Kitabı oku: «Falco della rupe; O, La guerra di Musso», sayfa 17
Durò lunga pezza furiosissimo il combattimento corpo a corpo sulla riva, dentro le case e su pel colle, e siccome anche dall'altra parte del lago continuava la pugna, ambedue quelle sponde risuonavano di spessi colpi e di grida. A poco a poco però il rumore della battaglia s'andò scemando e allontanando dalla riva di Tramezzo, e gli spari d'archibugio rari e dispersi indicarono che era piuttosto un inseguirsi che un combattere regolarmente. Presso Bellaggio i Ducali vennero finalmente ricacciati dalle case di cui s'erano sulle prime impadroniti; e mentre incoraggiati dal Vestarino, ch'era ritornato con fresche truppe presso il borgo, vi si spingevano con nuovo urto, Gabriele, sbaragliati gli oppositori del colle, li prese di fianco e li costrinse a cedere il campo e ritirarsi fuggendo.
Tolse ai Mussiani l'inseguire il nemico la neve che incominciò foltissima a cadere, e il considerare che più oltre potevano essere disposti agguati, per cui i Capitani richiamarono gli uomini d'armi dentro la Terra, ricollocando le sentinelle e facendo formare duplici barricate all'intorno di essa. Falco condusse di nuovo la Salvatrice in porto, e poscia recossi cogli altri due Comandanti alla rocca degli Stampa.
Venuta la sera, dopo aver preso abbondante ristoro, si ridussero essi tre presso un gran fuoco, acceso in una spaziosa sala adorna d'armi e dipinti antichi, e quivi Falco e Sarbelloni, vuotando di quando in quando le tazze, riandando gli eventi della pugna, si congratulavano seco medesimi della vittoria, scagliando imprecazioni contro il nemico, e invitando all'allegria Gabriele che si mostrava mesto e pensoso. Quand'erano più caldi in que' ragionamenti s'intese battere a colpi replicati la porta: alcuni uomini d'armi del drappello che stava in un camerone inferiore, accorsi a vedere chi fosse, vennero frettolosi nella sala ad annunziare essere un frate che chiedeva con molta istanza di parlare ai Capitani del Medici. Questi ordinarono entrasse, e Falco, riconosciuto in esso lui frate Andrea della Casa dei Malati in Nesso, sentì un gelo scorrergli per l'ossa, chè paventò un tristo annunzio, e non s'ingannò; poichè appena entrato quel frate, che aveva la barba ed i capegli scarmigliati, lacera e tutta bagnata la tunica, mostrando la spossatezza di chi ha fatto lungo e disastroso cammino, disse con voce tremante agli atterriti Capitani, che una banda di nemici giunti improvvisamente in Nesso aveva cercato di penetrare nella Rocca, al che si opposero a viva forza i terrazzani: ma che comparve colà ben tosto una nave di Ducali, i quali scesi a terra, ed unitisi agli altri assalirono e dispersero i più vigorosi, e penetrarono poscia nelle case uccidendo e ferendo quanti ne trovavano, e incendiando casolari, presepi, masserizie, per cui tutta Nesso era in fiamme; proseguì dicendo che venuti alla Casa dei Malati fecero macello di tutti quelli che vi trovarono, e ch'egli era scampato al loro furore fuggendo per la via dei monti onde ricoverarsi a Bellaggio, essendo il giorno antecedente corsa la voce ch'erano quivi pervenuti i soldati del Castellano.
Tremavano a tale narrazione per convulsi moti di rabbia i muscoli di Falco, le sue labbra s'erano impallidite, e gli occhi di lui tramandavano sinistri lampi: udì tutto, e non osò domandare della sua donna e della figlia; s'alzò d'un balzo; prese il moschetto, indossò la schiavina, e pronunciato un addio, s'appressò per uscire alla porta: ma s'oppose al suo passaggio Gabriele, che fuori quasi dei sensi, con voce disperatamente sicura disse: "Ecco a che ti condusse l'ostinato tuo resistere alle mie istanze di abbandonare la rupe: essa forse a quest'ora… Ma qualunque sia la sua sorte, aspettami; io debbo esser teco, e perire con lei, o salvarla: così ho giurato irrevocabilmente al Cielo!"
