Kitabı oku: «La testa della vipera», sayfa 6
XIII
Ai primi di settembre nel villaggio di X… aveva luogo la gran festa patronale, che con fiera e pubblici divertimenti durava tre giorni: era la maggiore e più splendida di tutta quella contrada, e chiamava un popoloso concorso di gente da tutta la provincia. La famiglia conoscente dei Nori aveva fatto loro e ripetuto più volte con insistente premura l'invito di recarcisi e passare colà almeno due di quei giorni festajuoli.
Matilde, già poco disposta ad accettare, ebbe buona ragione al suo rifiuto nella salute del padre, che da qualche giorno erasi peggiorata; ma Alberto, temendo offendere quella buona famiglia, stimolato da Cesare, che desiderava di rompere con qualche divertimento la monotonìa di quell'esistenza, decise di andarci egli col cognato, e di assistere al gran ballo che davasi in quella casa la sera appunto della festa religiosa. I due cognati sarebbero così partiti alla mattina della domenica per tornare alla sera del lunedì.
Al sabato vi fu, fra Lograve e il servo Battista, un segreto, importante colloquio.
– Caro mio, cominciò il primo, è venuto il momento in cui io posso, e sta in te ch'io voglia, mantenere le mie promesse, ed effettuare i tuoi più cari desiderî.
– Come sarebbe a dire? domandò Battista coll'aria diplomatica d'uomo che si dispone a difendere con pertinacia e senza discrezione i suoi interessi.
– Sarebbe a dire che per isposare la Lisa e vivere felice, non hai che da volerlo.
– Altro che lo voglio!.. Lei dunque ne ha trovato i mezzi?
– Sì.
– Una buona casa in cui servire ambedue?
– Meglio; una buona somma che può essere la sorgente della vostra fortuna.
– Ah! esclamò il servo con poco entusiasmo. Può essere la sorgente non vuol dire ancora che sia la fortuna.
Emilio guardò stupito quel giovane che a un tratto aveva smesso la sua aria da nesci, e lasciava travedere nello sguardo sicuro una ferma risoluzione.
– Nelle mani d'un uomo intelligente, destro, risoluto, come m'hai l'aria d'essere tu, diventerà una fortuna senza fallo.
– E qual è codesta somma?
– Diecimila lire! pronunziò lentamente Emilio spiccando chiare chiare le sillabe, per fare maggiore impressione sul suo ascoltatore.
– Ah! fece il servo, impassibile, chinando il capo e gli occhî, e non disse altro.
– La ti va? domandò Emilio dopo una pausa.
Battista guardava sempre fissamente la punta delle sue scarpe.
– Diecimila lire… peuh! disse poi con calma indifferente, al giorno d'oggi… peuh!.. e per prenderle non avrei che da tendere la mano?
– Poco di più.
– Che cosa?
– Senti una supposizione. Una notte, tu sei solo a difesa della casa della padrona, perchè il marito e il fratello di costei sono andati…
– Alla festa di X… suggerì freddamente Battista.
– Sono assenti, finì Emilio la sua frase. Or bene, a un dato momento, s'introduce in casa un uomo…
– Un ladro?
– No… uno che ha qualche segreto interesse a sbrigare…
– Colla signora Matilde?
Emilio guardò un momento in silenzio il domestico; poi soggiunse abbassando la voce:
– Mettiamo che la signora si spaventi e gridi ajuto, tu cosa faresti?
– Accorro e getto quell'uomo dalla finestra.
– Quell'uomo può venire armato e avere tanta abilità da non isparare un colpo di pistola in fallo.
– Come lei!
– Ti faresti fracassare la testa?
– Credo che non avrebbe pur tempo a sparare, perchè gli sarei addosso d'un salto, e con queste mani lo strozzerei come un pollastro prima che dicesse «ahi!»
E tese innanzi due manaccie che promettevano di essere fedeli e esecutrici di quel programma.
Egli guardò quelle manaccie, la complessione tarchiata e il collo torso del giovane, e capì che nel caso non ci sarebbe stato da scherzare.
