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Kitabı oku: «I divoratori», sayfa 4

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Valeria, torcendosi le mani, le corse dietro, lasciando detto ad Edith che restasse a casa a badare alla mamma e al nonno.

Ma Edith si era messo il cappello, e diceva alla signora Avory:

– Torno subito, mamma cara! Sta qui buona, e chiama la Fräulein, che badi a te, e al nonno.

Ma sua madre non volle saperne di lasciarla uscire sola. No, no! andrebbe anche lei. E se ne uscirono frettolose verso Bakers' End, dicendo a Fräulein di stare in casa e di badare al nonno.

Ma Fräulein, che aveva recentemente letto « Misunderstood », fu presa da un orribile presentimento riguardo al lago del vecchio Castello di Bery. Ed uscì anche lei, in gran fretta, fermandosi solo un attimo per dire alla cuoca che badasse di ritardare il pranzo, e non mancasse di star attenta al nonno.

Ma la cuoca andò fuori alla latteria di Smith a raccontare l'accaduto; e l'altra serva andò con lei.

Il nonno rimase solo nella casa deserta.

(Le Parche filavano. « Ecco un filo nero. Intessiamolo »).

Il nonno era solo nella casa deserta. Chiamò sua figlia. Chiamò Valeria; ed Edith; e Nancy. Poi si ricordò che Nancy si era smarrita. E chiamò Sally. E chiamò Tom. Poi suonò tutti i campanelli, ma nessuno venne, nessuno rispose. Allora di nuovo si ricordò che Nancy era smarrita, e che tutti erano andati in cerca di lei. Lentamente si avviò nel parco e scese lungo il viale fino al cancello. S'affacciò a guardare: la strada si stendeva deserta nell'ombra crepuscolare.

Il vecchio uscì, e a passo a passo, volse a sinistra, dalla parte opposta al villaggio, verso il crocevia delle Cascine.

Ma, prima ancora di arrivarci, lasciò la strada maestra e prese un sentiero traverso i campi. Il sentiero si perdeva al Fosso di Wakeley, ma il vecchio continuò a camminare inoltrandosi verso la brughiera desolata e incolta.

Il sole era caduto dietro le colline, e la notte, come un gatto grigio, correva furtiva e rapida per le lande.

Nancy era già stata trovata e ricondotta a casa da Jim Brown. Ma il vecchio nonno volgeva ancora i tardi passi per la scura e desolata brughiera. Vide qualcosa oscillare e muovere contro il celo.

– Sarà Nancy, – disse. E la chiamò.

Ma era una trebbiatrice, coperta di lunghe tele nere che sventolavano nell'aria. Il nonno si affrettò un poco nel passare, e disse forte:

– Ho ottantasette anni.

Allora si sentì più tranquillo. Era persuaso che nessuno, sapendo la sua grande età, gli avrebbe fatto del male. Difatti la trebbiatrice lo lasciò passare senza fargli nulla, e non lo seguì coi suoi cenci sventolanti, come egli aveva temuto. D'un tratto sussultò udendo dei piedi leggieri correre nel buio davanti a lui. Erano tante pecore grigie nella notte, che si fermarono di colpo, tutte insieme, con le faccie nere volte verso di lui. Gli venne freddo, e si affrettò, vacillante; mentre gli pareva sempre che dietro a lui sbucasse qualche cosa dai cespugli. Era agghiacciato di paura.

– Ho ottantasette anni. Non è giusto che io sia qui, solo nella notte, – disse e cominciò a piangere forte, come un bambino; ma nessuno lo udì ed egli ebbe paura del rumore che faceva.

Si volse per tornare a casa, passando di nuovo vicino alla macchina avvolta nel drappo nero. Ed ecco che in un campo a destra vide qualcuno in piedi che si moveva.

– O Nancy! – gridò – sei lì?

Ma la figura non rispose.

Allora il nonno gridò:

– Buona sera. Scusi… ha visto Nancy? Buona sera! Nancy è passata di qui?

La figura nel campo faceva molte riverenze e il nonno continuava a rispondergli:

– Buona sera, buona sera.