Falco restò muto a tali accenti, guardò quel giovine con occhio di compianto, chè certo non era solo in quel punto che scopriva l'arcano dell'amor suo, e quando Gabriele s'ebbe ricinta la spada che aveva deposta, presolo per mano, uscì di là frettoloso. Achille Sarbelloni non osò impedire nè frapporre indugio a quella dipartita, comprendendo l'imperiosa necessità che l'aveva causata, e accorgendosi dai modi assoluti con che que' due s'erano allontanati l'inutilità del trattenerli.
Era nera la notte, cessato il nevicare, spirava gelido un vento che le acque del lago frangeva alla sponda con reco mormorio: terra terra però scorgevasi un debolissimo chiarore, prodotto dal biancheggiare della neve, che faceva meno incerto il cammino ai due guerrieri, i quali avevano a quell'ora abbandonata la Rocca Stampa. Falco andava innanzi siccome esperto conoscitore di tutte le vie di que' monti, e Gabriele a lui teneva dietro dappresso; camminavano a passi veloci quanto il comportava il terreno, taciturni entrambi ed assorti in tormentosi dubbii che li angosciavano e li affrettavano sempre più a giungere alla meta.
Su per dirupi, giù per vallate, dentro sfrondate selve attraversano macchie e torrenti, ora sostenuti dalla congelata neve, ora per i clivi sprofondando co' piedi in essa, ma destri e infaticabili vincendo mille ostacoli, oltrepassano gli eretti scogli di Grosgaglia, valicano il torrente di Villa, e trascorsa al di fuori Lezzeno occupata dai Ducali, pervengono sul monte all'alto della punta della Cavagnola. Appena giunti al di là del profilo della montagna, da cui si scorgono le acque di Nesso, ferì i loro sguardi un chiarore inusato che illuminava d'una luce rossiccia tutto quello spazio: s'arrestarono essi ad un tratto su quell'eminenza colpiti da terrore a tal vista: ardevano i casolari di Nesso ardevano altre Terre vicine; e le fiamme alte sventolanti, rompendo la tetra oscurità dell'aria, spandevano una tinta di sangue sulla neve dei monti circostanti e facevano rosseggiare le acque in cui si riflettevano, e sulle quali alcuni legni Ducali correvano in diverse direzioni, lumeggiati pur essi da quel lume funesto.
Falco erasi soffermato e stava immobile appoggiato al suo moschetto mirando quel tremendo spettacolo: luccicavano allo splendore dell'incendio il suo giaco di maglia e la rete d'acciaio, ed i suoi lineamenti, improntati d'una selvaggia fierezza, prendevano dal colore delle fiamme un aspetto sì straordinario, che avrebbesi potuto rassembrarli a quelli d'uno spirito infernale apparso a contemplare una scena di desolazione. Splendeva pure la lorica sul petto a Gabriele che s'era arrestato a lui vicino, ma nel suo viso scorgeasi tuttavia un non so che di pietoso ed umano che faceva bello su quel volto il dolore.
"Guardateli, esclamò Falco coll'accento della rabbia più intensa; guardateli quei lupi iracondi e vigliacchi! essi vogano e s'aggirano per queste acque contenti di ciò che hanno fatto. Fuggono la mattina innanzi a noi cacciati dalle nostre palle e dai nostri ferri, e vengono sulla sera ad infuocare le abitazioni senza difesa e ad uccidere le donne e gli inermi terrazzani. Ah sgherri incendiarii, assassini! Ma guai a voi, se avete poste le mani su di esse! Falco respira ancora, e le punte de' suoi pugnali entreranno tante volte ne' vostri cuori quanti capegli avrete torti a loro".
"Il piano della tua rupe è oscuro, disse con ansietà Gabriele; certamente la tua capanna non fu veduta; essa non arde, ed è d'uopo dire che i Ducali non vi pervennero ancora: affrettiamo i nostri passi, e giungeremo a sottrarre le donne prima che i nemici se ne avveggano".