– Ma, soggiunse, per evitare ogni disgraziata conseguenza, il meglio sarebbe che quell'uomo e tu non vi trovaste al cimento.
– Che quell'altro non venisse?
– No… che tu non vi fossi.
– Ah, ah! Come?
– Se, per esempio, quella medesima sera tu di cheto te ne partissi con la Lisa per essere felici insieme… altrove…
– Capisco!.. Ma ci resterebbero in casa la cuoca e il padre della signora…
Lograve fece un gesto che significava non importargliene.
– Capisco! rispose Battista con accento più malizioso. La cuoca dorme in alto, dall'altra parte della casa, e non potrebbe sentire… Ma il signor Danzàno, la cui camera non è lontana da quella della signora che di pochi passi?
– Veniamo a noi! interruppe con qualche impazienza il tentatore.
– Capisco! ripetè ancora il servo, di cui l'accento e il contegno pigliavano una sempre più insolente famigliarità, questo è l'affare di… di quell'uomo… Veniamo a noi, come lei dice. Io dunque dovrei partirmene?
– Partendo, darmi la chiave dell'uscio di casa.
– E per codesto che lei domanda, avrei diecimila lire?
– Contanti.
Battista appoggiò il gomito destro sulla mano sinistra, e accarezzandosi il mento colla destra disse, gli occhî impertinenti fissi sul volto del Lograve:
– Sa una cosa?.. Che per quello che lei vuole, diecimila lire sono troppo poco.
– Ti pare?
– Assai troppo poco, Quella chiave ha un prezzo molto maggiore.
– Quale, per esempio?.. Sentiam il tuo parere.
– Non tocca a me il dirlo… Tocca a lei che vuole procurarsela…
– Bè… accresciamola della metà: quindicimila lire.
Battista rimase impassibile, fregandosi sempre il mento.
– Diamine! riprese Emilio. Bada che, per voler troppo, perderai tutto.
Il servo si rizzò del busto e prese una mossa solenne.
– E chi le dice ch'io voglia qualche cosa? Oh non può nemmeno supporre che la mia onestà sia superiore alla tentazione di qualunque somma? Non sa ch'io sono affezionato ai miei padroni? Non pensa che il mio dovere è d'andare a svelar tutto al signor Alberto… e che ci vado?
Mosse alcuni passi verso l'uscio: Emilio, diventato livido in volto, gli si gettò dinanzi.
– Tu non uscirai, gli disse con voce soffocata dall'ira. Il segreto che tu hai è un segreto mortale: se una parola di esso ti sfugge dalla bocca, te lo giuro per l'anima mia, t'ammazzo come un cane.
Battista s'arretrò spaventato, tanto era terribile la figura di quel tristo.
Successe una pausa. Emilio, rifattosi calmo, s'avvicinò alla finestra, e trasse di tasca la rivoltella di cui andava sempre armato.
– Signore! esclamò Battista allibbito.
Ma l'altro, senza badargli:
– Come volano ratte quelle rondini! Ma vola più ratta la palla della mia pistola.
Sparò senza mirare e una rondinella cadde morta nel giardino.
– O signore! disse il servo sbalordito. Il suo occhio e la sua mano sono infallibili… Lo so.
– Or dunque, riprese il Lograve, affatto in calma, tu hai da scegliere: o servirmi come voglio o raccomandarti l'anima.
– C'è ancora una terza uscita, disse Battista tuttavia turbatello. Io non la servirò, ma le prometto di tacere…
– Non mi basta, proruppe l'altro. Quest'occasione che si presenta, sono anni ed anni che l'aspetto. Ho lavorato per farla nascere, per potermene giovare, con intensa tenacità: non la tornerà forse mai più. Non posso rinunziarvi… Ebbene, sì, tu hai ragione; la chiave che io ti domando ha un valore immenso per me. Sono pronto a tutto per averla… Vuoi ventimila lire?
Un'ondata di sangue salì al capo di Battista, le vene del collo gli si gonfiarono; un'aspra lotta si combatteva in lui; perchè il tentatore non gli potesse leggere nell'anima, egli si coprì colla destra gli occhî.
