Kitabı oku: «Falco della rupe; O, La guerra di Musso», sayfa 18
Così detto, Falco accese una fiaccola che aveva contesta con resinosi rami, e gettato a spalle il moschetto, procedette per quell'antro innanzi alle donne seguíte da Gabriele che recava un'altra face; abbandonando per tal modo colà la vecchia Imazza che soprapposte molte legna al fuoco vi si rannicchiò nuovamente dappresso. Giunti al fondo della prima grotta salirono pei dirupati scaglioni formati dal passaggio di voluminose sobbalzanti acque ivi scorrenti la state, e s'internarono nell'andito superiore più oscuro e ristretto. Progredendo per quella via cavernosa che or ritorta or diritta, ma sempre ascendente, cammina per le viscere del monte, udivano il rumore dei loro passi risuonare con cupo e prolungato mormorio, e allo splendore delle loro faci che spesso squassavano per rinvigorirne la fiamma, rompenti quell'eterna tenebria, miravano variarsi la forma, il colore e l'ampiezza dell'antro per cui s'avanzavano. Ora nella vôlta e nelle pareti ristrette e basse nereggiava liscia l'ardesia; ora lo scisto verdastro cilestrino o giallognolo rigato da fili d'acqua offriva l'aspetto d'un drappo steso, di cangiante colore frastagliato da lucide striscie; in alcuni luoghi strati di bianca marna formavano lunghe zone compatte, in altri brillavano al lumeggiare delle faci mille e mille punte argentine nella scabra arenaria: qui miravasi la vôlta vasta e piana formata d'un solo masso di granito che spaccato dai lati in larghe fenditure presentava enormi arcate sostenute da informi colonne fra cui s'apriva il varco ad altri spechi; là perpetue stille gocciavano dalle acute stallatiti pendenti dall'alto.
I quattro che battevano quello strano e cupo calle contemplavano con istupore misto a meraviglia, fatta maggiore dalle tremende idee di che erano stati poco prima agitati, il variato succedersi di tanti ciechi ravvolgimenti, dai quali non avrebbero creduto potere riuscire mai all'aperto, se Falco stesso non avesse assicurato d'averli altre volte percorsi, ed egli medesimo pensando ai timori ed all'esitanza che dovevano naturalmente durare nel cuore di quelli ch'ei conduceva per una sì lunga sotterranea via, rallentò d'alcun poco il passo, e rompendo pel primo il silenzio, disse:
"Se fossimo andati tanto all'ingiù quanto siamo saliti per questa strada, io credo che saressimo già arrivati dove si comincia a vedere il fuoco a trasparire dalle porte della casa dei dannati; ma finalmente per quanto sia grosso il monte dentro cui camminiamo, m'accorgo che l'abbiamo quasi attraversato. Vedete quest'altra grotta che s'interna a destra: essa si apre in forma di pozzo in mezzo al piano del Tivano, da dove entrano le acque quando si sciolgono le nevi, e trascorrendo per queste gole sboccano in parte dalla caverna per cui siamo entrati nella valle del Noce, e in parte nella Valle del Lambro dalla caverna per cui usciremo, ed alla quale ora siamo vicinissimi".
"Perchè non si ponno scavare sì lunghi e profondi i sotterranei dei nostri castelli? pronunciò Gabriele; oh allora daremmo cattivo giuoco all'inimico in caso d'assedio, e se per isventura si cedesse all'assalto, potremmo per tale strada condurre in salvo le persone che non saprebbero aprirsela col ferro alla mano, e serbarci anche nella sconfitta ciò che abbiamo di più caro e prezioso!"
"Ah, rispose Orsola, che la Madonna ci guardi dall'essere mai costretti a praticare simili sorta di cammini! Chi sa chi passa di solito qui dentro; chi sa chi va svolazzando colle ali di pipistrello per i luoghi che abbiamo lasciati dietro a noi e ci segue da lontano spiando i nostri passi! Io per me non mi sento il coraggio di volgere indietro la testa. Avete osservato che qualità di siti? In un luogo è tutto nero, in un altro tutto bianco e giallo, e per sino coperto d'argento. Non ponno essere stati che i demonii e gli stregoni che hanno fatti questi buchi; ed io sceglierei piuttosto di camminare cento anni sulle bragie, anzichè trovarmi da sola nel luogo ove abbiamo acceso il fuoco e dove s'è venuta a sedere la comare di Palanzo, perchè essa sta ora certamente in mezzo un circolo di diavoli. E non sentiste la vecchia strega quali parole pronunciò per rabbia e quali imprecazioni ci ha scagliate perchè stavamo colà a sturbare la sua tresca cogli spiriti maligni a cui ha venduta l'anima sua?"
