona e sana e felice! – E soggiunse: – Perchè non dovrei permetterle di suonare come un serafino oggi, per paura che, tra dieci anni, non suoni come Joachim?

– Già, – disse Anne-Marie tenendo sospeso per la coda il guagnolante Steiner. – Perchè?

L'austero visitatore si volse a lei.

– Bambina mia, – cominciò con voce cupa e profetica, – Bach…

– Oh, lo so già, – disse gaiamente Anne-Marie.

– Cosa sai già? – domandò severamente il Musicista.

– Stavate per dire: « Bach è un dio! Suona sempre Bach! non suonare che Bach! Tutto il resto è indegno », – sospirò Anne-Marie, già pentita di essersi immischiata nella conversazione.

– Niente affatto. Non stavo per dire questo, – sentenziò il critico.

– Allora stavate per dire quell'altra cosa: « Non osare mai di suonare Bach. Una bambina non può comprendere Bach! »… Già, i Professori mi dicono sempre o l'una o l'altra di queste due cose.

– Perfettamente, – disse il signore, gravemente. – Tu non puoi in nessun modo capire Bach.

Anne-Marie lasciò cadere Steiner, che andò a mordicchiarsi la coda sotto al sofà.

– E voi? – disse allo sconosciuto, – che cosa capite voi in Bach? Voglio sapere preciso cosa capite. – E con gli occhi saettanti e le guancie rosse, Anne-Marie afferrò per la manica il Musicista Vero. – Adesso vi suonerò del Bach, e voi mi direte che cosa ne capite… Bemolle! dammi il violino.

Bemolle si slanciò con viso raggiante ad obbedirla.

– Ma, Anne-Marie! cara! Non far così, – disse Nancy turbata.

Ma Anne-Marie accordava già il violino.

– Ecco, – disse, folgorando cogli occhi il visitatore, – adesso mi direte cos'è che voi capite, e io no!

E subito suonò le prime cinque delle trentadue variazioni della Chaconne. Poi si fermò.

– Ebbene? Cosa avete capito? Ditemelo!

Il Musicista si appoggiò alla spalliera del sofà, con un sorriso di superiorità benevola.

– E adesso, – disse Anne-Marie, come una piccola Furia bionda, accesa e ispirata, – adesso lo suono diversamente! Lo suono come Joachim… Così, precisamente così, Joachim suonava per me e con me… E adesso che cosa avete capito? Che cosa dice Bach a voi, sciocco uomo, più di quello che dice a me?

– Ma Anne-Marie! – esclamò Nancy. – Vergogna! Non devi parlare così!

– Sì! devo! devo! – disse Anne-Marie, quasi piangendo.

Il visitatore, sorridendo acidamente, si alzò per prendere congedo.

– Temo – disse – che per le ragazzine troppa musica non faccia bene ai nervi.

– Sì, sì che fa bene! – gridò Anne-Marie, disperata e piangente. E come Nancy la confortava cingendola col braccio, la bambina singhiozzò: – Mamma, digli una cosa! digli una cosa che io non so dire! Aiutami.

– Che cos'è, cara?

– Ti ricordi… che dovevamo andare in un paese lontano… tu dicevi che era un paese caldo, e bello… e sporco… Dov'era?

– Vuoi dire il Messico?

– Sì, sì, sì! Allora hai detto qualche cosa degli alberghi che sono là… cos'hai detto di quei piccoli alberghi strani?

Nancy riflettè un istante. Poi si ricordò, e sorrise.

– Ho detto che non vi si trova che quello che si porta con sè.

– Sì, sì, – balbettò Anne-Marie, eccitata e incoerente, – adesso dillo… dillo ancora, ma dillo della musica.

Nancy rise e le baciò la fronte accaldata.

– Vuoi dire che nella musica non si trova che quello che si porta con sè, nella propria anima?

– Sì, – disse la bambina. – Voglio dire così.

– Cara! – disse Nancy. E la baciò.