L'insidiatore insisteva:
– Siamo a due passi dalla frontiera, tu colla tua Lisa in due ore sei fuori… Porti teco in tasca la fortuna, l'indipendenza tua e di tua moglie…
Il servo non abbassò la mano dalla fronte, e con voce che appena s'udiva, domandò:
– Ventimila lire?.. Quando me le darebbe?
Emilio ebbe sulle labbra un fugacissimo tristo sogghigno. La sua penetrazione non l'aveva fatto sbagliare sul conto di quel giovane.
– Al momento stesso in cui tu mi consegnerai la chiave, rispose.
Battista abbassò le braccia lungo la persona nella mossa del rispetto e tornando nel contegno umile d'un domestico bene ammaestrato, disse, gli occhî vòlti a terra, e un po' esitante:
– Signore… avrei da fare delle spese… anche per la Lisa… affine di metterci in condizioni di partire.
Emilio levò di tasca il portabiglietti, e cavatone due polizze da cento lire, le porse a Battista.
– Prendi per le tue spese.
Il servo intascò inchinandosi e ringraziando.
– E ora, intendiamo per bene tutti i particolari, perchè non nascano imbrogli ed equivoci.
Battista usciva mezz'ora dopo dal palazzotto con tutte le occorrenti istruzioni.
XIV
Era una bella mattinata. Alberto e Cesare se ne partirono alla volta di X… in biroccino, con un giovane cavallo buon corridore, che in meno d'un'ora si divorava quella strada. Emilio disse che avrebbe passato tutta la giornata alla villa per far compagnìa al padrino e alla cugina; e tenne la parola. Fu tutto attenzioni pel vecchio, tutto cortesìa per la giovane, tutto amorevolezza pei bambini. Soltanto più frequenti del solito scattavano dagli occhî suoi quegli sguardi accesi che parevano voler prendere possesso anche violento della bellezza di Matilde. Battista li colse al volo più volte e ad ogni volta e' sentiva in sè stesso un rimescolìo che non sapeva bene se era rimorso, rabbia contro sè stesso e contro colui che l'aveva comprato. Intanto alla sua amante, senza rivelarle il come e il perchè, egli aveva assicurato d'avere i mezzi d'un comune avvenire di godimenti e di libertà e che per lei non c'era altro da fare che partirsene di nascosto con lui quella domenica a sera. A quell'amo ogni fanciulla di tal condizione sarebbe stata presa; e ad esso morse più facilmente la Lisa, innamorata, la quale fu subito pronta al gran passo e anzi impaziente di vederne arrivar l'ora. Battista invece, più s'avvicinava quell'ora, e più sentiva accrescere un interno disagio, una tormentosa inquietudine.
L'avvicinarsi d'un fatale momento, tante volte e per tanto tempo pensato, voluto con intensità di proposito e per ogni sorta di mezzi, poneva nel sangue d'Emilio un ardore febbrile, che, malgrado la forza dell'impostasi dissimulazione, tratto tratto rompeva la corteccia d'indifferenza per lampeggiare in quei certi cupidi sguardi. Matilde sentì una volta come una fiamma passarle sugli occhî: era uno di quei lampi delle pupille d'Emilio, che questi non aveva avuto tempo di spegnere, di riparare dietro le palpebre, sì improvvisamente ella s'era volta verso di lui.
Un gran turbamento invase l'anima della giovane donna; di colpo rinacquero in lei tutti i sospetti d'un tempo: la si fece subito nel contegno più fredda e più fiera, tenne sempre a' suoi fianchi i bambini. Emilio non mostrò di accorgersene.
Alla fine del pranzo, al padrino che si lamentava della insistenza di certi incomodi, Emilio disse:
– Ciò proviene dalle notti insonni che lei passa. Quella pozione calmante ch'io le ho ordinato non le fa più effetto?
– Poco, rispose il padre di Matilde. Mi dà una buona calma per qualche ora, ma il sonno non viene, e a mano mano si ridesta l'agitazione.