"Non temete pe' suoi detti, o Madre: la Vergine di Nobiallo ci protegge: Ella che ha fatto giungere prima del tempo da noi sperato le persone che ora sono con noi, saprà pure sventare i nefandi presagi della trista vecchia: io so che a pregarla di cuore quella santa Madonna concede sempre le grazie che le sono richieste". Così disse dolcemente Rina, a cui le parole poco prima proferite da Gabriele avevano recato una consolazione soave, confortatrice, che il tetro luogo in cui si ritrovavano punto non sminuiva; e Gabriele a lei con entusiasmo: "Quando pregano gli angeli, o Rina, sorridono i cieli, e beato chi è l'oggetto dei loro voti". Così pronunciando le si mise accanto, poichè la grotta che s'andava allargando il sofferiva, e posò lo sguardo sul volto di lei nel momento che veniva investito da una luce purissima azzurrina che penetrava dall'ampia apertura della caverna a cui erano finalmente pervenuti.
Falco, gettata al suolo e spenta la fiaccola come fece Gabriele: "No, non mi sono ingannato (disse con voce forte e contenta), benchè siano scorsi molti anni da che feci questa via. Eccoci all'uscita della famosa caverna del Tivano: ora scenderemo nella valle del Lambro, passeremo il monte a Magreglio, e caleremo a Vassenna: questo è il cammino che facevamo prima che il signor Gian Giacomo fosse padrone di Lecco, poichè in quelle acque potevansi gettare le reti a buone tinche; ma era d'uopo tenersi al largo dal capo di Bellaggio e da Limonta, ove stavano sempre appostati i mastini per darci la caccia".
Toccata in questo mentre la soglia della caverna, s'offrì loro innanzi apertissimo il vasto prospetto e della valle e dei monti circostanti, tutti egualmente coperti di neve, e di cui le acute sommità splendevano più abbaglianti disegnandosi nel fondo azzurro del cielo colorate in lieve tinta di rosa dai primi raggi del sole nascente che le investiva. Il gelido spirare della brezza mattinale, che aveva prodotta la serenità dell'aria, recò sulle prime molesta sensazione ad essi loro che si erano per molte ore aggirati entro quelle caverne, in cui, come suole in tutti i sotterranei vacui, l'aere rinchiuso è sempre mite; ma avendo eglino presa tostamente la via a discendere, il rapido mutare dei passi a cui forzavali la pendente balza che al basso della valle declinava, fu bastevole a temperare in loro l'effetto della rigidezza dell'aure.
Snella e leggiera calava Rina da quell'erta innanzi a tutti, l'orme stampando appena sulla congelata nevosa superficie del terreno: quella candidezza, quella luce effusa sfolgorante le destò nello spirito una viva, completa gioia, che l'incendio, i perigli, il terrore e le tristi ombre passate cancellavale interamente dal pensiero. Gabriele, non meno ratto e pronto di lei, le scendeva dappresso; a passi più tardi e alquanto dai giovani discosti discendevano Orsola e Falco impegnati in particolari ragionamenti, battendo però le pedate da essi loro segnate. Il giovine Medici contemplava sempre più rapito la vaga fanciulla che procedeva sì spedita innanzi a lui, e che ad ogni rivolta del sentiero alzava ad esso le pupille, movendo a lei più vicino sì ch'ella intendesse agevolmente le sue parole. "Per voi, bella Rina, disse, i sassi, gli sterpi, le nevi non sono di maggiore ostacolo al camminare velocemente di quello che lo siano ad altri le distese pianure, e son certo che i cacciatori delle nostre montagne potrebbero invidiare la vostra rapidità quando inseguono le camoscie. Io per me non vorrei essere spedito come siete voi ad altro fine che per potere seguirvi sempre dappresso anche tra i ghiacci e le nevi de' più scabri monti".