Si mossero immantinenti, e giù per la china del monte, risalirono l'erta al di sopra dell'affuocata Nesso, udendo i gridi ed i lamenti disperati dei miseri abitatori, di cui alcuni vedevansi fuggire pei sentieri del monte sottraendosi così alla rabbia dei soldati, i quali in gran numero coperti di ferro, nude le spade, s'aggiravano, intorno a quelle ardenti e crollanti ruine sterminando chiunque degli abitanti a loro s'affacciava.
CAPITOLO DUODECIMO
Minacciose le fiaccole ardenti,
Son degli astri ne' cieli roventi;
Su la nube la nube ricade,
Ed i venti-con lunghi lamenti
Van dicendo "ritorna chi fu".
Tu sei pallida pallida;
Tu sei tremante e tacita,
Chè l'aleggiar de' spiriti
Nell'aere già senti,
E l'appressar terribile
E lo gridar de' spenti
Di morte annunziator.
DIODATA SALUZZO. Ipazia, poema.
Batte forte il cuore ad entrambi mentre a rapidi passi salgono l'erto sentiero della rupe. Pervengono finalmente sul picciol piano dietro il casolare, s'avvicinano a questo, la porta è chiusa, l'interno è muto, nè luce alcuna trapela dalla finestra e dagli spiragli. Falco bussa la porta; chiama prima sottovoce, poscia chiaramente, ma nessuno risponde; ne scuote i cardini, ma resiste perchè saldamente serrata. Gabriele non sa che pensare; ambedue rimangono silenziosi investigando col pensiero che mai potesse essere avvenuto delle donne.
"Qui i Ducali non sono montati di certo, disse Gabriele, perchè non avrebbero lasciato incolume il tuo abituro: quindi io spero che tua moglie e la figlia alla vista dei nemici e dell'incendio si saranno poste in salvo cercando rifugio in qualche casolare della montagna".
"Le capanne dei pastori, rispose Falco, sono disabitate a cagione delle nevi, ed esse non avevano pratiche colle genti d'intorno. Non so immaginarmi dove mai possono avere rivolti i loro passi… E se mai (aggiunse con fuoco) avessero nel fuggire dato ad essi nelle mani?.."
"Come mai saperlo? esclamò Gabriele: terribile incertezza!.. Vedi?..molti Ducali si sono raccolti sul lido; scendiamo giù verso le case dove il fuoco è già spento, e tentiamo spiare se mai le avessero prese, onde adoperare tostamente ogni mezzo per liberarle".
Calarono così dicendo frettolosi dalla rupe al sentiero per entrare nel borgo, quando Falco, guardando verso il ponte del torrente, vide un uomo che cautamente s'avanzava su di esso: s'arrestò, osservò attentamente e disse con ansia a Gabriele: "Quello è Negretto il Tornasco: egli saprà sicuramente darci qualche indizio intorno alle donne". E portando la mano alla bocca per dirigergli la voce, gridò: "Tornasco, Tornasco!" "Falco". "Sei tu?" "Son io". "Sai nulla?" "So tutto". Le mie donne..?" "Son esse che mi mandano: ora ti dirò ogni cosa". S'avvicinarono gli uni all'altro a rapidi passi, e Negretto narrò con spedite parole che trovandosi in Nesso nel momento ch'erano quivi giunti i Ducali, fu de' primi a combattere contro di loro, ma che forzato a cedere fuggì dal Borgo allorquando cominciava l'incendio; che però avendo voluto essere spettatore di ciò che avveniva, s'era postato sul monte poco in su del sentiero che entra nella Valle del Noce; che dopo alcun tempo vide al chiarore delle fiamme due donne che venivano a quella volta, e ch'ei riconobbe per la moglie e la figlia di Falco, onde tosto discese verso di esse, offrendosi a scortarle nella loro fuga; che le medesime lo pregarono invece istantemente andasse per la via de' monti a Bellaggio, perchè sapevano ch'era quivi giunta la nave di Falco, cercasse di lui, e lo avvertisse che per sottrarsi all'imminente periglio esse recavansi, per quella valle alla Cappelletta dell'Eremita nel bosco di Zelbio, che quivi sino al mattino lo avrebbero atteso, e che di là non sarebbero retrocesse se non quando si fossero affatto allontanati i nemici. Falco e Gabriele, respirando contenti, e giubilando per quel fortunato incontro che dissipava il funesto dubbio che aveva sino allora oppresso i loro spiriti, ringraziarono replicatamente il Tornasco, e presero tosto cammino insieme ad esso su per l'erta onde passare il ponte del torrente, vicino a cui s'apre l'ingresso della Valle del Noce.
