Kitabı oku: «Scritti editi e postumi», sayfa 21
La Storia delle Repubbliche Italiane è scritta sotto l'ispirazione d'un sentimento democratico. Questo sentimento ha dato una vita commossa e un colorito caldo a certe parti qua, e là, ma nel tempo stesso ha prodotto una monotonia, che, come sempre avviene scrivendo storie con soverchio studio di sistema, nuoce alla verità, anche senza intenzione dell'Autore. Perocchè non vorremo affermare che il Sismondi abbia a bella posta svisato il carattere storico; pure non è da negarsi, che forse senza giustamente saperlo egli non abbia di frequente sparso d'una tinta falsa i ritratti delle persone e dell'epoche. E, per citarne solo un esempio, il caso si verifica nell'ultima parte dell'opera riguardo a Cosimo I dei Medici. Ma per quanto il Sismondi restasse fedele alle sue massime repubblicane, queste nondimeno coll'andar degli anni subirono in teoria come in pratica notabili modificazioni. In questi anni però egli poco si occupò delle Storie Italiane, ed io stesso nel verno del 36-37 l'intesi chiamarsene veramente spossato: – benchè sino all'ultimo della vita avesse nel cuore e nella mente l'Italia. – Nel 1830 intraprese un compendio della grand'opera, che súbito apparve in inglese nella Ciclopedia di Gabinetto del Dottor Lardner, e nel 32 uscì in Francese a Parigi col titolo – Storia del rinascimento della Libertà in Italia. – Questo libro contiene la sostanza del primo, e nel proemio fa questa osservazione, «che quando un uomo lavora lungamente intorno a un soggetto, s'innamora così anche dei più lievi particolari, che stima dover riuscire grati egualmente al lettore, che all'autore; ma solo più tardi allargando la vista, e maggiormente affrancando il giudizio, vede cosa sia o non sia veramente essenziale.» Tale compendio ha molto merito, e si legge volentieri, e chiude in un contorno più esatto quei tempi memorabili, dando rilievo ed espressione agli avvenimenti più capitali; ma per l'indole sua, e per la mole, non può dare che una scarsa e troppo superficiale notizia delle Storie Italiane.
L'apparizione dell'opera del Sismondi fu gran ventura per la Storia d'Italia, e senza dare nel falso possiamo ascrivere all'effetto di questo libro una sostanziale influenza. Più specialmente però fu sentita la necessità di avvalorare i fatti con prove autentiche; e mentre lavori storici usciti da penne tedesche, e da scrittori di qualche altra nazione, illustrarono vie maggiormente le cose italiane, nell'Italia stessa ebbe luogo la pubblicazione di molti documenti originali, la quale in gran parte è dovuta all'eccitamento prodotto dal Sismondi43.
Più e diversi ingegni da quell'epoca in qua ha esercitato la Storia universale d'Italia; e quand'anche la sterminata Storia d'Italia antica e moderna di L. Bossi uscita nel 19 non contenti i più severi intelletti, vuolsi però rammentare il Botta, il più grande Storico dell'Italia nei tempi moderni, ed uno dei suoi più valenti scrittori; il quale, oltre un rapido cenno della Storia Italiana in lingua francese, descrisse i tempi dell'influenza francese dal 1789 al 14, e quindi continuò il Guicciardini abbracciando tre secoli e mezzo, da Paolo III allo scoppio della Rivoluzione, – opere di cui la fama anche più durabilmente è fondata per la politica opposizione cui diedero appiglio. Cesare Balbo cominciò una Storia universale d'Italia, che condusse soltanto sino alla rovina del Regno Lombardo. – Carlo Troya, che col suo bel libro sull'epoca di Dante aveva eccitato una grande aspettazione, compose una storia del Medio-Evo, che finora comprende solamente le migrazioni dei popoli, e le calate dei forestieri in Italia, e questo ancora non compiutamente. – G. Borghi, l'elegante traduttore di Pindaro, scrive un Discorso, come egli lo nomina, sulle Storie Italiane dall'anno 1.