"Non avreste d'uopo d'affrettarvi per raggiungermi, poichè io rallenterei i miei passi dovunque fossi per attendervi"; rispose Rina suffusa di lieve rossore le guancie: e guardandolo poscia teneramente, aggiunse con ingenua ed animata espressione: "Non solo m'arresterei per aspettarvi, ma appena vi vedessi scenderei a voi incontro colla maggiore rapidità. Oh se la prima volta che veniste al nostro casolare di Nesso non ne foste più partito, vi sareste recato con me ne' bei pascoli della mia montagna: io v'avrei guidato nei tanti ameni luoghi sparsi per la valle ove vanno i pastori, e saremmo andati insieme sull'alto del monte ad una vetta da dove si vede quasi sino al vostro castello: mia madre sarebbe venuta molte volte con noi, perchè vi ha tanto caro anch'essa, e dopo quel giorno che ci foste così cortese nella vostra festa di Musso abbiamo parlato insieme mille volte di voi; e, credetemi, desiderava essa pure che mio padre ci avesse condotte colà, per abitare nella casa ove voi volevate che fossimo andate quella sera. Ah! se ciò avveniva noi si saremmo veduti ogni giorno, e non avrei pianto tante volte, nè sarebbe venuta una notte come quella trascorsa da farci quasi morire di spavento".
"Lasciate che io chiami anzi avventuratissima la passata notte, rispose Gabriele, poichè per gli avvenimenti che sono accaduti ho finalmente certezza che voi non abiterete più lontana dal mio castello, ed oltre che resta così appagata la più ardente brama la quale da che vi conobbi ho costantemente nutrita, sento che si fa più probabile l'adempimento della viva speranza di farvi mia, d'avervi sempre al mio fianco, onorata, adorata come l'oggetto da cui dipende ogni bene della mia vita, la quale apprezzo unicamente per voi".
"Dunque potrei io entrare anche nel vostro castello, venire liberamente in cerca di voi, anzi abitarvi colà sempre insieme?" Così esclamò Rina con trasporto, fermandosi a piè della discesa ove erano giunti, rimirando Gabriele con tutta la commozione d'un tenero abbandono; ma portando lo sguardo sul di lui splendido corsaletto d'acciaio: "Ditemi, aggiunse con mesta e più affabile voce, se il Cielo mi concedesse di divenire vostra, vi mettereste voi ancora d'attorno questo ferro, prendereste sempre le armi per andare e combattere, lasciandomi sola come ci lascia mio padre per tanti e tanti giorni? Ah no! io vorrei piuttosto avere la consolazione di vedervi un istante solo ogni giorno nella mia capanna, che dimorare nel vostro castello coll'angoscia di sapervi lontano ed a fronte dei soldati nemici".
"Se i santi il concederanno, avrà pur fine una volta questa guerra!" le rispose il giovine Medici con melanconico accento, poichè pensò al rinvigorire che anzi faceva più accanita in que' giorni; ma l'angelico sguardo dell'amorosa fanciulla non patì che il suo spirito s'addolorasse, onde tosto riprese con voce d'affettuoso contento: "Sì, deporremo le armi, e liberi e sicuri non attenderemo che ai sollazzi, alle feste, ai tornei, a passar l'ore l'uno all'altro vicino, e a passeggiare insieme pei campi dei colli e sul lago".
"Prendete la via a sinistra, pel calo già fatto nella neve, che andremo a passare il torrente su quel tronco d'albero che ne forma il ponte". Così gridò Falco dall'alto, poichè veduti i due giovani sostare in colloquio, credette il facessero per incertezza del cammino che avessero a prendere: e quelli si misero per l'indicata strada sempre sì dolcemente favellando, che tutta quella via dirotta e disagiata per le nevi e i sassi parve ad essi più deliziosa che i fioriti sentieri d'un ridente giardino.
