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Kitabı oku: «Falco della rupe; O, La guerra di Musso», sayfa 12

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CAPITOLO OTTAVO

 
Cadon le schiere d'ogni orgoglio emunte,
Difese invan dall'orrida mitraglia
E dal filo dei brandi e dalle punte.
Che in mezzo ad esse rapido si scaglia
E tronca e fora e penetra e calpesta
Sin che l'ultime file apre e sbaraglia;
Poi sotto la vulcanica tempesta
Assal col brando nella destra eretto
De' grossi bronzi la trincera infesta.
 
GIANNI. La Battaglia di Marengo.

Fittissime regnavano le tenebre, chè prossima non era ancora la luce mattinale di quel dì ventun agosto 1531, allorchè una fiaccola brillò all'improvviso sull'alto della torre del Forte; subito dopo l'apparizione di tal lume partì un colpo di bombarda dalle batterie delle Case del Marasciallo poste a piè del Castello. Un suonare rapidissimo di tamburi eccheggiò dietro questo segnale, ed il rumoreggiare di que' ripercossi strumenti di guerra si diffuse in pochi istanti dal Forte alle Rocche, da queste al Porto e dal Porto alle strade della vicina Musso e di Dongo. Cento e cento lumi si accesero e si sparsero ben tosto per tutta la Fortezza, lungo il lido, e sulle navi, poichè nessun uomo fu tardo ad allestirsi e porsi in armi al battere di quella diana. Tutti i Capitani, precedentemente istruiti di quanto avessero ad operare, uscirono dal Castello e si posero ciascuno a capo della squadra per condurla al Porto mano mano che veniva sgombrato, e farla salire sulle navi o grosse o minori secondo che ne avea ricevuto il comando.

Il Pellicione ed il Borserio con varii capi-bandiera e sergenti, postisi innanzi a tutti presso le sponde, sopraintendevano allo ordinato imbarcarsi de' soldati ed alla regolare distribuzione di essi sopra la flotta. Due grandi fuochi accesi sulle opposte estremità dei moli spandendo un chiarore rosseggiante, rischiaravano tutto il Porto, le acque ed i legni ivi adunati, e davano comodità alle schiere di salire dalla ripa ai battelli, da questi agli elevati bordi delle navi, senza che nascessero confusioni, abbagli o sventure.

Falco trovò vicini al Porto i suoi sei compagni e seco li condusse sulla Salvatrice, su cui montò pure una banda eletta di cinquanta uomini d'armi che Gabriele pose sotto il suo comando, pria di ascendere colla propria brigata la nave l'Indomabile che sorgeva accanto alla Salvatrice.

A capo dell'ultima schiera che uscì dal Castello apparve fra mezzo a numerose ardenti fiaccole Gian Giacomo, coperto d'intera armatura, coll'elmo lucentissimo sormontato da bianche penne. A fianco a lui stava il vicario del Castello, Teodoro Schlegel, abate di Dares, in auree vesti sacerdotali, preceduto da varii camilletti in bianche stole, l'uno de' quali recava un crocifisso d'argento, ed un altro la sacra martinella da sospendersi all'albero del brigantino: davanti ad essi procedeva un gonfaloniero armato che portava il gran vessillo mediceo coll'asta dorata. Il brigantino era stato, per quanto il concedeva il basso fondo delle acque del porto, accostato al molo, ove la ciurma aveva gettato un ponte mobile onde renderne comodo l'accesso, togliendo la necessità di salirvi dai fianchi; entrarono da tal ponte nella nave il Castellano, il Vicario coi chierici, il Pellicione e gli altri capitani che seguivano Gian Giacomo, e finalmente il gonfaloniero con tutti i soldati. Quando il supremo comandante trovossi a bordo del brigantino, i rematori levarono il ponte che l'univa al molo, e cautamente sospingendolo, lo mossero e uscirono dal porto.

Il Borserio, che, montato sul Busto di ferro, aveva il comando dell'antiguardo della flotta, veduto il brigantino movere al largo sventolando il vessillo alla sommità dell'albero, diè il segnale della partenza, e tutti i legni sì grandi che piccioli che componevano la flotta di Musso, spiegate le vele e dati i remi alle acque, salparono di conserva con infinito mormorío delle onde percosse e rotte da tante prore.

