Kitabı oku: «Tre racconti», sayfa 2
III
La fonderia era posta alla falda d'un bel colle boscoso; a mezzo la costa, in uno slargo che parevano fare appositamente i castagni per lasciarle un po' di luogo, brillava al sole una casetta tutta bianca. Aveva stanza colà un'altra beneficenza del signor Frangia.
Taddeo, vecchio militare, si era ritirato dall'esercito dopo la guerra del 1848-49, azzoppito, incapace di lavorare, con moglie ed una figliuola, e per unica ricchezza trecento lire di pensione all'anno. La moglie era buona a poco, la figliuola era ancora piccina, e meno d'una lira al giorno per vivere in tre, anche in un paesello, c'era da mangiare di magro e vestire di stracci.
Il padre di Pietro nominò Taddeo guardiano dei vasti boschi che possedeva su quella montagna, gli diede ad abitare quella casetta bianca, gli regalò un bravo schioppo a due canne, i mobili più indispensabili, il diritto di tirare a qualunque selvaggina trovasse, e quaranta lire al mese. A Taddeo parve toccare il cielo col dito; si stabilì in quel luogo ridente, si diede a percorrere, zoppicando tranquillamente a suo modo, con lo schioppo a tracolla e un bastone in mano per appoggiarvisi, le proprietà del padrone, e si chiamò il signor Guardaboschi. Fece scappare, ingrossando la voce, qualche ladroncello che tagliava rami degli alberi; fingeva di non vedere quando s'incontrava con povere vecchierelle che venivan raccogliendo legna; uccise qualche tordo e qualche lepre, e disse a tutti, che lo volessero o non lo volessero sentire, ch'egli si trovava nel paradiso terrestre senza serpente.
Nè si fermarono a ciò le larghezze del ricco industriale. La figliuola di Taddeo veniva su carina come un amore e belloccia come un fiore di campo; aveva tanta grazietta, tanto brio, tanta ingenua petulanza di modi che vederla, sentirla a chiaccherare e non restarne incantati era cosa difficile.
Il signor Frangia, passando un giorno di là per caso, fu accolto, figuratevi con che dimostrazioni di festa, dalla piccola famiglia beata di quell'asilo e della vita tranquilla che vi conducevano. Il padre di Pietro, commosso, ammirò la pulizia che faceva come dire splendenti tutte le masserizie, l'ordine che rallegrava l'occhio del riguardante, la pace che là si vedeva regnar da per tutto continua ed inviolata: ma sopra ogni cosa ammirò i grandi occhi intelligenti, la faccia birichina, la grazia innata, lo schietto parlare e le argute risposte della Lucietta, che allora poteva avere dieci anni.
“Che cosa le insegnate a questa bambina?” domandò egli tenendole fra due dita le guance.
“Che la vuole che le insegnamo, povera gente ed ignorante come siam noi?” rispose la madre. “Appena se so farle apprendere un po' di maglia e di cucito…”
“La mandiamo a scuola al villaggio;” saltò su il padre; “e vi ha già imparato un tantino a leggere, scrivere, e far di conti…”
“Un tantino!” interruppe la fanciulla quasi offesa e con quella sua cara petulanza. “E' mi sembra che, tutto questo, lo so già fare per benino davvero… Oh giusto! la veda un po' lei e giudichi.”
E lesta, con quelle mosse d'augelletto, che erano in lei così graziose, Lucietta corse a prendere i suoi scartafacci, li venne a squadernare sulle ginocchia del signor Frangia, poi lesse spedita in un libro, poi si mise a recitare colla sua vocina quattro o cinque poesiette che aveva già mandate a memoria, poi a dire tutta d'un fiato la tavola pitagorica.