Tragittato il ponte e fatto gran tratto di cammino per quella valle, costeggiando il fiume Lambro e rimontando verso le sue sorgenti, passarono presso le diroccate mura del Castello di Barni, indi montarono a Magreglio, ove nel casolare d'un povero pastore presero cibo e riposo. Di là per un dirupato sentiero che serpeggiando sul monte s'accosta alla grotta detta la Menaresta, in cui sono le misteriose scaturigini del Lambro, fiume ch'è tutto della bella terra Lombarda, formato dall'acque colà fluenti a brevi intervalli, oltrepassarono la montagna che fiancheggia a ponente il lago di Lecco, e scesi a Vassenna, che era già d'assai inoltrato il giorno, noleggiata una barca, vi salirono, e Falco ordinò ai rematori vogassero alla volta di Musso.
Seppero navigando da uno de' barcaiuoli che quel mattino stesso sull'alba s'era udito dalla parte di Lecco un gran rumore di spari di bombarde che aveva continuato sin presso al mezzodì, dal che Falco e Gabriele arguirono essere accaduto uno scontro tra Gian Giacomo ed i Ducali, onde chiesero premurosamente se si fossero vedute grosse navi retrocedere di là, e se si fosse parimenti inteso in quel giorno rimbombo d'artiglierie dalla parte di Bellaggio. Il Barcajuolo rispose che non eransi veduti passare che pochi battelli provenienti da Lecco, e che s'era ben sentito dire da alcuni pescatori di Menaggio che il giorno antecedente s'erano in quelle sponde azzuffati quei di Musso con quei di Como, ma che nulla s'era quel giorno udito che annunziasse essere avvenuto un combattimento presso Bellaggio: questi detti misero di buon animo tanto il Montanaro di Nesso quanto il giovine Medici, poichè entrambi pensarono che non essendo retrocessa alcuna nave del Castellano da Lecco, fosse indizio che egli avesse riportata vittoria, e sperarono ad un tempo che la sconfitta da essi data nel giorno antecedente al Vestarino sulla sponda di Bellaggio fosse riuscita a lui così funesta da rendergli impossibile un nuovo attacco contro quel punto.
Ciò che avevano immaginato trovarono con sommo giubilo essere il vero appena giunsero al Castello di Musso: colà Gabriele narrò al fratello Agosto rimasto al comando della Fortezza, tutto l'evento, e senza nulla celargli della passione che lo animava per la bella figlia di Falco, raccomandò caldamente essa e la madre alle sue cure. Le due donne presero stanza nella casa di Filippo Tressano, già da Gian Giacomo donata al Comandante montanaro, che Gabriele aveva da gran tempo fatta fornire d'ogni necessario arredo. Vedute allogate in comodo e sicuro albergo Orsola e Rina, il giovine Medici e Falco, completamente ristorati, risalirono sulla barca che li aveva colà condotti, e pervennero a notte avanzata in Bellaggio, ove raccontarono il tutto al capitano Achille Sarbelloni che era stato ansiosamente attendendoli.
CAPITOLO DECIMOTERZO
Flebil vista a mirarsi
Sulla terra stillar vile e negletto
Il tronco, onde Ellesponto anco paventa:
Atro il bel volto e sparsi
I crin fra il sangue, e del feroce aspetto
La bella luce impallidita e spenta!
CHIABRERA, Ode in morte di Astore Baglione.