º dell'era volgare all'anno 1840, del quale abbiamo i primi due volumi. – A. Ranieri tratteggiò i tempi di Teodorico sino a Carlo Magno col titolo – Della Storia d'Italia dal V al IX Secolo. – A. Coppi ha continuato gli Annali del Muratori dal 1750 al 1819, e promette di seguitare sino al presente. Nè furono lasciate indietro le Storie del diritto, e dei governi, e tra queste si debbono principalmente annoverare le Vicende della proprietà in Italia dalla caduta dell'Impero Romano fino allo stabilimento dei feudi, del Baudi De Vesmes, e del Fossati; – il trattato del Ricotti – Sulla Milizia dei Comuni Italiani nel Medio-Evo, – cui si rannodano le ricerche del Promis intorno allo stato delle artiglierie al principio del Secolo XVI, inserite nell'Architettura Civile e Militare del famoso Francesco di Giorgio da Siena edita dal Conte Cesare di Saluzzo; – il Saggio sull'Amministrazione finanziaria del Regno d'Italia dal 1802 al 1814, e la Storia dell'Economia politica in Italia, di G. Pecchio; – la Storia dell'Economia politica nel Medio-Evo, e il Trattato delle Finanze di Savoia nei Secoli XIII, XIV, di L. Cibrario; – i Due Libri delle Istituzioni Civili, di F. Forti; – la Storia della Legislazione Italiana, di F. Sclopis, della quale apparve la prima parte, che contiene le Origini, – e le opere storiche di L. Bianchini sulle Finanze del Regno delle due Sicilie.
E andrei tropp'oltre, se volessi tutte designare le Storie speciali, che apparvero modernamente. E d'ogni tempo gl'Italiani coltivarono con lodevole zelo questo ramo di studi, e con quanto séguito lo mostra la ricca Letteratura degli ultimi anni44.
Nel 1818 terminò il Sismondi la Storia delle Repubbliche col 16.º volume, il quale dopo aver narrato la caduta della Libertà Toscana tocca di volo gli avvenimenti posteriori sino al Secolo XVIII. E poco appresso pose mano alla Storia dei Francesi, opera più grande ancora della prima, e che richiedeva maggior animo, trattandosi di superare tanti antecessori, – e maggior perseveranza, perchè più sterminata era la massa delle materie. A principio fu suo intendimento fermarsi al termine delle guerre di religione, e all'editto di Nantes, – e a questo punto, – egli diceva, – arriva propriamente il Medio-Evo francese. – Ma poichè ebbe compiuta in 21 volumi questa parte del suo lavoro, gli venne occasione di proseguirlo sino alla Rivoluzione francese, per altro con proporzioni più brevi assai della prima metà. Questa impresa l'occupò sino agli estremi della vita, talchè lasciò intero il manoscritto dell'ultima parte. I patimenti fisici invece di smorzare il suo ardore sembravano accenderlo viepiù. Due settimane prima della morte rivide le prove del volume 28.º, che arriva al 1750, e venne in luce già defunto l'Autore. E in quel modo che già diede un compendio delle Storie Italiane, compose, in quello spazio di riposo, che gli fu concesso dal condurre l'opera sino al 1598 giusta il primitivo disegno, un compendio simile di quest'ultima, che sotto il nome di – Compendio della Storia dei Francesi – abbraccia l'epoca anzidetta. E quivi è raccolta, com'egli considera, la serie intera dei tempi propriamente storici; e quanto ai secoli seguenti non è mestieri d'un lavoro siffatto, perchè l'uomo più volentieri ama cercarne le notizie in quei libri, che appartengono alla leggiera Letteratura, – nelle memorie, nei ricordi, nelle tradizioni di famiglia, – che negli scritti i quali richiedono uno studio più intenso. Un tal ristretto però non basta a chi vuole veramente apprendere le Storie della sua patria; ma può servire a coloro, che non mirando a tanto cercano un mezzo di richiamare alla memoria i capi più essenziali, o finalmente un prospetto generale delle cose. In qual rapporto quest'opera gigantesca del Sismondi stia colle grandi o piccole, universali o parziali opere dei moderni Storici francesi, colla Storia dei Francesi di Michelet ora avanzata sino alla mania di Carlo VI, coi lavori di Agostino, e Amedeo Thierry, coll'infaticabile e fecondo Capefigue, col Barante, col Villeneuve-Trans, col Lemontey, col Sainte-Aulaire, col Mignet, colle innumerevoli Storie particolari di provincia, col Segur, col Lacretelle, col Bazin, e tanti altri, che