Le aure notturne spirando da settentrione favorivano il veleggiare verso mezzodì della classe medicea, per cui al primo diradarsi dell'oscurità essa era di già pervenuta all'altura di Rezzonico, e quando il sole, spuntando dietro i monti di Lecco, vibrò i suoi primi raggi sui liquidi piani del Lario, illuminò quella flotta, che, passate le acque di Sasso-Rancio, progrediva a gonfie vele ver' quelle di Menaggio. Giunta a poca distanza da questo borgo, un susurro improvviso si diffuse su tutte le navi, e ad un segnale dato dal brigantino, ripetuto dal Busto di ferro, si rattennero i remi, si ravvolsero le vele, e tutto il navilio mussiano arrestossi disposto in lunga fila siccome aveva viaggiato.

Era apparsa la flotta ducale, che, sprolungandosi tra Bellaggio e la Cadenabbia, s'avanzava lentamente a forza di remi, avendo l'aria di fronte. Distavano a quel primo vedersi l'una dall'altra le due flotte nemiche un miglio e mezzo all'incirca. Gian Giacomo Medici fece soprastare le sue navi un buon quarto d'ora, attendendo l'accostarsi dei legni ducali, ma sembrandogli che punto non s'inoltrassero, tant'era la tardità con cui procedevano, trovandosi esse sotto-vento, diede ordine a' suoi d'avanzarsi, ma a soli remi e senza foga. Quando però ebbe viste le navi comasche essere giunte presso il capo del promontorio di Bellaggio, fece dall'albero del brigantino porgere di nuovo il segno della fermata, ed altrettanto venne comandato ai ducali dal Gonzaga, che saliva la nave ammiraglia. Dopo questo secondo movimento le flotte si trovarono discoste un giusto tiro di cannone, ma per alcun tempo nessuna di esse volle incominciare l'attacco. Spiegato era il mattino, il sole ora splendeva in piena luce, ora appariva leggiermente velato dalle nebbie che posavano sulla sommità degli erti monti: azzurrine, ondeggiate stendevansi le acque che si frangevano mormoranti contro i numerosi legni che sostenevano. Le due armate, collocate paralellamente l'una all'altra di fronte, si guatavano immobili e silenziose in aspettativa ciascuna che l'altra desse principio al combattimento.

Le otto grosse navi medicee stavano d'un bel tratto distanti fra loro, poichè negli intervalli erano frapposte le borbote e le piatte, alcune però delle quali tenevansi in una seconda fila formata dalle scorribiesse e dai battelli. Il purpureo vessillo colle palle d'oro che sventolava sull'albero del brigantino, il quale sorgeva torreggiante in mezzo alle altre navi, avrebbe sufficientemente indicato che desso portava quegli che capitanava la flotta, se Gian Giacomo stesso, che tanto il suo quanto il nemico esercito riconoscevano alla splendidezza dell'armi ed alle candide piume del cimiero, non si fosse tenuto costantemente colla spada impugnata sull'alto della prora; intorno a lui si stavano i suoi principali capitani, ed una fitta schiera d'eletti soldati guarniva i bordi di quella nave, nel centro della quale vedevasi eretto l'altare, che, essendo su un palco elevato d'alquanti gradini, era veduto da lungi in uno col sacerdote che, prostrato innanzi ad esso, adorava l'argentea croce, a cui gli assistenti in bianche stole ardevano incensi. Tra i molti uomini però di che si vedevano guerniti i ponti delle altre grosse navi, e piene le barche minori del Castellano, pochi drappelli se ne scorgevano in totale guerriero abbigliamento; gli altri, benchè tutti in armi, non offrivano il vero militare aspetto dei soldati Ducali.