Gian Giacomo Medici aveva riportata una nuova vittoria che poteva riuscire terminativa delle contese se avesse avuto soldati in sufficiente numero da potere conseguire tutti i vantaggi a cui apriva il campo. Venuto colle navi a Lecco, seppe che il nemico erasi già impossessato della prossima terra di Malgrate; prese quindi i necessarii concerti col capitano Alvarez Carazon che comandava il suo presidio di Lecco, ed il secondo mattino da che quivi era giunto s'accostò coi legni a Malgrate, ed assalì quel borgo furiosamente vincendo ogni resistenza a lui opposta dai Ducali. Ricciardo Acursio capitano di questi sostenne con ogni sua possa il combattimento per mantenersi in quella posizione, nutrendo sempre la speranza che fosse da un istante all'altro per sopraggiungere il Vestarino o dal lago o da terra a recargli soccorso colle sue squadre. Ma questo condottiero Ducale avendo tentato invano, come abbiamo narrato, di impadronirsi di Bellaggio occupato dai Mussiani, dai quali anzi venne respinto, non osò nè credette prudente oltrepassare quel punto ed entrare nel lago di Lecco; per cui l'Acursio rimasto solo colà, assalito anche di fianco dal Catalano colla guarnigione di Lecco, fu forzato, dopo grave perdita, a darsi colle sue genti a vergognosa fuga. Se Medici avesse in quel frangente potuto inseguire a lungo i nemici, certa cosa è che avrebbe distrutto interamente l'armata dell'Acursio, ripreso Monguzzo, minacciata Como, e mandati a vuoto tutti i piani ed i progetti del Vestarino; ma nulla di tutto ciò fu dato a lui operare, non avendo esso voluto inoltrarsi dentro terra colle poche bande d'uomini d'armi che si trovava avere, le quali traevano il loro maggior nerbo dall'appoggio delle navi che sfilate alla sponda avevano colle artiglierie tanto coadiuvato all'esito della pugna. Rimase pago però a quanto aveva ottenuto, munì Malgrate, e sapendo dagli esploratori che l'Acursio rientrato in Monguzzo non poteva per lunga pezza essere in grado d'intraprendere alcun fatto offensivo, tornossene sul Brigantino a Musso, onde invigilare alla miglior difesa del Castello e delle prossime sponde e per aumentare le sue bande reclutando uomini per quelle terre.
Quasi contemporaneamente al suo ritorno a Musso giunse la notizia che i Grigioni, eccitati da messi e lettere del Duca e del De-Leyva, incominciavano a muoversi ed adunarsi dandosi posta a Chiavenna: tale novella, sebbene riuscisse grave al cuore di Gian Giacomo, pure non lo fece smarrire, poichè aveva poco addietro ricevuto un foglio da suo cognato il Conte d'Altemps, in cui lo avvisava avere assoldato il numero convenuto di schiere tedesche, ed essere queste pronte a mettersi in cammino alla volta d'Italia al primo aprirsi della stagione onde unirsi a lui. Per tutto ciò il Castellano pensò attenersi frattanto strettamente al sistema di difesa, e lasciare che il nemico agisse: richiamò quindi il Pellicione da Menaggio, in cui s'era tenuto scaramucciando quasi giornalmente col nemico, che occupava da quel lato tutta la Tramezzina sino alla Cadenabbia; richiamò pure da Bellaggio Achille Sarbelloni, Gabriele e Falco, lasciando così libero ai Ducali d'impadronirsi di quel borgo; il che fecero immantinenti. Rafforzò però il presidio di Rezzonico, e mandò Sarbelloni col Mandello a Varenna, tenendo seco gli altri colle navi a Musso.
Trascorse pressochè interamente il febbraio senza che giungesse avviso al Castello d'alcun movimento nemico, talchè sembrava che tanto il Vestarino quanto i Capi della Lega Grisa fossero accordati nell'attendere che al Medici pervenissero gli aspettati soccorsi pria di nuovamente cimentarsi con lui. Il Castellano nel frattempo adoperava ogni mezzo per raccorre soldati dalle tre vicine pievi e dai dintorni, ma l'opera sua e quella de' suoi capitani poco profittava, poichè era già troppo grande il numero di quelli periti in suo servigio, ed i pochi robusti terrazzani che ancora rimanevano si rifiutavano di prender parte ad una guerra che non aveva mai fine, e nella quale s'avevano quasi certezza di dovere rimanere sagrificati. Non potevansi adoperare le lusinghe dell'oro per accrescere la leva, poichè quivi il danaro non soprabbondava in modo da farne scialacquo, tanto più ch'era d'uopo trovarsene ben provveduti pel momento che sarebbero giunte le truppe Alemanne: servirsi della forza e delle minaccie era un mezzo forse vano e certamente pericoloso e provocante le defezioni; onde fu forza a Gian Giacomo lo starsene alle difese e collocare ogni sua speranza nei sussidii del Cognato. Egli rimproverava soventi a se stesso, e nei secreti colloquii anche al Pellicione, il non avere accettato il trattato di pace fattogli proporre dal Duca; ma agli altri suoi Capitani parlava con tanta fiducia di se e di loro, e con tanto dispregio delle armi ducali, che l'eloquente e in apparenza veritiero suo dire manteneva in essi un'audacia ed una sicurezza ch'egli era ben lungi dal dividere.