Ma il Musicista Vero se ne andò disgustato.

Che ignoranza! Che discorsi sconnessi! Cosa c'entravano gli alberghi messicani colla musica di Bach?

XXV

Un anno passò come un sogno, spargendo rose e mirti ai piedi di Anne-Marie: un anno di fantastici viaggi da trionfo a trionfo. La vita per Anne-Marie era come un magico giardino, tutto acceso di fiori incantati che si chinavano al suo passare.

I concerti erano la sua gioia. La sua chiara anima era colma di musica, e come da un puro e prescelto vaso essa ne versava la melodiosa piena sul mondo ascoltante.

Suonando, ella compiva la sua missione, così come un'allodola deve cantare.

Un giorno a Genova la condussero a vedere il violino di Paganini, muto e sigillato nella sua cassa di vetro al Municipio. Essa lo contemplò a lungo silenziosamente. Poi distolse lo sguardo.

– Cosa pensi, cuor mio? – chiese Nancy. – Perchè sei triste?

– Penso – disse la ragazzina con occhi solenni – come deve soffrire quel violino di essere chiuso là dentro; come la sua voce deve fargli male! Chi sa come si strugge di poter cantare!

L'osservazione fu udita e ripetuta. Giunse alle orecchie del Sindaco di Genova. Un giorno, con grande pompa, Anne-Marie fu invitata al Palazzo del Municipio, e colà, davanti ai pochi invitati, furono tolti i sigilli: il sacro istrumento dell'immortale Nicolò fu posto tra le ténere mani della bambina.

Da tre notti essa non dormiva pensando a questo grande momento: sognando la gioia di quella fremebonda voce imprigionata, quando le sue dita l'avrebbero resa alla libertà!

Rapidamente essa infilò un nuovo cantino, traendolo sopra il ponticello scolorito. Poi pizzicò, lieve, le corde, chinando il capo ad ascoltare. Ed ora, alzando l'arco, con attacco vibrante spezzò i ceppi del silenzio che gravavano sulle frementi corde… L'accordo di re minore risuonò, tremolante e flebile.

Anne-Marie rialzò l'arco e attaccò un altro accordo, premendo le dita sulle corde con intenso e veemente vibrato.

E di nuovo il violino rispose con voce rauca, debole, sorda. Il viso di Anne-Marie si fece bianco come un lino. Le sue labbra tremarono. Con un singhiozzo ella abbassò il violino.

– E' morto, – disse.

Molti anni dopo, se talvolta accadde a Nancy di pensare che forse sarebbe stato meglio se avesse trattenuta dai concerti e dal pubblico la sua bambina – se dubitava di aver errato permettendole di diffondere sul mondo tutta la sua giovine anima canora, – il ricordo del Silente Violino, chiuso nella sua prigione di cristallo, le tornava alla memoria: il Violino che era morto per non aver cantato, morto del suo proprio silenzio.

E fu contenta di pensare che alla sua allodoletta era stato concesso di cantare.

E cantò, l'allodoletta! Cantò, in molti climi, sotto molti cieli, in molte terre lontane. Era forse a Edimburgo che i cavalli furono staccati dalla sua vettura, ed essa e Nancy tratte in trionfo per le festanti vie? Era forse a Berna che la polizia dovette sgombrare dalle strade e dalle piazze le turbe di studenti che parevano impazziti? Non fu a Torino che la folla la richiamò venti volte al balcone, per urlarle i suoi evviva, per implorare dal piccolo volto estasiato un sorriso, dalle piccole mani salutanti, un fiore? Dove, dove fu che gli uomini alzavano i loro figlioletti tra le braccia perchè la vedessero, perchè le toccassero la veste, e le donne, spinte e urtate nella calca, coi cappelli a sghembo e gli occhi allucinati, battagliavano per intravvedere un baleno della bionda testolina salutante e per sfiorare d'un tocco la piccola mano inguantata? Non era a Napoli che la chiamavano « la bambina assistita », e la credevano posseduta da uno spirito? E tra le acclamazioni talune voci gridavano che, per carità, predicesse i numeri del lotto?

