Kitabı oku: «Scritti editi e postumi», sayfa 3
CAPITOLO VII
Il Povero è avanti, e gli sbirri fanno il corteggio. Salgono e scendono più volte; – voltano a destra, voltano a manca; – è un intreccio che la mente alla prima non può raccogliere in ordine; – in fine danno in un corridore lugubre lugubre, dove si può vedere l'oscurità, come disse Milton. Qui la vista non serve, conviene andare a tentoni. Giunti in fondo si fermano. Di lì a pochi minuti s'ode un rumor di passi che sempre più si avvicina; – finalmente senza averlo veduto comparisce un uomo con un mazzo di chiavi, – un uomo per così dire, con un viso duro, un viso cupo, che accresce le ombre del luogo. – Gli sbirri non gli dicono che due parole, e poi se ne vanno.
Ora il Povero e il soprastante sono in presenza l'uno dell'altro. – Ma non ci segue una parola, non ci segue uno sguardo. Il Povero non osa, il soprastante non se ne cura. Fra l'uno e l'altro giace un silenzio ineccitabile, una indifferenza letargica, come fra il beccamorti e il cadavere. Il soprastante tra la fretta e la rabbia apre un uscio basso più dell'uomo che deve passarvi, – poi si tira un passo indietro, come per dire al Povero: – entrate. Il pover'uomo curvandosi mette il piè sulla soglia, e il soprastante non crede opportuno di accompagnarlo, ma gli dà una spinta, e lo butta là come una cosa, che non è più buona a nulla. E così come dico arriva in fondo in un attimo; la stanza non è troppo lunga e con una spinta s'andrebbe anche più là, se il muro non si opponesse. Ora a qual Santo ricorrere? I Santi anch'essi vogliono salmi e candele. Egli non è tentato di frugarsi le tasche, perchè non ha tasche; – e, quand'anche le avesse, cosa dovrebbe cercarvi mai? Egli dispererebbe di trovarci un picciolo, posto ancora che li scudi belli e coniati piovessero giù dal cielo come le goccie dell'acqua. E in verità io credo, ed egli crede, che non ci troverebbe un picciolo: – forse un conto, che non ha potuto pagare, e che lo manda in prigione, – forse un rosario, se pure la Miseria col suo fiato ardente non gli ha cancellato dall'anima quel segno lieve di fede, che l'amor di sua madre v'impresse quando egli era un fanciullo.
Arrivato in fondo si volta, ma come una macchina; sta un istante fra il sì e il no: poi cerca di condurre sulle labbra un sorriso, e tenta di farlo, – ma il soprastante con un volto di pietra gli disfà quel sorriso cominciato appena a incresparsi. Egli allora si smarrisce, – tituba, – gli sembra che il suolo si avvalli; – era pallido pallido, e in un lampo si colorisce d'un rosso febbrile; – cerca una parola, e non la trova; – se avesse il cuore pacato la troverebbe di certo, ma un nodo di affetti gli scompiglia la mente, gli chiude la gola. Quegli affetti sono troppi, e troppo forti; – si affacciano tutti in un gruppo, – possono sboccare. Però se tu guardi attento, su quella faccia v'è un'espressione di preghiera, – un senso profondo di supplica, – non per sè, – ma per altri. Vorrebbe dir mille cose, – alcune poi vorrebbe dirle pregando, dirle anche piangendo; vorrebbe che portassero a casa sua una parola di amore, una consolazione; e se invece d'un carceriere avesse un uomo dinanzi, lo supplicherebbe di portare almeno un pane ai suoi figliuoli. Poveri suoi figliuoli! aspetteranno la sera, quando tornato a casa gli asciugavano il sudore della fronte, lo ricingevano di carezze, di baci, di mille dimande, – e mangiavano insieme il pane delle sue fatiche; – aspetteranno la sera, e non lo vedranno venire. Oh! concepite voi l'angoscia di aspettare indarno la creatura che vi ama, e che vi nodrisce? – La sera è diventata notte, e non lo vedono venire poveri suoi figliuoli! lo vanno a cercare di su e di giù, ne dimandano a chi trovano, lo chiamano ad alta voce, ma vanamente; s'è fatto più tardi che mai, e il padre non viene. Santa Vergine! che sarà successo di lui? – Allora il dubbio comincia le sue torture, – li fa sperare, e disperare, – piangere e ridere, – li rende insani col vortice della sua fantasmagoria, – vortice infernale, illuminato d'una luce livida, dove passano rapide rapide mille figure diverse, – dove or sì, or no, comparisce in fondo una bara. Poveri suoi figliuoli! pensano ancora, che possa esser morto! E quella sera non hanno mangiato, nè mangeranno. – E la fame non è sola; – la fame ha fatto alleanza col crepacuore.
