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Kitabı oku: «I rossi e i neri, vol. 1», sayfa 4

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VI

Nel quale si dimostra che l'Enfisema non è un personaggio greco.

L'aspettare è la più brutta, la più fastidiosa delle occupazioni, anche quando non si abbia altro da aspettare che un amico, per andar di brigata a desinare in campagna; figuriamoci poi quando sia per un così grave negozio, come quello per cui Lorenzo e l'Assereto aspettavano il dottor Collini.

I preliminari di un duello e il tempo che scorre dalla disfida ai colpi, sono la pietra di paragone del coraggio di due avversarii. Ai tempi antichi, quando i gentiluomini portavano tutti la spada al fianco, il combattimento si faceva di sovente appena avvenuta la provocazione. Oggi, in cambio, manca l'uso dell'arma e manca per conseguenza l'occasione di far subito. Bisogna anzitutto mettersi in balìa di due padrini, i quali trattano, e qualche volta anco bistrattano la faccenda. Poi si ha da dormirci su; poi bisogna svegliarsi fuor d'ora, vestirsi, uscire e andar sul terreno, aspettare che i padrini s'intendano su cento minuzie, scelgano il luogo, misurino il campo, dividano, giuochino a sorte il lato migliore, visitino il petto e le braccia, diano le armi, i segnali e via discorrendo. Di questa guisa, un uomo di poco animo ci ha tempo a pentirsi d'essere andato tanto oltre; un uomo di polso ci ha tempo a sbadigliare di molto, come un povero viaggiatore sul disagiato sedile di una carrozza. Ma il Collini non era un uomo di polso, e Lorenzo Salvani lo aspettava inutilmente da un pezzo.

Guardò l'orologio per la ventesima volta; erano le quattro e cinquanta minuti.

– Oh, insomma! – gridò egli allora, – Assereto, levati su! —

L'Assereto balzò in piedi tutto confuso, stropicciandosi gli occhi.

– Perchè svegliarmi? – esclamò egli. – Facevo un sogno così bello! Figurati; sognavo che il tuo Collini era venuto, con un cuor da leone, tutto armato di feroci propositi. Ma vedo bene che bisognerà notare di falsità il detto di Omero.

– Qual detto? – chiese Lorenzo, in quella che ambedue, seguiti dal taciturno Michele, si avviavano verso la viottola di San Nazaro.

– Non sai? nel primo libro dell'Iliade, dove Achille dice che «__da Giove anco il sogno procede__». Ora il mio è stato un sogno inspirato da Momo, il Dio dello scherno. Il Collini non è venuto; andiamo noi.

– __Tu dixisti__, – rispose il Salvani, imitando la burlesca gravità di Giorgio Assereto. – Soltanto ti prego di studiare il passo, perchè la viottola è lunga, e mancano appena otto minuti alle cinque. —

A mezza strada trovarono la loro vettura, svegliarono il loro medico, che russava beatamente nel fondo; pigliarono le spade, e poi giù a passo di corsa fino a San Nazaro.

Il sole non era anche spuntato dallo scoglio di Portofino, dove i primi Genoati credevano che stesse a dormire; ma i primi colori dell'aurora dipingevano timidamente il cielo e le digradanti costiere ligustiche. Il rancio, il rosato e il verdognolo, magnifici colori che l'alba tiene in serbo nella sua tavolozza d'estate e d'autunno, cedevano qui il luogo ad una tinta pallida, tra turchiniccia e cenerognola, unico segno della mattutina risurrezione del creato.

Sul ripiano davanti alla chiesuola stavano quattro persone aspettando. Il marchese di Montalto, con un lungo pastrano nero abbottonato fino al collo, stava con le mani in tasca appoggiato al muro. Il medico guardava il mare, dando le spalle ai nuovi arrivati. Il marchese Pietrasanta e il conte Nelli di Rovereto, colla sua divisa di capitano e con la sua cappa cenericcia sulle spalle, guardavano verso lo sbocco della viottola.

Lorenzo e l'Assereto si fecero innanzi, salutando con molto garbo, e gli altri risposero del pari. Il Montalto non fece altro che metter la mano al cappello, e stette nella medesima postura di prima.