Pervenuti al ponte, il guerriero Montanaro si rivolse per dare un ultimo doloroso sguardo al suo luogo natío fatto scopo del nemico furore, ed al suo casolare che paventava di non dover più rivedere; ed ecco appunto che scorge in quell'istante un grosso branco di soldati salire con fiaccole accese verso la rupe, gridando, tumultuando, e facendo udire tra infernali grida i nomi di Falco, di Pirata, di Musso. Si volsero a quel rumore anche il giovine Medici e il Tornasco, e videro i soldati ascendere al piano della rupe, atterrare a ripetuti colpi di scure la porta dell'abituro, entrarvi ed uscirne caricati d'ogni arnese e masserizia, dividersi le più minute, accatastare il rimanente sul piano stesso e darvi fuoco. Falco, furibondo a quella vista, si slanciò per discendere, scagliarsi in mezzo a que' distruttori di sue cose e vendicarsi; ma Gabriele e il Negretto a tutta possa il trattennero, dissuadendolo da tal atto in cui avrebbe posta a grave repentaglio e vanamente la propria vita. Il Montanaro s'acquetò per un momento, ma allorchè vide un gran fumo uscire a densi globi da tutte le aperture di sua casa, e subito dopo manifestarsi le fiamme ai quattro angoli di essa, non volle lasciare inulta quella barbara intrapresa: discese alquanto pel sentiero, appuntò il suo moschetto, e trasse un colpo su quella turba di Ducali, che, urlando di gioia, pascevano avidamente gli sguardi nelle fiamme divoratrici. Due di essi caddero, ferito l'uno, l'altro ucciso; e mentre tutti gli altri, storditi a quel colpo inaspettato, miravano per iscoprire d'onde fosse partito, Falco riguadagnò il ponte, e salutato di nuovo il Tornasco che si separò da loro, entrò con Gabriele nella Valle del Noce.
Orsola e Rina dopo avere camminato assai per il sentiero che rimonta la valle, e che l'obbliqua posizione, i seni del monte e i rami delle grosse piante che il fiancheggiavano avevano riparato in parte dalla neve, rendendo così meno disastroso il trascorrerlo nel buio della notte a chi com'esse l'aveva tante volte praticato, giunsero finalmente nel bosco di Zelbio, ove internandosi alcun tratto ritrovarono la Cappelletta dell'Eremita, e v'entrarono. Era questa una picciola rotonda aperta sul davanti, guasta allora e spoglia d'ogni arredo, ma dove altre volte si vedeva un altare con varie immagini sculte in legno, custodite e mantenute in venerazione da un Eremita che s'era costrutto in quel bosco una cella. La moglie e la figlia di Falco si assisero colà l'una presso all'altra, cercando col rinserrarsi i panni che avevano indosso di difendersi alla meglio dal rigore del freddo notturno. Oltre lo sgomento che durava nel loro spirito pel funesto avvenimento che le aveva costrette a fuggire fra le tenebre in quella dirupata valle, quando cessarono dal camminare e si videro solinghe sotto quella ristretta volta dentro un antico disabitato bosco, furono assalite altresì da un terrore che aveva più antica origine nei loro cuori. In fondo di quella valle trovansi le vaste e profonde grotte del monte del Tivano, che le popolari tradizioni fecero sempre albergo e convegno di enti spaventosi e malefici19: quivi, secondo l'opinione di que' montanari, recavansi in tregenda dai luoghi più lontani maghe e stregoni, che uniti ai demonii che sbucavano dalla terra, dopo lunghe infernali tresche formavano gli incantesimi, e preparavano filtri e simboli fatali. Le due donne, allorchè concentrate in se stesse cominciarono poco a poco a riflettere che si trovavano in prossimità di quel tremendo luogo, provarono in tutta la forza il sentimento della paura, che è tanto più potente quanto più è indefinito e misterioso il soggetto che lo cagiona. Quell'oscurità, quel silenzio, il fantastico aspetto che prendevano ai loro occhi i neri tronchi delle piante che sorgevano presso il limitare dell'edifizio ove s'erano ricoverate, tutto insomma aumentava in esse l'angustia del cuore e la tema. S'abbracciarono strette l'una l'altra, e "Ohimè, incaute! esclamò Orsola con voce smarrita, perché mai siamo noi venute così presso alla montagna del Tivano? perché non abbiamo scelta un'altra strada meno pericolosa? chi sa cosa avverrà di noi in questo luogo!" Rina, a cui la tenerezza manteneva la mente in uno stato di continua esaltazione, e s'aveva quindi l'immaginazione ardente, e suscettiva di più profonde impressioni, senti a questi accenti della madre frizzarsi una punta al petto, onde serrandosi a lei più strettamente, e nascondendole il volto in seno: "Madre mia, proferì tremando, fuggiamo, retrocediamo, usciamo da questo bosco prima che si avveggano di noi! guai se si accorgano che stiamo qui sole, potrebbero prepararci le più gravi sventure!"
