Kitabı oku: «Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!», sayfa 13
XXX
E, dopo, dovrai ricominciare…
Verso sera ritornai alla mia città.
Io non pensai, ritornando, nè alla signora Adalgisa nè ad altro; ma a te, sempre a te che ti allontanavi chissà verso quale contrada nel mondo!
Come mi trovai alla porta della mia casa, discesi dalla bicicletta come un automa.
Non incontrai donna Adalgisa; mi rinserrai in camera.
Ma appena mi ero seduto al tavolo che qualcuno bussò.
Andai all'uscio delle scale. Era Girolamo.
– Signor Franzi…
Ansimava e lacrimava.
– Che c'è, Girolamo?
– Principina… Oh, venga… venga!..
– Ma che c'è?
– Sta molto male!
Senza domandar altro, seguii Girolamo che non parlava più.
Attraversammo il giardino. Fummo alla casa dell'orto.
Nella stanza terrena, un gruppo di donne vegliava.
– È venuto il dottore? – domandò Girolamo.
– Sì. È su.
– Venga… venga anche lei, signor Franzi… Salimmo la scala di legno, l'uno dietro l'altro, sulla punta dei piedi.
Dalla stanza di Principina arrivava la eco di un sommesso parlare.
Una donna si affacciò alla scala e domandò:
– Dov'è il ghiaccio?.. Avete portato il ghiaccio?
– Eccolo!.. Lo portiamo… – rispose un'altra dal basso.
Entrammo. Io non vidi niente. La sola lampada che illuminava la stanza, era velata. Vidi qualche ombra che si agitava intorno al letto.
Un'anziana si avvicinò a Girolamo e gli chiese:
– Avete avvisato il prete?
– No.
– Bisogna farlo.
– Ma che cosa dice il dottore?
L'altra si strinse fra le spalle.
Guardavo senza rendermi ragione di quanto accadeva intorno a me.
Poi un uomo si discostò dal letto; chiese un catino per lavarsi le mani.
Quando ebbe fatto questo e fu per avviarsi, Girolamo gli si accostò e rigirava il cappello floscio fra le mani anchilosate:
– Dunque, dottore… non c'è più speranza?..
Il medico guardò ancora la malata poi scosse il capo e rispose:
– È in agonia. Ritornerò a mezzanotte…
Nessuno rifiatò. Le parole caddero fra il silenzio degli astanti.
Non si udiva che l'affanno lacerante della povera piccola, distesa nel suo lettino bianco.
– Non c'è proprio più niente da fare?..
– Non potrebbe salvarla che un miracolo!..
Allora quel vecchio ch'io non avevo veduto mai nè gaio nè triste; l'impassibile vecchio indurito nella fatica, fu preso da un singhiozzo senza lacrime e si ripiegò su sè stesso come la creatura che muore, come l'albero che schianta.
Rimase appoggiato al muro; non aveva più niente, non era più buono a niente di fronte a quel piccolo letto nel quale se ne andava tutto l'amor de' suoi giorni.
Due donne lo allontanarono sorreggendolo. Lo vidi scomparire, giù, di grado in grado, per la scala di legno. Povero vecchio! E pareva si immergesse così, nell'ultima sua ombra sconsolata.
Non avevo più forza per dire una sola parola. Tenevo gli occhi ostinatamente fissi a terra.
Perchè doveva andarsene così, povera piccola? Perchè?.. Qualcuna mi disse a voce spenta:
– L'ha cercato, l'ha chiamato fino adesso… Sapesse che pena! Ora non capisce più.
Non risposi, ma, poco alla volta, l'anima mia irrigidita si discioglieva dallo spasimo.
– Perchè non è venuto subito?.. L'abbiamo mandato a chiamare tre volte. Non faceva che dire: – «Franzi?.. Franzi mio?..»
– Non ero a casa…
– E adesso non conosce più…
– Ma non c'è rimedio?
– Le abbiamo tentate tutte. Deve morire! Così giovane! Quanti anni aveva? Sedici nei diciassette. Una bambina. Che cos'ha goduto?.. Se ne va come è nata! Il Signore non è giusto. Perchè se vedesse quello che c'è nel mondo, certe cose non le permetterebbe. Lascia qua un vecchio e si porta via questo fiore. No, il Signore non è giusto! Che cosa deve fare ora, nel mondo, quel povero uomo? Non era meglio se moriva anche lui? Non avrebbe dato danno a nessuno. Un vecchio non è buono a niente. Ma questa bambina? Era così bella! E così buona!.. Bisognava volerle bene. Muore perchè era troppo buona. Gli angioli devono stare nel cielo.
Un silenzio.
L'angoscia si faceva strada nell'anima mia troppo combattuta.
Dal giorno innanzi quanto non avevo io sopportato? E la misura non era colma.
Ancora e più in là dovevi soffrire cuor dei miei giorni; e non mancare!
Ora volevo vederla; ora volevo esserle vicino; volevo ch'ella mi sentisse nell'ora sua dell'ultimo trapasso.
Non mi era più possibile tollerare quel suo affanno di moribonda, nell'inerzia.
Mi accostai al letto. Feci disciogliere il velo che copriva la lampada.
E, alla luce che si diffuse, affondata nel grande guanciale, mi apparve la sua povera faccia ch'era già quella d'una morta.
Aveva gli occhi chiusi; ma la bocca era bianca, ma le guance erano infossate, e, sotto la pelle senza più sangue, si disegnava il suo piccolo teschio.
Questa era la sorella dei lillà in fiore, la nata all'ombra delle serre, e della croce.
Le mani scheletriche, abbandonate sulle coltri, avevano quel moto continuo e incomposto di ricerca e di affanno che precede e segue l'agonia. Il suo respiro si faceva sempre più rapido e breve.