sarebbe soverchio rammentare, incomberebbe il giudicarlo ai critici francesi, mentre finora poco o punto profersero sentenza su questa opera del Sismondi. – Mi resta inoltre da nominare un lavoro storico uscito nel 35, – Storia della caduta dell'Impero Romano, e della decadenza della Civiltà dal 250 al 1000. E qui l'Autore principiando da una monarchia universale, ce la mostra soccombere all'urto di quei popoli, che non sapeva più contenere. E vediamo tosto questi popoli affaticarsi a ristabilire ciò che avevano distrutto, e da questo affaticarsi vediamo sempre più turbato l'ordine sociale del mondo antico, e come finalmente le società umane ritornano sempre più ai loro primitivi elementi, – al congregarsi isolato delle genti nelle città e nelle terre. Quindi comincia propriamente la formazione dei nuovi regni. – Questo libro non ha troppo merito scientifico, ripetendo l'Autore i resultati delle sue prime indagini, e presentandoli sotto il colpo d'occhio della Storia universale. Ciò che dissi dei difetti che trovansi nello sviluppo delle condizioni italiche, può ripetersi egualmente rapporto a quest'ultimo lavoro.
L'opera – Della Letteratura del mezzogiorno dell'Europa – nacque da una serie di lezioni tenute dal Sismondi in Ginevra; e stando al suo primo disegno, doveva contenere la Storia letteraria di tutta l'Europa. Pure, così com'è, oltre un'introduzione intorno all'estinguersi dell'idioma latino, e al formarsi delle lingue romane nel mezzogiorno dell'Europa, contiene la storia letteraria degli Arabi, dei Provenzali, dei Trovatori di Linguadoca, degl'Italiani, degli Spagnuoli, e dei Portoghesi. La storia degli ultimi tre popoli è condotta sino alla fine del Secolo XVIII, terminando col Parini, Monti, Pindemonte, Yriarte, Melendez Valdes, Manoel, Cruz e Silva, e Da Cunha, ma la letteratura Italiana è più distesamente trattata. E mentre il Sismondi cominciò il suo lavoro, non era uscita peranche la celebrata opera del Ginguené, della quale egli si giovò notabilmente nelle successive edizioni. Ma coll'averlo riveduto e ingrandito non per questo riuscì libro per i dotti, ma piuttosto adattato alla comune dei lettori. Nè vi si trovano profonde ricerche, ma una cognizione familiarissima di Dante, e dei più egregi scrittori, e un caldo senso delle loro bellezze. Mancano le vedute larghe e grandiose, manca un'intuizione profonda nell'essenza dell'Italiana Letteratura, una definizione propria e distinta delle epoche e degli scrittori, specialmente dei prosatori, tra i quali sporge principalissimo il Machiavelli. La critica dell'Autore trascorre la superficie, ma il libro dà facili indizi, che fu composto da un uomo, che conosce a fondo, ed ama sinceramente l'Italia, e le sue Lettere. Il difetto più grande degli altri però occorre súbito sul principio, ed è il non dimostrare chiaramente come al finire del Secolo XIII, e al cominciare del XIV, la prosa e la poesia si svolgessero dai primordi della Lingua e delle Lettere, cose che l'Autore a torto mette in un canto come nude anticaglie. E così dopo un paio di pagine siamo súbito a Dante, saltando in questa guisa un periodo importante, che in tempi più recenti fu meritamente considerato, e reputato indispensabile alla giusta intelligenza dell'Allighieri, e del suo secolo. E i caratteri del Poeta sovrano sono fiaccamente rilevati, mentre è più sensibilmente ritratta l'epopea romanzesca. Con tutte queste mende, che più ancora devono risaltare in quelle parti dove tratta della Spagna e del Portogallo, per le quali più che al suo giudizio è costretto fidarsi all'altrui, e dove pare che abbia profittato del nostro Bouterweck, e dello Schlegel per il dramma, – parti sulle quali io debbo astenermi di pronunziar sentenza, – con tutte queste mende il libro ha tuttavia molto merito, e può grandemente servire a coloro, che non hanno bisogno di addentrarsi tanto nel soggetto, intrecciandosi quivi in bell'ordine la biografia coll'analisi, la storia universale, e la politica, e gli eminenti personaggi.