Sì, questo era stato a Napoli. Nancy se lo rammentava. Nella gloria confusa delle cangianti scene, alcuni ricordi emergevano nitidi e chiari nella memoria di Nancy. Era a Napoli che nel vasto teatro gremito avevano dimenticato di serbare un posto per lei. E il direttore del teatro era venuto a dirle che una signora ch'egli conosceva, gentilmente le offriva un posto nel suo palco: palco numero cinque, seconda fila – Nancy se lo ricordava ancora! E mentre Anne-Marie, già baciata e benedetta come di consueto, col violino sotto al braccio usciva fuori – piccola visione di cielo – sull'ampio palcoscenico, Nancy correva ancora per i corridoi deserti della seconda fila cercando il palco numero cinque. Eccolo finalmente! Nancy vi entrò, e vide una signora sola, velata di nero. Nancy le fece un piccolo saluto e prese posto, mormorando: « Grazie. » Poi colle mani convulsamente intrecciate, aveva sussurrato la preghiera che sempre diceva per Anne-Marie quando suonava: « Mio Dio! aiutatela! Ispiratela! Guidatele la mano! »

E Iddio anche allora aveva ascoltato la preghiera: perchè Anne-Marie suonava grandiosamente, soavemente, senza neppur sognare che potesse aver bisogno d'aiuto!

Nancy sedeva nel palco, rigida e atterrita come sempre; come sempre pietrificata di paura, aspettando che i tranquilli occhi di Anne-Marie si volgessero in giro per l'uditorio, vagando di palco in palco, in cerca di lei. Ecco! L'avevano trovata! Scintillavano, ridevano… Poi lo Spirito della Musica piombava colle grandi ali tra di loro due, e portava via la sua bambina – via, suonante e sognante, lontano dalla cerchia del materno amore…

La signora vestita di nero si premette il fazzoletto sugli occhi. Nancy era avvezza a vedere quel gesto, ma pur sempre ne rimaneva commossa. Stese la mano e la posò sul braccio della sconosciuta, a cui la musica della sua bambina angosciava il cuore.

La donna vestita di nero, senza voltarsi, le prese la mano; e stettero così vicine, queste due ignote, legate dalla musica come due sorelle.

L'ultimo pezzo finiva, e da ogni angolo della sala scoppiavano le acclamazioni, le ben note grida di delirio e d'entusiasmo. Nancy si alzò rapida per tornare dietro le quinte da Anne-Marie. La sconosciuta si volse e rialzò il velo.

– Il mio nome è Villari, – disse.

Nancy ricordava il nome. Tutto ciò che Aldo le aveva detto di questa donna, tutto ciò che Nino le aveva taciuto, si riversò come un'onda nella sua memoria. Ella fissò lo sguardo con curiosità in quel viso smunto, sotto l'elmetto di capelli rosso-scuri – povero viso stanco su cui le rughe mettevano mille piccoli solchi tristi.

– Conosco bene il vostro nome, – disse Nancy, sporgendo la mano. – Saluto la grande artista.

La donna sospirò profondamente.

– Saluto la madre fortunata.

Poi calò il velo sul viso.

Nancy s'affrettò per gli affollati corridoi, dove la gente a gruppi discorreva e discuteva della sua bambina; e le parole: « Meravigliosa! Fenomenale! Incredibile! » batterono colla consueta ala soave al suo orecchio.

« Madre fortunata! » Oh, sì, sì! essa era una madre fortunata! Se lo disse mille e mille volte; lo ripetè piano mentre ravvolgeva una morbida sciarpa bianca intorno al capo biondo della sua figlioletta; e ancora, mentre passava con lei attraverso gli evviva della folla, fra le mille mani tese e i cappelli sventolanti. E se lo ripetè, seduta nell'automobile che le portava via, aperta alla dolce notte napoletana, e mentre reggeva col braccio Anne-Marie, che, in piedi sul sedile, sventolava tutt'e due le mani alla circondante folla.