– Signori, – disse Lorenzo, – io spero che non ci ascriveranno a colpa lo averli fatti aspettare.

– Mai no; – rispose il Pietrasanta, – sono le cinque in punto.

– Questo so bene, signor marchese, – soggiunse il Salvani, – ma a noi duole di essere giunti dopo le Signorie loro al ritrovo. —

Gli altri si strinsero nelle spalle, quasi volessero dire: che ci abbiamo a far noi?

Lorenzo intese la mimica, ma finse di non addarsene.

– Signori, – soggiunse egli, con un sorriso malinconico, da cui trapelava l'angustia dell'animo, – aspettavamo il signor Collini. Ma, a quanto sembra, egli è stato trattenuto in città da altre faccende, che avrà reputate più urgenti. —

Un altro sorriso, ma di ineffabile disdegno, fu quello che sfiorò le labbra del marchese di Montalto. Gli altri si contentarono di tacere, aspettando la fine del discorso. Infatti Lorenzo, per nulla turbato proseguì:

– Siamo stati ad attenderlo fino all'ultimo. Egli ha mancato alla sua fede, e noi siamo venuti qua, per significare alle Signorie loro tutto il nostro rammarico. —

Il marchese di Montalto sorrise da capo. I suoi padrini si volsero a lui per vedere che cosa dicesse; ed egli allora, levatosi con piglio di noncuranza dalla sua prima postura, e cavandosi il cappello, pronunziò queste poche parole:

– Francava la spesa di alzarsi così per tempo, per riuscire a ciò!.. —

Il sangue si rimescolò tutto nelle vene al Salvani, e una vampa di fuoco gli corse alla fronte; tuttavia si contenne:

– Signori, – ripigliò a dire, – non avevo finito. Io ed il mio onorevole collega Giorgio Assereto significavamo alle Signorie loro il nostro rammarico, perchè questo era debito nostro. Siamo stati a recare un cartello di sfida al marchese Aloise di Montalto da parte del signor Ernesto Collini. Questi mancando al ritrovo, a noi correva obbligo di far loro le nostre scuse. Dopo di che, io, come primo padrino del signor Collini, mi metto a disposizione del marchese di Montalto. —

Il Pietrasanta e il Nelli, sebbene prevedessero questa fine, non poterono rattenersi da un senso di meraviglia, cagionato forse dall'accorto e cortese giro di frasi con cui il giovane Salvani l'aveva preparata. Essi lo guardarono in viso; era pallido, ma non del pallore della paura, poichè gli occhi suoi scintillavano per l'interno corruccio che egli durava fatica a frenare. L'Assereto, a cui le ultime parole del Montalto non avevano fatto minor senso, si era posto accanto all'amico, con un cipiglio da vecchio __hidalgo__ spagnuolo.

Michele, fermo a distanza legale, sorrideva ad uno de' suoi baffi, che andava tirando con molta compiacenza.

– Tanto meglio! – riprese il Montalto, rendendo con la superba esclamazione impossibile ogni mezzo di onesto componimento; poi, parlando a voce bassa coi padrini, soggiunse: – in verità, con questa gente non avrei sperato mai più di finirla così. —

Lorenzo, che aveva un udito finissimo, non perdette una sillaba di quel discorso fatto in disparte, ma stimò acconcio di tenerlo per sè.

Allora l'Assereto, il quale, per la deliberazione di Lorenzo Salvani, diventava egli il ministro plenipotenziario, fece il muso anche più arcigno di prima, ed invitò, con quella fredda cortesia che è l'arte somma dei padrini, la parte avversaria a misurare il terreno e a metter le condizioni.

Intanto Lorenzo era rimasto a guardare la marina, e si accendeva un sigaro. Aloise di Montalto, poco discosto da lui, ragionava di cose vane col suo medico.

Il terreno, dentro le mura della chiesuola fu in breve ora misurato e diviso. A Lorenzo toccava in sorte di dare le spalle all'ingresso; di guisa che, se il combattimento durava, egli avrebbe finito coll'avere il sole in faccia. Le spade, tratte a sorte, eran quelle di Lorenzo.

