Читайте только на Литрес

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «Falco della rupe; O, La guerra di Musso», sayfa 13

Yazı tipi:

Il Gonzaga, cieco di sdegno per l'urto dell'Indomabile che gli toglieva ogni speranza di trionfo, appena vide la propria nave arrestarsi, il che fu appunto a perfetto contatto di quella di Gabriele, comandò venisse tosto arroncigliata e fermata al suo bordo con catene, onde entrarvi immancabilmente e trucidarvi ogni persona. Non s'oppose Gabriele a chè le due navi fossero saldamente congiunte, ma quando fu ciò fatto, balzò egli pel primo sulla ducale, ed affrontò il Gonzaga, che gli si fece incontro ferocemente circondato da' suoi. Gli occhi di Gabriele scintillarono al mirarlo per ardore di vendetta e di gloria: precipitossi ver lui, ed i loro ferri lampeggiarono nello scontrarsi; arse subito la pugna intorno ad essi, e in mezzo a quella tremenda mescolanza d'elmi e di spade, l'elmetto d'argento e l'acciaro del giovinetto Medici vedeansi splendere e vibrarsi con impareggiabile destrezza.

Tutta la squadra dell'Indomabile s'era riversata sull'Ammiraglia, e combatteva con indicibile valore imitando il suo giovine capitano, imprudente però in quel fatto, perchè il numero dei soldati del Gonzaga essendo quivi di quasi una metà superiore al suo, per quanto intrepidamente ciascuno de' suoi pugnasse e vendesse cara la propria vita, ne rimase in poco tempo trucidata una gran parte, e l'altra era prossima a soccombere. Gabriele aveva portato un sì gran colpo di spada tra le ciglia al Gonzaga, che caduto questi immerso nel proprio sangue, era stato tratto fuori della mischia quando mandava gli ultimi aneliti; ma egli stesso vedeasi vicino a subire un'egual sorte, poichè chiuso in mezzo da un drappello d'inferociti Spagnuoli, avendo l'elmo pesto in fronte, rotta la corazza, senza filo la spada, sbalordito dai tanti colpi e lasso per la sproporzionata pugna, sentiva di non poter sostenere il ferro che per pochi istanti, e mancargli la forza a difendersi.

Nel momento però che sembrava più disperata la salvezza di quell'ardimentoso giovine, un grido d'accorrenti al soccorso ridestò il suo quasi spento coraggio. Era la Salvatrice che quivi giungeva: un grand'urto scosse la sanguinosa nave ammiraglia, e tutti gli uomini di quella balzarono in essa, assalendo con furioso impeto i già stanchi Ducali.

"Avanti, avanti; vendetta dei nostri: morte ai nemici, si salvi Gabriele". Così gridò Falco con voce tuonante, scagliandosi al di là del grand'albero al luogo ove pugnava Gabriele, trafiggendo uno dei di lui assalitori col pugnale, atterrandone un altro con un colpo del calcio ferrato del suo moschetto: i quattro superstiti compagni di Falco, seguendolo d'appresso, scagliaronsi sugli altri combattenti e li atterrarono, nel momento istesso che Gabriele, fuori di lena, assalito da subitaneo torpore, colla vista oscurata e vacillante, andò a cadere quasi tramortito nelle braccia di Falco. Questi, gettati tosto al suolo il pugnale e il moschetto, lo raccolse e premurosamente il sostenne, affannato e in ispavento che quel valoroso giovine, per cui gli era nato in cuore un amore quasi paterno, perisse già vittima del ferro nemico: gli slacciò l'elmetto, glielo levò di fronte, e gli ritrasse dal viso e dagli occhi gl'intricati cappelli, che molli di sangue e di sudore gli si erano diffusi per la faccia. Pressochè mortale era il pallore ed il gelo delle membra di Gabriele; ma siccome non aveva riportata alcuna grave ferita, e quel tramortimento non era effetto che di estrema spossatezza, dopo un istante di riposo si riebbe, e tornato ai sensi guardò Falco con occhio in cui tra la più viva riconoscenza appariva un lampo inesprimibile d'affetto. Reggendosi ben presto da sè, mirò d'intorno, e veduti tutti i Ducali od uccisi o coll'armi abbassate al suolo innanzi ai Mussiani: "Fa tosto, disse, o mio Falco, abbassare la bandiera del duca e dare il segno che l'ammiraglia è nostra". Falco ne porse subito il comando a due uomini della sua ciurma che, salito l'albero, staccarono dalla sommità il vessillo Sforzesco, e sventolatolo per porgere indizio della presa, lo calarono sul ponte. Fu quel segnale tostamente inteso, e un grido d'applauso e di gioia partì da tutti i legni medicei. Gian Giacomo avea frattanto disalberata e fatta sua la nave del Nedena, per cui gli otto legni ducali, che soli di tutta la flotta rimanevano, da tante perdite disanimati e smarriti, abbandonarono i Mussiani e precipitosi si diressero alla volta di Bellaggio, onde porsi sotto la guardia delle artiglierie del colle per evitare di essere inseguiti.