"Ah Santa Vergine, soccorreteci! disse Orsola: fate che presto spunti il giorno, e che noi rimaniamo intanto illese dalla potenza dei nemici infernali, come v'è piaciuto di salvarci da quelli di Como, che l'ira vostra confonda e disperda!.. Ma facciamoci coraggio, o Rina: io spero che il Tornasco, che abbiamo incontrato, giungerà prima dell'alba a Bellaggio, e sono certa che se Falco è colà, in poche ore verrà a raggiungerci in questa valle: altrimenti ne usciremo, e cercheremo da noi una strada verso il lago per recarci a Musso".
"A Musso sì!" pronunciò Rina rilevandosi inanimita come da un magico tocco "per rimanere colà, per non più scostarci da quel Castello? – Ma, ohimè! o madre, udite! mi pare d'intendere rumore di pedate: qualcuno di certo s'avanza pel bosco!"
Stettero quasi senza trar fiato ascoltando perché si fece per la selva sentire distintamente un veloce mutare di passi diretti a quella volta; ma ad entrambe fu per balzare dal petto il cuore trasportato dalla gioia improvvisa quando udirono la robusta e sonora voce di Falco far rintuonare la valle dei loro nomi. Esse risposero subitamente alla chiamata affacciandosi unite all'ingresso di quel diroccato edifizio: Falco riuscì in quel punto fuori dall'intricamento delle piante, precedendo Gabriele che lo seguiva per quell'oscurità con un palpito veemente di speranza: le donne gli vennero incontro, non dubitando che la persona che seco era, e che distinsero al suono dei passi, fosse il Tornasco, od altro de' suoi compagni montanari. Quando però furono dappresso, Rina s'accorse tostamente al contorno delle forme che s'intravedevano a quell'ignoto anche nelle tenebre, che esso non era l'uno de' rozzi seguaci del padre; quando poi sentì il di lui respirare gentile e un po' affannoso, un dubbio, un lampo le passò per la mente, e il di lei cuore aveva già sobbalzato ripetutamente prima che Falco dicesse ad Orsola: "È venuto meco il signor Gabriele, che da valente e generoso giovine, com'egli è, allorquando udì il disastro di Nesso, si dispose ad affrontare con me anche i più gravi pericoli, se fosse stato d'uopo, per liberarvi dalle mani feroci dei nostri nemici".
Sparì ogni tenebria dagli occhi di Rina in quell'istante, e le parve vedere come di pieno giorno l'adorato viso del suo guerriero, provando all'anima la dolcezza che dagli sguardi di lui le suoleva immancabilmente derivare; pari fu il contento del giovine Medici, nel cui spirito subentrò all'angosciosa incertezza una tranquillità ed un appagamento inesprimibile.