Furono fatti entrare i due avversarii, i quali si erano già cavati il pastrano, il soprabito e la sottoveste, rimanendo in maniche di camicia. Il conte Nelli di Rovereto prese il suo posto da un lato, e l'Assereto dall'altro, ambedue colla spada in mano. Mastro del combattimento fu nominato il Nelli, senz'altra formalità, perocchè Lorenzo aveva detto all'Assereto, che cedesse quell'ufficio, per abbondanza di cortesia, senza rimetterlo alla sorte.

I medici ed il Pietrasanta, che rimaneva fuor di quistione, si piantarono sulla porta. Michele aveva dovuto ritirarsi; ma, da quell'uomo di partiti che egli era, girando attorno alle mura, aveva trovato finalmente un buco, dal quale gli veniva fatto veder dentro a suo bell'agio; e potete immaginarvi che vi si mettesse con molta curiosità.

Come il Montalto e il Salvani si trovarono l'uno al cospetto dell'altro, il conte Nelli di Rovereto prese a parlar loro in questo modo:

– Signori, abbiamo deliberato che voi combattiate fino a tanto che uno sia ferito per modo da non poter più tenere la spada. Io, mastro di combattimento, vi darò il segnale di fermarvi quando mi paia che uno di voi sia toccato dalla punta dell'avversario, e il signor Assereto, dal canto suo, potrà fare lo stesso, quando si avveda di qualche ferita, che io, stando da questo lato, non potessi vedere per bene. —

L'Assereto s'inchinò in atto di assentimento. Il Nelli proseguì:

– Quando uno di voi scivolasse sul terreno, che mi pare un po' sdrucciolo per l'umidità del mattino, e si trovasse nel caso di dover indietreggiare fino ad una di quelle due linee che abbiamo segnate da una parte e dall'altra, sarà debito del suo avversario fermarsi al nostro comando, ed ambedue smettere il combattimento, sotto pena di essere notati di slealtà. Ma noi sappiamo che ciò non farete, essendo gentiluomini. E adesso, signori, a voi! —

Dopo questa frase sacramentale, i due avversarii, salutati alla lesta i padrini, incrociarono le spade.

Sulle prime non fu altro che un giuoco di finte. I due avversarii si studiavano a vicenda, per vedere se l'accennar d'un colpo passasse senza che fosse parato dall'altro. Lorenzo Salvani stette molto a spiegare il suo giuoco; egli parava largo anzi che no, a guisa di principiante. Senonchè egli fu presto costretto a stringere, perchè il Montalto, stanco di quelle schermaglie, aveva ingaggiato un assalto, con due botte diritte molto vigorose.

Lorenzo parò facilmente col forte della lama, e con la punta minacciò gagliardamente a sua volta. A quel punto, ambedue si accorsero di avere a stare attenti. Il Montalto era un esercitato schermidore, ricco di partiti e di bella apparenza. Lorenzo era più sodo, e non faceva di molte novità; ma un avversario accorto come il Montalto non poteva negare che quello era un osso duro a rodere, assai più che non facesse a prima giunta vedere.

Alla seconda botta del Montalto, Lorenzo aveva risposto con una seconda legatura del ferro, minacciandolo così da vicino, che il marchese dovette balzare indietro e battere la lama dell'avversario con un colpo vigoroso di terza. Lorenzo sollecito avea dato innanzi di un passo, e la lama del Montalto, non potendo andare più oltre a cercargli il petto, gli offese con la punta il dosso della mano; e siccome ambedue avevano voluto tirar senza guanto, si vide sulla mano di Lorenzo qualche goccia di sangue.

Il mastro di combattimento fu sollecito a fermarli, ed egli coll'Assereto e i due medici si fecero a guardar la ferita.

– Non è nulla; – disse Lorenzo, poichè ebbero guardato. – Non è nemmeno una scalfittura. —

Si rimisero in guardia; e qui davvero cominciò il combattimento. Lorenzo incalzava cosiffattamente, che il marchese di Montalto dovette balzare indietro due volte. Ma questi, tornando all'assalto, si avvide che il Salvani si studiava di non cedere d'un passo, e non abbandonava mai il terreno guadagnato. Allora il duello fu continuato di pie fermo, e i padrini dovettero poco dopo intromettersi, che già i due avversarii stavano elsa ad elsa, guardandosi e sorridendo.