Il padre di Pietro l'abbracciò con entusiasmo e partissi incantato. Sua moglie, a cui egli contò tutti i miracoli di quella bambina, la volle vedere, e ne venne via più rapita ancora del marito. Conchiusero ambedue d'accordo, che era un peccato lasciare tante buone qualità e meravigliose disposizioni perdersi inutili ed imbozzacchire in mezzo a quei boschi. In breve, decisero che la Lucietta sarebbe andata dalla Maestra direttrice della scuola di quel paese, ed in lezioni particolari vi avrebbe appreso tutto quel più che le si sarebbe potuto insegnare.
Lucietta venne; la maestra sapeva poco, ma la ragazza capiva molto e indovinava assai più. Ebbe alcuni buoni libri per le mani; e passando molto del suo tempo in casa la madre di Pietro, v'imparò assai più che ne' libri, quanto a maniere e ad educazione del cuore e del carattere. L'opera benefica dei signori Frangia fu coronata di splendido successo, perchè la Lucietta diventò la più cara, bene educata, amabile fanciulla che si potesse vedere.
Atanasio da un pezzetto la vedeva e l'ammirava. Pietro, in quel tempo era in città a compiere gli studii. Atanasio, quando traverso le grandi invetrate delle officine scorgeva passare sollecita la giovinetta (e per un caso straordinario la scorgeva sempre) ed entrare nella casa dei principali, aveva sempre di lì a poco una qualche ragione per cercare del signor Frangia, e andava a cercarlo così bene che capitava sempre, sia nella casa, sia nel giardino, dov'erano la moglie del padrone e la Lucietta. Colà, prima ch'egli avesse domandato e la signora risposto, passavano sempre alcuni minuti; e il giovane sapeva trovare appigli tali di discorsi che faceva durare altri pochi minuti di più il colloquio, e nasceva occasione alla Lucietta, allegra e scherzosa per natura, di barzellettare e di ridere, ed egli, il giovane operaio, rientrava all'officina col cuor contento, colla mente serena e coll'umore più ilare del mondo.
Non andò guari che l'operaio trovò modo di fare stretta relazione con papà Taddeo, che qualche volta scendeva all'osteria del villaggio a riconfortarsi lo stomaco mercè un mezzo litro di quel migliore. Un litro pagato a tempo ne fomenta dimolte di codeste amicizie cercate con premeditazione da una delle parti. Atanasio forte, robusto, audace, con un fare tra franco e riservato, piacque assai al vecchio militare.
L'operaio beveva bene e lo faceva ber bene; si lasciava da Taddeo raccontare, anzi ce lo incitava, tutti gli aneddoti della sua campagna e della sua vita da cacciatore; non andò guari che il padre di Lucietta proclamò Atanasio il più piacevole compagno che si potesse trovare.
Atanasio allora impiegò tutto il suo talento diplomatico a riuscire in un intento che gli stava a cuore quant'altro mai: quello di farsi invitare dal veterano ad andarlo a vedere lassù. E il furbo ci riuscì. Cominciò per andarvi raramente; seppe piacere alla madre di Lucietta, come aveva piaciuto al padre. La fanciulla stessa mostrò vederlo di buona voglia; e non andò gran tempo che quasi tutti i giorni Atanasio capitava alla casetta e vi era accolto con un amichevole sorriso e con cordiali strette di mano da tutti.
A quel felice momento in cui poteva correre lassù, alle belle, ma troppo rapide ore ch'egli ci passava, Atanasio pensava tutto il giorno; lavorava con più ardore ed alacrità, quasi volesse col suo zelo guadagnarsi il premio di quella gioia, quasi, affrettandosi nel suo còmpito, affrettasse pure il passare del tempo.