– Vuol dire che il calmante è troppo blando: ne rinforzerò la dose. Questa notte voglio che ella dorma saporitamente d'un sonno solo fino alla mattina: e vedrà domani come se ne sentirà bene.
– Bravo! Ne ho proprio bisogno.
La sera Emilio fece la solita partita a scacchi col padrino. Alle nove Matilde andò a mettere a letto i bambini, e alle dieci il vecchio convalescente si ritirò nella sua camera per coricarsi.
Emilio ve lo accompagnò: lo ajutò con amorevole garbo a spogliarsi, salire nel letto, poi mescette in un bicchiere la pozione calmante e vi aggiunse parecchie goccie d'una boccettina che aveva in tasca.
– Beva! disse al padrino porgendogli il bicchiere.
Ma il vecchio scosse la testa.
– Non ancora, rispose. Ora mi sento tranquillo, voglio aspettare che incominci la inquietudine.
– E allora sarà troppo tardi… Creda a me: è meglio non lasciarla venire codesta inquietudine.
– Mi sento lo stomaco grave… Ho paura di non digerire la cena… Se mi caccio quel liquido nel ventricolo temo di non sopportarlo.
– No, no, disse con qualche impazienza il figlioccio; più tarda, e meno ne avrà l'effetto. Su, animo!
E porse di nuovo il bicchiere.
Ma per un capriccio di convalescente il Danzàno resistette.
– Lo piglierò più tardi, ti dico… Lasciamelo lì sul comodino.
Emilio ebbe un movimento di contrarietà che represse a stento: poi temendo, coll'insistere, di destar sospetti, depose il bicchiere e disse con mellifluo tono di amorevole rimprovero:
– Ha torto, padrino. Lei si ruba qualche ora di buon sonno… Ma almeno mi promette che lo prenderà?
– Sì, te lo prometto.
– Sicuro? sicuro?
– Eh diamine! Sai pure che mantengo sempre le mie promesse.
– Ci conto… Mi preme troppo il suo benessere.
– Caro Emilio!.. Sta tranquillo; fra mezz'ora avrò bevuto tutto.
Il giovane, accomodato bene le coperte intorno al giacente, e datogli la buona notte, andò a raggiungere Matilde nel salottino.
– Vuoi tu vegliare ancora un poco? le chiese.
– No, ella rispose, sono stanca; vado subito a letto.
E suonò il campanello.
– E allora, soggiunse Emilio, non mi resta che augurarti la buona notte e andarmene… Tu andrai certo ancora a dare un bacio a tuo padre.
– Sì.
– Ebbene, non dimenticare di fargli bere la pozione che gli ho preparata… È indispensabile.
– Va bene.
Battista comparve sulla porta.
– Mandate Margherita a dormire, gli disse la padrona, dite a Lisa che venga da me e chiudete tutto.
– La cuoca, rispose il domestico, si è già ritirata lassù nella sua soffitta, e a quest'ora dorme che non la sveglierebbero i cannoni. Lisa verrà subito, e io chiudo ben bene, appena uscito il signore.
– Questo è un mettermi alla porta in modis et formis, disse Emilio ridendo. Pazienza! Ci vado; buona notte.
– Buona notte!
– E non mi tocchi nemmeno la mano? soggiunse lui che le aveva porta la destra.
– Sì, sì… addio!
Matilde toccò leggermente colla punta delle dita la palma ardente del giovane, e s'alzò per entrare ancor essa nella camera da letto. Emilio uscì seguito da Battista.
Non si parlarono fino a che furono sulla soglia dell'uscio di strada.
– Fra mezz'ora a casa mia! disse Emilio.
– Sissignore.
– Colla chiave!
– Sissignore.
Emilio si mosse; il servo lo trattenne per la falda dell'abito.
– E la somma? domandò,
– L'avrai nello stesso momento; non dubitare.
Lograve s'allontanò ratto, e il rumore de' suoi passi presto si perdette nella notte che era oscura e nebbiosa.