E come gli pareva di vedere che gli facesse cenno di avvicinarsi egli si avviò pel campo, incespicando nei solchi.

Quando fu vicino a quella figura, disse in fretta:

– Ho ottantasette anni.

La figura sventolò ambe le braccia, molto impressionata.

Il nonno sedette per terra perchè era stanco.

… Già Nancy era giunta in salvo, e la casa echeggiava di voci e splendeva di lumi accesi. Ma nel buio sulla collina il nonno sedeva vicino allo spaventa-passeri e discorreva con lui.

– Quando vorrà andare a casa, – diceva il nonno, – verrò anch'io se permette.

E lo spauracchio non fece obbiezioni.

Dopo un lungo silenzio il nonno riprese:

– Mi dirà poi quando sarà disposto ad andare…

La figura gli fece cenno con fluttuante gesto che aspettasse; e il nonno cercò di non impazientirsi.

– Va bene, va bene, – disse. – Non ho fretta.

Ma era tardi e faceva freddo.

… D'improvviso, ecco, sul ciglio della lontana collina, apparire suo figlio Tom! Ed anche il figlio di Tom. Giganteschi e taciti scendevano per il pendìo, venendo a lui con passi lunghi e leggieri. E dietro loro, con passi lunghi e leggieri, venivano tutti i figli morti di suo figlio Tom. E tutti si mettevano a sedere intorno a lui. E più l'aria si faceva buia, più egli se li sentiva vicini, leggieri e giganteschi. C'era anche Sally, Sally che era la sua prediletta; ed essa si appoggiava strettamente al suo petto, e gli agghiacciava, col piccolo viso freddo, il cuore.

A tutti loro egli domandò se avessero veduto Nancy; ma essi dissero di no, scotendo la testa tutti insieme. Il nonno chiese a Sally se la sua tosse andava meglio. E allora tutti risero piano, senza rispondere.

La trebbiatrice passò, agitando le ali…

Così per tutta la notte i suoi figli morti sedettero accanto a lui. All'alba si levarono, e ritraversarono con passi lunghi e leggieri la collina.

Ma lo spauracchio non lo abbandonò.

(Taglia il filo, disse la Parca).

VIII

Quindici giorni dopo il funerale, Nino si arricciò i baffi e se ne andò a Londra. Suo padre non gli fece rimostranze. Veramente lo zio Giacomo stesso trovava la casa esageratamente lugubre; e sentiva intorno a sè un'atmosfera di vaga irrequietezza angosciosa che non poteva attribuirsi alla scomparsa della mite figura dell'avo.

Valeria errava per le camere nel suo vestito di lutto, con un'espressione spaurita e sonnambulesca. Se lo zio Giacomo voleva parlarle, ella scattava in mezzo alla conversazione con aria di bestiola inseguita, e correva a vedere di Nancy. Lo zio Giacomo s'infastidiva. Ma non c'era dunque Fräulein per badare a Nancy? E se Fräulein fosse occupata con la signora Avory e con le domestiche, v'era pur sempre Edith! Edith non adorava forse la piccina, accarezzandola e viziandola? Che bisogno c'era che Valeria si agitasse a questo modo?… Ma Valeria si agitava, impallidiva e correva via. Non più piccole premure per lo zio Giacomo; non più minestroni freddi, fatti espressamente da lei sotto il naso disapprovante della cuoca inglese. Più nulla. In quanto a Nino, poveretto! pareva proprio che per Valeria egli non esistesse più. Ella non aveva occhi che per Nancy e per Edith. Sempre le guardava, le seguiva, s'intrometteva nei loro discorsi; sempre le spiava con quell'aria di bestiola inseguita che faceva pietà. Quando le due ragazzette sedevano insieme, felici, leggendo o chiacchierando, Valeria con voce rauca e nervosa chiamava Nancy, e la mandava via a far qualche commissione inutile; oppure se la teneva vicina, facendole dei lunghi discorsi incoerenti. Edith talvolta si domandava perchè mai Valeria le portasse via così la bambina; perchè la chiamasse sempre a sè con fare così improvviso e severo. Ma poi vedendo il viso ansioso e pallido di Valeria – e guardando Nino, che per lo più sembrava distratto e seccato, Edith pensava a litigi d'innamorati, e non faceva domande.