Ambedue i padrini ruppero in un grido di ammirazione.

– Bravi! bravi, perdio! – esclamò il conte Nelli, il quale, da buon gentiluomo, non faceva più da padrino, ma da giudice imparziale. – Signori, voi siete due valenti avversarii. Io, con licenza del signor Assereto, vi prego a farla finita, e chi ardirà dire che non vi siete diportati da prodi cavalieri avrà da aggiustarla con noi.

– Signor conte, – disse Lorenzo, voltando a terra la punta della sua spada, – io di buon grado ascolterei i vostri consigli e la vostra preghiera, che tanto onora il vostro carattere. Ma per quanto io senta degno di stima il mio avversario, non posso dimenticare l'asciutta accoglienza che è stata fatta testè alle nostre prime parole, quando siamo venuti, con tanta nostra confusione, ad annunziare il brutto tiro del signor Collini. Non posso dimenticar la frase del signor marchese Aloise di Montalto, nè il suo riso sardonico, nè certe parole che ho dovuto udire, sebbene pronunziate a mezza voce con voi. Ora, io ho molta stima pel marchese Montalto, e non mi farei lecito mai di pensare che egli potesse ritrattare nessuno de' suoi gesti, o nessuna delle sue parole.

– Io vi ringrazio; – disse il Montalto, con molta cortesia di gesto e di accento, – e queste vostre parole m'insegnano a stimarvi di più.

– Sicchè?.. – dimandò il mastro di combattimento.

– Sicchè, mio caro Rovereto, – rispose il Montalto, – noi ci rimetteremo in guardia, con vostra licenza.

– E Dio v'aiuti; – soggiunse il bravo capitano. – Signori a voi! —

Il duello ricominciò. Ma Aloise di Montalto fu questa volta assai più guardingo e fece a studiar molto le parate. Il giovane cominciava a sentire dentro di sè un tal poco di pentimento per certi suoi modi, e da quel leal gentiluomo ch'egli era badò più a schermirsi che a ferire l'avversario.

Ma Lorenzo Salvani non era uomo da accettare simiglianti cortesie, e appena si fu avveduto che il Montalto tirava soltanto a difesa, spiccò un salto indietro, e piegando la spada a terra, parlò in questa guisa:

– Signor marchese, o assalite voi pure, o ch'io mi metterò ad imitarvi, e tireremo innanzi di questo passo fino al dì del giudizio universale.

– Oppure a quello di San Bellino, che casca tre giorni dopo; – soggiunse tra sè il vecchio Michele, che stava dal suo buco a guardare la scena.

– Avete ragione! – esclamò Aloise di Montalto. – Volete vincermi di cortesia, e ne avete il diritto. Ecco dunque, io vi contento. —

E così dicendo, si rifece al primo giuoco. Le spade giravano, s'inseguivano, si legavano e si districavano con una rapidità meravigliosa, senza dar tregua a quell'armonico soffregamento dell'acciaio, che fa ribollire il sangue nelle vene ai più dolci di tempera. Ma ogni bel giuoco dura poco; certe battute di terza e di quarta, che erano il forte del marchese di Montalto, non furono più così aggiustate come prima, e Lorenzo, che se ne avvide, incalzò. Finse una botta al sommo del petto, appoggiandola con una forte spaccata di gambe, e poi, girando il pugno, passò incontanente al fianco. Il Montalto non fu in tempo a respingere l'assalto, e la parata bassa che egli fece, giunse a mala pena a sviare un tratto la lama dell'avversario, la quale, in cambio di andargli al petto, lo colse in quella parte del costato, dove s'incurva verso le spalle.

Lorenzo, fatto il colpo, trasse la spada a sè, rimettendosi in guardia. Ma fu inutile: il Montalto era caduto a terra, e il sangue spicciava dalla ferita.

Allora tutti quanti accorsero per rialzare il caduto, e il dottor Mattei, ottimo giovanotto che faremo conoscer meglio ai nostri lettori quando ci venga a taglio, cortesemente aiutato dal suo collega in Esculapio, si fece a visitar la ferita.

Egli alzò dapprima la camicia, e con una pezzuola inzuppata d'acqua ripulì tutt'intorno alle labbra della ferita; per la qual cosa il Montalto, che nella repentina commozione del fatto era quasi uscito di sensi, si riebbe ed aperse gli occhi, sorridendo agli astanti.