Ad un tratto non si udì più.
Un grido spento fu nella stanza:
– È morta!..
Le due donne si accostarono al letto. Io non distaccai gli occhi dal volto di lei.
No, non era morta. Avevo ormai la ferma convinzione ch'ella dovesse vedermi ancora, che ancora dovesse parlarmi.
Non era morta. Forse era una pausa. L'ultima forza della sua vita cercava un'altra strada nel profondo… al di là del profondo. Era una pausa. Null'altro poteva essere. Avevo questa ferma e testarda convinzione come se una voce (nè la mia nè la sua) mi avvertisse.
Non poteva andarsene così; non poteva transitare senza riaprir gli occhi; non poteva non vedermi.
Tutta la mia ferma volontà; tutto il mio dolore e il mio amore erano in tale segno. Le presi una mano. La tenni fra le mie, serrata. Era fredda. Gliela baciai, gliela riscaldai con l'alito.
– È inutile!.. È inutile!.. – dissero le donne.
Allora volli essere solo. Non avevo paura della morte. Era una mia piccola sorella dagli occhi buoni e dolci, una primavera di sedici anni che batteva alla soglia eterna. No, non avevo paura di essere solo con la sua morte, se doveva morire. La mia volontà ebbe un solo pensiero e tutta ridesta fu la mia energia.
Pregai le donne di andarsene.
Non volevano. Le costrinsi. Non erano che estranee ed io sapevo di non essere un estraneo. Io potevo ancora affacciarmi, con anima di fratello, alla soglia di quell'agonia.
Le due anziane se ne andarono a malincuore, a passo a passo; ma videro la mia faccia che si induriva; videro gli occhi miei che erano ben fermi nella risoluzione.
Dovevo essere solo con lei.
Io solo con lei, nell'ora della sua morte.
Povera piccola! E il giardino, il mio incantato giardino era tutto pieno ancora delle tue vecchie canzoni!
Scomparvero, le due anziane, giù per la scala e, quando anche il busso del loro andare fu spento, mi riaccostai al letto.
Ancora le presi una mano; poi l'altra mano. Mi inginocchiai al suo capezzale.
Non si udiva più niente; ma solo il canto di un rosignolo.
Dischiuse le labbra; disse qualcosa che non udii.
– Principina?..
Le sue palpebre si sollevarono un poco; e ancora un poco più quando la mia voce, più vicina, ripetè il nome di lei in una invocazione dolce.
Ah, che si ridestava e ritornava verso di me!..
Ritornava dalla grande ombra per la quale si era già dilungata buon tratto.
– Franzi?..
Fu un soffio, ma la sua vita!.. Un soffio, ma il suo cuore che batteva ancora; l'anima sua che viveva.
– Franzi?..
– Sono qui!.. Sono qui, Principina!.. Vicino a te… tanto vicino a te e non ti abbandonerò più!.. Mai, mai più!..
Le palpebre si sollevarono ancora un poco. Gli occhi, vitrei dapprima, ebbero un lontano barlume che crebbe crebbe crebbe…
– Sei tu, Franzi?..
– Sì… sì… sono io… sono io!..
Le sue mani si agitarono. Disse abbrividendo:
– Ho paura!..
E allora, a mia volta, un grande brivido mi percorse dalla nuca ai calcagni e la mia parola mi morì sulle labbra.
– Dov'eri?..
– In campagna…
– … in campagna… è maggio…
Gli occhi le si chiusero, ma per poco.
– Ho sete…
Bevve… bevve la vita. Un po' di sangue le ritornò alle guance.
– … stanca… sono stanca, Franzi!.. sono stanca…
– Ora sono con te. Riposa…
– Grazie. Hai fatto bene…
Tentò sollevarsi. L'aiutai. Mi sorrise.
– Certe volte si guarda alla casa più lontana sui monti… e non si trova la strada per arrivare…
Che potevo rispondere?.. Avevo il singhiozzo che mi soffocava.
– Io ho guardato troppo lontano… e le forze mi sono mancate…
Povero amore dell'ombra!
– Ma… non ti ho detto mai niente!.. Che cosa ti potevo portare?.. Ti potevo portare me sola e… non mi avresti voluto!..
– Non dir questo, Principina!
– Sì… Franzi!.. Ho cantato tanto e non mi hai sentito… Ma adesso saremo tu ed io… sempre… sempre!..
– Sì!.. Sì!..
Sorrise con gli occhi chiusi, come se vedesse la casa e la montagna; il sole ed il suo amore. E mormorava:
– Sempre… sempre!.. Tu ed io!.. Sempre!..
Questa era e rimane la sua grande parola sulla soglia della morte: – Sempre!.. – ed io la ripeto qui col brivido stesso di allora, rivivendo in lei; passando, con lei, da quello a questo tempo, poich'ella mi è ancora vicina.
E non ebbe altro spazio.
Era ritornata per lasciar cadere sul margine della mia vita, la sua grande parola; per alimentarne il mio insonne dolore.
Sempre nella luce e nell'ombra, fino a Dio.
Sempre! E la tua umile e immensa bontà in questa sola parola!
Poi, come un piccolo passero moribondo, trapassò con un solo tremito.
Fu un niente… ed era morta!..
L'imponderabile.
Fu un niente… e tutta l'immensità del mistero fu fra il mio tragico pianto e la sua muta impassibilità.
Ella era ormai impassibile.
Ormai sapeva!
Libera e disciolta, sotto alle stelle, era avviata al destino dell'al di là.
Ma dove?.. dove?.. dove?.. Iddio nostro e tremendo?..
Dove mai nel tuo profondo abisso?..
Non c'era sul mio cuore e sulla povera anima mia di creatura, che il mio solo pianto!..
Il mio solo pianto!..