Il Montanaro di Nesso aveva nell'antecedente cammino convenuto con Gabriele del proprio torto, nell'essersi rifiutato sempre ad andare a prendere dimora in Musso, lo che stabilirono tra loro avrebbe fatto immantinenti: quindi pensando al modo di condurre le donne a Musso senza farle passare vicino ai nemici, Falco disse ch'ei conosceva una strada da cui avrebbero potuto recarsi al lago di Lecco, ove imbarcarsi per Musso, senza retrocedere dalla valle del Noce in cui s'internavano; ma soggiunse che a causa delle alte nevi, era d'uopo passare il monte che chiudeva quella valle per una via inusitata e strana, cioè dentro le profonde caverne che perforavano la montagna stessa. Gabriele rispose che se per le donne non v'erano colà pericoli od oggetti di spavento, s'offriva pronto a seguirlo dovunque. Falco lo accertò che correva bensì voce che quivi apparissero streghe e diavoli, ma ch'egli aveva fatta altre volte co' suoi compagni quella via, e che nulla mai gli era accaduto incontrare che gli recasse danno o terrore. Questa determinazione presa con Gabriele fu da Falco comunicata alla moglie, la quale, restia per alcun poco ad aderirvi, fu finalmente convinta, o piuttosto forzata, dalle parole e dalla volontà del marito, la cui scorta unita a quella del giovine guerriero le temperava in gran parte nell'animo la paura, che a pensare a quel tremendo luogo tutta l'invadeva.
Procedettero tutti insieme, guidando Falco gli altri, per quel bosco, usciti dal quale, e sempre rimontando la valle per via più aspra, e in quell'oscurità difficilissima, vennero in luogo dove restringendosi è chiusa dalle erette spalle del monte, ingombro d'alte piante. Quivi salirono un breve tratto, e trovaronsi alla bocca d'una spaziosa caverna tutta ingombra all'entrata da grossi alberi e sfrondate boscaglie. Le donne si strinsero intimorite a Falco, scongiurandolo a non por piede colà; ma egli cercando con animate parole dì dissipare il loro terrore, raccolse un fascetto di rami, lo strinse insieme, e coll'esca del moschetto, avendolo acceso a guisa di fiaccola, entrò intrepidamente nella grotta obbligando la moglie e la figlia condotte da Gabriele a seguirlo.
Levò alto quel lume, mirò d'intorno, e null'altro si presentò al suo sguardo che lo sterminato masso in che era incavato quell'antro: continuando con vivaci e risoluti detti a togliere dal seno di chi lo seguiva ogni temenza; raccolse molti frantumi d'alberi diseccati che erano sparsi sul suolo, li radunò in una catasta, intorno alla quale fece assidere le donne e Gabriele, e colla fiaccola v'appiccò fuoco.
Splendette ampia la fiamma investendo d'una luce viva il sasso giallo-rossiccio che formava la vôlta e le pareti laterali di quella caverna, riflettendosi sugli ineguali e rotti scaglioni che ne costituivano il fondo, il quale alla superiore estremità s'internava con un nero sprofondamento. Mentre, seduti intorno a quel fuoco sovra pietre dalla vôlta stessa cadute, quei quattro ivi venuti, le cui ombre si proiettavano in gigantesche proporzioni sul pavimento e sulle scabre pareti, stavano ragionando dei tristi avvenimenti di quel giorno, giunse al loro orecchio come un lontano e lieve rumore di pedata che venendo dal fondo dell'antro destava un tenue ma cupo rimbombo. Colpiti da quel suono, divenuti all'istante silenziosi ed immobili, attentamente ascoltarono, ed il rumore di que' lontani passi andava facendosi più distinto, indicando che alcuno dall'interno di que' recessi s'avanzava. Balzarono tutti in piedi, e Falco pel primo, che sollevò il moschetto piantandosi in attitudine di scagliare il colpo; Gabriele gli si pose a lato sguainando rapidamente la spada: dietro a loro rimasero le donne l'una accanto all'altra. Appena s'erano dessi così atteggiati, che ecco sul ciglio del più elevato masso che chiudeva in parte il fondo di quell'antro comparire una figura femminile, appoggiata a due mani ad un bastone, che l'incerto chiarore che là perveniva fuor disegnandola dall'oscura cavità che dietro le stava, davale aspetto di straordinaria e fantastica apparizione. Gelò a quella vista il sangue per terrore anche nelle vene dell'intrepido Montanaro, che come gli altri che seco erano pensò che quello uno si fosse dei tremendi abitatori della caverna comparso a punire gli audaci colà penetrati. Di grado in grado per i rialzi sporgenti negli smisurati scaglioni calò l'apparsa vecchiarda, e giunta al piano della grotta s'avanzò verso il luogo ove quei quattro si stavano immobili ed atterriti. Era dessa Imazza, la vecchia comare di Palanzo, che all'accostarsi dei nemici a quella terra aveva abbandonato anch'ella il proprio abituro, ed era per la Valle del Noce venuta colà, penetrando per un altro ingresso nella caverna, ove soleva frequentemente venire, e dove gli abitatori di que' monti supponevano stesse in consorzio cogli spiriti maligni. Vedendo dalle oscure latebre in cui s'aggirava, splendere lontano il fuoco sotto la più spaziosa vôlta, essendo pressochè intirizzita dal freddo, s'avviò per riscaldarsi verso di quello. Andò dritto colà, e senza nemmeno guardare in volto a chi vi era già vicino, coricò al suolo il suo bastone, e si rannicchiò presso la fiamma stendendo verso di essa ambe le scarne mani.