Le loro diciotto navi, pressochè tutte d'una portata, stavano schierate in una sola lunga linea: su ognuna di esse vedevasi inalberata la bandiera azzurra collo stemma sforzesco, e il loro legno ammiraglio non distinguevasi per altro che per avere lo stendardo più espanso e più ricco, e per portare intorno all'albero una gabbia, come sul brigantino mediceo, da cui due uomini con banderuole alla mano comunicavano i segnali alla flotta a norma dei comandi. Vedevansi i soldati disposti su queste navi in perfetta guerresca tenuta: sui lati di ciascuna di esse stava una squadra di alabardieri del Duca colle sopravvesti rosse e le penne del morione di simigliante colore; la prora ne era occupata da una doppia fila di moschettieri spagnuoli ed alemanni, i cui elmi, le corazze e gli alti archibugi, non portanti però la moderna baionetta, sfolgoravano allineati ai raggi del sole. Gli abitanti delle prossime terre del lago saliti sulle torri, e quelli delle valli accorsi alle vette dei colli e dei monti circostanti, prospettavano ammirati ed ansiosi quelle due nemiche armate, poichè giammai s'era veduto in quelle acque un numero tanto grande di legni starsi a fronte in sì potente e minaccioso aspetto.

Gian Giacomo, dopo avere atteso alcun tempo, vedendo che l'ammiraglio ducale non disponevasi ad incominciare la pugna, ordinò ad una borbota e due piatte s'avanzassero ed ingaggiassero il combattimento. Uscirono immediatamente queste tre barche di schiera, e inoltratesi a mezza gittata di cannone dal nemico, il comandante la borbota fece appuntare una bombarda, e ne spiccò il colpo. Un globo di fumo si sollevò, ed avvolse tosto quella barca, sperdendosi in forma d'una colonna biancastra. Il trambusto che si vide tra gli uomini d'una nave dell'ala destra ducale indicò che la palla aveva dato in quella; infatti essa stessa girò di fianco e ripostò due colpi; la borbota e le piatte replicarono subitamente. Gian Giacomo comandò s'avanzassero due altre borbote con quattro piatte: progredirono queste pure, e, unitesi alle altre, trassero di bombarda all'inimico. Con meraviglia però de' Mussiani, e non senza sospetto nel Medici di qualche stratagemma, che ne addoppiò la vigilanza, i Ducali ripostavano radamente e sempre dalla loro ala destra, la cui estremità toccava al piede del colle di Bellaggio. Le nove barche mandate innanzi da Gian Giacomo inclinarono inavvedutamente da quel lato che unico rispondeva al loro fuoco, e diedero così nell'agguato, poichè quando furono pervenute a buon tiro sotto il colle, smascheratasi su di esso una batteria piantata la notte dagli Spagnuoli, le colse fulminando sì in pieno, che tre piatte e una borbota sfracellate affondarono ad un punto solo, e le altre, eccetto sol una che rimasa incolume rapida retrocesse, guaste e spezzate, bersagliate di nuovo dalle batterie del colle e delle navi, non potendo nè governarsi nè reggersi, andarono a perdersi tra la flotta nemica.

Fremettero a tal vista i Mussiani, ardendo di vendicare que' loro compagni; ma il Medici non sgomentossi punto, che lieve stimò la perdita di quelle barche minori a fronte del grave periglio in cui sarebbe incorsa tutta la sua flotta s'egli l'avesse fatta accostare a quel colle, ciò che poteva facilmente avvenire, giacchè avendo desso avuta cognizione che il piano dei nemici si era d'assalirlo più prossimamente al Castello che fosse loro possibile, non aveva nè saputo nè calcolato che il promontorio bellaggiano verrebbe da artiglierie munito.

Senza frapporre indugio fece dare i segnali all'antiguardo onde uscisse ad attaccare l'ala sinistra ducale, ed a tutta la linea, onde s'obbliquasse accennando verso l'ala medesima per costringere in tal modo l'inimico ad allontanarsi colla sua ala destra dalle difese del colle. Le navi il Busto di ferro, la Salvatrice e l'Indomabile, seguite dalle scorribiesse e dai battelli di guastatori ed incendiarii, che costituivano l'antiguardo, s'avanzarono a grandi spinte contro il nemico, traendo unitamente con tutte le artiglierie.

