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Kitabı oku: «Vae victis!», sayfa 9

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«E questo giustifica forse un delitto? Reynolds, Reynolds – ti renderesti reo di un crimine?»

«Reo o non reo,» dichiarò il dottore, «davanti a questo caso sento l'obbligo di intervenire.»

Il Reverendo tremava, scuotendo le mani congiunte: «Tu – tu uccideresti un essere umano?»

«Non è quasi ancora un essere umano,» fece il dottore crollando impaziente le spalle. «Per me, questa donna è afflitta da un morbo, da una infermità. Porta in sè un male che va estirpato, un male che corrompe ed avvelena le più profonde sorgenti della vita. Se questa donna in queste stesse condizioni fosse tisica, tu lo sai che si ammetterebbe senz'altro l'intervento. Orbene, essa è malata; essa è psicopatica. Il continuare in queste condizioni mette a repentaglio la sua vita e la sua ragione. Il dottore ha il diritto, anzi, ha il sacrosanto dovere di salvarla – se può.»

«A spese della vita umana ch'essa porta in sè?» chiese il Vicario, colla voce soffocata.

«Sì, sì. A spese di questo germe di vita malefico e intossicato.»

Il Vicario con gesto di orrore si portò la mano alla fronte; ma lo scienziato, irremovibile, continuò:

«Se gli eventi seguissero il loro corso, tu lo sai al pari di me ciò che ne risulterebbe. Ammetterai che la creatura concepita nella violenza e nell'alcoolismo sarà probabilmente un anormale, un degenerato, un epilettico.» Il dottore additò il divano dove giaceva Luisa livida e svenuta. «E la madre? Guardala! La madre andrà al cimitero o al manicomio.»

Il Vicario non rispose. La signora Yule con gli occhi pieni di lagrime e le mani tremanti gli si avvicinò, ma egli distolse il viso e guardò fuori sul giardino ormai quasi buio sotto la scrosciante pioggia.

Finalmente si volse, austero e pallido, verso il dottore:

«Reynolds, noi siamo dei vecchi amici, non è vero? Orbene, con quanto affetto, con quanta autorità ho, ti prego – ti comando di desistere dal tuo proposito.» E poichè il dottore taceva, soggiunse: «Ricordati, Reynolds, l'atto che stai per compiere non è solamente immorale – è anche illegale.»

«Se la tua coscienza, Yule, ti spinge a denunziarlo all'autorità, fa pure.» E il dottore si chinò sopra l'incosciente Luisa e le toccò la fronte e il polso. «Quanto a me, farò il mio dovere.»

«Ed io farò il mio,» dichiarò tremando il sacerdote.

«Che sarà – di pregare per loro!» implorò sua moglie, ponendogli le braccia intorno al collo e tentando di trarre a sè quel viso severo e doloroso.

Ma egli si sciolse dal suo abbraccio e senza una parola uscì dalla stanza.

XV

Era calato il crepuscolo – il malinconico crepuscolo di novembre – allorchè Luisa uscì dal cancello del Vicariato e si affrettò verso casa traverso i prati umidi e le campestri viottole deserte.

Non aveva voluto che la signora Yule l'accompagnasse nè che la facesse accompagnare. Aveva bisogno d'essere sola – sola a guardare in faccia la sua felicità, sola colla sua nuova divina estasi di gratitudine!

Ah! finiti, finiti i giorni di martirio, le notti d'incubo e di terrore! A Luisa pareva di uscire da una negra caverna in cui giacessero uccisi i fantastici Mostri che l'avevano straziata – la Vergogna dal volto fiammante, e l'Orrore che le aveva conficcato gli artigli nelle carni, e la Pazzia frenetica e ghignante…

Libera, redimita, rinnovata, ella usciva con passo alato nella vita, e vi trovava ancora fiorenti per lei la giovinezza e la felicità.

Come un fiotto di luce le rifulsero nel cuore tutte le fedi e tutte le speranze. Claudio sarebbe tornato; il Belgio sarebbe liberato dall'invasore; Mirella avrebbe ritrovata la parola – sì! Mirella avrebbe ritrovata la dolce voce e il riso trillante....

Chissà! forse era causa lei stessa della sventura di Mirella; forse il negro abisso in cui vagava l'anima materna aveva attirato nelle sue profondità anche lo spirito della bambina.... Certo ora che Luisa usciva fuor dalle tenebre, anche quel frale spirito infantile moverebbe con lei verso la luce. Ah, sì! Certo tutte le gioie erano possibili in questo mondo pieno di gioia.