Allorchè Falco e le donne la riconobbero, sebbene non riuscisse ad essi gradita la sua presenza colà, pure essendo dessa loro comare, mirandola lacera ed abbrividita, lasciarono che s'accostasse a quel fuoco, sembrando troppa crudeltà il non concederle che sgelasse le membra. Gabriele guardava con occhio di meraviglia e di ribrezzo quella vecchia, il di cui strano aspetto annunziava una strega uscita quasi per incanto dal seno del monte, e mirando Falco e le donne, rimise il ferro nella vagina, non sapendo però rendersi ragione nè del loro silenzio, nè della calma ritornata sui loro volti nel momento che la vecchia approssimatasi s'accosciò quivi senza proferire parola.
Falco comprendendo dall'incerto movere degli occhi del giovine Medici chè volesse chiedere, bramando rassicurarlo inclinò il capo verso l'orecchio di lui, e con voce sommessa come di chi parla alla presenza d'uno che sonnecchia o vaneggia, disse:
"Questa è una donna di Palanzo: è la nostra comare Imazza: la madre di quel Grampo che rimase ferito a morte la notte che foste liberato dai Ducali. Essa conosce questa grotta assai meglio di noi, poichè si dice che da anni ed anni vi sia solita venire ogni notte; non vi saprei spiegare da qual parte è ora penetrata, poichè le vie da essa praticate sono ignote a tutti: non vi potrei dire neppure cosa sia qui venuta a fare. Se non vi si è ritirata per fuggire anch'essa i Ducali saliti a Palanzo, sarà venuta per trovarvi certi amici che il Cielo ci guardi dall'incontrare giammai. Comunque sia, noi non dobbiamo prenderne spavento: la lasceremo ben tosto qui sola, poichè l'alba non è lontana, e fa d'uopo mettersi in cammino, attraversando la grotta per riuscire dall'altra parte del monte e proseguire il nostro viaggio".
Mentre Falco così parlava, Gabriele e le donne guardavano attentamente la vecchia, a cui il calore che intiepidiva le carni faceva sparire dal viso e da tutto il corpo le rigide contrazioni prodotte dal freddo, e per la sensazione di quel ristorante tepore vedevansi i suoi lineamenti ricomporsi, gli occhi divenire poco a poco meno stravolti, sino al punto che le riuscì così grato quel sollievo, che mirando la fiamma colle spalancate pupille, sorrise, abbassando replicatamente la testa come salutasse un ente animato che la beneficasse; e benchè quel sorriso e quel moto avessero un indefinito carattere di demenza, si scopriva però che venivano dal cuore. Ad un tratto si fece di nuovo sconvolta in viso, raccolse le braccia al petto, i suoi occhi divennero vitrei ed immoti; stette come aggruppata in se stessa, poscia allungò una mano lentamente; la abbassò al suolo allargata, e fece l'atto di stringere alcun che di morto e resistente e di sollevarlo, aprì poscia le dita ad un colpo e rimase in quell'atteggiamento.