Certe volte in mezzo al più vivo del lavoro, sentiva ad un tratto venirgli su, come dal cuore al cervello, una subita ilarità, e si metteva a ridere d'un nonnulla, e intonava allegramente colla sua voce robusta, una gaia canzone. I suoi compagni, avvezzi a vederlo per l'innanzi sempre taciturno e imbroncito, lo guardavano meravigliati; alcuni gli chiedevano il perchè di quel buon umore inaspettato di cui non sapevan trovare ragione; egli rideva più forte, crollava le spalle e tirava via a lavorare con più ardore. Gli era che, a quei momenti, egli, tutto annerito dal fumo, dalla polvere, dal fuoco, vedeva comparirsi, in mezzo alle fiamme accecanti del metallo incandescente, le vaghe forme gentili d'una giovinetta tutta sorrisi, e sognava mille immagini beate di un desiato avvenire.
Appena finita la giornata, correva a nettarsi per bene, cambiarsi la biancheria, mettersi la tunica pulita; e poi s'affrettava col suo passo lungo e svelto su per la cima del colle. Non aveva tanta pazienza da prendere la strada comune che girava e rigirava per la costa, ma tirava via dritto, traverso i boschi, in linea retta, senza seguir sentiero tracciato, arrampicandosi da albero ad albero, e sbucava fuori sulla piccola aia innanzi alla casetta. Vi arrivava sorridente: lo accoglievano sorridenti; perfino la cagnetta di Taddeo – una brutta bestiola, che il Guardaboschi in una delle sue innocenti escursioni aveva raccattata su per la strada mezzo moribonda di fame; – perfino lei gli faceva festa. Atanasio aiutava la vecchia alle faccenduole di casa, spaccava le legna per accendere il focherello della cena, strappava dalle mani di Lucietta il secchiolino per attingere acqua e correva a riempirlo alla fontana, diceva scherzando al veterano Taddeo:
“Oh che non volete credere che io, quantunque non sia stato a mangiare il pan di munizione, son capace di ripulirvi quello schioppo intorno a cui sudate lavorando per renderne le canne così lucenti che il più schizzinoso caporal di settimana non vi avrebbe a ridire? Il ferro ed io ci conosciamo, e state a vedere…”
E anche dalle mani del vecchio strappava lo schioppo e gli stracci ingrassati e la spazzoletta e il piattellino dell'olio, e si metteva a far egli il lavoro del Guardaboschi, tanto bene e sollecito che questi lo guardava ammirato, e sclamava ridendo che sembrava non avesse mai fatto altro. Era insomma diventato così di casa, che un congiunto non avrebbe potuto di più; e nella famigliuola non solo s'era usi ad aspettarlo e riceverlo con gioia, ma ad ogni lavoretto un po' faticoso che avvenisse di dover fare, si soleva dire gli uni agli altri: – Eh! lascia stare; ci verrà stasera Atanasio e farà lui. —
IV
Quelli furono i migliori tempi della vita dell'operaio. Sotto l'influsso del suo tanto nobile e purissimo amore, egli sentiva a poco a poco svanire, proprio come la nebbia al sole, i suoi invidiosi pensieri, il suo maligno talento, la sua rabbia di proletario. Non gli pareva più d'essere condannato ad invidiar tutto agli altri; non trovava più che questo mondaccio fosse così male ordinato che impossibile lo starci un po' bene a chi non possedesse ricchezze: la sera, quando seduto sull'aia, alla porta della bianca casetta, vedeva la bella fanciulla correr di qua e di là, immaginava una vita bellissima, che gli sembrava proprio a gittata di mano, insieme con una compagna e con dei figliuoli; capiva allora il diritto di proprietà e la famiglia; sognava economie e risparmi, e si riconciliava mentalmente col capitale. Aveva disertato l'osteria, metteva più attenzione alle cose sue, al suo vestiario, ai suoi diportamenti, al suo parlare: era più umano e servizievole, più allegro e garbato con tutti: poteva proprio dirsi un altr'uomo.