Luisa affrettava il passo, lieve e lesta nella nebbia crepuscolare, aspettandosi quasi di vedere Mirella, già guarita, correrle incontro gaia e garrula, chiamando: «Mamma!»

O forse le verrebbe incontro Chérie, lieta, agitata, ad annunciarle la nuova che il miracolo era avvenuto?…

Chérie!

Il nome, il pensiero di Chérie colpirono, il cuore di Luisa con un urto improvviso. Sostò. Era come se una folata di vento autunnale avesse spente la luce della gioia ch'era in lei. Ritta tremante in mezzo alla via, ella sentì che il nembo le si riaddensava d'intorno, che l'abisso la riprendeva.

Chérie! Che cosa aveva detto di Chérie il dottore, accompagnandola or ora al cancello del Vicariato? Tenendole le mani in una stretta forte che le prometteva salvezza e liberazione, quali parole aveva egli pronunciate? Ella allora non le udì, non le comprese, rapita nella sua travolgente felicità e gratitudine; ma ora quelle parole le ritornavano d'un tratto nella memoria, ora le riudiva, le comprendeva.

Il dottore aveva detto guardandola fisso in volto: «E che ne sarà di vostra sorella?»

Vostra sorella! Egli alludeva a Chérie. E che ne sarebbe di lei? Ancora una volta Luisa sentì quel tuffo nel sangue, come un sordo colpo datole nel cuore.

Poichè ben sapeva ella ciò che il dottore intendeva dire; ben sapeva ella che ne era di Chérie.

Lo stesso abominio, lo stesso orrore, la stessa sciagura.

Luisa chiuse gli occhi e strinse i denti. Se lo stato di Chérie si faceva palese anche agli occhi degli estranei, come dubitare ancora, sperare ancora? Fino ad oggi, tutta compresa nella sua propria sventura, afferrata dal turbine delle sue proprie angoscie, Luisa aveva risolutamente chiuso gli occhi e il cuore ad ogni altro pensiero; ciò che accadeva intorno a lei era parso senza importanza, insignificante ed irreale come un sogno. Se nello sfondo del suo pensiero aveva pur sentito la minaccia di quell'altra sventura, nella lotta di vita e di morte in cui si dibatteva non si era fermata a domandarsi che ne sarebbe di quell'altra anima che naufragava accanto a lei, infranta e sommersa dalla medesima procella.

Ma ora bisognava affrontare ancora questo strazio. Bisognava rivelare a Chérie la verità, aprirle gli occhi all'orribile sua sventura.

Poichè Luisa sapeva – per quanto incredibile ciò potesse sembrare ad altri – che Chérie era completamente ignara di quanto le era accaduto in quella notte, in cui il terrore, l'ebrietà e la violenza l'avevano piombata nell'incoscienza. Non un barlume della verità, non una favilla di comprensione aveva rischiarato la sua inesperienza, non un alito di dubbio aveva sfiorato la sua semplicità. Pura sebbene contaminata, candida sebbene violata – ben di lei potevasi dire che aveva concepito senza peccato.

Luisa seguitò il suo cammino per la viottola ormai immersa nell'ombra. La sua gioia celava il volto davanti al dolore che doveva recare a Chérie, alla ferita che doveva infliggere a quell'anima innocente.

Ma ben presto ripensando al messaggio di conforto e di speranza che al tempo stesso poteva recarle, la gioia si ridestò cantando nel suo cuore.

Ed eccole – eccole al cancello le due dilette figure aspettanti! La più alta cingeva col braccio la più piccina, e Luisa corse loro incontro, agile, colle braccia tese.

«Luisa!» esclamò Chérie, «dove sei stata? E come sei raggiante! Anche nel buio e da lontano ho visto il tuo sorriso!»

Luisa le baciò le fresche guancie, prese nella sua la manina fredda di Mirella, e si avviò tra loro verso casa. Ah, come brillavano allegre le finestre illuminate! Come placido e sicuro era questo loro asilo! Come generosi i cuori che le ospitavano! Come lieta, dolce e bella era la vita!

—–

«Dimmi la verità, Lulù,» disse Chérie quella sera, allorchè Luisa, avendo messo a letto Mirella, ritornò nel loro salottino; i riflessi del fuoco danzavano sulle gaie pareti e sulle tende cremisi ben chiuse. «Dimmi la verità – tu hai avute notizie! Tu sai qualche cosa di Claudio.... qualche cosa —» Chérie si fece rossa dal niveo collo fino alla linea classica e delicata della fronte – «di Florian! Sì, sì! Te lo leggo in viso. Tu hai avuto notizie.»