Questi sono i lavori storici e letterari del Sismondi, ai quali può aggiungersi un Romanzo storico – Giulia Severa, – in cui cercò descrivere lo stato delle Gallie al momento delle grandi commozioni dell'Impero Romano, e delle nazioni occidentali, romanzo nato di certo sotto l'influenza dei racconti di W. Scott, ma senza la forza vivificante colla quale lo Scozzese afferra le masse storiche, e le locali particolarità, e le compone in un complesso maraviglioso. Nè si arrestò a questi lavori, – e mentre faceva argomento d'indagine e di meditazione i politici eventi dei passati secoli dal punto della Romana Grandezza sino alla Rivoluzione, che minacciò distruggere, e in gran parte distrusse, gli antichi sistemi d'Europa, questi medesimi studi consacrava a vedere le condizioni più intime delle nazioni, cercando darsi ragione delle virtù e dei vizi del loro ordinamento sociale rispetto alla legislazione, alla divisione della proprietà fondiaria, all'agricoltura, all'industria, al commercio, alle colonie etc., e così scandagliando le più alte questioni d'Economia politica teoricamente, storicamente, ed anche praticamente. Il primo lavoro di questo genere fu a mia notizia il – Quadro dell'Agricoltura Toscana, uscito nel 1801; e poco dipoi scrisse – Della ricchezza commerciale, o sia Principii d'Economia politica applicata alla legislazione del commercio, – che più tardi rifece sotto il nome di – Principii nuovi d'Economia politica. – Attempandosi tornò con più vivace alacrità a questi studi, e soleva dire, che dopo avere tanti anni lavorato il campo della Storia, gli era conforto l'abbandonarsi a ricerche, che si profondano tanto nelle viscere dell'organismo sociale, e ci porgono la più giusta misura per regolarci nel maggior numero dei casi, mettendo in luce le cause della debolezza e della forza. – Gli studi sulla Scienza Sociale, riassunto in parte di diversi articoli dispersi in più giornali, furono l'ultimo frutto di queste indagini, che intendeva estendere più oltre. La prima sezione racchiude gli – Studi sulle Costituzioni dei popoli liberi, – esame teorico delle libere costituzioni in genere. In quest'opera si tratta prima dei diritti, che il popolo può o deve guardare. E si espongono i pericolosi traviamenti generati dalla pretensione della democrazia al supremo potere, e dal desiderio del suffragio universale; – e si rappresenta come i meno sieno chiamati al governo in virtù della loro educazione, e come il suffragio universale sia cosa retrograda, fondando la maggiorità di coloro che non hanno volontà propria, la maggiorità degl'ignoranti, e degl'indifferenti; – e quali sieno i vantaggi del sistema rappresentativo nella sua purità, mentre da coloro, che si affaticano a rendere democratici i grandi stati, un tal sistema vien considerato come mezzo di dare la sovranità al più grosso numero di voci; – e come il preteso voto del popolo, e le assemblee costituenti posino sostanzialmente su delle illusioni. Il popolo è considerato in contrapposto al governo; e mentre l'idea della così detta sovranità del popolo vien chiarita naturalmente falsa e pericolosa, s'insiste sulla necessità di costituire sapientemente le Comuni come l'elemento il più proprio dello stato, con delle corporazioni le più possibilmente libere e legali. E il popolo dovrebbe