Il Castellano vedendo per quella ritirata dell'inimico decisa pienamente per lui la vittoria, scorgendo eziandio assai lacero e scemato anche il suo navilio, non credette opportuno il tentare la presa di quei legni fuggenti. Fece dare alle sue navi il segnale della raccolta e della partenza, e rivolte le prore verso Musso facendo rimorchiare le conquistate navi, verso l'ora terza dopo la metà del giorno abbandonò il luogo del combattimento colla sua trionfante flotta, la quale si ridusse sul far della sera parte a Rezzonico e parte in vicinanza delle basse spiagge di Dervio.

CAPITOLO NONO

 
Altri il fianco ristoppa alle sdruscite
Navi, e sarte rintegra e monche antenne
E lacerate vele… Per le vie
Brulicanti frattanto e per le prode
Tale un gemer di rote, un incessante
Ire e redir di ciurme e di soldati,
D'armi, di carri e di navali arnesi,
Che l'udire e il veder mettean nell'alma
Diletto e meraviglia.
 
MONTI. Il Bardo, C. III.

Esploratori spediti sopra battelli, al far del mattino, verso Bellagio riportarono che le navi ducali, in cui erano risaliti gli Spagnuoli che occupavano il colle, avevano di notte tempo abbandonato quel lido veleggiando alla volta di Como: Gian Giacomo dopo tale annunzio fece dar l'ordine che tutti i suoi legni salpassero per Musso. Quando dalle torri del Castello fu scorta la flotta vittoriosa ritornare a' suoi porti, replicati colpi di bombarda la salutarono, ed al rumore di quelle salve tutte le vicine popolazioni accorsero alla spiaggia per ammirare ed accogliere i vincitori.

L'unica nave però che rientrò nel porto della fortezza si fu il Brigantino del Castellano, il quale a fronte d'una tanta sostenuta lotta movevasi ben anco spedito e sicuro, e mostrava di non aver riportata alcuna dannosa frattura: gli altri legni d'ogni grandezza retroceduti dalla battaglia toccarono il lido presso Musso là ove sorgevano i cantieri dell'Arsenale, poichè fra essi alcuni, minacciando d'affondare, necessitavano d'essere prontamente scaricati e tratti a secco, e gli altri s'avevano tutti d'uopo di venire riattati a causa dei gravi sconquassi del combattimento.

Presa terra, discesero tosto dalle navi gli uomini d'armi e le ciurme, e vennero fatti calare i soldati Ducali che stavano prigionieri sui conquistati legni, e tolta ad essi ogni arma, legati due a due, furono col Nedena e gli altri loro Comandanti condotti da una squadra nel Castello, ove si recarono pure i principali guerrieri Mussiani: si trasportarono poscia a terra i feriti, che vennero collocati nelle case e nei quartieri, e per ultimo si tolsero alle navi i corpi dei capitani uccisi e si deposero entro un'antica chiesuola che sorgeva vicina al lido, per recarli poscia coi dovuti onori al Tempio di San-Biagio di Musso, e quivi dar loro convenevole sepoltura.