Il Gonzaga credette da principio poter respingere l'antiguardo, rimanendo nella sua primiera posizione, perchè essendo superiore in numero di grosse navi, pensava potersi ciò eseguire senza scorciare di molto la propria linea. Ma tale suo divisamento non ebbe effetto, perchè quelle navi scagliavano con tanta furia e prontezza, che le ducali non valevano a rigettarle: onde il loro ammiraglio si vide sforzato ad ordinare il movimento progressivo di tutti i suoi legni anche dell'ala destra, abbandonando così la prossimità del colle, e facendo diventare universale quel combattimento.

Al rimbombo generale delle artiglierie rintronarono i monti, e quell'immenso fragore salendo di vetta in vetta, destò gli echi più sommi dei giganteschi Legnoni non usi a rispondere che ai muggiti del tuono. In pochi momenti un densissimo fumo ricoprì le due armate, stendendosi come vasta nube, fuori della quale apparivano qua e là le estremità degli alberi sormontati dagli ondeggianti vessilli.

Lampi spessissimi di fuoco seguentesi incrociantesi squarciavano il seno a quella nube e la rendevano più fitta e vorticosa: tra il tuonare assordante delle bombarde s'udiva il rumoreggiare incessante minuto degli archibugi, e veniva anche all'orecchio il tintinnare della campana del Brigantino e lo stormire dei tamburi ducali. Sempre più rinserrando s'andavano le linee, e la pugna facevasi maggiormente terribile e micidiale. Alle clamorose grida che d'ambe le parti davano eccitamento al distruggere, all'uccidere, alle voci d'imprecazione, di minaccia, si frammischiavano i gemiti, i lamenti, le invocazioni pressanti di soccorso dei feriti e di quelli che perigliavano naufragio.

Nell'impeto primo dell'assalto le navi ducali urtando in molte delle navicelle mussiane che s'erano spinte avanti, varie ne rovesciarono, altre ne resero malconcie e le costrinsero presso che tutte a trarsi addietro; ma allorquando i grossi legni del Medici, con un fuoco ben nutrito e continuo di bombarde e falconetti, fecero rallentare quella foga nemica, le barche minori vogarono di nuovo alla presa, e cacciatesi sotto i bordi delle navi comasche, in parte schermendosi, in parte non curando arditi la grandine di palle che era fatta su di esse cadere, i guastatori, martellando colle scuri e le mazze, incominciarono l'opera del tagliare, rompere, divellere le tavole di che ne erano contesti i fianchi, e gli incendiarii del gettare per entro agli squarciati seni fiaccole accese, fasci di stoppie impegolate, lane intinte nelle rage e nell'olio, cui avevano dapprima appiccato il fuoco. Per effetto di tale tremendo lavoro, innanzi che fosse trascorsa un'ora da che durava il conflitto, si vide manifestarsi l'incendio su due delle navi ducali, l'una del centro e l'altra dell'ala destra. Dietro neri globi di fumo si manifestarono in esse le fiamme uscenti da pria come lingue lambenti dalle aperture praticate nei fianchi, e impossessandosi poscia del cassero e di tutto il ponte, salirono pei cordaggi alle vele volteggiando nell'aria rosse, elevate, tramandando con immense scintille un fosco chiarore. Le navi che trovavansi vicine a quelle che ardevano, fecero forza di remi per allontanarsene, paventando che lo scoppio che doveva necessariamente susseguitare, dardeggiando fiamme e tizzi all'intorno, comunicasse loro l'incendio. Non andò molto infatti che la nave che abbruciava nel centro, da cui s'era appena scostato col suo legno l'ammiraglio Gonzaga, con immenso fragore spezzandosi, slanciò a considerevole altezza e distanza, fra tronche membra d'uomini, frantumi ardenti e scheggie d'armi e ferri arroventati, che ricadendo frizzando nell'acqua si spensero: così avvenne dell'altra allo stremo dell'ala destra della schiera.