CAPITOLO VIII
Il pover'uomo non ha potuto profferire una parola, e si è rincacciato nel cuore tutte le sue passioni come altrettante spine. Credeva di dir tutto col volto, ma un soprastante, fosse dotto ancora nelle lingue orientali, – fosse pure un Mezzofanti, – non sa leggere la sventura, o se la legge non le sa rispondere. Il soprastante non ha letto l'immenso volume di affetti, che spiegava la tramutata faccia del carcerato; – o se l'ha letto, per tutta risposta gli fa sentire il cigolio delle chiavi, e dei catenacci.
Il soprastante è partito.
················
E tu pover'uomo, sei rimasto impietrito, soverchiato dalla foga delle tue passioni. Il peggio è, che non puoi piangere ancora; ma piangerai più tardi, – non può mancare. – Una lagrima fu data alla gioia, una lacrima alla sciagura; – la prima rinfresca, l'altra arde come la lava. – Piangerai più tardi, e il tuo pianto sarà bello, perchè non sarà tutto per te; – piangerai pei tuoi figli, per la madre se l'hai, forse per un amore, forse ancora per una patria.
E perchè vi stringete nelle spalle, come se il cuore del povero non potesse palpitare per un nobile affetto, come se l'intelligenza del povero non potesse valicare le regioni concedute alla mente umana? Sapete voi cosa racchiuda quel cranio? Quando meno vel pensate, potreste rinvenirvi gli elementi da farne un Michelangiolo, un Byron, un Bolivar. Conoscete voi la vita degli uomini grandi di tutti i tempi, e di tutte le nazioni? Plauto era schiavo, e girava il molino, – ma la sua Musa fu salutata da un popolo di eroi. E quando una povera donna alla sera cantava le sue canzoni di madre a un povero bambino, e sospirava guardandolo, e pensava che un giorno forse non avrebbe un cognome, – sarebbe un mendicante, – al più un lavoratore della campagna, avrebbe creduto mai di cullare Shakspear, Rousseau, Franklin, di cullare il Correggio, e Masaniello? avrebbe creduto mai, che da quel verme un dì sarebbe sorta la farfalla destinata a libare fiori immortali nei campi della Gloria e della Bellezza? – L'organismo umano rompe le leggi della gerarchia sociale, – e quando l'Occasione batte sul vivo un popolo, allora si scorge quale delle classi possa dar più scintille. Allora la storia non è più confinata in un gabinetto a sommare le partite di frodi, che la diplomazia ha segnato nei numerosi suoi protocolli; non è più stipendiata a descrivere una guerra puerilmente sanguinosa, ove non si vedono in cozzo che due bastoni di maresciallo. La storia si slancia da quelle angustie, e la superficie nel mondo è la sua pagina, ed ogni linea che v'incide è un tratto di luce; – allora la Rivoluzione Francese sorge come un'epopea magnifica, immensa; sorge Mina e l'Indipendenza Spagnuola; sorge la lotta titanica della Grecia moderna. Oh! gli ultimi eroi della Grecia non erano cavalieri dello spron d'oro!
Sì, pover'uomo; il tuo cuore può gemere per me, per la patria, e per te. Dacchè non posso sollevare le tue miserie, e quelle dei tuoi tanti fratelli, io non voglio toglierti un cuore, che forse avrai più buono e più generoso del mio. Io non voglio toglierti quello che non posso darti.