Ma a costoro il sorriso del giovine non poteva bastare. Essi stavano tutti muti, con tanto d'occhi, aspettando il responso, ed interrogando gli sguardi del Mattei, che continuava la sua esplorazione.

– Penetrante? – gli chiese il collega, in quel gergo che i profani intendono così poco.

– Probabilmente: – rispose il Mattei, – la ferita è tra la settima e l'ottava costa, e dalla natura del colpo si può argomentare che vada dal basso all'alto nella cavità toracica.

– E, – disse l'altro con esitanza, – non c'è lesione?..

– Questo vedremo ora, – soggiunse il Mattei, guardando attentamente il collega e il ferito. —

Aloise intese la mimica, e fu pronto a mettere innanzi la sua parola.

– Parlate pure, mio caro Mattei; – disse egli, – con me potete dir tutto liberamente.

– Non temete, – interruppe il chirurgo; – io non ho l'uso di tacere la verità ai malati della vostra tempra. E poi, ancorchè il polmone fosse tocco, non ci sarebbe quel gran male che il volgo crede, ogni qual volta si tratta di simili lesioni. Aspettate, ora faccio un esperimento. —

Così dicendo, il buon discepolo di Chirone cavò fuori un moccolo, lo accese e lo accostò alle labbra della ferita.

– Vedete? – disse egli allora sorridendo con aria trionfale al collega. – La fiamma non si muove, e questo è buon segno. Ora guardate i tessuti circostanti alla ferita; essi non offrono alcuna traccia di enfisema. La qual cosa significa, – proseguì egli voltandosi ai profani, – che non c'è sfogo d'aria e che il polmone non ha ricevuto la visita del ferro. E nemmeno è lesa l'arteria intercostale, come possono vedere dalla pochezza del sangue spicciato dalla ferita.

– Non è dunque altro che una ferita leggiera? – chiese il Pietrasanta.

– Leggiera! Intendiamoci; – soggiunse il chirurgo; – per me non ci sono ferite leggiere, tranne le scalfitture; ed anco queste ci hanno i loro malanni, secondo i luoghi. Questa poi è una ferita bella e buona, e se fosse consentito dalle regole d'arte esplorarla con uno specillo, mi riprometterei di misurarvela profonda di sei centimetri o sette. Il marchese di Montalto si metta in riposo, e lasci fare a me ed alla natura, quella gran medichessa che ne sa dieci volte più di noi tutti.

– Potete immaginarvi, caro dottore, – disse Aloise, – che io seguirò i vostri consigli. Io non ho nessuna voglia di morire, e sono molto lieto di non avere in corpo quel tal personaggio greco di cui parlavate poco anzi.

– Ah, volete dir l'__enfisema__? Certamente gli è un personaggio fastidioso; – rispose il Mattei, che stava molto volentieri alla celia, – ma se egli non è venuto ora, non vien più di certo. —

Le parole del medico e la buona cera di Aloise avevano rasserenato la comitiva. Ma appunto allora, e in quella che i due medici stavano intenti a riunire le labbra della ferita con alcune strisce di sparadrappo ed una acconcia fasciatura, fu notata la presenza di due personaggi, i quali assistevano in disparte alla scena.

VII

Di un'alzata d'ingegno che fece l'uomo dai capelli rossigni, e di quello che poscia ne avvenne.

Quella apparizione improvvisa scosse un tal po' la brigata; ma ebbero da strabiliare addirittura quando videro chi fosse l'uno dei due nuovi venuti.

Era il dottore Ernesto Collini, che stava sulla soglia con gli occhi bassi e le braccia penzoloni. Accanto a lui era un ignoto personaggio, vestito di nero dal capo alle piante, che non mostrava nemmeno i solini della camicia. Con aria tra l'umile e lo sfrontato, se ne stava là, a spalle un po' chine, ma con gli occhi fisi su quel crocchio di giovani, senza punto scomporsi, e quasi senza addarsi del senso d'ingrata meraviglia che la presenza del Collini e la sua avevano destato negli astanti.