Sì; Luisa aveva avuto notizie.

«Buone notizie?…»

Sì. Buone notizie. – Luisa sedette su di una poltroncina accanto al fuoco e disse piano: «Chérie.»

Quella venne rapida a mettersi ai suoi piedi; i bagliori della fiamma le guizzavano sui capelli fulvi e sul latteo ovale del viso.

«Chérie…» La voce di Luisa era trepida e sommessa. Le pareva d'essere un carnefice; le pareva di dover compiere un assassinio su qualcosa d'infinitamente tenero e floreale, di dover aprire a forza i petali chiusi di quell'anima ancora infantile e riempirne il calice di veleno. I vili le avevano violato il corpo; a lei pareva di doverne violare l'anima.

Chérie alzava verso di lei un viso radioso, pieno di lieta aspettativa.

Come dirle? Come dirle?....

Luisa si chinò e coprì con una mano quegli occhi fulgenti, interrogatori.

«Domani, Chérie!… Domani.»

XVI

La mattina seguente Chérie si svegliò presto. Non le riuscì di capire che cosa l'avesse strappata d'improvviso al sonno. Certo ella si trovò desta a un tratto cogli occhi sbarrati, con ogni nervo teso e vibrante in una specie d'aspettazione intensa. Che cosa aspettava? Ella stessa non l'avrebbe saputo dire. Era accaduto qualche cosa che l'aveva svegliata, ed alla ora stava aspettando che questa cosa si rivelasse, si ripetesse; aspettava di riudire o di riprovare ciò che l'aveva così di soprassalto destata. Ma la misteriosa causa del suo improvviso risveglio, fosse suono o sensazione, non si ripetè.

Chérie si alzò rapida, infilò i piedini nelle babbuccie e andò alla finestra; appoggiò i gomiti nudi sul davanzale e guardò nel giardino. Il suo sguardo azzurro vagò sul prato luccicante di pioggia, sugli alberi spogli che si disegnavano neri e nitidi contro il cielo mattinale. Era un'alba grigio-rosata, d'una luminosità così soave che si sarebbe detta di primavera e non d'autunno. Vi era nell'aria pallida e radiosa come una promessa di giornate serene.

D'un tratto Chérie si sentì invasa da quell'onda di stordimento e vertigine che ormai era solita provare. Il pavimento ondeggiò sotto ai suoi piedi, e la mortale nausea che conosceva e temeva le serrò la gola.

Poi questi fenomeni svanirono e Chérie si sentì perfettamente bene; le parve anzi di provare uno strano e lieto senso di benessere che le era nuovo. Era una sensazione indefinita di gioia – di gioia morale e fisica, era… che cosa era? Era come una pulsazione lieve, un fremito d'una dolcezza impossibile a definire. Ma non appena questo strano senso la scosse, che già era svanito. Allora Chérie si rammentò: ecco ciò che l'aveva svegliata! Sì, era quello stesso palpito strano ch'ella aveva sentito nel sonno – quel lieve tremolio somigliante a un batter d'ali, quasi che un altro cuore pulsasse entro al suo.

Così strano, così nuovo, così profondo era questo brivido di gioia ch'ella pensò per un momento di correre in camera di Luisa a chiederle che cosa potesse significare. Ma già la sensazione era cessata, lo stranissimo senso di gioia fisica era svanito e a Chérie parve quasi impossibile rammentare a sè stessa, tanto meno descrivere ad altri ciò che aveva provato.

Chérie, certa di non poter più dormire, si vestì, rapida e silenziosa per non destare Luisa, avvolse le gracili spalle in uno scialletto e scese nel giardino.

Quel mattino anche Giorgio Whitaker si era svegliato di buon'ora. Erano questi i suoi ultimi giorni di licenza prima di partire per il fronte, ed egli aveva nell'animo una febbrile irrequietezza. Sua sorella Eva doveva tornare da Hastings quella mattina stessa; passerebbero insieme questi ultimi due giorni felici prima della sua partenza per quella meravigliosa e spaventosa avventura ch'è la guerra.

Aveva obbedito al desiderio di sua madre e non aveva più cercato di trovarsi o di discorrere colle loro ospiti belghe. Invero era facile – troppo facile! pensò Giorgio con un sospiro – evitare ogni incontro con loro, poichè sembravano farsi ogni giorno più timide e ritrose. Giorgio appena le scorgeva, apparizioni fugaci, dietro le loro finestre chiuse; tal'altra volta gli era concessa una visione del capo lucente di Chérie, chino sopra un lavoro o un libro presso il balcone dello studio.