Trovavasi però in quel Castello una persona sul cui animo le belle parole di nuovo potente esercito, di vittoria strepitosa, di conquiste, d'ingrandimenti, proferite ad ogni tratto dal Medici, non producevano alcun salutare effetto, ispirando invece tutt'altro che tranquillità, e questo si era il povero Cancelliere, Maestro Lucio Tanaglia. Ristabilitosi alquanto in salute, non soffriva desso più di convulsioni, e non aveva avuta altra causa di secreto rancore, prima che ricominciasse la guerra, fuorchè il silenzio da tutti serbato intorno all'orazione da lui pronunciata nella chiesa di San-Biagio di Musso per la morte dei capitani Borserio e Casanova. Ogni qual volta frugando nelle sue carte gli venivano sott'occhio i fogli su cui era steso quel discorso che rileggeva a squarci, "Oh! che razza di gente, andava dicendo tra se, oh che ignoranti! un'orazione di questa sorta, degna non di que' due barcaiuoli, ma degli almiranti della flotta genovese e veneziana, beversela su da pappagalli come se fosse stata la storiella d'un pecoraio! Ah se io ne avessi recitata una simile trent'anni addietro in Milano ai tempi del duca Moro! sarei stato chiamato subito a Corte, ed i padri predicatori di tutti i conventi avrebbero fatto a gara per averne una copia; ma sono spariti quei bei tempi: qui poi non se ne parli! in questo luogo l'occuparsi ad esporre cose ornate e belle è veramente un projicere margaritas ante… (e si guardò d'intorno) sì ante porcos!"
Quando seppe che nel fitto verno si rinnovavano le ostilità, ch'egli aveva credute terminate per sempre, sentì rinascere in cuore tutte le passate inquietudini; veggendo poi retrocedere il Castellano da Lecco, e il Pellicione, Gabriele, Falco, Sarbelloni dagli altri punti, istruito che i Ducali trovavansi a Bellaggio e presso Rezzonico, mirando prendersi le più serie misure di difesa in quella medesima Fortezza pel caso d'assedio, le sue ambascie e la sua paura giunsero al colmo "Il signor Castellano, vostro fratello (diceva a Gabriele quando saliva a ritrovarlo nella sua stanzuccia del Forte) va ripetendo che i Ducali sono vigliacchi e buoni da nulla, che perderanno Como, che spariranno dal lago, ed altre novelle di tal natura; ma essi frattanto hanno preso Monguzzo, e non sono che a quattro passi da queste porte: ciò è tanto vero, che si veggono ogni giorno trascinare bombarde sui bastioni del Castello, perchè si teme che ci vengano a fare una visita. Ora come ell'è questa faccenda? In sostanza chi è che vince e chi è che perde? Voi siete un giovine prudente e con voi posso parlare: credetemi, vostro fratello non sarà contento sino a che non ci avrà fatte schiacciare le ossa sotto queste mura. Dovrebbe, per bacco! averla capita una volta, che il Duca è un can grosso, e che quegli altri là su delle montagne non canzonano essi pure: perchè non fare una buona pace, che è la cosa più comoda del mondo? perchè volersi proprio ostinare a trarci tutti nel precipizio?"
Il giovine Medici porgeva disattento l'orecchio alle tristi ripetute elegie del Cancelliere, le quali non producevano altro effetto sull'animo di lui che di passare come una striscia nubilosa sulla serena faccia del cielo. Assorto in un'idea che lo rendeva felice, possibile non era che lo sgomento penetrasse nel suo spirito, improvido d'ogni infausto avvenire: ciascun giorno egli vedeva Rina, ciascun giorno s'intratteneva seco lei lungamente, nella sua nuova abitazione di Musso, e appagamento maggiore ei non sapeva sperare. Falco l'accoglieva colà come proprio figlio, anzi soventi di lui ricercava, perchè nel forzato riposo di quei giorni di tregua, non sentivasi soddisfatto se non quando passava le ore narrando al giovine guerriero le sue passate armigere vicende, e procurando coll'esempio de' proprii fatti di rendere più indomito il di lui coraggio, che già s'aveva esperimentato di sì vigorosa tempra. Orsola rivedeva ognora Gabriele con non minore diletto di quello che lo facesse il marito: l'amabilità, la dolcezza, il rispettoso suo contegno avevano guadagnato tutto l'animo di lei, prima ben anco che si fosse esposto a gravi perigli per la loro salvezza; egli era inoltre l'unica persona con cui dopo la cangiata dimora avesse stretta confidenza; e siccome non ignorava i reciproci sentimenti della propria figlia e di Gabriele, immaginava nei sogni ridenti della sua fantasia compiti i loro ed i proprii voti, ed accertata per la sua casa una splendida sorte, ahi! quanto dalla vicina realtà diversa.