Al primo rivedersi e rimescolarsi degli uomini d'armi e dei rematori, tanto fra loro che colle donne ed i terrazzani che non avevano presa parte alla sanguinosa azione dell'antecedente giornata, nacque un lungo e clamoroso gratularsi ed esultare per l'ottenuto trionfo, ed insiememente un condolersi e piangere per i perduti e feriti amici o congiunti.

Sulla sera venne dai banditori del Castellano promulgato l'avviso che il domane sarebbonsi celebrate sacre pompe in rendimento di grazie ai Santi protettori e ad invocazione dell'eterna pace agli estinti in battaglia, e che il terzo giorno si sarebbero fatti giuochi e pubblici conviti per festeggiare sì la navale che le altre riportate vittorie.

Rientrato appena nel suo Castello il Medici, aveva con grandissimo contento ricevuta dal fratello Agosto la notizia del felice successo della spedizione del capitano Mattia Rizzo contro i Grigioni. S'erano questi, come ben erasi preveduto, inoltrati strascinando le artiglierie sino alla sommità dei sovrastanti monti, ma appena giunti colà, assaliti imprevedutamente e con gran vigore e coraggio dai cacciatori e dagli uomini d'armi del Rizzo, lasciato un gran numero di morti pei dirupi, dovettero retrocedere precipitosamente abbandonando le artiglierie, che essendo impossibile calarle al Castello, vennero dai guastatori rovesciate nelle macchie e nei burroni, d'onde era assai difficile il trarle intiere o servibili. Mattia Rizzo aveva però creduto prudente partito il rimanere in agguato su pei monti, vegliando alla difesa dei passaggi sin che il nemico non si fosse ritirato per intiero dalla valle Zebiasca, il che però era certo dovere tosto avvenire, giacchè una gran parte delle squadre della Lega Grigia, alla vista dello scompiglio avvenuto pel riurto della loro vanguardia, sorprese da sommo terrore, conoscendo per prova l'attività guerresca del Medici, avevano retrocedendo già oltrepassata Bellinzona e s'avviavano all'interno paese passando per le gole del Gottardo e dello Splugen. Faustissime vennero pure le notizie da Lecco: i Ducali s'erano presentati in poderoso aspetto innanzi a quelle mura; ma l'apparato delle fortificazioni, e il modo con cui furono respinti da Alvarez Carazon i loro primi attacchi, gli aveano fatti desistere dall'assalto, ed anzi con generale sorpresa dei difensori la notte istessa s'erano inopinatamente tutti partiti. Solo da Monguzzo non erano per anco giunte novelle, e siccome Battista Medici, che quivi capitanava, soleva essere solerte e ingegnoso nello spedire messi o corrieri a dare sue nuove al fratello anche frammezzo agli imbarazzi che gli cagionava il nemico, l'attuale ritardo teneva sospeso oltremodo l'animo del Castellano, per cui fece il giorno stesso partire a quella volta due uomini de' più spediti affinchè gli recassero avviso del come quivi andassero le bisogna.

Importava forte a Gian Giacomo di sapere eziandio se i Ducali nell'abbandonare le posizioni di Bellagio non avessero o colà o in altri prossimi luoghi lasciato alcun presidio, per cui sollecitò Falco, già per sè assai desideroso di rivedere il proprio casolare, a recarsi a Nesso, ma con espresso comando ritornasse tostamente al Castello istruito di quanto avessero dopo la sconfitta operato i Ducali. Volendo forzarlo a non procrastinare la tornata, gli fece premurosa istanza riconducesse seco le proprie donne onde fossero spettatrici delle feste che verrebbero nel terzo giorno celebrate: oltre a ciò Gian Giacomo s'aveva in animo di fissare interamente presso di se la dimora di questo suo nuovo Capitano, a cui aggiungeva doppia stima da che l'aveva veduto sostenere nella battaglia una tanta parte, ed a cui sapeva essere singolarmente dovuta la presa della nave ammiraglia ducale, non che la salvezza una seconda volta del troppo intrepido ed arrischievole fratello Gabriele, le quali due circostanze avevano deciso in precipuo modo della vittoria. Per fare adunque completamente suo il valoroso montanaro di Nesso, pensò servirsi della via tenuta nell'arruolarlo alle sue bandiere, cioè mostrare di rimunerarlo, ma facendo ciò in modo che le proprie larghezze estendendosi anche alla di lui famiglia, fosse costretto per giovarsi del dono a trasportare la propria stanza a Musso.