Questo fatto ruppe interamente le ordinanze della flotta ducale; per cui deviando ogni nave dalla linea in cui era stata primamente disposta, si spinse più d'appresso alle mussiane. Si formarono per tal modo impensatamente due distinti gruppi di combattimento, l'uno assai dentro il lago nello spazio da Varenna a Bellaggio, ed era tra l'ala destra e parte del centro coll'Ammiraglio ducale contro quattro navi, il Brigantino e le seguitanti barche del Castellano; e l'altro verso la sponda di Menaggio tra l'antiguardo mediceo e l'ala sinistra col rimanente del centro nemico. L'ardore della battaglia che era sminuito al momento dell'orrendo spettacolo dello incenerirsi delle navi comasche, rinvigorì più calorosamente.

La Salvatrice, comandata da Falco, presa di mezzo da due navi nemiche, fulminava da poggia e da orza con una furia indicibile. Gli uomini d'armi che erano al suo bordo, traevano degli archibugi con celerità e destrezza somma, non però in sì perfetta guisa da stare a fronte ai sei pirati ed al battagliero montanaro di Nesso loro capo, poichè a ciascuna delle vicine scariche dei loro moschetti sette nemici immancabilmente cadevano.

Gabriele colla sua Indomabile, dopo avere fatti prodigi di valore a fianco alla Salvatrice, ne era stato disgiunto dall'impeto di una nave nemica, che spintolo al largo il tempestava aspramente, uccidendo e ferendo alquanti de' suoi; egli non ripostò sulle prime che con fuoco minuto, ordinando si ponessero forzate cariche in tutte le bombarde, di cui fece inclinare alcun poco le bocche. Quando fu ciò eseguito, appressatosi quasi bordo a bordo alla nave ducale, comandò si traesse pria da un fianco e poscia, girata la nave, dall'altro. Diè l'Indomabile due sì perigliosi trabalzi a quei tremendi simultanei colpi, che se non fosse stata con fina arte costrutta, sarebbonsi al certo le sue travi sconnesse: il legno nemico, colto sì prossimamente da grosse palle nelle sue opere vive, squarciandosi a fior d'acqua aprì l'adito in cento parti alle agitate onde d'entrarvi, dal cui peso investito cominciò tostamente inclinando a calare. La ciurma e i guerrieri che il montavano, cessato ogni fuoco, si diedero tutti all'opera per riaversi gridando aita e soccorso; ma fu invano, perchè essendo le artiglierie incatenate ai bordi, pria che avessero campo di rovesciarle nel lago per alleggerire la nave, tutto il corpo di questa era già sotto l'acqua, e i miseri naufraghi gettando l'ultimo grido s'inabissarono con essa, e fra loro solo chi non era dal peso delle armi impedito potè trovare salvezza guadagnando a nuoto le sponde. Gabriele, tocco in cuore a quella vista, fe' cessare l'eccidio che dei nuotanti facevano i suoi moschettieri, e spinta l'Indomabile sulle onde stesse che ricoprirono gli affondati ducali, corse a portare rinforzo al Busto-di-ferro.

Circondato questi da quattro navi nemiche, travagliava faticosamente a difendersi in ispecial modo da prora, ove il martellava la squadra comandata dal castigliano Enrico Nedena, che sconquassate quante borbote, piatte e barche minori scortavano e facevano scudo a quel legno che capitanava l'antiguardo, voleva a forza impossessarsene e condurlo prigioniero. Il comandante Borserio aveva pugnato con portentosa avvedutezza e coraggio, ma tutto l'ardir suo e la bravura non erano stati bastevoli a sottrarlo al riboccante numero degli assalitori che da quattro parti il bersagliavano: le sue bombarde erano smontate, l'albero infranto, spezzati i banchi dei rematori, spezzato il timone, tutto il ponte pieno di moribondi e d'uccisi, per cui i lacerati fianchi del Busto-di-ferro grondavano sangue. Il Borserio, benchè ferito in più parti, animando colla voce quello spizzico rimastogli de' suoi, ruotando disperatamente la spada teneva lontani ciò non per tanto i Ducali, che, gettati dalle loro navi i roncigli, tentavano di venire all'arrembaggio. L'arrivo colà dell'Indomabile fece sospendere quell'intrapresa, poichè i nemici si rivolsero tuonando contro di essa.