Un tetro pensiero assalì Falco a quell'atto, poichè gli richiamò vivamente alla memoria il moto fatto da lei col braccio di Grampo steso cadavere sul letto nel casolare di Palanzo e le parole che seguirono quel gesto tremendo: i suoi tratti si fecero oscuri e mormorò fra i denti:
"Ah vecchia maga, or ti ricordi del figlio! M'accorgo che ti sta presente come quando lo ricopriva il lenzuolo inzuppato del suo sangue, e tu lo vedi come allora sfigurato e irrigidito… Ma che pretendi? (ed alzò la voce) Hai tu il potere di far risorgere i morti dal luogo ove essi dormono? Puoi tu far apparire gli estinti in queste caverne?.. Che guardi?.. Che ascolti? forse qualche spirito uscito dalle viscere della terra, non visibile a noi, qui s'aggira e ti parla?"
"È ben la tua voce che io sento, o uomo di Nesso?" pronunciò Imazza in tuono lento e sepolcrale; ma cangiando poscia affatto l'espressione del volto, poichè la voce e la vista di Falco la richiamarono a passate abituali idee, proseguì, con manifesto delirio della mente: "Sì… sei tu… Oh ti conosco!.. è molto tempo che io non ti vedo. Il mio Grampo non viene più con te?.. egli non pronuncia mai il tuo nome: ma ora che fa? dove sarà egli andato? oh Dio! non vorrei che s'incontrasse cogli uomini di Como! Che si sia perduto per la valle, o l'hai tu mandato col tuo battello lontano sul lago?"
Il guerriero Montanaro stette muto a tali inchieste; Gabriele stupì, e Orsola disse:
"Il vostro figlio, o Comare, è al sicuro di tutti i pericoli di questa terra: esso si trova certamente in un luogo dove non ha bisogno che delle vostre preghiere, e dove chiede al Signore che vi conceda misericordia".
Imazza non parve punto intendere questi detti, alzò lo sguardo a Gabriele, e dopo averlo considerato a lungo, pronunciò le seguenti parole con voce raddolcita, che annunziava un improvviso commovimento dell'anima, il quale la ritornava alla ragione: "Chi sei tu, o giovine? Tu non abiti certo nel nostro paese? Perche abbandonasti la tua casa? Hai tu colà tua madre? Perchè la lasciasti sola?.. Essa ti aspetterà… ti chiamerà… ritorna a lei… fuggi di qui! (aggiunse in tuono più aspro e solturno) Tu non sai con chi ti trovi… Anch'io… anch'io aveva un figlio, giovine, vigoroso come sei tu, e per causa di quest'uomo io l'ho perduto… esso me lo condusse a morire: ed ora son sola…" Qui le mancò la voce, ma subitamente si riaccese in volto, stralunò gli occhi, drizzò verso Falco l'irto capo, contraendo convulse le labbra, protese le braccia con adunche le dita, sì ch'esso e Gabriele arretrarono inorriditi, e le donne si coprirono colle mani il volto, e furibonda esclamò: "Perchè non posso lacerarti il cuore con queste mani; perchè non mi è dato trascinarti con me nel sepolcro? Ma va! che s'anche or ti salvi, tu non vivrai lungamente. Faccia il cielo però che prima di morire ti possi mirare cader estinto dinanzi ciò che tu hai di più caro, che il tuo sangue sia sparso con infamia e che nessuno de' tuoi abbia altro fine che negli strazii e ne' tormenti".
Gabriele strinse tra le braccia Falco bollente d'ira a quell'imprecare della vecchia, e tal atto dell'affettuoso giovine gli temprò lo sdegno, per cui appena il rimbombo della rauca e stridente voce d'Imazza svanì per quell'antro, il fiero Montanaro, fatto mite e calmo, guardolla con occhio di disprezzo e pietà, dicendo: "Misera vecchia! il tuo spirito è dominato da malefiche potenze: tu non sai ciò che dici; io ti perdono! – Andiamo, lasciamola qui da sola a riscaldarsi più agiatamente le membra, che fra poco la morte le gelerà del tutto".