Le sollecitazioni alla partenza e l'invito a ritornare colle donne furono dal Castellano fatti a Falco alla presenza di Gabriele, il quale tutto a que' detti giubilando in cuor suo, già più non sentendo nelle membra il travaglio sopportato sul lago, seguendo Falco al porto, quivi nell'abbraccio del congedo scongiurollo a non mancare alle richieste del fratello, accertandolo ch'egli stesso non avrebbe presa parte alcuna ai pubblici trattenimenti se quivi esso pure non era.

Falco gliene diede fede, e salito sul suo battello partì di là coi quattro compagni, a cui per ordine di Gian Giacomo erano state date alcune dozzine di scudi del sole, il che giovò mirabilmente a far loro perdere la memoria d'alquanti tagli e maccature riportati nel combattere per lui, ed a mitigare il rancore per la morte di due della loro banda rimasti uccisi nell'assalto alla nave del Gonzaga, dell'uno de' quali, ch'era Guazzo, doleva gravemente a Falco, perchè aveva perduto in lui uno de' più fidi ed antichi compagnoni.

Le campane di San-Biagio, di San-Rocco, dei Cappuccini e degli Agostiniani di Musso, quelle di Sant'Eufemia del Castello, di Santo-Stefano e dei Riformati di Dongo e di altri monasteri vicini suonando alla distesa di buon mattino annunziarono che in tutte quelle chiese (nelle quali il Castellano aveva mandato, cogli ordini suoi, doni e monete) si celebravano messe e si cantavano inni sacri in rendimento di grazie all'Altissimo ed ai Santi per il favore accordato ai Mussiani nella battaglia di Bellagio, che così dalla prossimità di quel borgo venne denominato il navale combattimento da noi descritto nell'antecedente capitolo. Accorrevano frettolose alle preci in ciascuno dei nominati templi le popolazioni; ma dove mostravasi maggiore l'affollamento era a San-Biagio, la cattedrale di Musso, che vedevasi addobbata con gran pompa sì nell'esterno che al di dentro con paramenti bruni a fregi d'oro, in trofei d'armi simmetricamente disposti lungo le colonne e le pareti, nei quali riflettevasi la luce d'infiniti cerei collocati sugli altari e sui gradi d'un catafalco erettosi nel mezzo.

Due ore avanti il mezzodì dalle altre chiese di Musso non che da quelle di Dongo tutto il clero secolare coi canonici e vicarii, i frati cogli Abati de' loro monasteri, e le scuole de' disciplini cogli stendardi e le croci s'avviarono processionalmente a San-Biagio.

Gli uomini d'armi del Castellano, i lavoratori dell'arsenale e le ciurme delle navi s'erano adunati essi pure lungo le strade e la piazza di quel tempio, a cui poco dopo recossi Gian Giacomo col seguito de' suoi Capitani, tutti in abito dimesso, poichè cingevano la sola spada, e avevano tolte ben anco ai berretti le piume. Veniva con loro il cancelliere Maestro Lucio Tanaglia che s'aveva poste un paio di calze bigie, le migliori che s'avesse, un giustacuore di velluto nero, un collare a lattuga stirato di fresco, ed era stato quel mattino più d'un'ora sotto le mani di Mastro Pellucca barbiere del Castello per farsi acconciare i capelli e la barba alla spagnuola, poichè doveva pronunciare l'orazione funebre pei guerrieri rimasti estinti in battaglia, che così gli era stato imposto da Gian Giacomo. Tutti i mali che di consueto ei pativa, l'avevano assalito in un punto all'annunzio di quell'inaspettato e difficile incumbente che gli fu dato la sera; ma nel trambusto dello spirito una felice idea che passandogli pel capo gli suggerì un esordio, ridestò il suo pristino vigore d'eloquio, e postosi allo scrittoio, standovi sino ad avanzatissima notte, tanto fece che venne a capo di stendere un discorso ch'ei credeva in ogni parte perfetto. Quando il Cancelliere entrò nella chiesa frammezzo a tanti Capitani d'armi, vedevasi sul suo pallido volto un non so che di baldanzoso, che era a lui ispirato dalla supposizione che profondissimo senso dovevano far i suoi detti su quell'uditorio, e che l'antico motto cedant arma togæ sarebbesi nuovamente per lui verificato.