La figuretta ondeggiava col moto della carrozza, che moveva rapida per la gaia strada illuminata. Ben presto anche gli ultimi entusiasti furono lasciati indietro, e Anne-Marie si lasciò scivolar giù al suo posto presso Nancy. L'automobile correva sulla marina; al di là del Golfo il Vesuvio respirava, col ritmico alito infuocato; e le tranquille acque splendevano. Nancy ricordò che questa era la patria di Aldo – poi scordò tutto al suono delle dolci parole usitate:

– T'è piaciuto il mio concerto, Liebstes? Sei felice, cara mamma mia?

La frase era ormai divenuta una specie di formula ch'esse ripetevano, ridendo, come il ritornello d'una canzone. Di tutte le ore del giorno, febbrili e turbolente, era questa l'ora di gioia pel cuore di Nancy. Anne-Marie, che di consueto era bizzarra e inafferrabile – resa più strana dalla sua musica, ed esaltata dall'adorazione di molta gente – in quest'ora ridiventava la sua tenera bambinetta, più mite e più dolce dell'Anne-Marie di tutt'i giorni, più vicina e più umana dell'Anne-Marie dei concerti: che era una strana e inaccessibile creatura di cui Nancy talvolta dubitava che potesse proprio appartenere a lei!

Fräulein e Bemolle seguivano in un'altra carrozza. Dall'impresario in poi, nessuno aveva osato turbare quest'ora sacra e stellata del loro amore.

E Nancy, rimpianse ella mai i suoi perduti sogni di gloria? Ricordò ella mai il suo non scritto Libro? Non le ardevano più le ferite dell'ali che ella s'era strappate?

No. Essa viveva per Anne-Marie e di Anne-Marie. La Chimera dell'ispirazione si era allontanata da lei. Rime e ritmi, parole, visioni e sogni – non la turbavano più.

Ella respirava la musica che Anne-Marie suonava. Ella sognava la musica che Anne-Marie componeva. Il Pifferaro della Leggenda che per tanti anni l'aveva ossessionata col suo appello, ora non la chiamava più. L'aveva oltrepassata, l'aveva scordata.

E l'aquila del Genio non la scoteva più, sfracellandole colle grandi ali il cuore.

Ella era come il Silente Violino: i canti che l'anima sua non aveva espressi, erano morti in lei.

XXVI

Fu a Parigi che avvenne ciò che Nancy già da tempo vagamente aspettava e paventava.

Ella era sola all'albergo, nel suo salotto. Fräulein era andata con Anne-Marie – e con un grosso volume sulla Rivoluzione Francese sotto al braccio – al Giardino delle Tuileries.

Il ragazzo del « lift » bussò alla porta e annunciò una visita; subito, senza attendere consenso, un signore entrò. Era Aldo! Aldo, colla barba quadrata, e un occhialetto pendulo – Aldo, immacolato e irreprensibile, col cilindro in mano.

Egli si fermò sulla soglia, guardando in viso a Nancy. Poi si avanzò, depose il cappello su una sedia, stese ambe le mani ed esclamò con voce bassa e fervida:

– Nancy!

Nancy era balzata in piedi, ed ora, col respiro rapido ed affannoso, gli stava innanzi pallida e sottile nella chiara vestaglia. Egli fece un altro passo verso di lei, sempre con le braccia tese. Allora Nancy avanzò una mano diffidente che suo marito afferrò e strinse tra le sue. Sul dito mignolo di Aldo brillava un anello di brillanti.

Egli chinò il lucido capo nero sulla fredda manina di Nancy, e la baciò.

– Sia ringraziato Iddio! – mormorò, e si abbandonò sopra una seggiola.