partecipare alla giudicatura mediante il Giury, (notandone i vizi nell'odierno sistema francese), e all'ordinamento militare mediante la guardia nazionale. E mentre si parla del consiglio nazionale, si fa conoscere la necessità della preponderanza d'un potere centrale su quello delle Comuni, colla facoltà ad ogni stato della rappresentanza di esprimere i proprii interessi; si tratta della maggiore o minore libertà di discussione secondo i casi, e della influenza dannosa d'una stampa irritatrice, a freno della quale dovrebbero applicarsi regole e forme parlamentarie. Nello sviluppo delle costituzioni poi gli elementi aristocratico e monarchico vengono contrapposti al democratico, il primo come corpo separato costituente sè stesso per impedire che la minorità della nazione soggiaccia alla maggioranza; e quindi vengono considerati per la loro essenza ed effetti, e si mostra come tutti e tre gli elementi debbano sottostare alla ragione nazionale esercitante la sovranità nazionale, e come questa ragione si formi e si svolga dall'opinione pubblica, in quali ostacoli possa inciampare, quali passioni arrestino il suo progresso, e sotto quali guarentigie pronunzii finalmente il suo giudizio. La seconda sezione tratta dei poteri indipendenti dal popolo; dell'origine e indole del principato, o della potestà esercitata nelle monarchie; della prova di dare un contrappeso al potere dei principi; dei principi ereditarii ed elettivi, e dei vantaggi e svantaggi, che questi hanno in sè; del luogo che tiene l'Aristocrazia, e della sua importanza come seconda distinzione sociale, cui è commesso principalmente l'ufficio di conservare, e mallevare la stabilità dello stato. Finalmente la terza sezione contempla i progressi dei popoli per una via più libera, e parla delle monarchie costituzionali, e dei falliti tentativi moderni di fare costituzioni, e a un popolo imporre quella d'un altro, come pure dei tentativi rivoluzionari di conseguire una più grande libertà, e degli effetti che ne vennero. E sono chiariti i grandi pericoli delle rivoluzioni, sia che il potere diminuito rimanga all'antico signore, o venga consegnato ad un nuovo; e come specialmente nell'ultimo caso i naturali sostegni del trono si facciano avversari del nuovo sistema, e come i facitori della rivoluzione si facciano nemici del signore che hanno innalzato, e come questi sia, e debba essere, il più acre nemico della rivoluzione. Dopo di che séguita ad esporre che una rivoluzione distrugge il contratto sociale, che lega i meno coi più, nè poi si dà più veramente maggiorità, ma un numero di minorità opposte tra loro, e menomamente proprie a fondare una costituzione, o un governo qualunque. Finalmente spiega come per resistere all'influenza e al potere della democrazia dominante d'una capitale sopra una grande nazione, valga solo un sistema federativo simile a quello della Svizzera; e come una tal lega abbia mostrato in ogni tempo la sua gran forza, massime nella difesa dell'ordine esistente. Nè ci stenderemo più avanti in queste vedute del Sismondi, chè sarebbe soverchio, aggiungendo, che gran senno e molto del vero contengono, se non che tra mezzo apparisce non poco del falso moderno, e un lasciarsi andare alle simpatie e alle antipatie più di quello che non convenga a scritture di così grave natura.