Allorchè il Castellano si fu nel tempio, i Sacerdoti intuonarono alcuni canti Davidici, a cui tutti gli astanti risposero in coro: indi gli Avviatori della processione fecero sfilare al di fuori, secondo i gradi e la dignità, le compagnie, i frati, i preti, indi Gian Giacomo a capo de' suoi Capitani, poscia i soldati e quindi tutto il popolo d'ambo i sessi. La sacra comitiva s'avviò alla Chiesuola del lido, in cui erano stati depositati i cadaveri dei capitani Borserio e Romeo Casanova, i quali posti in cassa e coperti da ricchi strati vennero levati a spalle da sei soldati, e portati alla Cattedrale dopo una lunga circonflessione dei seguitanti sulla spiaggia, perchè il Castellano volle che quel funebre corteo passasse innanzi alla casa posta poco fuori di Musso, nella quale stavano le sue sorelle Margherita e Clara colle cugine Lucia e Cecilia Sarbelloni, che con alcune matrone milanesi menavano quivi una così severa vita da farle credere soggette all'austerità d'una regola o d'un voto, e non persone libere e secolari siccome esse erano. Uscirono queste nobili donzelle esse pure dalla loro abitazione coperte da fitti veli, e si posero in coda al convoglio entrando in San-Biagio, ove il popolo, che le stimava e riveriva altamente per l'esemplarità dei costumi e la consanguineità col Castellano, benchè stipato oltremodo, fece largo comprimendosi onde lasciare che liberamente si recassero al luogo consueto ad esse prefisso. Deposte sul catafalco l'arche contenenti le mortali spoglie dei due guerrieri, e collocatosi Gian Giacomo in apposita adorna scranna, intorno a cui eranvi quelle de' suoi fratelli Agosto e Gabriele, del Sarbellone, di Volfango d'Altemps, del Pellicione e del Mandello, si diede principio alla solenne funebre messa, giunta la quale alla lezione degli evangelii venne sospesa, ed adagiatisi i Sacerdoti, il Cancelliere Tanaglia salito in eminente posto, non senza qualche veemente batticuore, poichè in quel momento la sua audacia l'aveva abbandonato, fattosi universale silenzio, si diede a recitare con voce cattedratica e un po' nasale il preparato funerale elogio.

Non aveva di certo la sua orazione un nobile incominciamento al pari di quella che venne poco dopo scritta da monsignor Giovanni Della Casa per Carlo Quinto, che così principia: Siccome noi veggiamo intervenire alcuna volta, Sacra Maestà, che quando o cometa o altra nuova luce è apparita nell'aria, il più delle genti rivolte al cielo ecc., la quale orazione non vi sarà alcuno fra' miei lettori (parlo di quelli che sedettero il loro buon paio d'anni sulle panche della rettorica), il quale non l'abbia udita magnificare altamente, e forse senza prendersi poi cura, vedete negligenza! di ponderarla colla dovuta gravità da capo a fondo. Non si potrebbe asserire però che il dire di Maestro Lucio fosse affatto palustre, giacchè oltre la naturale facondia aveva avuto campo di formarsi su ottimi modelli, poichè di que' tempi le belle lettere in Milano s'avevano molti e valenti coltivatori. L'eloquenza era più che mai in fiore, siccome lo prova patentemente un libro impresso in quell'epoca che ha per titolo: Breve tractato de portare il scuffiere sotto la beretta con gratia ed legiadria, composto per me Bernardino Rocca14: nè la poesia tenne mai più elevato seggio, poichè il prete Francesco Tanzio, in una sua prefazione ai componimenti dell'arguto et faceto poeta Belinzone dedicati al duca Lodovico Sforza, dovette dire: Che io credo non solo la Cantarana et il Nirone, ma tutti dui i navilii siano diventati de l'acqua di Parnasso15.