Aveva Falco nel frattempo colla sua Salvatrice sì guasta e rotta una delle navi nemiche che gli erano venute d'intorno, che trovossi costretta a si ritrarre per salvarsi alla spiaggia; la seconda, assai sminuita di combattenti, vedutasi sola contro quella formidabile nave, se ne era staccata, e volgeva precipitosa a raggiungere il grosso della flotta. Cessato così il combattere per la Salvatrice, e dissipatosi il fumo che la cingeva, Falco e tutti i suoi guerrieri, mentre la ciurma gettava in acqua i morti e recava i feriti sottoponte, anelanti per la lunga sostenuta fatica, rifiatarono, rimanendo inerti, appoggiati ai loro moschetti, a mirare d'intorno la scena della battaglia.

Non spirava soffio d'aria, pure il lago ondulava agitato per i moti di tante navi che quivi procedevano, s'urtavano, retrocedevano: vedevansi sornuotare per tutte quelle acque frantumi di barche, pezzi di tavole carbonizzate, pennacchi, cappelli e lembi di sopravveste: l'intero orizzonte era oscurato dal fumo che si stendeva in forma d'un gran cerchio cinericcio intorno al luogo della battaglia, e veniva aumentato verso levante dai vortici che continui s'alzavano, ove stando in lotta col maggior numero delle loro navi i due sommi condottieri delle flotte si fulminavano incessantemente colle artiglierie. A mezza portata di bombarda dalla Salvatrice vedevasi combattere accanitamente quel branco di legni fra cui stava il Busto-di-ferro, e contro le quali aveva fatta rivolgere la sua prora Gabriele. Il fragore della scarica fatta dai Ducali contro l'Indomabile e la risposta subitanea di questa, scossero Falco da quel momentaneo riposo a cui si era abbandonato, onde alzato il suo moschetto gridò: "Presto, mano all'opera, che il più bello del giuoco sta ora per incominciare. Di camicioni rossi e di quei di Spagna ne abbiamo già mandati all'inferno un buon numero, ma ne potevamo spedire di più se quei vigliacchi non si fossero posti in ispavento per quattro parole un po' risentite che loro dissero le nostre bocche da fuoco, Vedeste come gli uni si sono trascinati a terra, e gli altri se ne andarono frettolosi al pari d'un volo di anitre selvatiche alla vista del cacciatore? Or via ricarichiamo gli archibugi e le bombarde, giù tutti i remi, e corriamo a ripetere noi pure il saluto che venne dato sì bruscamente dal signor Gabriele alle bandiere della biscia. Quel giovine capitano ha pugnato come un leone qui accanto a noi; ora che vuol combattere da solo non mostrerà meno terribili i suoi denti al nemico". "Pochi istanti sono, disse uno dei soldati della Salvatrice, esso ha misurato un colpo sì giusto da degradarne la più vecchia barba di comandante di tutte le flotte del mondo, giacchè con una scarica sola sbrigò per sempre gli uomini e la nave che lo avevano staccato da noi. Se voi, Capitano, non eravate da prora avvolto nel fumo, avreste potuto vedere, come scórsi io da poppa, tutto quel barcone seppellirsi bello e intiero sotto le acque".

"È vero (aggiunse Trincone mentre caricava il moschetto, stando cogli altri compagni pirati in ischiera attorno a Falco), l'ho veduto anch'io: pareva che i demonii se la tirassero all'ingiù colle catene. Oh sarebbe pure stata la mala cosa se ad un giovine di tanto valore avessero tagliata la testa sulla piazza di Como, ciò che avveniva di certo se non eravamo noi a toglierlo a coloro là dalle mani, quella notte che Grampo restò ferito mortalmente!"

"Guarda, esclamò Falco, qual compenso dà loro per quella minaccia: odi che strepito fanno i Ducali intorno a lui; ma la sua Indomabile vomita fuoco come un drago di sette teste. Bravo, mio signor Gabriele, continuate in tal modo ancora un momento e veniamo noi pure a darvi mano. Attenti, camerata… pronti i moschetti… appuntate le bombarde… ci hanno veduti… fanno fuoco… Coraggio!.. non è saltata che una scheggia del bordo… rispondiamo… fuoco intiero".