Certo, se tu fossi solo nel mondo, come alcuni sono, non so se per questo più o meno miseri di noi, a quest'ora avresti già preso il tuo partito; – avresti mostrato fronte ferma alla cattiva fortuna; – avresti cantato non so quante canzoni; perchè il povero in mezzo agli stenti e alla sua nudità, quando ha il cuore franco, canta del continuo, – canta allegramente come un uccello, che si alimenta di quel che trova, e muta nido ogni sera.
Ma tu non sei solo; – e sei rimasto immobile, come tocco dalla folgore. Ora perchè guardi le muraglie? perchè crolli mestamente la testa? – Tu hai ragione; – non hai che due mani, e non son buone a fare una breccia; – tu guardi l'inferriata, ma è doppia, e ci vuole una scala a salirvi; – tu guardi la porta, ma è grossa, e foderata di ferro, e sigillata in maniera, che non dà l'adito neppure a un sospiro. Oh! il tuo sospiro non penetra di là nel mondo; e il mondo già non l'udrebbe, o penserebbe che fosse aria traverso uno spiraglio. E poi, cosa farebbe il mondo del tuo sospiro? Il mondo vuol godere, e chiama breve la vita, breve tanto, che mala pena dà tempo di pensare a sè. E poi, il mondo non ha inventato le carceri, le torture, i patiboli, non ha inventato mille delitti, che la Natura umana non riconosce? – Requiem æternam. – Ti hanno deposto in un sepolcro, e non sei ancor morto; – t'hanno deposto in un sepolcro, senza lumi e senza canti, come il suicida. E il mondo spensieratamente ti si agita dintorno col suo dramma pieno di rumore e di vita.
O pover'uomo! potessi tu almeno dormire, potessi almeno posare su quella tavola le tue membra stanche, accasciate da tanti affanni! Ma il dolore non dorme mai; – veglia inesorabilmente, veglia come un marito geloso, perchè il mondo è suo, perchè addormentandosi teme di allentare gli artigli, teme che la preda gli fugga.
CAPITOLO IX
– Uf! non è anche finita con quel vostro Povero? Quasi quasi gli date più noia voi, che la sua disgrazia. – Queste parole mi pare di sentirmele già arrivare alle spalle. E, se devo dire il vero, con quel mio Povero mi ci sono trattenuto un poco più del dovere. Ma che volete? Il solo Dio senza difetti. – Io l'ho questo vizio, preso fin dai primi anni; quando comincio, non la farei più finita. E non ho riguardo alla pazienza di quelli che mi stanno a sentire; – non serve, che sbadiglino, che spurghino, che si dimenino. Tutt'altro; – allora vado più che mai per le lunghe; direste ch'io lo faccio apposta; e può darsi: non lo sapete il proverbio? – Ogni vipera ha il suo veleno. – E tutto il male fosse qui! lasciamo andare; – ci sarebbe da discorrer troppo. Ma veramente, se devo esser giusto, con quel mio Povero mi sono trattenuto un poco più del dovere: – quando è vero, è vero. Figuratevi! non ho neppur desinato! Non ho potuto veder desinare il Signore! E oramai chi sa, se sono più in tempo! È la verità che i signori vanno tardi a pranzo, e durano un pezzo; ma non c'è rimedio; – ho fatto tardi; – l'orologio mi condanna. Questa poi mi dispiace. Son tanto curioso! vorrei veder tutte le cose, – anche quelle che mi facessero storcere la bocca. Non potete immaginarvi quanto pagherei a potere stare accanto senza esser veduto a…
(Qui il Manoscritto è affatto inintelligibile).