A Lucietta, nè ai genitori di lei, non aveva ancora parlato nemmeno alla lontana de' suoi disegni. L'eloquenza non era il suo forte, e nell'audacia della parola ei ci valeva poco. Ma pure non dubitava punto che la cosa avrebbe da riuscire a seconda de' suoi desiderii. Aveva tanta coscienza di quel ch'egli valeva, da credersi non indegno di Lucietta; le condizioni sociali ed economiche dall'una parte e dall'altra si pareggiavano; capiva d'essere ben visto, anzi aggraditissimo al padre e alla madre di lei; non vedeva intorno alla ragazza pur l'ombra d'un rivale; poteva senza soverchia illusione scambiare per indizio di più tenero affetto la cordialità dell'accoglimento e il sorriso di fraterna amicizia che aveva per lui la Lucietta. Quindi, tutto ben considerato, aveva risoluto che alla prima buona occasione che gli si presentasse, avrebbe, come si dice, saltato il fosso e parlato chiaro.
Ma questa benedetta occasione tardava a venire, od almeno pareva sempre a lui che non fosse abbastanza buona; e frattanto chi venne fu Pietro, il quale, finiti i suoi studi alla città, se ne tornò alla casa paterna a prendere la direzione delle officine.
Atanasio a questo ritorno provò strane e contradittorie sensazioni. L'assenza gli aveva pure fatto conoscere, che in realtà egli lo amava qual suo compagno d'infanzia, il quale era pur sempre stato così buono ed amichevole per lui; e sapendo ch'egli ritornava, il giovane operaio, fatto dalla sua passione più inchinevole alla tenerezza, ebbe un vero rallegramento. Ma quando il giovane principale fu giunto, più bello di quel che fosse quando era partito, avendo preso dal soggiorno della città non so qual grazia nel portamento, vestito con eleganza di gusto, fornito insomma di tutti quei vantaggi che danno la ricchezza e il praticare colla società eletta, una specie di presentimento assalse Atanasio, che quella venuta e quel giovane così caro e leggiadro gli sarebbero fatali.
Primo danno che glie ne toccò fu intanto che dovette rinunciare a vedere così di frequente e per sì lunghe ore la Lucietta. Il signor Pietro era venuto con una quantità di ordinazioni di lavoro e di grandiosi progetti da dare nuovo slancio all'industria. Agli operai fu aumentato il salario, ma fu diminuito il tempo libero: l'ebbe diminuito più di tutti Atanasio, al quale Pietro fece il meritato onore di nominarlo capo d'officina.
Parecchi giorni passarono per ciò, senza che l'operaio potesse correre alla bianca casetta: di che il suo umore tornò a intristirsi non poco; finalmente, quando a forza di industriarsi, potè strappare alle ore di lavoro e dei suoi pasti un briciolo di tempo per correre lassù, erano sì brevi momenti quelli, che pel gran desiderio da lui provato erano come un sorso d'acqua a chi muore di sete.
La Lucietta veniva essa ancora in casa dei padroni, e con che frequenza? Atanasio non lo sapeva e gli premeva di saperlo, e moverne domanda se ne vergognava. Già di spiare le venute della fanciulla non era più il caso, e meno ancora quello di correre in traccia di lei col pretesto di cercar del principale. Il padre di Pietro aveva smesso del tutto ogni ingerenza nell'opificio; la direzione l'aveva il figliuolo, il quale era sempre lì e non s'allontanava d'un passo e non permetteva che nessuno s'indugiasse pure un momento nel suo ufficio, e quanto era buono e generoso verso gli zelanti operai, altrettanto era severo e implacabile verso i negligenti.
Atanasio s'arrabbiava maledettamente. Fu peggio quando, in quelle corte scappate che poteva fare ad intervalli alla casa di Taddeo, gli parve accorgersi che Lucietta erasi d'assai mutata nel suo contegno. La non rideva quasi più; il giovane non sentiva più, arrivando, di mezzo agli alberi del bosco, l'allegra di lei canzone che gli annunciava la vicinanza della casa; parlava poco, ascoltava distratta, dava ad Atanasio la mano più freddamente di prima, trovava frequenti pretesti per ritirarsi nella sua cameretta e non lasciarsi veder più.
“Voi non istate bene?” le chiese un giorno l'operaio.