Il primo a rompere il silenzio fu Lorenzo Salvani, a cui come primo padrino del Collini e per cagion sua costretto ad incrociare il ferro col marchese di Montalto, si spettava più che ad altri il parlare.

– Voi qui? – diss'egli, con accento da cui trapelava tutto lo sdegno dell'anima. – E che cosa venite a fare? —

Il Collini, di smorto che era nel viso, si fece livido senz'altro; alzò la fronte verso Lorenzo, ed al fiero corruccio balenante dagli occhi del giovine rispose con uno sguardo sottile e freddo che pareva volesse passarlo fuor fuori; ma quello sguardo fu un lampo, e gli occhi del Collini si levarono subito al cielo, con aria contrita, in quella che la voce diceva, con accento da pulpito:

– Il mio dovere!

– Il vostro dovere? È già stato fatto; – gridò il Salvani. – Guardate; per cagion vostra due galantuomini, i quali non avevano sdegno o rancore di sorta l'uno contro l'altro, sono stati ad un pelo di uccidersi.

– Il Cielo mi è testimone che io mi dolgo amaramente di quanto è avvenuto testè, – disse il Collini, alzando gli occhi al cielo, come per offrirgli il suo calice di amarezza; – credevo che tra il marchese di Montalto e i miei padrini non dovesse accader nulla. Se manca uno degli avversarii (e permettetemi di usare questa parola per farmi intendere, sebbene non sia intesa più dal mio cuore), i suoi padrini, dissi tra me, non hanno a far altro che dar atto della sua assenza, comunque ella possa venir giudicata da animi preoccupati. Io dunque sono condotto a credere che se, dopo un fatto simile, si è trovato il modo di fare un duello, ciò debba ascriversi a feroce desiderio di sparger sangue, e non ad altra cagione. —

Lorenzo era fuori di sè per lo sdegno; gli altri tutti erano meravigliati, stupefatti da tanta audacia. Pure nessuno fiatò.

– E tuttavia, – proseguì il Collini col medesimo acuto e senza guardare in volto nessuno degli astanti, – io me ne dolgo come se fosse un male avvenuto per cagion mia. Ora, o signori, lasciatemi dire il perchè non sono venuto al ritrovo, e poi mi giudicherete.

– Sono curioso davvero di saperlo; – borbottò il dottor Mattei, daccanto ad Aloise di Montalto, il quale stava ancora seduto sul terreno, aspettando il fine della fasciatura.

– Sapevo che il battermi era un male; – disse Ernesto Collini. – Son cristiano, cattolico, e me ne vanto. Cedendo la provocazione del marchese di Montalto, io ho obbedito ad un sentimento di vanità mondana, che ora detesto. E notate, o signori; io m'ero talmente ostinato in questo pericoloso sentimento, che fui per ricusare il sacrifizio di me stesso, perfino alle strazianti preghiere di un vecchio venerando…

– Che altra storiella ci racconta costui? – interruppe l'Assereto.

– Lasciatelo dire, signor Assereto; – soggiunse il capitano; – il suo racconto mi diverte non poco.

– Vi diverta, o no, – ripiccò il Collini, voltandosi improvviso e rizzando il capo come un serpe a cui sia stata calpestata la coda, – io debbo andar fino all'ultimo. Sì, o signori, quel vecchio venerando mi mandò iersera a chiamare, e mi chiese se fosse vero di quella sfida che avevo mandata al marchese di Montalto, ed io non potei nascondergli il vero, che egli del resto conosceva per filo e per segno. Egli mi pregò, mi scongiurò allora, che mi ritenessi da quella prova di sangue, e non gli valsero preghiere, nè scongiuri. La mia ostinatezza giunse a tale da consentire che egli scendesse dal letto, sul quale è inchiodato da più mesi, e trascinare sul pavimento la sua onorata canizie. Egli tremava per il grave scandalo e per me, ma più ancora per la vita del suo nipote…

– Ah! ah! mio nonno! – interruppe Aloise. – Non avrei pensato mai più che egli ci avesse un cuor così tenero.