Dio sa quanto pagherei! Badate, non farei quei mestieri per cosa del mondo; – non mica che vi sia nulla di male, – ma per non entrare in intrighi, per non avere a rispondere, per non aver da far niente. Io sono il cristianello fuggifatica per eccellenza; – mi basta di sapere, e non vado più là. – Ma che faresti di tante cose, quando tu l'avessi sapute? – Io lo so quel che ne farei. Farei tanti calcoli, tante figure, tirerei tante linee, che, se voi non conosceste appieno chi sono, mi pigliereste per un fattucchiere! Oh! se potessi rubare quella bottiglia dove stava rinchiuso il diavolo zoppo! grave come voi mi vedete, mi metterei al repentaglio di andarla a rubare in cima a una cuccagna! Immaginate voi che piacere di fare un viaggio sui tetti col mio diavoletto a vedere tutti i fatti degli altri! immaginate voi che sorpresa a trovare un amico la mattina, e raccontargli che dormiva all'insù, – che dormiva per parte, – che aveva in capo un berretto, o una cuffia!.. immaginate voi che sorpresa, che piacere! Quando io ci penso, vado in estasi! Altri sogna di vincere un terno, altri d'esser fatto gonfaloniere, altri che i grani rincariscano; – io sogno sempre il diavolo zoppo, e se potessi averlo, anche un'ora sola del giorno, lo piglierei rovente come un ferro infuocato. Se poi volesse far meco vitalizio, io vi so dire che farei di tutto per averlo, che farei miracoli. Mi adatterei a lavorare una parte della giornata, – mi adatterei per averlo anche a camminar lesto.
Ma vedete s'io dico il vero? Dianzi era tardi, – ora a forza di ciarle è più tardi che mai, ed io non mi sono anche mosso. È inutile, – io lo so, – il pelo si perde, ma non il vizio. Andiamo per quel che saremo in tempo. Chi vuol venir meco? Su via, qualcheduno venite; ho piacere che tutti godano. Ehi! là, galantuomo! voi che mi avete l'aria di esser sempre digiuno, che mi avete l'aria di voler arrivare così fino a dimani, volete venire a sentire, e a vedere? Guardate! un cane è già sotto alle finestre, – ha levato il muso da terra, – e guarda in su fiutando, aspettando la provvidenza. Ma voi ridete! Ah! io intendo bene quel riso amaro che avete fatto; – il supplizio di Tantalo non vi aggrada. Il cane è corso per le sue buone ragioni; quella bestia è a miglior partito di voi. Un cane può mangiare un osso se non gli danno la carne; – l'uomo pure mangerebbe un osso sovente, ma i denti non gli servono.
Amici, io ci sono: – vedo il Signore che lavora lavora con un coltello intorno a non so qual cosa, – par che tagli un non so che di duro; – in che diavolo si affanna il Signore? – di qui non ci scorgo troppo, – voglio farmi più appresso.
Pta! l'avete sentito? un tappo ha baciato i travicelli; – è Sciampagna per…!
Io non lo sapeva, – la pigrizia è la mia rovina; – ella mi si è fitta nell'ossa, e per cagion sua non sarò mai un uomo comme il faut. Sono arrivato alla fin del banchetto, e potevo esser venuto al principio. Sono arrivato alle seconde mense volgarmente dette il dessert. Ci vuol pazienza, ma non posso dissimularmi la perdita enorme che ho fatto. È una perdita seria, effettiva. Io che son tanto curioso non ho potuto vedere il desinare d'un signore dal cominciamento alla fine! io che ho veduto così di rado desinar dei signori, – che vedo sempre a mangiare dei poveri, – e che perfino quando mangio io stesso ho di faccia alla tavola uno specchio antico, lungo lungo, che mi ridice tutto appuntino, e senza pietà! È una stizza maledetta, che mi farebbe dare al diavolo; – non c'è maniera nè anche di potersi illudere.
Io ve l'ho detto, – la pigrizia è la mia rovina; – che ci fareste voi, che non ci avete niente a che fare? io stesso, io parte interessata, non ci faccio nulla. Ma zitti! zitti! ve lo chiedo in carità; – parmi di sentire aprir l'uscio pian piano; – ella è così; – l'orecchio non mi tradisce, – è lungo più del bisogno; – la mia vocazione era di farmi dottore, – mio padre non ha voluto, – io non ci ho colpa.