“Benissimo,” rispose ella: “perchè mi fate questa domanda?”
Atanasio le disse del cambiamento che aveva notato in lei: Lucietta arrossì fino sulla fronte, non rispose parola e s'allontanò.
Il nostro operaio ci pensò ben bene un giorno e una notte, e ancora un altro giorno; e la sera dipoi, in cui s'era procacciata un'ora di libertà, s'avviò verso la dimora di Taddeo con una gran risoluzione.
Però non prese la scorciatoja, non allungò il passo delle sue lunghe gambe, e, quantunque fosse già tardi, andò su lentamente per la stradicciuola comune, fermandosi tratto tratto a meditare. Egli s'era deciso a svelar finalmente il suo segreto e chiedere Lucietta in isposa. Per quanto adagio camminasse, e' ci arrivò pure a quella benedetta casina bianca. Vi regnava un silenzio che gli parve di malaugurio; nessuno era di fuori, la porta socchiusa; una riga di luce rossigna, che filtrava dall'uscio in sull'aia già quasi ottenebrata dalla sera, indicava che nella stanza terrena eravi il fuoco od un lume acceso. Atanasio si accostò piano col cuore che gli palpitava, e per la fessura guardò dentro. Taddeo, seduto sopra il suo vecchio seggiolone di cuoio a bracciuoli, sonnecchiava innanzi al fuoco; sua moglie, accoccolata presso al camino, guardava per entro ad una pentola; Lucietta non c'era. Fra le gambe del Guardaboschi dormiva accovacciata la cagnetta di razza inqualificabile.
Atanasio quasi rallegrossi di non vedere colà in quel momento la ragazza; avrebbe osato parlare più franco, non essendoci lei presente. Sospinse pian piano l'uscio ed entrò. La cagna fu sola ad accorgersi della venuta di qualcheduno; la si drizzò a sedere puntando le piote anteriori per terra, e cominciò ad abbaiare; ma visto subito che egli era l'amico di casa, si levò di tratto e gli mosse incontro scodinzolando.
Taddeo si svegliò, la moglie si riscosse dalla sua contemplazione della pentola e si volse verso il nuovo venuto.
“Ah, siete voi Atanasio?” diss'ella. “Da bravo! venite, sedete qui; mangiate un boccon di cena con noi.”
V
Atanasio s'inoltrò, sedette, ringraziò, e si pose a tormentare la cocca della sua tunica, come se da essa volesse far venir fuori le parole del discorso.
“Bel tempo d'autunno!” disse Taddeo.
“Bel tempo!” rispose Atanasio, guardando il fuoco.
“Fatto apposta per andare a caccia.”
“Già!”
“Guardate: se ci aveste un giorno di libero, che poteste venir meco di buon mattino con un bravo schioppo, sì che vi menerei io in certi luoghi dove i tordi vi parrebbe che fioccassero.”
Atanasio mandò un sospiro.
“Ma io non ho di giorni liberi.”
Guardò intorno, come se cercasse di qualche cosa.
“E… e la vostra Lucietta?” finì per dire.
Fu la madre di lei che rispose:
“È giù al villaggio, in casa dei padroni.”
Il giovane fece un sobbalzo sulla seggiola di legno su cui era seduto.
“Dei padroni?” ripetè, come se dubitasse di non aver capito bene.
“Sì, dei signori Frangia… Sono tanto buoni! La signora vuole alla mia figliuola un bene da non si dire, e la desidera frequentemente con sè.”
“Ma gli è già tardi,” interruppe Atanasio cui l'appresa notizia stese un velo di tristezza sul volto; “e come farà a venirsene su la Lucietta?”
“Per questa sera la non ci vien mica.”
“No?”
“È già da due giorni colà, e vi rimane ancora una settimana. La Signora ha insistito tanto, che abbiamo dovuto acconsentire a lasciargliela per un po' di tempo.”