Ma non v'erano litigi d'innamorati tra Nino e Valeria. Dal cuore affannato di lei l'amore materno aveva scacciato ogni altro sentimento; e un solo pensiero la possedeva: il pensiero di proteggere Nancy, di tener Nancy lontana dal lieve alito di Edith, dai teneri baci di Edith! E Nino, vedendola sempre colla figlioletta sulle ginocchia o al fianco, si abituò gradatamente a vedere in Valeria la madre più che l'amante, la parente più che la fidanzata.

Poichè la creatura in grembo a sua madre vieta e frena la passione.

Una sera Nino, sbadigliando, prese in mano un giornale, e per esercitarsi nell'inglese ne lesse le notizie. Ed ecco che le notizie lo interessarono!

All'indomani si arricciò i baffi e partì per Londra. Andò a pranzo da Pagani e vi trovò un vecchio compagno di università, Carlo Fioretti, che pranzava con una signora inglese, troppo ingioiellata e dai capelli troppo dorati, a una tavola presso la sua. Fioretti gli fece gran festa, e la bionda signora gli sorrise. Lo invitarono a prendere il caffè con loro, e Fioretti gli raccontò molte cose sulla colonia italiana di Londra. Poi lo invitarono a venir con loro all'Alhambra. Ma Nino, spiacentissimo – oh, desolato! – non poteva. Andava appunto stasera al teatro Garrick…

– Ma è vero! – esclamò la signora bionda. – C'è quella grande attrice italiana, stasera, al Garrick! Come si chiama? Villari! Già, Villari. Perchè non ci avete pensato? – E scotendo un dito rimproverante a Fioretti: – Perchè non mi avete condotta a sentire la Villari?

Fioretti si profuse in discolpe e scuse, e baciandole le dita ingemmate, promise che ve l'avrebbe condotta l'indomani, e la sera appresso, e tutte le sere!

Quindi Nino si accommiatò, con molti inchini e baciamani; e Fioretti lo condusse sino alla porta.

– Chi è? – domandò Nino.

– Una « lady » dell'aristocrazia, – disse Fioretti. – Divorziata.

– Deliziosa, – disse Nino.

– Milionaria, – soggiunse Fioretti; e, stretta rapidamente la mano all'amico, tornò al suo tavolo.

Le tragiche donne del Cossa salmodiavano già le loro nenie quando Nino entrò in teatro. Prese posto in una poltrona di quarta fila; e subito il suo cuore si aprì al suono delle voci italiane. Il suo sangue latino pulsava in perfetto accordo colla sonora dolcezza delle parole familiari, colla graziosa violenza dei gesti noti.

All'improvviso entrò in scena la Villari, e tutto sparve per Nino all'infuori di lei. Fervida e sottile, ardente e leggiadra, ella tenne subito tra le piccole mani calde i cuori del placido pubblico inglese, scuotendone i nervi, costringendoli e attirandoli verso inusitate passioni.

Nino sedeva immobile, col cuore scosso da forti battiti, e si chiedeva se ella lo ravviserebbe. Ricordò la prima volta in cui gli occhi di questa donna avevano incontrati i suoi: al Manzoni, a Milano, quattro anni prima.