La Salvatrice gittò da orza a mezza tratta d'archibugio dal nemico, ripostando ad una sua fiancata, indi correndo innanzi mentre ricaricava, fulminò da poggia la nave del Nedena, che si trovava essere a più giusto tiro, guastandola nella chilia e negli ormeggi. Il sopraggiungere di questo nuovo legno mussiano parve facesse scemare nei Ducali gran parte del loro ardire, poichè si videro rinunciare al progetto d'impossessarsi del Busto-di-ferro, cominciando il Nedena a staccarsene dalla prora e tirarsi al largo, il che fu tosto eseguito pure dalle altre sue navi, per cui la mischia cessò dall'essere tanto accanita. Datosi luogo dai legni ducali, mentre l'Indomabile sosteneva il combattimento da lungi contro di esse, la Salvatrice accostossi al Busto-di ferro; non offriva esso più che l'informe aspetto d'un ammasso di tavole e travi frantumate e ridotte a scheggie, frammiste a cadaveri detroncati, ad armi, a pezzi di vela e di cordaggi anneriti dal fumo e semi-arsi. Il valoroso Borserio, perduto l'elmo, perduta la spada, coperto di ferite e pressochè esangue, giaceva steso sulla prora di quella sua fracassata nave sul corpo de' guerrieri che ultimi avevano combattuto al suo fianco. Falco ordinò a quattro de' suoi salissero su quel legno, e trasportassero a bordo della Salvatrice il Capitano e gli altri guerrieri che davano ancora segno di vita. Il Borserio appena fu deposto sul ponte mandò alcuni inarticolati accenti e spirò, con grave cordoglio di Falco e de' suoi soldati che lo estimavano prode guerriero e valentissimo comandante di nave: esso, a differenza degli altri uccisi che erano gettati nelle onde, venne calato sottocoperta, dove furono collocati i feriti d'entrambi i legni.

Il trarre delle artiglierie che s'era intanto proseguito tra l'Indomabile e le quattro ducali, cessò ad un tratto dalla parte di queste, perchè diedero i remi all'acque per accostarsi all'altre loro navi. Tale mossa fu cagionata da un lume che si mirò splendere elevato in mezzo al fumo ove stavasi il grosso della flotta combattente, ed era un segnale fatto sulla gabbia dell'albero dell'ammiraglio per chiamare d'appresso tutti i suoi legni. L'Indomabile tenne loro dietro, la seguì pure la Salvatrice, abbandonando all'arbitrio delle onde il lacerato e inconducibile Busto-di-ferro.

Il lungo e furioso durare della pugna là dove trovavasi il Gonzaga a fronte di Gian Giacomo Medici, aveva quasi esaurite le munizioni da guerra, e rese roventi ed inservibili un gran numero di grosse armi da fuoco, per cui il fulminare delle artiglierie era diminuito d'assai, il che si comprendeva ben anco dalla minore densità del fumo attraverso il quale potevasi omai distinguere la duplice fila delle pugnanti navi. Cinque erano stati i grandi legni mussiani, annoveratovi il brigantino, che avevano sostenuto quel combattimento contro dieci dei ducali; ma siccome la gran quantità delle barche sottili che si stava coi primi per l'agevolezza dell'accorrere, del volteggiare, guastava, ardeva e danneggiava in mille modi il navilio nemico, e siccome la perizia del combattere navalmente, e la perfezione delle armi e delle barche era maggiore dal lato del Castellano, così delle due flotte quella che si trovava meno guasta e meno di morti e feriti ripiena era la sua. Il segnale dato dal Gonzaga onde chiamarsi vicini i suoi legni discosti era stato appunto determinato dal periglio ch'ei vedeva ognor crescente di dover cedere il campo all'inimico. Era riuscito agli incendiarii del Medici d'appiccare per la terza volta il fuoco ad una nave della linea ducale; le bombarde del brigantino ne avevano sì malconcie due altre, che rese inabili ad avanzarsi ed a retrocedere, minacciavano ad ogni istante di andare a picco: una quarta, che nell'inseguire alcune piatte appressossi agli scogli di Varenna, aveva ricevuto dalle artiglierie quivi collocate dal Gatto un trattamento eguale a quello fatto alle barche medicee dai bombardieri spagnuoli trincierati nascostamente sul colle di Bellaggio.