Atanasio sorse in piedi tutto turbato; voleva sgridare, rampognare, ma ebbe ancora tanto buon senso e tanta padronanza di sè da tacere. Con che diritto poteva egli far rimproveri ed anche semplici osservazioni? Che cosa era egli per quella gente, per quella ragazza? I Frangia erano i protettori di quella famiglia; v'era forse alcun male che la Signora tenesse presso di sè la giovane che aveva fatto educare, a' cui bisogni, in varia forma era venuta sovvenendo? L'operaio non disse adunque nulla; ma sentì la sua anima diventar buia come una notte senza stelle, e a un tratto gli andarono via il coraggio e la voglia di fare la sua dichiarazione. Trovò un pretesto per rifiutare la cena, e partissene subito, e ridiscese il poggio coll'inferno nel cuore.
Si era fatto notte interamente. Di gran nuvoloni s'aggiravano in cielo, e fra loro splendeva con un limpido chiarore la luna quasi piena, nascosta di quando in quando da qualcuno di essi che le passava dinanzi. Atanasio camminava senza saper ben preciso in qual direzione; ma le gambe lo portarono alla fonderia, e precisamente da quella parte dove era la casa dei proprietari.
Era una casa non molto alta, ma piuttosto vasta, che formava tre lati d'un quadrilatero, spingendone due verso le officine che stavano in fondo al cortile, le quali, dopo un intervallo di una ventina di metri, chiudevano il quadrato, allungandosi però dall'una e dall'altra parte in una linea più estesa. Dinanzi alla facciata della casa, che guardava sopra la strada, si stendeva una terrazza, lunga poco meno della facciata medesima, alta un metro dal suolo, sulla quale dal salotto e dalle altre stanze del pian terreno davano adito delle alte porte-finestre.
Atanasio venne da quella parte, passò lentamente innanzi a quella facciata, con lo sguardo fisso nel chiarore che usciva da que' cristalli.
La luna in quel momento batteva di pieno sul terrazzo; l'operaio ci vide l'ombra d'un uomo che andava e veniva; poi quell'uomo si fermò, si appoggiò coi gomiti alla ringhiera e la luna ne illuminò completamente la faccia ch'ei volse in su: era Pietro Frangia che fumava un sigaro a quella brezza notturna. Atanasio si voltò per allontanarsi, ma il suo principale l'aveva visto.
“Olà! Ehi!.. se non m'inganno, tu se' Atanasio:” gli gridò. “Alto, Atanasio!”
Questi, benchè a malincuore, dovette fermarsi.
“Buona sera, sor Pietro, sono appunto io.”
“Vieni qua. Dove vai girando? Le serate incominciano ad esser freddine.”
“Non mi pare:” rispose Atanasio, che in verità non sapeva bene che si dicesse, tutto preso da un nuovo e molesto impaccio in presenza al suo giovane padrone. “A me piace il fresco… Ho il sangue acceso addosso.”
“Eh! lo capisco. Il fuoco della fucina!.. Ma io pure ho una smania questa sera… To'! mi arrivi proprio a tempo. Ho bisogno di prender aria e di far moto; e ho bisogno d'un confidente. Tu mi accompagnerai a passeggiare; e qual confidente migliore posso io avere di te, che mi sei come fratello?”
Atanasio sentì che avrebbe pur dovuto rispondere qualche parola, ma non seppe cosa dire; e pensava frattanto:
– Confidente!.. che confidenze vuol egli farmi? —
Pietro in un attimo scese dal terrazzo e fu al fianco dell'operaio: ne prese il braccio con amorevole domestichezza e lo fece avviare di buon passo giù della strada.
Camminarono un bel tratto senza parlare. Atanasio non si avventurava ad interrogare; Pietro pareva provasse alcune difficoltà non leggiere a cominciare il discorso. Fumava rapidamente, guardava intorno, sospirava forte; finalmente ruppe il silenzio dicendo con un risolino forzato:
“È strana! sai tu che in questo momento io ho addosso un'ansietà che mi dà un'agitazione delle maggiori ch'io abbia provato mai? Questo non l'avrei creduto.”