Ella è così; – l'orecchio non mi tradisce; è stata schiusa la porta. Venite, venite; io non dico per ischerzo; – il carceriere s'inoltra in punta di piedi, – non fa un rumore, – è leggiero come un alito; – un gatto ne perderebbe al paragone; – è carico, che non ne può più. Cosa ha messo su quella tavola? – Ora ho visto bene; – è un bel lume all'Inglese; – ora ha posato un calamaio, della carta, dei libri; poffare! di dove se la cava tanta roba? zitti! zitti! vediamo che si leva di seno; – oh bella! sono i giornali; e perchè no? – il Signore deve sapere come vanno gli affari, – anch'egli ha il suo partito in politica, – e poi ha una somma sui fondi di Parigi, un'altra su quelli di Londra; – se non gli premono i Tories, o gli Whigs, se non gli preme il juste milieu, la gauche, la droite, i consolidati gli premono; premerebbero anche a voi, se aveste che fare coi fondi.
Il Signore guarda tranquillamente il soprastante in facende, e tiene un bicchier di Porto vicino due dita alla bocca. Il Signore è tranquillo, beve e lascia fare il soprastante.
– Or ora verrà il caffettiere. Vossignoria beverà un Moka stupendo, e bollente. Sentirà che Rum! Giammaica di nome e di fatti. —
Il signore gli risponde additandogli una bottiglia, e un bicchiere. Il soprastante riverisce, e butta giù stringendo gli occhi.
– Quegli avanzi li volete?
– Troppa grazia, Signore.
– Prendeteli, mi fate un piacere, mi levate il cattivo odore di camera.
– Con Vossignoria io non so che obbedire. – E la sua parola non manca. Gli avanzi del pasto son lauti; – prende, prende, e riprende. Soprastante! soprastante! tu credi che nessuno ti veda, ma io ti vedo. Quando si tratta di prendere, la gioia ti moltiplica le mani; – per pigliare tu sei Briareo. Vedete! piglia con tanta foga, che ha messo per infino una posata fra gli avanzi, e se n'è accorto per miracolo. Ora è così pieno zeppo di roba, che vuol essere un brutto impaccio a licenziarsi col solito inchino; – nondimeno vuol fare il suo inchino; – eh! soprastante! hai avuto propriamente un Santo dalla tua! la testa ti pesa più che non credi, e poco è mancato che tu non faccia un capitondolo.
Il Signore ha riso veramente di cuore, e si è levato da tavola.
CAPITOLO X
Che buon odor di caffè! Sentite, il profumo vien fino a noi; – come mi lusinga le nari! Questa volta il soprastante l'ha detta giusta; è un Levante legittimo, e carico per bene; oh! non si sbaglia; io non so come; ma me ne intendo.