Come ricordava quella sera! Gli pareva ieri!… Si dava la « Saffo » di Daudet; e Nino era andato con la zia Carlotta e la cugina Adele in un palco di proscenio. Nel secondo atto egli rideva con Adele della veemenza della scena d'amore quando, all'improvviso, si accorse che la Villari lo guardava. Sì, guardava lui! Lo fissava con grandi occhi penetranti, lungamente, deliberatamente, mentre Jean le singhiozzava ai piedi. Poi ella pronunciò la famosa frase del Daudet: « Toi, tu ne marchais pas encore que moi déjà je roulais dans les bras des hommes », tenendo sempre gli occhi fissi e profondi sul viso di Nino. Capricciosa e bizzarra qual'era, aveva detto quelle parole in francese, in mezzo al dramma italiano, quasi per sottolinearle di più. Poi s'era voltata via ed aveva continuato la sua parte senza più badare a lui. E a Nino pareva di aver sognato. Adele era stata sarcastica ed acidetta tutta sera. Poi – ah, come Nino se lo ricordava! – il giorno seguente egli aveva mandato dei fiori alla Villari. (Essa se li aspettava!)… E una settimana dopo, le aveva mandato un braccialetto con brillanti e rubini, avendo venduto a questo scopo il pianoforte della zia Carlotta durante una sua assenza.

Ed oggi, ecco, ella gli stava davanti ancora, fervida e sottile, ardente e leggiadra, e Nino, immobile, col cuore palpitante, si domandava se essa lo ravviserebbe.

A un tratto ella volse gli occhi verso di lui e lo fissò con sguardo fermo e profondo. Tanto a lungo ella lo guardò che gli parve che tutti dovessero accorgersene, e Nino si sentì mancare il respiro per la commozione.

Quando cadde il sipario, le fece portare in camerino il suo biglietto di visita.

Ma ella si rifiutò di riceverlo. Nè volle vederlo alla fine del dramma. Il giorno seguente le mandò dei fiori (ella se li aspettava)! – ma quando andò a trovarla al suo albergo, gli venne detto che la signora non c'era per nessuno.

Così, egli assistette a nove delle dodici recite; ed ella continuò a non volerlo ricevere. Poichè ella era astuta e fine; e aveva trentotto anni; e conosceva il cuore degli uomini. Conosceva anche il proprio cuore; e più di una volta le era parso di scoprire in esso dei sintomi di ciò ch'ella chiamava una « cotta », una « toquade », per questo giovane Nino dalla testa ricciuta, dal riso leggiero, dagli occhi violenti.

Nunziata Villari temeva le sue « cotte ». E non a torto. Da tempo ne conosceva i disastrosi effetti. Sapeva quanto fossero dannose alla sua carnagione, rovinose pei suoi affari; torturanti nel loro svolgersi, e strazianti alla loro fine. E sopratutto le faceva paura una cotta per Nino; poichè Nino era uno di quelli dal naso di pasta frolla, e quindi sarebbe stato certo una fonte di sofferenze per lei.

Così, una sera dopo l'altra, Nino seduto nella sua poltrona al Garrick, la guardava e contava i giorni che gli rimanevano prima che ella ripartisse. Ogni sera ella era diversa: era Saffo e Maddalena; era Norah e Fedora; era Fedra e Desdemona. Ogni sera ella era davanti a lui tutta sorrisi o lagrime, tutta amore od odio. La vedeva dolce e spaventosa, feroce e ammaliante. La vedeva abbracciare e uccidere; contorcersi in morti delicate o terribili. Ella era la purità risplendente e il trionfale peccato. Era l'Eterno Feminino, l'immortale Amante – la sempre Desiderante e la sempre Desiderata.

Allorchè dopo l'undecima recita ella gli concesse finalmente di vederla, egli entrò nel camerino, pallido, con le labbra tremanti. Senza una parola di saluto, senza rispondere al sorriso di lei, si lasciò cadere su una seggiola e nascose il volto tra le mani. E ciò fece ridere Marietta.

Ma Nunziata Villari non rise. Comprese d'un tratto che in tutte le sere passate ella non aveva recitato che per questo Nino; che per lui, per lui solo, ella aveva singhiozzato e pianto, riso e delirato. E vedendolo ora davanti a lei, con la faccia tra le mani, chino il bel capo ricciuto, ella si sentì nel cuore quel palpito intermittente che riconosceva e paventava.

– Misericordia! – sospirò. – Ho paura che sia un'altra cotta!

Era un'altra cotta.