– Sì, o signor marchese di Montalto. Vostro nonno vi ama, checchè possiate pensarne voi. Quel buon vecchio, al quale con le mie cure assidue vo prolungando la vita, io sono stato al punto di ucciderlo con la mia ostinazione vanitosa. E ci volle la intromissione di parecchi savi personaggi, perchè io vedessi il danno che recavo a quel povero vecchio, e l'offesa che facevo alla santità della morale. Infine, signori che vi dirò? Ho raccolto il capo nelle palme, ho pianto come un fanciullo, e in quelle lagrime tutta la mia superbia si è stemperata. E allorquando ebbi rinunziato al duello, avreste dovuto, com'io, vedere il suo giubilo. Figliuol mio, mi disse egli, io vi sarò grato di questo sacrifizio fino a tanto che io viva, ed eccovi la benedizione di un povero vecchio…

– Per ora; – interruppe da capo Aloise, – e più tardi potrà anco lasciarvi il rimanente.

– Signor marchese, potreste supporre?..

– Tutto. Non vi ha egli chiamato suo figlio? Badate a me, e consolatevi. I vecchi sono pozzi di verità.

– Insomma, signor di Montalto, comunque vogliate portar giudizio di me (e debbo fare anche questo sacrifizio) credete pure che ci vuol più coraggio a parlarvi come io vi ho parlato adesso, che ad incrociare una spada col più valente schermidore del mondo.

– Avete ragione, messer Collini; – interruppe a sua volta Lorenzo, il quale non poteva frenarsi più oltre, – e penso che ci voglia più pazienza ad ascoltar voi per dieci minuti, che a marcire nel fondo di una prigione. Colà, almeno, non si ode altro che lo strepito delle proprie catene; non si vede altro che il viso arcigno, ma non disonesto, di un carceriere. Insomma, voi siete un codardo; liberateci dalla vostra presenza, e subito!

– Ben detto! – gridarono tutti ad una voce. – Levatevi di qua! —

E uno di loro, il Nelli, aggiunse con piglio marziale: – fronte indietro, passo di carica, e __marche__!

Il Collini vibrò una bieca occhiata a Lorenzo, un'altra in giro a tutti gli astanti, e stringendo i pugni, uscì dalla chiesuola, accompagnato dal sozio vestito di nero.

Giunti che furono sul ripiano, in cambio di tirar oltre per la viottola, dove avrebbero potuto esser còlti dalla brigata che ci aveva le sue vetture ad aspettarla, voltarono a sinistra per una via scoscesa, che, praticata sul lembo dello scoglio, va giù fino ad una spiaggerella sul mare. Di là risalendo, potevano andare a passare per un'altra viottola, e la mercè di certe scorciatoie assai note ai genovesi che vanno colassù a villeggiare, riuscire a San Pietro della Foce, da dove sarebbero tornati in città alquanto più tardi delle vetture.

Era quella del resto la strada che il Collini aveva tenuta per andare alla chiesuola. Senza essere veduti da alcuno, egli e il suo taciturno compagno erano giunti fin sotto quella sporgenza del masso dove accadeva il combattimento, ed avevano potuto cogliere il momento opportuno di farsi innanzi, quando più non si udisse lo strepito delle armi.

Ridiscesi adunque su quel tratto di spiaggia, dove erano affatto celati alla vista di coloro che stavano in alto, sul ripiano della chiesuola, i due sozii si fermarono.

Il dottor Collini aveva la schiuma alla bocca, e mulinava nel capo i più feroci pensieri. La vergogna era stata grande per lui, e tutti i sarcasmi di quei giovani animosi li aveva infitti, come strali avvelenati, nel cuore. Imperocchè egli sentiva pure tutta la vigliaccheria del suo atto; ma, siccome avviene a tutti i tristi della sua fatta, che sono codardi e vanitosi ad un tempo, non sapeva patire lo scherno, e covava nell'animo la vendetta.

Nessuna parola era stata anche scambiata fra i due. Ernesto Collini, senza badar molto a quello che si facesse, si chinò sul greto a raccogliere alcuni ciottoli, e si diede a scagliarli nel mare, facendoli scivolare di rimbalzo sulle acque tranquille.

Duemila trecento e trentott'anni innanzi, un altro vanitoso crudele, sebbene assai più possente di lui, se la prendeva col mare, facendolo battere a colpi di verghe.