Pronunciata dal cancelliere l'orazione funebre, venne continuata la celebrazione della messa, terminata la quale fra i canti sacri alla pace degli estinti, si tolsero dal catafalco le bare, ed aperto il sepolcro, che era prossimo ai gradini dell'ara maggiore, vennero in esso calate e chiusevi col pesante cippo: uscirono poscia tutti dalla chiesa attendendo ansiosi quel prossimo dì, in cui un gaio e festevole convegno doveva compensare i tristi ma doverosi e solenni ufficii di quel giorno.

Falco ritornato alla sua rupe mandò i suoi compagni sulle sponde destra e sinistra del lago al di qua di Bellaggio, ordinando loro, ed in ispecie al Negretto il Tornasco, di recarsi in tutte le terre prossime alla spiaggia a spiare se vi fossero rimasi in esse camicioni rossi, come ei diceva, ossiano soldati ducali, e quindi recargliene le nuove il domane in Nesso, ove egli giunto salì bentosto al proprio casolare. La di lui inaspettata comparsa portò somma contentezza all'anima di Orsola e di Rina, che da tre giorni stavano fra la paura e l'angoscia, poichè avendo desse veduto con somma loro sorpresa e spavento passare per quelle acque la numerosa flotta Ducale, e udito il lontano rimbombo e confuse narrative della battaglia datasi presso Bellaggio, non che dell'immensa strage d'ambe le parti ivi commessa, tremavano che Falco, avendovi avuta necessaria parte, non vi fosse rimasto ferito, o prigioniero, o ben anco ucciso. L'ardito guerriero montanaro rimproverò loro que' dubbii e quelle paure, siccome effetto di debole animo femminile, e ripetè per rianimarle in somiglianti casi la massima assai divulgata in quella pregiudicata ignoranza di tempi, e a lui fatta cara e probabile dal trascelto periglioso modo di menare la vita, che, cioè, a ciascuno era prefisso dalla propria costellazione o pianeta il fatale momento, e che alle umane forze non era dato nè anticiparlo nè evitarlo, ed essere quindi vano ogni studio di precauzione e difesa, ed inutile l'angosciarsene. "Per ciò, diceva, vuotando una tazza e prendendo il suo moschetto per ripulirne gli ordigni da fuoco, per ciò anche il povero Guazzo ha seguíto il figlio della vecchia Comare di Palanzo all'altro mondo, mentre io che esposi la testa ed il petto a dugento palle più di lui non ho avuto ben anco la più piccola graffiatura".

"Ne sia ringraziato il Santo Crocifisso! (disse Orsola non istraniera in tutto al fatalismo adottato dal marito, ma la cui molta sensibilità la rendeva incapace dell'apatia che esso voleva ispirarle per farla tranquilla) e possa sempre avvenire così sinchè io sono in vita, e sin che questa nostra figlia non abbia trovata una casa ed il braccio d'un uomo che come il tuo la difenda e sostenga".

Falco a tali detti della moglie, che coincidevano perfettamente co' suoi pensieri, lasciò cadersi a piedi il moschetto, alzò commosso lo sguardo sulla figlia, e tra intenerito e sdegnoso "Per l'anima di mio padre, esclamò, che io dovessi essere pascolo dei pesci o dei vermi pria che questa fanciulla si stesse in un abituro posto frammezzo agli uomini e custodita dai lupi e dai nemici meglio che qui non sia? – No, non sarà. – Ti cercherò io un asilo in luogo tale che si dovranno sfasciare mura e porte di ferro anzichè vi regnino quelli che potrebbero per odio mio godere nel tormentarti".

La sua mente volgevasi nel così parlare al già concepito progetto d'abbandonare la rupe per istabilire sua dimora in Musso, e questa idea richiamógli alla memoria la parola data di quivi condurre le sue donne ond'essere spettatrici delle feste, e parvegli tornasse assai opportuna la loro presenza al suo divisamento. Raccontò quindi ad esse gli eventi e l'esito felice della guerra, soggiungendo che dovendosi per tale prospero successo dare in Musso pubblico spettacolo, aveva divisato che v'avessero ad intervenire, e si disponessero a partire all'alba della posdomane. Tale proposta recò non poco stupore ed imbarazzo ad Orsola, che da molti anni usata a non staccarsi da quel casolare della rupe se non per recarsi alla chiesa di Nesso, alle Terre ed agli abituri delle montagne vicine, ignorava quasi cosa si fossero pubblici spettacoli, specialmente col concorso di uomini ricchi e possenti, come ve ne aveva allora in sì gran numero a Musso; però la brama di seguitare il marito e di conoscere que' luoghi e quelle persone di cui Falco soleva sì frequentemente intrattenerla, le fecero caro quell'invito e sollecita d'acconsentirvi.