Attenzione! attenzione! Il Signore si fa inverso la finestra; – eccolo là fisso fisso; – ha dato uno sguardo verso di noi, e poi l'ha ritirato, come se noi non fossimo nessuno; eh! ve l'ho detto sempre; saranno buoni, affabili come volete, ma, dàgli e ridàgli, il ticchio del signore vien sempre a galla. Che bella pipa, eh! – bianca come il latte; – non è mica di gesso, che abbiate a credere! – è spuma di mare, e sarà costata le belle monete. – E il tabacco? – è Latacchia pretto pretto, come voi siete un uomo. – E che foglio legge? – che disgrazia l'esser miope! – Maestro Santi, levatevi un po' di cavalcioni al naso quel vostro paio d'occhiali, che voglio leggere il titolo del giornale; – tanto voi non sapete leggere; – ho capito: Journal des Débats, ho capito; il Signore è del partito ministeriale; – non può essere a meno: chi ha dei fondi cosa deve fare? Cosa fareste voi, che non ne avete? – Come legge attento! Si vede bene, che vuole intendere. – E non è mica brutto il Signore! – colore bianco e rosso, carni fresche, un viso tondo, una testa tonda, un bell'occhio tondo: eh! ci si vede l'uomo, che se la gode, e lascia arruginirsi chi vuole; – nel suo giusto embonpoint; se non capite il Francese, andate a scuola; io lo capisco. – E quant'anni gli date? – Alto alto, a vederlo, io dico che passa la trentina; – come no? sentite, giù per lì dev'essere; sbaglio di rado in quanto a fisonomie. – E il Signore non ha moglie? – Chi ve l'ha detto? l'ha presa non è anche un anno, e di par suo; – e che buona dote! e che bella ragazzina, se voi l'aveste veduta! poteva bersi in un bicchier d'acqua. – E le vuol bene? – Così così, tra il freddo e il caldo; – badiamo veh! non la strapazza mica, non la bastona, che non aveste a crederlo voi altri, che misurate tutto sul vostro braccio; – non la cura troppo; – eh! il Signore ha un affare vecchio; non lo può lasciare; ha provato, ha riprovato, – è stato impossibile; – c'è una malia di mezzo…
E intanto che le ciarle piovono a fiocchi come la neve, il Signore ha finito di leggere, e chiude non solo le finestre, ma le imposte pur anche.
Cappita! quel chiudere ancora le imposte m'è andata giù male. Se avesse chiuso le finestre soltanto, col vedere metà dai vetri, e metà coll'indovinare, faute de mieux, mi sarei contentato. È agra davvero, e bisogna esser curiosi per convenirne. Vedete voi, che stravaganze! Che il Signore faccia la siesta è nelle regole, lo vuole il bon ton, lo vuole il ben essere del corpo; ma non lasciarsi veder dormire è una stravaganza; – lo dico e lo sostengo, ora e sempre, – ahora y siempre. – Come farò a render conto del come dorma il Signore? Se dorma supino, o dalle due bande, se dorma vestito o spogliato? Poh! è una disgrazia, è una lacuna irreparabile in questa istoria, che non saprei come riempiere, se non coll'andare a dormire pur io. E badate, che ci riesco, e son capace di farlo. Vedete voi, che stravaganze! quel chiudere le imposte mi ha fatto un danno del diavolo. Chi sa quanto tesoro d'osservazioni avrei potuto raccogliere dal sonno? Vedete, io sono così sottilmente curioso, che dalla faccia e dai moti del dormiente mi sarei studiato d'investigare i sogni, che gli passeranno traverso il cervello. E poi, non poteva darsi, che fosse un di coloro, che parlano fra il sonno? Chi sa cosa avrei potuto sapere? – cose, che il Signore non avrebbe dette all'unico suo amico, che non avrebbe dette nè anche all'aria, che forse avrebbe stentato a dire al capezzale del letto, quando il prete ti dà un passaporto in latino per l'altro mondo: Proficiscere, anima christiana; che significa: vattene, anima cristiana. Il tono è un poco assoluto, ma il tempo stringe, e non ne avanza pei complimenti; stringe tanto, che i morti non hanno tempo di provvedersi di nulla, e dalla fretta perfino partono ignudi. – Vedete voi, che stravaganze! sul più bello mi chiude in faccia le imposte! io ho perduto un tesoro! Per un curioso, credetelo, queste sono le pene dell'inferno.
Potessi almeno sentirlo russare! mi contenterei anche di questo. Ma che volete? I signori non russano. Oibò! la bienséance non lo permette. Dormono leggieri leggieri, che non è cosa da credersi. Dormono con tanta disinvoltura, che io n'ho veduti dì quelli, che tutti credevano desti, e pure dormivano. Come vada io non lo so, – ma il suo perchè ci dev'esser sotto. Basta, quando io sarò signore, venite, e ve ne dirò la ragione.
Non v'è rimedio; – il meglio è darsi pace. Vuol dormire il Signore, senza che nessuno lo veda? Ebbene, ch'ei dorma; io non glielo posso proibire. Silenzio dunque, lasciatelo dormire.