Nelle altre due parti che portano il titolo di – Studi sull'Economia politica, – s'incontrano molte cose profonde, e degne di meditazione in quei punti, che toccano la proporzione tra il prodotto e il consumo, la rendita sociale, la divisione della proprietà fondiaria, le massime della scuola crematistica, e la grande applicazione che se n'è fatta in Iscozia rispetto ai contadini, le cause della miseria dei contadini in Irlanda, e della prosperità di questi in Toscana, la schiavitù dei contadini, l'agricoltura nella campagna romana, e i mezzi di ripopolarla etc. Avverrà talvolta, che il lettore non si trovi d'accordo in certe vedute dell'Autore; che certi mezzi da lui consigliati per ottenere un miglioramento si stimino inefficaci, o forse impraticabili; – ma nessuno può non riconoscere l'animo e l'intenzione da cui derivano i suoi lavori. L'idea fondamentale, che in questi lo conduce, è che la società si è formata per raggiungere il bene comune, che da questo fine sgorgano i diritti dei suoi membri, che per questo ha modificato o cambiato la sua originale eguaglianza, e che tutti per l'utilità universale hanno rinunziato al diritto di siffatta eguaglianza. Più sopra abbiamo veduto cosa egli pensasse dell'eguale esercizio dei politici diritti; e qui pensa, che l'eguale divisione dei beni porterebbe miseria e barbarie. In ultimo viene a questo di trovare una guarentigia per la durata del lavoro comune, e per un'equa ripartizione delle tasse, rappresentando, che i diritti di coloro che s'innalzano sull'originale eguaglianza basano sui vantaggi di coloro, sui quali venne loro dalla società concessa la preminenza.
Queste furono le opere del Sismondi. Ma noi non pregiamo in lui solamente le doti egregie dell'ingegno, estimando più ancora le virtù dell'uomo onorato, e benvoluto da quanti gli si fecero appresso. E però la sua perdita fu amaramente sentita, e compianta dappertutto, e singolarmente dai suoi amici di Toscana. Il bene dell'umanità, (dice in un foglio volante il Signor Benigno Bossi assistente ai suoi estremi momenti), e il miglioramento della sorte delle classi più sprovvedute, erano il fine delle sue lunghe meditazioni intorno alle più gravi teorie sociali ed economiche. E se i risultati di alcune di queste, accordandosi poco colle idee favorite del tempo, a principio incontrarono poco plauso, non mancò egli per questo di difendere mai sempre vigorosamente la causa dei deboli, e dei bisognosi. E le gravi vicissitudini, che non ha guari percossero in Europa e in America il commercio e l'industria, giustificarono i suoi timori anche troppo, tanto che una gran parte delle sue dottrine cominciò a trionfare sulle contrarie. Ma non si contentò di mostrare il suo amore del prossimo colle semplici teorie o con eloquenti parole, poichè lo faceva suonare nei fatti quotidianamente praticati, aiutando i poveri in segreto, e con quella generosità propria d'un'anima nobile, e veramente cristiana. Egli che aveva il tempo così prezioso, e con tanta cura lo risparmiava, ogni giorno dava 9, o 10 ore al lavoro, evitando tutto ciò che lo potesse distrarre; ma non metteva un istante di mezzo, ove fosse il caso di recare aiuto e conforto a un infelice. – La sua casa era aperta a tutti, e con tutti era cortese, discreto, amorevole. Nel discorso manifestava le sue opinioni con quella chiarezza, e forza di logica, che possedeva così eminenti, senza dar segno però d'impazienza anche alla più mal fondata contradizione, sebbene nessuno al mondo avesse più forte convincimento di lui intorno alla verità delle idee, che prendeva a difendere.
Rimase fedele alle sue massime repubblicane, benchè le dottrine democratiche, che ebbe ardentissime in sua gioventù, coll'andar del tempo sostanzialmente modificasse nella teoria, e nella pratica. E nell'ultima rivoluzione della Costituzione Ginevrina fece egli valere queste sue convinzioni, acquistate e maturate coll'esperienza e col senno. A questa modificazione per altro debbono avere necessariamente contribuito i suoi lunghi studi sulle Repubbliche Italiane, e l'indagine degli effetti, che in ultimo partorì la preponderanza dell'elemento democratico.
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