Battista rimase sulla soglia a guardargli dietro finchè lo vide, sentì il rumore dell'uscio del palazzotto che si apriva e si richiudeva, poi rientrò, crollando il capo e masticando fra sè colla mala voglia di chi ha un gusto amaro in bocca.
Matilde entrò nella camera dei bambini. Essi dormivano così saporitamente e in così graziose mosse di abbandono, che un sorriso di beatitudine si disegnò sulle labbra della giovane madre; essa li baciò dolcemente uno per uno e tornò nella sua camera. Là trovò Lisa venuta al suo comando.
– Aspetta un momentino, le disse, vado a salutare mio padre.
Questi sorrise lietamente nel vedere sua figlia.
– Stanotte sei vedova, le disse scherzando. Non avrai mica paura a dormir sola?
– No, certo: di che cosa dovrei aver paura?
– Di ladri no, chè in questo paese non ve ne sono. E poi, soggiunse col medesimo tono di scherzo, ci sono io qua: e ci avresti un forte campione a difenderti. Dormi dunque tranquilla, anche in assenza del marito.
– Hai bisogno ancora di qualche cosa?
– Sì: dammi la mia solita pozione. Emilio ha insistito tanto perchè la prendessi.
– E l'ha ripetuto anche a me.
Matilde prese il bicchiere e lo porse al padre. Ci sentì un forte odore di amandorle che le altre sere non ci aveva sentito mai.
– Questa non è più la solita? disse al padre.
– Sì; ma Emilio vi aggiunse alcune goccie di non so che per renderla efficace.
E così dicendo cominciò a bere. Una strana, vaga, indefinita idea, ma un'idea di paura attraversò come un lampo la mente di Matilde; essa tolse vivamente il bicchiere dalle labbra e dalle mani del padre quand'egli aveva appena bevuto un terzo del farmaco.
– Basta, gli disse, ho paura che il berlo tutto ti faccia male.
– Perchè?
– Ha un odore così forte!.. Emilio potrebbe avere sbagliato nella dose…
– Eh via!.. egli così riflessivo!
– Dammi retta per farmi piacere.
– Veramente stasera ci trovo un gusto diverso… Ma bada che se poi il sonno mi fugge…
– Senti; se il sonno non verrà, chiamami, e verrò io stessa a porgerti il rimanente di questo farmaco.
– Va bene… E ora vattene a letto anche tu.
Matilde pose un bacio sulla fronte del padre; accomodò la lampadina perchè la luce non desse fastidio al giacente, e s'allontanò in punta di piedi. Lisa era così assorta ne' suoi pensieri che non sentì venire la padrona, e questa la dovette toccare sulla spalla.
– Sei incantata?
– Oh scusi.
Le mani della cameriera, nello spogliare Matilde, tremavano siffattamente che la padrona, stupita, osservò meglio la fisionomia della giovane. Vi scorse un'agitazione, un turbamento, quasi le mostre d'un affanno.
– Che cos'hai? le dimandò amorevolmente.
– Nulla, nulla, rispose Lisa colle labbra pallide e tremanti.
– Eh via! non mentir meco. Hai qualche dispiacere? T'è capitata qualche disgrazia?
– Ma no… no, signora… le assicuro.
– Dimmi la verità. E se io posso qualche cosa in tuo ajuto, parla con fiducia, che ti prometto di far tutto che sta io me.
– La signora è troppo buona! esclamò la cameriera commossa, ma non ho nulla davvero.
– O forse non istai bene?
Lisa s'affrettò a prendere questa scappatoia.
– Ecco… sì, signora… la è così… Da un po' di tempo non istò bene.
– Che cosa ti senti?
– Ma… capogiri… languori… affanni… agitazione… un malessere generale… Ho paura di non poter continuare nel servizio… penso che dovrò abbandonare la casa… lei… e questo pensiero mi è così doloroso, mi dà tanta pena, che…
E scoppiò in pianto.
– Via, via, disse Matilde con sempre maggiore amorevolezza; non crucciarti così… consulteremo un medico… ti faremo guarire senza che tu abbia ad abbandonarci… Sono contenta di te, ti voglio bene, e sarai trattata come una della famiglia.