Rina a quell'annunzio avea mirata in volto la madre collo sguardo attento, interrogante, di chi udendo cosa straordinaria e nuova, ne chiede conferma a quegli in cui per costume ha intiera fidanza: quando vide la madre dopo un istante di titubamento alzare gli occhi ver' lei con certa espressione di compiacenza, quasi dir volesse che assecondava volenterosa le richieste del marito, ella abbassò i suoi al terreno, suffuse le guancie di un vivo rossore. Il pensiero di rivedere l'oggetto di sue arcane speranze, l'oggetto ch'ella s'aveva sempre presente come l'immagine d'un sogno prediletto che si conosce non potere diventar mai vivo e reale, ma che pure forma la soavità della vita; il convincimento di rinovare quella dolcissima impressione d'un sentimento che, sebbene vago, indefinito, era tutto per lei, abbenchè non le facesse ancor presentire l'appassionamento più positivo, direbbesi, e concreto che nasce dalla lunga contemplazione e dal consorzio dell'essere amato: tutte queste cose scossero l'anima di Rina in sì fatto modo, ch'ella sarebbesi per l'eccesso della gioia slanciata nel seno del padre e della madre sua, se la natura stessa di que' pensieri timidi e peritosi fattala temente di disvelarli, non l'avesse rattenuta e resa muta ed immobile.

Il giorno seguente Falco discese a Nesso, e quivi ritrovati i suoi compagni, seppe da loro che in nessuna delle Terre o dei borghi d'entrambe le sponde del lago i Ducali avevano lasciati presidii, e che anzi que' drappelli e spizzichi di soldati nemici che vi stavano dapprima, udito l'esito della battaglia, temendo di cadere nelle mani del Castellano, s'erano affrettati o pei sentieri del lido o nelle navi a ritornarsene a Como. Avute queste novelle, Falco comandò a due di loro si trovassero allo spuntare del dì venturo ai piedi della sua rupe colla sua barca perchè voleva recarsi a Musso.

All'alba infatti del nuovo giorno Orsola e Rina assettate convenevolmente alla loro foggia le chiome, e indossate le vesti che s'avevano più splendide, chiuso diligentemente il loro casolare, discesero con Falco al lago, ed ivi si posero nel navicello guidato dal Trincone e dal Tornasco, sostituito da Falco per remigante all'estinto Guazzo. Pervenuta la loro barca nelle acque di Bellaggio, Falco ed i rematori indicarono alle donne il luogo della battaglia, distinguendo i siti ove erano accaduti i principali avvenimenti del conflitto sulle navi, i di cui resti erano già stati dalle onde dispersi, gettati al lido, o raccolti dai naviganti e dai pescatori.

"Là, disse Falco accennando col dito verso il promontorio, là le nostre borbote s'ebbero il primo ruvido saluto dalle bombarde che i Ducali postarono sulla collina: qui incominciò l'attacco, e qui, ti sovvieni Trincone, l'Indomabile e la Salvatrice mandarono a lavarsi nelle acque non pochi di quegli sporchi camiciotti rossi: qui il bravo capitano Borserio lasciò la vita con tutti i prodi che montavano il Busto di ferro: là combatteva Gian Giacomo, là fu preso il Nedena, e un poco più in giù il signor Gabriele saltò nella nave dell'ammiraglio Gonzaga. Quanto mi sarebbe doluto se non avessi potuto giungere a tempo di trarlo d'impaccio! Appena fu sbarazzato da quelli che il serravano d'appresso, ei mi cadde nelle braccia bianco, od Orsola, come la tela di tue maniche, e sfinito in tutto di forze: che valente giovine! quanto si dimostrò coraggioso! ei non cessò mai dal combattere sin che la giornata non fu vinta, ed egli stesso, a dirla vera, fu che la vinse, poichè esso fu quello che uccise il Gonzaga, e fu dietro suo ordine ch'io ti comandai, o Tornasco, di salire l'albero della nave, e calare la bandiera ammiraglia".