Non è però a dirsi che il navilio mussiano si trovasse incolume ed intero: delle barche sottili una metà era perita rovesciata dalle palle o dagli urti dei legni ducali: delle grosse navi, oltre la perdita del Busto-di-ferro; la Donghese, comandata da Domenico Matto, per essersi cacciata più volte assai d'appresso al nemico, n'aveva riportati tali guasti, che movevasi a stento; e il Sant'Ambrogio, vedeasi casso dell'albero, la cui caduta era stata causa di morte a Romeo Casanova comandante di esso.

Quando le quattro navi ducali che avevano sostenuto il conflitto contro l'antiguardo si furono raccozzate al rimanente della flotta, l'ammiraglio Gonzaga per togliere al nemico il vantaggio delle artiglierie, che, sebbene scemate ne' colpi, molta strage e danno gli recavano ancora, e vedendosi superiore tuttavia in numero di navi e d'uomini, disperando d'ottenere la vittoria altrimenti che con un colpo decisivo, comandò a' suoi legni si spingessero tutti contro i Mussiani serrandoli d'appresso per venire all'arrembaggio. Gian Giacomo tentò evitare l'effetto di tale movimento dell'inimico, ma non ne ebbe il campo, perchè le dieci navi che rimanevano ai Ducali obbedirono sì prontamente ai comandi del loro ammiraglio, che in un battere di ciglia le mussiane si trovarono avviluppate ed investite da esse. Il brigantino fu circuíto dall'Ammiraglio e dal Nedena, e così vennero assaliti da due navi comasche ciascuno degli altri quattro legni mussiani. Rinserratosi in tal modo il combattimento, fu forza ad ambe le parti abbandonare interamente l'uso delle bombarde, e non s'udì più che lo sparo della moschetteria, non come innanzi ad unite e strepitose scariche, ma disordinatamente susseguito. Mano mano che le navi s'attaccavano bordo a bordo, frammischiavasi a quel rumoreggiare degli archibugi un ribattersi di spade e di scuri che s'incontravano e si ripercuotevano, un gridare, un inveire più aspro e clamoroso.

I guerrieri del brigantino si divisero prontamente in due squadre: una stando a sinistra, comandata dal Mandello, teneva lontani gli uomini del Nedena; e l'altra postasi a destra, avendo a capo Gian Giacomo, ributtava la squadra dell'Ammiraglio. Il Pellicione, balzato giù dal brigantino in una scorribiessa, radunate tutte le navi minori, le distinse in drappelli e le spinse ad assalire le navi ducali, ordinando ai più risoluti d'arrampicarvisi dai fianchi onde prendere i soldati di schiena mentre tentavano penetrare in quelle di Musso: esso medesimo ne diè pel primo l'esempio, poichè, impugnata una scure, montò con venti guastatori sulla nave comasca che da orza lottava fieramente col Sant'Ambrogio, le cui genti avendo perduto il capitano pericolavano di cedere, piombò sui Ducali e fecesi strada a passare a quella nave, i di cui soldati animati dalla sua presenza e dalla sua voce, sostennero vigorosamente l'assalto.

Era nel frattempo sopraggiunto colà Gabriele, il quale veduto il brigantino alle prese col legno ammiraglio, spinse addosso a questi la sua Indomabile sì furiosamente, che l'urto ne li fece disgiungere gran tratto. Il brigantino approfittando di quell'intervallo, si mosse subitamente in senso opposto dell'Ammiraglio, e venne a porsi a poppa della nave del Nedena, contro cui gli fu agevole scaricare una salva d'artiglierie traforandola d'entrambi i lati.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
25 haziran 2017
Hacim:
390 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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