Nancy si domandò confusamente per che cosa egli ringraziasse Iddio. Veramente neppur Aldo lo sapeva esattamente; ma gli pareva una frase appropriata alla situazione; e d'altronde non ne aveva altra di pronta.

Vi fu un imbarazzante silenzio. Aldo lo ruppe:

– Nancy! sono ritornato!

Nancy disse:

– Sì.

E i suoi pensieri si aggirarono sconnessi intorno alla sua barba e al suo anello di brillanti.

– In tutto questo tempo cosa avrai pensato di me? Chi sa quali crudeli pensieri hai avuto!

No. Nancy non aveva avuto dei crudeli pensieri.

– Ed ora non mi ami più!

Nancy lo guardò con espressione smarrita, e sorrise, senza quasi sapere perchè.

Aldo non volle accorgersi del sorriso; e disse:

– Nancy! Nancy! Non potrai mai perdonarmi?

– Ma sì, ti perdono, – disse Nancy, e sorrise ancora.

Le pareva di sognare. Le pareva una cosa strana e comica che questo signore colla barba quadrata e l'occhialetto ciondolante fosse qui a domandarle perdono e a parlarle d'amore. Nulla in lui le pareva menomamente noto familiare. I suoi capelli, che prima soleva portare divisi in mezzo, ora erano spazzolati indietro dalla fronte e ondeggiavano lisci e lucidi in una gran massa nera; la sua barba a ventaglio gli trasformava la faccia, e gli dava un'aria di pittore francese; persino il suo cappello, alto, quadrato, coll'orlo piccolo, giacente sulla sedia, aveva in sè qualche cosa di assolutamente alieno e straniero.

– Perchè ridi? – disse Aldo.

E il tono di vanità offesa nella sua voce, scosse e ridestò la memoria di Nancy, e la richiamò alla realtà delle cose.

– Non rido, – disse.

E d'un tratto cominciò a piangere.

Era questo l'atteggiamento che Aldo si era aspettato, e a cui sapeva tener testa. Una donna silenziosa e fredda, con occhi vitrei e un sorriso ambiguo, era un essere inquietante che lo metteva a disagio. Ma una donna piangente – Aldo ne aveva visto tante, e sapeva come confortarle.

Subito le fu accanto chinandosi sopra il viso nascosto, cingendole con un braccio le spalle sottili.

– Nancy! non piangere, te ne prego! Sono stato un infame, una canaglia; ma, te lo giuro! ho creduto di far bene. Ed espierò, espierò. Ti renderò in tanta felicità le tue sofferenze di questi anni passati!

Ella piangeva sempre, colla faccia chiusa tra le mani e le spalle scosse dai singulti.

– Sono ricco, – continuò Aldo. – Ho tanti denari, che non sapremo come spenderli.

Le sussultanti spalle cessarono d'un tratto di muoversi. Parevano aspettare, ascoltare… V'era molta diffidenza in quelle esili spalle aspettanti.

Aldo proseguì:

– Non aver paura. Non ho giocato; non ho fatto nulla di scorretto o di disonorante. Il denaro mi è stato lasciato – egli s'avvide che le esili spalle erano immobili, rigide nell'attesa – da una… da una vecchia persona, a cui ho potuto essere utile. Questa persona è morta e mi ha lasciato tutto il suo patrimonio. L'ho meritato. Sono stato molto buono per lei…

Le spalle ondeggiarono in un profondo sospiro. Sospiro di sollievo o di disperazione? Aldo ne era incerto.

– Dunque ora avranno fine le tue pene, Nancy mia. Ho già assegnato a te e alla bambina una somma importante… Così non sarai più obbligata a sfruttare Anne-Marie.

Nancy balzò in piedi, sfuggendo a lui; e lo guardò atterrita. Che cosa aveva detto? « Sfruttare Anne-Marie! »… Sfruttare Anne-Marie? Lui poteva credere questo? Altri potevano credere questo?..... che ella sfruttasse Anne-Marie?