"Sì è vero, rispose il Tornasco, mi ricordo quand'egli te lo disse, ed io e il Sordo montammo rapidamente per le scale di corda a porre le mani addosso a quel bastardo d'un biscione d'argento16 che sventolava là in alto con in bocca un uomo, come se indicasse di voler fare un boccone anche di noi".

Orsola udiva ammirata tali e più estesi parlari intorno alla zuffa, prendendovi però in cuor suo pochissimo interessamento, poichè alla fin fine pensava dessa gliene era uscito salvo il marito, e tanto a lei bastava; ma così non avveniva di Rina, a cui que' racconti facevano ora agghiacciare, or ardere il sangue, poichè le parole, l'espressivo gestire del padre e la propria fervente fantasia le mettevano innanzi quadri veri e vivi che le agitavano ogni fibra del cuore. Poco innanzi il finire del loro navigare diede diverso e più dolce e pacato corso allo immaginare della bella montanina l'apparire che le fecero alla vista le torri ed i baluardi del Castello, che s'alzavano a scaglioni sull'erta montagna, e lo sventolare su di esso dei vessilli medicei, il cui purpureo colore e le palle d'oro spiccavano gradevolmente ai fulgidi raggi del sole mattinale. S'era Rina assai volte raffigurata nella propria mente la forma di quel Castello, ma s'accorse al vederlo quanto la fantasia l'avesse condotta lungi dal vero, poichè nulla s'aveva presupposto che ne eguagliasse la vastità, l'imponenza e l'altezza, nulla pure dell'ampia e popolosa borgata che gli stava vicina, onde piena di meraviglia e di segreto contento mirava con occhio attonito quelli eretti edificii che facevano dal lago sì superba mostra.

Procedeva rapida la barca a quella volta scorrendo sulle increspate acque del lago, e non pure le due donne, nuove a quella veduta, ma Falco stesso ed i compagni rematori non poterono astenersi dal riguardare con molta ammirazione le forti e grandiose mura della residenza del Castellano, che sembrava quel giorno aversi un non so quale festivo aspetto, di cui era causa il duplicato numero delle bandiere piantate sulle torri e sui baluardi.

Pervenuti alla sponda, fermarono la barca poco lungi dalla fila dei legni reduci dalla battaglia, tratti per gran parte in secco, e scesi a terra Falco, Orsola e Rina, si volsero ver' Musso per avviarsi di là al Castello. In mezzo al piano formato dal lido, che si stende a mezzodì dalle ultime case del borgo al torrente Carlazzo, era stato costruito uno steccato a foggia di circo, intorno al quale, onde difendere gli spettatori dai cocenti raggi del sole, vedevansi alzati estesi padiglioni, alcuni riccamente addobbati, uno in ispecie con palchi e sedili distinti riserbato al Castellano, altri formati con tele listate in bianco e azzurro, o con vele sostenute da pali, ed altri finalmente con sole frascate di rami d'alberi trecciati insieme. Presso l'entrata di tale steccato sorgevano due grandi tende circolari perfettamente chiuse, guardate da un uomo d'armi ciascuna, poichè quivi entro stava quanto servir doveva allo spettacolo.

14.Prato.
15.Cantarana e Nirone, o Nilone, così chiamavansi due fosse interne della città, dall'ultima delle quali prese nome una contrada detta tuttora Nirone di San-Francesco, ed è vicina al luogo ove sorgevano la chiesa ed il monastero dedicati a tal santo, ora cangiati in una magnifica caserma.
16.Allude allo stemma Visconti che si vedeva negli stendardi sforzeschi.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
25 haziran 2017
Hacim:
390 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
Metin
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Metin
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Metin
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Metin
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок
Metin
Средний рейтинг 0 на основе 0 оценок