“Che cos'è?” domandò Atanasio, tanto per dir qualche cosa. “Le capita forse alcuna contrarietà?”
“No, contrarietà… quello che provo io, vuoi che te lo dica?.. è timore.”
“Timore!.. di che?”
“Gli è che adesso adesso si sta decidendo la sorte della mia vita e dipende da una parola la mia felicità.”
Atanasio si fermò su due piedi, stranamente turbato a un tratto.
“Oh come mai?” dimandò egli.
“Eccoti le confidenze… sarai il solo che le abbia ricevute, fuori de' miei genitori. Amo Lucietta, e l'amo tanto che nol posso dire.”
Per fortuna le nubi in quel punto avevano coperto la luna e l'oscurità era sì fitta da non potersi vedere il pallore e la contrazione dei muscoli che vennero a sconvolgere la faccia dell'operaio.
Pietro, chiacchierone come tutti gl'innamorati, sentì il bisogno di raccontare più particolareggiate le semplici vicende dell'amor suo.
“Quando sono partito di qua, Lucietta era già una cara fanciulla che prometteva diventare un tesoretto bello e buono; ma ora che l'ho rivista al mio ritorno, ora sì che la mi parve aver superate tutte le sue promesse! E nota che io ne aveva pure la grande aspettazione: mia madre mi scriveva sempre tanti prodigi di lei!.. Ebbene, la trovai superiore a tutti gli elogi… Che ti vo dicendo di più? Mi accorsi in breve che n'ero pazzamente innamorato. Ah! non esitai un momentino. Mi stimerai abbastanza, spero, da non supporre nemmeno che mi sia venuto un cattivo pensiero a tal riguardo. È una povera giovane che non ha nulla; e tanto essa quanto la sua famiglia devono dimolto a noi… ragione di più per averne ogni rispetto. Parlai a mio padre e a mia madre che mi amano tanto da consentire a tutto quello che può farmi felice. Essa non è mia pari per condizione nè per fortuna; ma che importa? Fu allevata a meraviglia, ha talenti come poche ne hanno, è virtuosissima; tutto la fa degna del nostro grado. Della sua povertà non abbiamo da averne pensiero; non siamo noi ricchi abbastanza? Mia madre accettò il carico di scrutare il cuore della giovane questa sera medesima, e in questo stesso momento. – Va' via, – mi disse, – e lasciami sola con lei una mezz'ora: al tuo ritorno l'avrò confessata, e saprò dirti il tuo destino. – Uscii sul terrazzo, agitato come Dio tel dica. Mi è sembrata una buona fortuna vedere a passar te, così buono mio amico. Per occupare questa benedetta mezz'ora, avevo bisogno di camminare, di sfogarmi con qualcheduno… E niuno meglio di te poteva convenire al mio caso.”
Atanasio camminava a capo chino senza far parola, senza batter palpebra, quasi avreste detto senza tirare il fiato. Stringeva così forte le mani serrate a pugno, che le unghie delle dita gli entravano nelle carni della palma; teneva i denti stretti che più non potrebbe una morsa di ferro.
Quando aveva udito Pietro parlare di benefizi fatti dalla sua famiglia a quella di Lucietta, e poi della disparità di condizioni fra lui e la ragazza, e dei meriti di costei che la facevano degna di venire innalzata fino a lui, un amarissimo sogghigno si era disegnato sulle sue labbra contratte e un'onda di collera eragli salita al cervello. Tutti i suoi pregiudizi contro la ricchezza, tutte le sue antipatie contro i ricchi, tutto il suo odio contro la società e le sue smanie furibonde di ribellione gli erano tornati, e più intensi e più vivaci a un tratto. Colui ricco, colui superiore, colui tutti i vantaggi; ed egli?.. Si riscosse e volse al figlio del suo principale un'occhiata bieca, in cui traboccava l'idea orribile della violenza: ma Pietro, assorto tutto nella propria emozione, non vide per fortuna quello sguardo, come non avvertiva il cupo silenzio dell'operaio.