Nancy si coprì il viso e scoppiò in disperato, irrefrenabile pianto. Singhiozzava e gemeva, torcendosi le mani. Aldo, guardandola, comprese che questo non era il pianto che egli era avvezzo a udire e a comprendere. In questo pianto erano tutte le speranze infrante di Nancy; tutte le sue aspirazioni perdute; tutto ciò che per amore di Anne-Marie ella aveva sacrificato e soffocato, e cercato con preghiere e flagellazioni di scordare. Il suo lavoro, il suo Libro, le sue speranze, i suoi sogni di gloria – tutte le cose che aveva messo sotto ai piedini di Anne-Marie e che essa, correndo alla celebrità, aveva così gaiamente calpestato – risorsero nella sua memoria come spettri di esseri trucidati. Nancy ricordò le splendide ali del suo proprio Genio ch'essa, per dar libero volo ad Anne-Marie, si era divelte penna a penna – e le ferite s'aprirono e sanguinarono ancora.

– Non è vero ch'io abbia sfruttato Anne-Marie, – disse, levando verso Aldo le iridi acquarellate di pianto; – tutto il denaro che ha guadagnato nei suoi concerti è stato messo via per lei. E' sacrosanto. Nessuno lo ha toccato.

– Allora come avete vissuto? – chiese Aldo.

– Ho preso dei denari a prestito, – diss'ella con occhi di collera e di sfida. – Tanti denari, che renderò quando potrò.

– A chi? – chiese Aldo, aggrottando le ciglia.

Nancy non rispose.

– Puoi ripagarli subito, – diss'egli col viso cupo.

E non parlò più. La frivola pendola sul caminetto suonò le quattro con tintinnante cariglionetta.

– Dov'è la bambina? – chiese Aldo a bassa voce.

– E' uscita. – Il viso di Nancy si fece duro come la pietra. – Non voglio che tu la veda. Non voglio che sia turbata e agitata.

– Nancy! – esclamò Aldo, e il suo viso si scolorò; – io devo vederla. Tu non puoi vietarmelo! Nancy, non sarai così spietata! Da più di sei anni mi struggo giorno e notte pensando a lei. Non ho sognato altro, non ho desiderato altro che rivederla! Ogni notte sono stato sveglio delle ore e delle ore pensando a questo incontro. Mi dicevo: quando sarò ricco, quando sarò libero – Nancy fremette e rabbrividì – andrò a cercarle… Le troverò povere, derelitte, in lotta colle necessità dell'esistenza… E allora arriverò… nella meschina strada dove esse stanno… arriverò in una carrozza a due cavalli, due bei cavalli bianchi che piaceranno ad Anne-Marie… – gli occhi di Aldo erano pieni di lagrime, ma Nancy lo guardava fredda, attonita, quasi non potendo credere a tanta puerile incoscienza. – E allora… – la voce di Aldo si ruppe in un singulto – pensavo: guarderanno dalla finestra e mi vedranno… E io allora dirò: Sono venuto a portarvi via!… via dalla povertà, dalla miseria, dalla solitudine… a portarvi via per sempre con me!

Aldo si coprì il volto colle mani, e le lagrime piovvero sull'anello di brillanti.

– Ma allora… invece, ho saputo… ho letto… nei giornali… dei successi di Anne-Marie! E avrei voluto correre a sentirla. Ma come potevo vedere la mia bambina… la mia bambina… lì, davanti a mille estranei… mentre io, io… suo padre… – l'angoscia lo rese incoerente. – E dire che non l'ho mai udita, non l'ho mai udita! – singhiozzò.

Le labbra di Nancy rimasero chiuse. Il suo cuore era chiuso. Non parlò.

Aldo fissò in lei le inondate pupille, e avrebbe voluto che anche lei piangesse.

– Non mi perdoni? non mi perdoni? – singhiozzò.

Nancy col capo fece cenno di sì.

– Ma non vuoi più che si torni insieme? Non potremo mai più essere felici tutt'e tre?