– Ah! signora! Lei è un angelo! esclamò Lisa sempre più commossa, e, afferrata una mano della padrona, la coprì di baci e di lagrime; poi con uno sforzo si tolse di là e uscì ratta dalla camera senza più aggiungere parola.
Matilde pensò subito richiamarla, ma poi avvisò meglio aspettare il domattina a interrogarla più particolareggiatamente; e senz'altro si pose a letto. Una preoccupazione, quasi una mestizia le si aggravò sull'anima al trovarsi sola (ed era la prima volta dacchè era moglie) tutta una notte in quella vasta camera, dove aveva passato ore così felici, e dove ogni sera, in confidente abbandono, si versavano amorosamente l'una nell'altra l'anima sua e quella dell'innamorato marito.
Era una vasta camera, in fondo alla quale si apriva un'alcova, dove stava il letto conjugale. Due sole porte erano in quella stanza; l'una comunicava col resto della casa per un andito, nel quale a pochi passi era l'uscio della camera del padre: l'altra porta metteva nelle due camere in cui dormivano i bambini.
Matilde spense il lume e cercò dormire, ma il sonno fu ribelle. Strane fantasìe e bizzarre chimere passavano pel capo di lei, come imagini di sogno, o vaneggiamenti di mente confusa: e in quel turbinoso succedersi di ombre, di scene, di vedute, tornavano più nette ed insistenti, e non sapeva perchè, le memorie del duello di Alberto con Emilio, e la pozione soporifera del padre con quell'odore acuto, e lo sguardo di fuoco, quasi feroce di Emilio: pensò ad una vendetta di quest'ultimo, ma quale? Contro il padre? Contro di lei?.. Oh quello sguardo! E a un tratto le vennero alla mente il contegno e le lagrime inesplicabili di Lisa. Finalmente si era oramai a mezzanotte quando Matilde cominciò a sentire il riposo scendere sul suo cervello e sui suoi occhî, e poco stante si addormentò.
Lisa, uscita dalla camera della padrona, andò a raggiungere Battista.
– Ah, mio caro, gli disse, tutta ancora in lagrime, con accento di vivo dolore, non avrei mai creduto che ad abbandonare la signora Matilde avrei provato tanta pena. Che buona padrona! Che creatura angelica, è quella! Si merita davvero che il Signore le dia del bene.
– Pensiamo al nostro bene di noi, e lasciamo stare gli altri, rispose Battista con impaziente malavoglia. Sei tu pronta?
– Sì.
– Dunque andiamo.
Nella giornata ambedue s'erano fatto un fardelletto delle cose loro più indispensabili e di più valore. Battista aveva in segreto noleggiato un biroccino, il quale doveva trovarsi allestito alle undici a un dato punto della strada di X. I due fuggitivi uscirono pian pian dalla villa, e Battista chiuse a chiave l'uscio dietro di sè.
Quando furono a pochi passi, Battista, deponendo il suo fardello a terra, disse a Lisa:
– Aspettami qui: io vado per una commissione; in cinque minuti mi sbrigo e poi ti raggiungo.
Lisa s'aggrappò al braccio del suo compagno.
– No, non lasciarmi qui, sola, di notte. Ho una paura maledetta.
– E di che cosa vuoi aver paura?.. Qui a quest'ora non ci passa nessuno… Ti dico che vengo subito.
– No, no; non ti lascio.
– Ma è necessario.
– Perchè? Che cosa hai dunque da fare? Dove vai?
– Qui dal signor Lograve.
– A far che cosa?
– Un certo interesse che ho con lui… A te non importa il saperlo.
– E io ti dico che non rimarrò qui ad aspettarti, che o ti accompagno, o non ci andrai neppur tu.
– Brava! E allora tutto il nostro disegno va in aria.
– Come?
– Gli è lui che ci deve dare i denari.
– Il signor Lograve?
– Sì.
– E perchè ce li dà?
– Perchè… perchè… questo non ti deve importare.