Il giovane ricco si fermò di colpo.
“Ma oramai il tempo dettomi da mia madre dev'essere trascorso… o non ci mancheranno che pochi minuti… Torniamo indietro… io sto come sulle braci… ho bisogno, non fosse altro, di vedere la casa dove Lucietta sta per pronunziare, dove forse avrà già pronunziata la mia sentenza. Solamente vedendo a traverso i vetri la luce del salotto dove stanno a discorrere, mi pare che sarò più tranquillo.”
E voltò indietro, rifacendo i passi verso la casa.
Atanasio si diede ad accarezzare la follia di una speranza. Se Lucietta non lo amasse, quel giovane, benchè ricco? aveva tanto buon senso quella ragazza! doveva preferire uno sposo della sua condizione: doveva capire che nessuno l'avrebbe amata mai quanto un bravo operaio… come lui Atanasio per esempio. Mercè uno sforzo, l'infelice riuscì a disserrare i denti.
“Ella non ha mai parlato a… alla giovane?” domandò con voce soffocata. “Non l'ha mai interrogata?”
“No… me ne feci uno scrupolo… ad una giovinetta che veniva come ospite e protetta in casa di mia madre!.. E nella sua ingenua allegria essa ha una semplice dignità che m'impone.”
Erano giunti nuovamente innanzi alla casa. La luna, liberata dal velo delle nubi, tornava a splendere brillante. Pietro trasse l'oriuolo e guardò l'ora.
“Eh! la mezz'ora è passata oramai… non mancano che tre minuti… tre minuti più o meno, non monta… non sarà in questi tre ultimi minuti che si sarà aspettato a parlare dell'argomento… io non ci posso più reggere… vado.”
Atanasio lo arrestò bruscamente per un braccio. Pietro gli si volse stupito.
“Che cosa?”
“Un piacere:” disse l'operaio con voce tremante. “Mi faccia sapere… subito la risposta di lei… della giovane… La prego!.. una sola parola.”
“Oh come?” domandò il principale vieppiù stupito. “Oh che tanto ti preme?”
“Sì… mi preme sapere se Ella sarà felice;” rispose Atanasio con voce roca.
Pietro credette in questa spiegazione; strinse con forza la mano all'operaio dicendogli:
“Grazie mio buon amico. L'ho sempre saputo che tu mi vuoi bene. Or via aspetta qui un momento e ti comunicherò l'esito…”
Una delle porte-finestre s'aprì, e una donna inoltrata in età si avanzò sul terrazzo.
“Sei tu Pietro?” diss'ella venendo fino alla ringhiera.
“Mamma! mamma!” esclamò il giovine palpitante.
“Vieni! presto!” disse la donna e rientrò sollecita in casa.
Pietro si slanciò di corsa verso l'entrata.
Atanasio rimase immobile, piantato innanzi al terrazzo. Non era una sufficientemente chiara risposta il fatto d'esser venuta la madre medesima a sollecitare il ritorno del figliuolo? Avrebbe ella fatto così se le parole di Lucietta non fossero state secondo il desiderio di Pietro? Eppure, vedete quanto è tenace la illusione nel cuore umano! il povero operaio rimaneva ancora colà, attaccato a un lieve filo di speranza.
Pietro non obliò Atanasio e la promessa che gli aveva fatto. Dopo un poco uscì sul terrazzo e le sue sembianze, illuminate dalla luna in quel momento limpidissima, apparvero all'operaio così piene di gioia che niuna parola più occorreva ad annunziare la ventura del giovane.
“Atanasio,” gridò Pietro con voce commossa e sonora: “Sono felice… va', e che ciò possa farti passare una buona notte anche a te!”