– No, – disse Nancy.

– Mai? – e la barba di Aldo si mosse stranamente. – Mai?

– Mai, – disse Nancy, e un brivido di avversione le fece stringere i gomiti al corpo.

Allora Aldo pianse e delirò. Da sei anni sognava l'istante di rivedere lei e la bambina; da sei anni aveva fatto ciò che aveva fatto per amore di lei e della bambina; aveva fantasticato e macchinato, aveva pazientato e sofferto per lei e per la bambina; non aveva vissuto che col pensiero di lei e della bambina; e non potrebbe andare avanti a vivere – no! non un giorno, non un'ora! – senza di lei e della bambina!

E dicendo tutto questo era sincero, e credeva di dire la verità. E le sue parole diventavano più vere mentre egli le diceva, e mentre leggeva sul viso di lei che ogni preghiera era vana.

– Oh, Nancy! Nancy! Nancy! – Egli le afferrò la fredda mano snervata e la strinse disperatamente, – mi lascerai rivedere la bambina! Deciderà lei di me, della mia vita. Se lei mi scaccia, andrò via. Ma se lei mi vuole, se si ricorda di me e mi dice di restare, promettimi, Nancy, che non mi scaccierai! Promettimi! oh, prometti! Non ti lascerò, non ti lascerò finchè non avrai promesso!

Ma Nancy non volle promettere.

– Nancy! – singhiozzò Aldo, – ricordati come ci siamo amati! ricordati i giorni sul Lago Maggiore! ricordati quando scrivevi il tuo Libro, e me lo leggevi la sera, colla testa poggiata al mio braccio. Ricorda tutto, Nancy, e promettimi che se la bambina mi dice di restare, lo dirai anche tu!

Ma Nancy non volle promettere.

– Nancy! Nancy! hai dimenticato i tristi giorni di New York? I giorni di miseria e di fame che attraversammo insieme? Per la memoria di quei tristi giorni nella casa dei Schmidl, per il ricordo della mia piccola stanza buia, che d'allora in poi ho tante volte sospirata e rimpianta, perchè attraverso la porta socchiusa vedevo te e la piccina che dormivate… Nancy, in nome di tutte quelle tristezze, prometti!

Ma Nancy non poteva promettere.

– Ma non ti ricordi, Nancy, Nancy! quando Anne-Marie era malata? Aveva la rosolìa, – singhiozzò Aldo, – e non voleva mangiare che il latte che le scaldavo io… e non voleva dormire se non mi teneva la mano… Oh, Nancy! Nancy! non vuoi ricordare… e promettere?

E questo Nancy lo ricordò. – E promise.

Rimasero seduti silenziosamente aspettando il ritorno di Anne-Marie. Nessuno dei due parlò più. Aldo prese dal tavolo un ritrattino della bimba col violino, e lo tenne tra le mani, guardandolo lungamente, coi gomiti appoggiati alle ginocchia. Poi inclinò la testa, e rimase così, colla fronte stretta alla piccola fotografia di sua figlia.

L'inconscia Arbitra di Destini arrivò correndo per il corridoio; teneva un pallone del Bon Marché legato con una cordicella al suo polso. Era un grande pallone rosso colle parole « Bon Marché » in caratteri d'oro sull'enfiata faccia; ed era stato causa di intensa mortificazione a Fräulein, per tutto il percorso dell'affollato Boulevard des Italiens.

– La gente ti riconoscerà, – aveva detto per istrada ad Anne-Marie, – e allora non ti si prenderà più sul serio; e non si prenderà sul serio neppure la tua musica. Non è decoroso che una grande artista vada attorno con quello stupido pallone.

– Questo non è più stupido degli altri palloni, – disse Anne-Marie colpendone leggermente la turgida testa rossa e guardandolo ascendere lentamente per tutta la lunghezza della cordicella.

7.al « Berliner Tageblatt [Tagblatt] »
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 haziran 2018
Hacim:
400 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

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