IX

Nella Casa Grigia a Wareside, Fräulein Müller leggeva ancora la Divina Commedia all'inconscio zio Giacomo. I fiori dei meli oscillavano nella mite aria primaverile. Le farfalle passavano come fiori alati sul capo di Edith che giaceva in un seggiolone al sole, troppo stanca per muoversi e troppo svogliata per leggere. La piccola Nancy correva per il giardino, coi ricci scompigliati, inseguendo i pensieri e le parole che le balzavano innanzi o le cantavano nella fantasia; e pensieri e parole si dividevano in strofe, si accoppiavano in rime, come fanciulli che danzano.

Sedute nell'ombra le due madri vegliavano; la signora Avory non distoglieva gli occhi dal volto di Edith se non per leggerle qualche libro, di cui presto la fanciulla si stancava. Valeria – placida e pietosa se Nancy era lontana – stringeva le labbra, fosca negli occhi, appena udiva Edith chiamare la piccina; e se questa correva all'appello, subito Valeria la chiamava, e la circondava con braccia gelose.

Allora il volto della madre di Edith si faceva duro e il suo cuore era invaso dall'amarezza. Si alzava rapida, e avvicinandosi ad Edith si chinava su di lei con parole incoerenti, cercando di distrarla, per non lasciarla accorgere delle crudeli paure di Valeria.

Sopra le inconscie teste delle loro figlie gli sguardi delle due donne si incrociavano, ostili e duri, ognuna proteggendo la propria creatura, ognuna accusando l'altra.

– Edith è ammalata, – dicevano gli occhi della signora Avory, – ma non voglio che lo sappia.

– Edith è ammalata, dicevano gli occhi di Valeria, – non voglio che Nancy le stia vicino.

– Non bisogna affliggere Edith, – dicevano gli occhi della signora Avory.

– Non bisogna esporre Nancy al pericolo, – rispondeva lo sguardo di Valeria.

– Mamma, – trillava all'improvviso la limpida voce di Nancy, – credi tu che Maggio sia una fanciulla?

– Cosa vuoi dire, cara?

– Ma sì! il mese di Maggio! non ti pare che sia una ragazza, bionda e inghirlandata, che passa correndo leggiera leggiera sui prati? e dove tocca le siepi col dito fioriscono!

– Sì, sarà così, gioia mia, – rispondeva sua madre, distratta.

– O credi piuttosto che sia un fanciullo, un ragazzo capriccioso e prepotente, coi ricci che gli cadono sugli occhi… Mi pare di vederlo correre all'impazzata per la campagna, scotendo i rami per far guardar fuori le foglioline spaurite e lanciando traverso il cielo gli uccelletti felici e sbalorditi.

– Sì, cara, sarà proprio così…

– Oh! mamma, non dài retta a niente, – rise Nancy, e corse via pel prato, improvvisando nell'andare:

 
Says May: « I am a girl!
May is short for Margaret,
Margaret or Daisy.
The petals of a jessamine
No boy's hand could unfurl! »
Says May: « I am a girl ».
 
 
Says May: « I am a boy!
May is short for.... »
 

– « For what »? – pensa Nancy, rabbuiandosi, impaziente colla parola ribelle che non viene quando si vuole. Poi salterellando attraverso l'erba:

 
Says May: « I am a boy!
May is short for Marmaduke,
As all the world should know!
I taught the birds their trills and shakes,
No girl could whistle so! »
 
 
So May the girl, and May the boy, they quarrel all day long
While the flowers stop their budding, and the birds forget their song,
And God says: « Now to punish you, I'll hang out the new moon
And take and bundle both of you into the month of June ».
 

– Veramente, – riflettè Nancy, – « May » non è affatto il vezzeggiativo di « Marmaduke ». Ma come fare? Ci deve essere per la poesia un Mago che tiene tutti i pensieri chiusi in una stanza buia e tutti i vestiti dei pensieri – che sono poi le parole! – chiuse in un'altra. E la difficoltà sta nel trovare i vestiti giusti per i pensieri… Qualche volta esce dalla stanza buia un pensiero bello, alto, chiaro come un arcangelo! e si va a cercargli un vestito, e non si trovano che degli straccetti che non gli stanno. E qualche volta si ha un pensiero storto, insignificante, un rospiciattolo di pensiero! e gli si trova una gran veste a strascico d'argento. Quando sarò un grande poeta, – sospirò Nancy, – spero di non condurre attorno dei rospi di pensiero vestiti d'argento…

Nella sua seggiola al sole Edith aprì gli occhi.