Quel mattino mentre egli stava vigorosamente spazzolandosi i folti capelli il suo sguardo distratto errò sul giardino; allora scorse Chérie collo scialletto bianco intorno alle spalle e un libro in mano che se ne andava lenta pel viale verso il pergolato. Giorgio buttò giù le spazzole e finì di vestirsi in fretta e furia.

Dopo tutto – riflettè – erano queste le sue ultime quarantott'ore in Inghilterra. Poi sarebbe partito, partito per andare chissà dove, per ritornare chissà quando! Forse non avrebbe più avuto un'occasione come questa per vedere e salutare la fanciulla belga. A dir vero, era un po' presto per dirle addio; l'avrebbe poi incontrata ad ogni istante nei giorni seguenti, poichè Eva, tornando, soleva sempre tenersi d'accanto la sua piccola amica straniera. Già; Eva aveva un certo modo di passare il suo braccio sotto quello di Chérie e di portarsela via, dicendo: «Allons, Chérie!» che Giorgio, ripensandovi, trovava molto simpatico. Non sarebbe spiaciuto neppure a lui di prendere per il braccio bianco e delicato la soave creatura e dirle: «Allons, Chérie!…»

E si figurava lo stupore nei grandi occhi azzurri e il rossor vivo sulle guancia delicate – forse un corrugar sdegnato delle ciglia.... oppure, chissà? le sarebbe brillato nel volto soave la fuggevole meraviglia del sorriso.

Corse giù per le scale e in giardino; in un attimo fu sotto al pergolato, ma Chérie non c'era più. La trovò che passeggiava lungo il laghetto artificiale nel bosco; era immersa nella lettura d'un libro.

«Buon giorno,» disse Giorgio in tono di eccessiva naturalezza, quasi fosse cosa abituale l'incontrarsi in giardino a quell'ora.

Ella, assai sorpresa, alzò il viso.

«Oh! buon giorno, Monsieur Georges!» e la morbidezza francese dei «g» nel suo nome suonò assai dolce al signor Giorgio.

«Che cosa fate levata così presto?»

«Et vous?» ribattè lei con quel suo breve, vivido sorriso.

«Io… io… sono venuto a dirvi addio!»

«Addio? Ma come mai? Credevo non partiste che domani sera?» esclamò Chérie.

«Perfettamente,» rispose Giorgio. «Ma io amo fare le cose senza fretta. Perciò comincio a salutare gli amici due giorni prima del tempo.»

E di nuovo gli piacque il rapido sorgere e sparire del sorriso che le arcuava la bocca e le metteva delle fossette nelle guancie.

«Allora – addio,» fece lei guardandolo per un attimo e presentendo che quella partenza l'avrebbe lasciata più triste.

Egli le prese di mano il libro, e poi le stese la mano destra.

«Addio!»

Chérie pose in quella di lui la sua mano piccola e fredda. E Giorgio, poichè non trovava altro da dire, ripetè: «Addio!»

«Addio,» rispose lei ridendo. «Ma adesso bisogna che ve n'andiate. Non potete continuare a dirmi addio, e restar qui.»

«Già;» ammise Giorgio. «Adesso me ne vado.» Poi tossì per darsi un contegno, e soggiunse con aria che voleva essere indifferente: «Sarete ancora qui, quando ritorno dal fronte? Ho idea che non vi piacerebbe vivere sempre in Inghilterra.»

«Non lo so,» rispose Chérie, incerta. «A dir vero non ci ho mai pensato.»

«Capisco,» ribattè Giorgio con qualche insistenza. «Ma vi piace l'Inghilterra? O non vi piace?»

«S'il vous plaît Londres?» citò essa alzando a lui gli occhi ridenti.

Ah! certo, pensò Giorgio, non vi erano nel mondo altri occhi colle ciglia così lunghe, altre pupille così stellanti e raggianti!

«E' vero che per certe cose l'Inghilterra non mi piace,» ella osservò pensosa. «Per esempio, le donne inglesi – non è che non mi piacciano… ma non le capisco. Sembrano – come dire? – così rigide, così aride d'anima....» Aveva staccato un ramoscello di bacche invernali e con esso giocherellava distratta camminando accanto a lui. «Pare sempre che abbiano paura di essere troppo espansive o troppo cortesi.»

«E' forse vero,» riflettè Giorgio.

«Appena arrivate qui, vostra sorella ce ne parlò per metterci sull'avvisato. – Guardatevi bene – disse – dal far vedere ad una donna inglese che avete della simpatia per lei. Qui non si usa; e sareste fraintese.»