– Perdio! – ruppe finalmente a dire il Collini. – E non mi vendicherò di costoro? E quel Salvani, il quale mi dice occorrere più pazienza a udir me, che non a marcire nel fondo di una prigione!.. Oh, ti ci farò marcire ben io, se quello ch'io penso è vero.

– Benissimo, figliuol mio! – disse allora il compagno. – Questo si chiama ragionare. Seguite l'esempio di chi ha vissuto più di voi. Io mi sono vendicato di molti, e la buona causa se n'è avvantaggiata parecchio.

– A voi sembra un negozio molto spiccio, padre mio. Ma come fare?

– Non dubitate; da cosa nasce cosa, e il tempo la governa. Costoro, se voi siete prudente ed astuto, vi daranno tutti nel laccio da sè. Io li conosco, questi cervelli stemperati, i quali ardiscono fare e dire ogni cosa che loro talenti, alla luce del sole. La vendetta è un peccato, figliuol mio, quando ella non giova ad altri che a noi, quando non serve a Dio; ma la vendetta che giova alla sua causa, è buona. Non si chiama egli il Dio delle vendette? Date tempo al tempo, e vedrete come sapremo conciarli pel dì delle feste.

– Ma io ho bisogno di far presto! – rispose il Collini, digrignando i denti. – Sentite, padre mio, come il cuore mi batte. Oh certo, se non era pel vecchio Vitali, io non mi sarei lasciato persuadere a tanta debolezza.

– Che! che! – interruppe quell'altro, accompagnando le sue parole con un certo risolino sarcastico; – non vi sareste battuto neppure. Avete colorito assai bene il vostro racconto, bisogna convenirne; ora finite con aggiustargli fede voi stesso.

– Padre!.. – esclamò il Collini, provandosi a guardare in viso il suo interlocutore.

– Bando alle inutili parole, vi prego! – disse questi, senza tener conto del piglio sdegnoso del Collini. – Sapete pure che se io per avventura ammalassi, non manderei per voi, e non inghiottirei pur una delle vostre pillole. Con me i vostri corrucci non faranno mai buona prova. Siate dunque più schietto con me, poichè ci conosciamo così bene! Io poi non vi ascrivo a colpa di non essere un Rodomonte. Altri ha il coraggio di sfidare la punta di una spada, o la canna di una pistola; noi abbiamo quello del serpente, che striscia nel buio, e dal tronco di un albero agguata il leone e lo stritola. È questo, a mio credere, il coraggio più sicuro e il più profittevole. Io vi confesso schiettamente che sono contento di voi, e tutta la società, alla quale dovete gloriarvi di appartenere, non si dipartirà da questo giudizio. Al vecchio Vitali importava che voi gli uccideste il nipote, o che foste ucciso da lui (la qual cosa era molto più probabile), come a me importa di quel gabbiano laggiù, che va girando sui flutti per buscarsi un pesce a fior d'acqua. È la salute dell'anima che gli preme, a quel vecchio barattiere, e il mio consiglio soltanto gli dettò quella preghiera che egli vi fece, senza punto discendere dal letto e trascinare nel fango la sua onorata canizie, come voi dicevate testè con tanta eloquenza, quella preghiera insomma alla quale voi vi siete acconciato così di buon grado. Non è egli vero?

– È vero! – brontolò il Collini, chinando la testa.

– Il vecchio Vitali è un tristo; – riprese l'uomo vestito di nero; – le sfondate ricchezze che egli ha, non sono sue. Non vi è ignoto com'esse provengano da un nostro deposito, che egli non ha voluto restituire, e di cui si ostina anzi a negare l'esistenza. Ora i suoi milioni sono il frutto di quel deposito; son dunque nostri, e dobbiamo ad ogni costo riaverli, sia che egli faccia voi suo erede, la qual cosa mi pare molto difficile e fors'anco un tantino pericolosa, o che Aloise di Montalto diventi uno dei nostri, e si rassegni a spartire con noi. Eh, figliuol mio, non mi crollate il capo a quel modo! Se ne son vedute tante, in questo mondo. In fin dei conti, è necessario che i milioni del vecchio tornino a noi; questo è l'essenziale, e noi provvederemo ai modi. Voi siate prudente, più zelante, e soprattutto più obbediente che non foste pel passato. —