Gabriele soleva, dato termine alle militari faccende, partire ogni mattino dal Castello ed avviarsi là dove la sua venuta era ardentemente sospirata. Appena egli poneva il passo sul punto dove la strada da mezzo ai baluardi della Fortezza ed alle mura del porto sboccava aperta sul lido, sapeva che uno sguardo vigilante riconosceva il suo berretto e il mantello che lo involgeva, ed un cuore batteva con maggiore veemenza. Al primo giungere alla casa di Falco, la vista della fanciulla, la cui beltà riceveva maggiore risalto da un'animata purpurea tinta e dallo sfolgorare delle pupille che svelavano l'interno giubilo di quel momento, recava sempre al giovine amante un'impressione, che quantunque le tante volte sentita e ripensata, sembravagli pur sempre nuova e vivissima, sì che ne addoppiava l'affettuoso trasporto.
Assiso in quella casa presso un gran fuoco, che ardeva entro un cerchio di pietre in mezzo ad una camera adorna delle sole armi del belligero Montanaro, Gabriele ragionava intorno ai nemici, udiva avidamente gli animati racconti delle gesta di Falco, pascendo ad un tempo gli sguardi negli sguardi di Rina, e colmando in tal modo il suo cuore dei due più preziosi alimenti della giovinezza, la gloria e l'amore. Partito di là il mattino, vi ritornava sul cader del giorno, e allora, se era sgombra e temperata l'aria, recavasi con Rina e la madre lungo la sponda del lago, o rimanendo entro la casa stessa, faceva a Rina dai rotondi vetri d'una gotica finestra, contemplare il lento e successivo degradarsi della luce, e ottenebrato il vasto prospetto dei monti e delle acque, miravano insieme il brillare in cielo degli astri scintillanti, frammettendo sommesse parole d'amore, e talora mormoravano colla madre le preci della sera a cui invitava l'interrotto squillare dei bronzi delle torri lontane.
Oh come rapidi trapassarono quei giorni di pura inenarrabile felicità! Venuti i primi di marzo giunse a Gian Giacomo avviso che nuove schiere erano arrivate da Milano in Monguzzo al capitano Acursio, il quale aveva già date tutte le disposizioni per muovere nuovamente contro Lecco, come eragli stato ordinato; che il Vestarino, raccolte tutte le navi presso Bellaggio, disponevasi a salpare alla volta di quella medesima Terra per dar mano alla sua conquista. Il Castellano, sebbene avesse fatto proponimento di non tenersi che sulle difese, pure sedotto dall'occasione che stava per offrirgli il nemico di poterlo attaccare navalmente, nel qual genere di combattimento sentiva quanto fosse superiore ai Ducali, radunò i suoi Capitani, e fece loro aperto il suo progetto che venne accolto con unanime applauso. Fu tosto spedito secreto annunzio di quanto si era per intraprendere ai Capitani che comandavano le navi Mussiane rimaste a Lecco, cogli ordini e le istruzioni intorno ai modi che avessero a tenere onde mettere il Vestarino co' suoi legni fra due fuochi nel momento che meno se lo attendesse. Per poi determinare vie meglio il Comandante ducale ad avviarsi per acqua colle truppe a Lecco, il Castellano comandò al Mandello ed al Sarbelloni abbandonassero Varenna, il che giovavagli eziandio onde accrescere gli equipaggi delle proprie navi cogli uomini d'armi comandati da loro.