– Sì che m'importa. Da bravo, non farmi dei misteri… Possiamo già considerarci come marito e moglie… e non ci devono essere segreti tra di noi.
– Questo segreto, mia cara, non è mio, e non posso disporne… Ma mentre noi stiamo qui a discorrere, il tempo passa, ed è tanto di perduto. Suvvia, coraggio, Lisa, non farmi la femminetta; un minuto solo e ti raggiungo.
– No, no, insistette Lisa stringendo più forte il braccio di lui: non, istò qui, neppure per tutti i tesori del mondo… Lasciami accompagnarti.
– No, devo parlare a quel signore da solo a solo.
– Almeno fino alla porta… Là vicino alla casa, più vicino a te, non avrò più paura.
– Ebbene, sia, vieni fin là… ma non cercar d'entrare.
– No, starò fuori: ma se mai qualche cosa capitasse, che so io… potrei chiamarti… e se mai tu sarai lesto ad accorrere, non è vero?
– Sì, certo.
Giunsero al palazzotto. L'uscio era socchiuso. Per la finestra aperta di una stanza a terreno usciva nella notte un fascio di luce; traverso quella luce si vedeva andare e venire l'ombra del Lograve che passeggiava impaziente. Battista fece ancora a voce sommessa una raccomandazione alla Lisa, ed entrò. La stanza dove Emilio aspettava era subito lì a destra. Al passo del domestico Emilio si fermò e si volse verso di lui; era pallido, coi lineamenti contratti; aveva una profonda riga fra le sopracciglia e teneva le braccia serrate al petto.
Nel pomeriggio egli aveva detto al suo servitore che preparasse la valigia per una improvvisa partenza: egli sarebbe forse partito la notte o la mattina seguente, e avrebbe poi scritto dove il servo avrebbe dovuto raggiungerlo.
Rientrato in casa alle dieci, aveva domandato al domestico se i suoi ordini erano stati eseguiti, al che il servo avendo risposto affermativamente, egli lo mandò a dormire, e rimase solo nella stanza a terreno.
Sedette a tavolino e scrisse la lettera seguente:
«Ad Alberto Nori, «C'è un uomo sulla terra, al quale io vo debitore delle più fiere angoscie: e quell'uomo sei tu.
«Mi hai rapito ogni bene: mi hai insultato colla tua felicità. Sono anni che aspetto la mia vendetta; e ora la stringo in pugno e me ne appago.
«Alla coppa d'amore di cui ti sei inebriato, ho voluto bere ancor io, e ti lascio la coppa contaminata.
«Vado in Isvizzera e vi ti attendo, se la rabbia e la vergogna ti daranno tanto coraggio da venirci.»
«LOGRAVE.»
Ripigliò il foglio, lo suggellò e se lo mise in tasca.
Prima d'abbandonare la villetta Nori, avrebbe lasciato questa lettera nella camera conjugale, stata teatro del suo infame attentato. Poi scese nel salotto a terreno ad aspettare con quella nervosa febbrile impazienza che non lo lasciava quetare.
– Si può? disse Battista, affacciandosi all'uscio.
– Avanti! comandò Emilio con voce rotta, imperiosa. Ti sei fatto molto aspettare.
– Ho fatto più presto che ho potuto.
Emilio, a cui premeva venire al sodo, lo interruppe piantandogli in faccia quel suo sguardo maligno.
– E dunque?
– E dunque eccomi qua.
– La chiave?
– L'ho meco.
– Dammela.
– Sì, signore, ma prima… Ella capisce… Lei sa…
– Vuoi i denari?.. Eccoli.
Gli gettò una busta che Battista afferrò vivamente; accostatosi al lume, il servo aprì la busta e si mise a contare i biglietti.
Lisa, di fuori, udite le voci dei due uomini, non potè frenare la sua curiosità: si accostò piano piano alla finestra aperta, e tenendosi cautamente nell'ombra potè vedere e udire quanto avvenne e si disse nel salotto.
Dopo avere passato uno per uno i biglietti, Battista levò il capo, e disse con accento di rimprovero:
– Signore, mi mancano duecento lire.
– Come?