«Perfettamente,» osservò Giorgio. «A noi non piacciono le effusioni esagerate. Se siete molto amabile si pensa subito che avete bisogno di qualche cosa; che state per chiedere denari o qualche altro favore.»

«Che strana idea!» esclamò Chérie.

«Eppure è così. Dovreste vedere mia madre com'è squisitamente villana colla gente che incontra per la prima volta! E' questo il segreto dei suoi grandi successi in società.»

Chérie rise. Giorgio, dopo un momento di silenzio, parlò esitante:

«E.... e gli uomini di questo paese? Vi piacciono poco anche quelli?»

«A dir vero non li conosco,» disse lei. «A guardarli» – e volse lo schietto sguardo azzurro in pieno su di lui – «a guardarli sono belli.»

Un vivido rossore tinse la fronte abbronzata di Giorgio.

«E… e non vi verrebbe mai in mente, vero? l'idea di.... di sposare un inglese?»

Chérie scosse il capo, e le lunghe ciglia batterono sulle iridi stellanti. «Sono fidanzata,» disse piano. E con una stretta al cuore, soggiunse: «ad un soldato belga.»

«Ah. Già. Sicuro. Naturale,» disse Giorgio in fretta.

Proseguirono a fianco l'uno dell'altro in silenzio. Finalmente egli, non sapendo che cosa dire, aprì il libro che ancora teneva tra le mani.

«Che cosa leggevate?… Poesia?»

Diede un'occhiata al frontispizio e vide scritto le parole: «Florian Audet à Chérie.» Voltò subito il foglio.

«Sì,» disse Chérie.

«Già… poesia…» ripetè Giorgio, «di Victor Hugo. – Ma ecco un verso che pare scritto per voi:

 
«Elle était pâle et pourtant rose…»
 

Si volse a guardarla: «Voi siete proprio così.»

Ella non rispose. Ancora, ancora quel batter d'ali nel cuore? Cominciava ad impaurirsi. Che fosse «angina pectoris» o qualche altra strana e terribile malattia? Non le dava dolore, ma la faceva vibrare da capo a piedi.

«Siete proprio pâle et pourtant rose, in questo momento,» ripetè Giorgio guardandola. Poi soggiunse con un po' d'amarezza nella voce e rendendole il libro: «State pensando al giorno in cui sposerete il vostro soldato belga?»

«Forse non vivrò fino a quel giorno,» mormorò Chérie a voce spenta. Il fremito non cessava, non cessava!

«Che idea!» esclamò Giorgio.

«E quanto a lui,» continuò Chérie con un singhiozzo, «forse a quest'ora me l'avranno già ucciso.»

«Ma no!» esclamò Giorgio. «Non dite questo. Vive, vive certo. E voi vivrete. E sarete tanto felici. – Quanto a me,» soggiunse rapido, «io vado a divertirmi un mondo. Ho idea che mi manderanno ai Dardanelli… I Dardanelli! Che bel nome allegro! Pare uno scampanellìo a festa.» E rise cacciandosi all'indietro i capelli dalla fronte chiara ed aperta. «Mi piace l'idea di andare ai Dardanelli.»

«Vi auguro fortuna,» disse Chérie guardandolo con un improvviso senso di tenerezza e di rimpianto.

Avevano fatto il giro del lago ed ora tornavano indietro sotto al pergolato in piena vista delle finestre della villa. Sul balconcino dello studio s'era affacciata Luisa. Chérie vide che le faceva cenno colla mano, e corse sotto al balcone alzando gli occhi.

«Mi chiamavi?»

«Ah, Chérie! Non sapevo dov'eri,» disse Luisa, china sovra il parapetto, «e mi sentivo in pena. Non vuoi venir su, cara? Ho da parlarti.»

«Ah, è vero! è vero!» esclamò Chérie, e i suoi occhi lampeggiarono rammentando la promessa fattale dalla cognata la sera precedente. «Ora mi dirai…» Si volse a Giorgio. «Devo entrare,» disse. «Dunque è venuto davvero il momento di dirci addio!» E rise.

«Addio!» disse Giorgio, grave e un po' pallido.

«E perchè non diremmo arrivederci?» fece Chérie colla mano in quella di lui.

«Ah, sì!» disse Giorgio guardandola intensamente. «Diciamo arrivederci!»

«Arrivederci, signor Giorgio!… Arrivederci!»

E Chérie entrò in casa.

—–

La sera seguente il giovane ufficiale partì.

Partì. E lo mandarono ai Dardanelli.

Nè vi fu mai su questa terra un «arrivederci» per il signor Giorgio.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 haziran 2018
Hacim:
230 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
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