– Nancy! dov'è Nancy?

Valeria balzò in piedi.

– Vuoi qualche cosa, Edith cara?

– No, niente; vorrei Nancy! mi piace tanto vederla. E sono proprio troppo pigra per correrle dietro.

– La chiamerò io, – disse Valeria.

A quella risposta inaspettata, la signora Avory alzò gli occhi sorpresi e grati, e sorrise a sua nuora.

Valeria trovò Nancy che declamava dei versi agli alberi del frutteto. S'inginocchiò sull'erba ad allacciarle la scarpetta sciolta, e disse senza alzare il viso:

– Nancy vai da Edith. Ma… senti… cara, non devi baciarla.

– Oh! è stata cattiva?

– No, gioia, no. – Valeria ancora in ginocchio cinse col braccio la piccina. – La povera Edith è malata, – disse lentamente.

– Allora la bacierò il doppio, – disse Nancy facendosi rossa.

– Bimba mia! bimba mia! cerca di capire! – scongiurò Valeria. – Edith è ammalata; come lo era il tuo papà… povero caro papà! – che è morto. Ed è lo stesso male che avevano le sue sorelle – e sono morte. E se tu la baci, oh, anima mia, adorata mia! potresti ammalarti anche tu, e morire. Pensa, pensa che ogni volta che tu baci Edith, è come se tu prendessi una spada per trafiggere il cuore di tua mamma.

Vi fu una lunga pausa.

– Ma se rifiuto di baciarla, non sarà una spada che trafigge il cuore a lei?

– Forse, – sospirò Valeria.

– E se una spada trafigge il cuore di Edith, non sarà trafitto anche il cuore della nonna?

– Sì, – disse Valeria.

Un'altra lunga pausa. Poi Nancy disse:

– Dunque c'è una spada per ogni cuore… credo che potrei fare una poesia su questo pensiero…

I suoi larghi occhi non vedevano più nulla, nè sua madre, nè Edith ammalata; vedevano un gigantesco cuore, il cuore del mondo, trafitto e sanguinante: e quel sangue lo sentiva già fluire e scorrere in versi, e il ritmo le pulsava nella mente…

– Santa Vergine, assisteteci, – sospirò Valeria. – Vai! vai da Edith, che ti aspetta.

E Nancy andò: e baciò Edith, perchè aveva già scordato tutto ciò che la sua mamma le aveva detto.

Poco dopo comparve lo zio Giacomo, che veniva rapidamente a loro con una lettera in mano. Era una lettera di Nino; e l'ira dello zio Giacomo non aveva limiti. Nino era un mostro, era uno scemo, era un cretino, era un imbecille e figlio di imbecille!… E Valeria era una stupida e insensata creatura, che avrebbe potuto trattenere Nino e tenersi Nino e sposarsi Nino perchè Nino era un angelo e nessun marito avrebbe potuto essere più angelo di lui; e ora invece quel triplice estratto di insensata imbecillità, se n'era scappato con una attrice – una perfida, linguacciuta vipera senile, che lo aveva seguito in Inghilterra e perseguitato e instupidito!… E tutto era colpa di Valeria e di Fräulein! Sì, di Fräulein! Di quell'assurda ed esaltata persona tedesca che aveva fatto di lui, zio Giacomo, un idiota e un buono a nulla, coll'ululargli nelle orecchie, da mattina a sera, i pazzeschi canti dell'Inferno di Dante.

Fräulein pianse, e Valeria pianse; ma ciò non servì affatto allo zio Giacomo.

E neppure fece tornare Nino da San Remo, dove passeggiava sotto le palme con la Villari. E la Villari sospirava languida e beata, sciolta nell'angoscia deliziante della sua « cotta » novella.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 haziran 2018
Hacim:
400 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain

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