– Sissignore. Lei mi ha promesso ventimila lire; qui ce ne sono diciannovemila e ottocento. Mancano duecento lire.
– E le duecento che t'ho date jeri?
– Ah! quelle erano per le spese indispensabili per la riuscita del disegno. Devono essere all'infuori del prezzo convenuto.
– Questa non me l'aspettavo.
E Battista con insolenza:
– E io da lei non m'aspettavo una simile piccineria.
Emilio arrossì di sdegno; ma si contenne; levò di tasca due biglietti da cento e li gettò al servo senza parlare.
Battista li prese, li mise accuratamente nella busta cogli altri e la busta in tasca; si abbottonò bene il soprabito, fece un leggiero inchino e disse laconicamente:
– Va bene!
– La chiave? ridomandò con voce fremente Emilio, colla mano tesa che tremava.
Il servo gli porse la chiave che Emilio afferrò con avidità ancora maggiore di quella mostrata da Battista nel prendere i denari.
– La riverisco, disse Battista avviandosi.
Ma l'altro lo trattenne.
– Un momento. Entrato ch'io sia, non troverò più altro uscio chiuso all'interno?
– No, signore.
– Sono tutti a letto?
– Tutti.
– Sta bene. Vattene e la fortuna ti accompagni.
Battista uscì frettoloso: appena fuori si sentì serrare fra due braccia frementi; e una voce concitata, benchè sommessa, gli disse all'orecchio:
– Che hai tu fatto? Che cos'è quella chiave? Perchè il signor Lograve ti ha dato tutti quei denari?
– Vieni, vieni, susurrò Battista trascinando seco la Lisa, caricatosi dei due fardelli. Ti spiegherò poi.
– No, gridò la ragazza, voglio saperlo.
Battista pensò di gettar via i fardelli, di prendere alla vita la giovane e portarla di peso fino al luogo dove si sarebbe trovato il biroccino, ma preferì pigliarla colle buone.
– Tu ci vuoi rovinare… Ti dirò tutto, ma vieni presto… Una parola di troppo, e tutto è perduto. Io sarò obbligato a fuggire e piantarti qui.
Questa minaccia ridusse la Lisa cedevole. Correndo giunsero al legnetto che aspettava; Battista vi cacciò dentro Lisa, pose una moneta in mano al garzoncello che teneva il cavallo, balzò presso la fanciulla, prese le redini, frustò il cavallo e via di galoppo.
Emilio con un sogghigno mefistofelico stringeva in pugno la chiave ricevuta da Battista, ed esclamava seco stesso:
– La tengo in pugno la mia vendetta, e il ripago di ogni mio tormento.
Guardò l'orologio.
– Appena le undici e un quarto!.. Come passa lento il tempo!.. A mezzanotte – fece un ghigno – l'ora dei delitti… e degli spettri… A mezzanotte varcherò quella soglia!
Quei quarti d'ora gli parvero eterni; eppure quando udì dal lontano campanile del villaggio battere lentamente dodici rintocchi, si riscosse come assalito da un subito terrore, guardò il suo orologio, per accertarsi che quel suono di campana non lo ingannava; prese e intascò una rivoltella, e uscì con passo guardingo, ma fermo. Giunse alla porta, della villetta, e con mano sicura pose la chiave nella toppa. L'uscio si aprì.
Emilio entrò pianamente; era così pratico del luogo, che non ebbe mestieri di accendere lume per passare l'andito, salire le scale, percorrere il corridoio e arrivare all'uscio della camera in cui dormiva Matilde.
Pensava:
– Purchè non la si sia chiusa dentro a chiave! Ma l'avesse anche fatto, poco importa: con una spalla faccio saltare la serratura: il rumore non può svegliare che lei… Ed entrato ch'io sia!..
Prima di mettere la mano sulla gruccia di quella serratura, si fermò un momento: poi piano piano tentò la serratura; questa non era chiusa che con una mandata della stanghetta a scatto; girando la maniglia Emilio l'aprì; cacciò dentro la testa; tutta era bujo e silenzio; egli entrò.