Tutto fu allestito in Musso colla massima secretezza, e l'avviso ai soldati di partire sul far del giorno venne dato da Gian Giacomo Medici quella sera stessa che il Vestarino lo diede in Bellaggio alle sue squadre, il che egli seppe per mezzo d'avvedutissimi esploratori colà appositamente mandati.
Gabriele era da poco rientrato nel Castello quando fu a tutti significato il comando della partenza. Tale notizia fu per lui come un colpo di fulmine, un gravissimo turbamento lo assalì, e quasi non potendo persuadersene, corse alle camere del fratello, dalla cui bocca ne ebbe la conferma: si ritrasse allora nella propria stanza di riposo, e dopo essere stato seduto alcun tempo facendo molte amare riflessioni, si diede a pulire le proprie armi e porle in assetto per vestirle il mattino: ma l'elmo, la spada, la corazza che prendeva a vicenda Ira mano, lungi dal risvegliare in lui lo spirito guerresco, gli aumentavano in seno la mestizia e il terrore. Mille tristi presentimenti gli ingombrarono il pensiero: gli si affacciò alla mente quella vecchia donna apparsa in aspetto spaventoso nella caverna del Tivano, e le di lei parole gli risuonarono all'orecchio in tuono magico, funesto: sentiva che le maledizioni scagliate da quell'essere infernale contro Falco e la sua casa involgevano esso pure, che era congiunto col cuore sì strettamente a quella famiglia. Andava crescendo a tali idee il suo tremore, e gli si fece insopportabile l'angoscia di doversi allontanare da Rina, sebbene ciò non fosse che per breve spazio di tempo. Stanco, affannato, appese le ripulite armi presso il capezzale e si sdraiò: il sonno assopì ben tosto profondamente tutte le sue cure. Un fragore lungo indistinto lo risvegliò; levossi esagitato: era il vento che fischiava furioso contro le torri e le mura del Castello. Il suo lume ardeva ancora ed era lontana l'ora del partire, ma esso più non potendo sopportare le piume, pensò mettersi in arnese ed uscire di là. Il languore e la tristezza lo opprimevano, ma alzato lo sguardo alla parete, vedendovi la sua lucida armatura composta a trofeo, sentì rinascere l'usato ardore delle battaglie: vestì l'armi prontamente, s'avvolse nel mantello, e discese nel cortile del Forte. Era oscura affatto la notte, ma pure vide nelle stanze di Gian Giacomo e dentro tutti i quartieri del Castello splendere i lumi che indicavano stare i soldati apprestandosi alla partenza: le sentinelle vegliavano ai loro posti, le porte erano aperte, ond'egli potè senza difficoltà discendere dal Forte agli ultimi baluardi ed uscire dal Castello.
Appena si trovò sulla via dirigendosi all'abitazione di Falco, il suo immaginare cessò dall'essere tetro ed affannoso e benchè non ricuperasse la primiera calma, il suo dolore non era sì cocente come lo era stato poche ore addietro, nè provava sentimento alcuno di terrore, quantunque densa fosse l'oscurità, e il lago agitato da foltissimo vento frangesse sì grosse le onde al lido da farle salire di quando hi quando a bagnare la strada su cui egli camminava. Vide alfine un chiarore splendere anche per entro le finestre della casa di Falco; affrettò ver essa i suoi passi e vi giunse: allorchè poneva il piede sul limitare, gli pervenne all'orecchio il rumoreggiare dei tamburi del Castello chiamanti col primo segno a raccolta; esso battè frettolosamente la porta. Falco, a cui pure era stato comunicato il comando della partenza e aveva già indossato il suo giaco e la schiavina, riconosciutolo, venne ad aprirgli, dicendo: "Ren venuto, signor Gabriele: voi foste più pronto ad alzarvi dei suonatori di tamburo che stanno adesso sui baluardi battendo la diana per farci camminare al porto. Vogliamo correre velocemente sul lago, perchè sento un gran vento, e mi pare che spiri da tramontana: ma lasciamolo fare, questo è il suo mese; andremo però con un sol quarto di vela, perchè lo sbattimento delle acque mi indica che il lago è coperto di montoni". "Dove credi tu che raggiungeremo i Ducali?" richiese Gabriele tosto che fu entrato in casa.