Kitabı oku: «Il Killer della Rosa», sayfa 12
Capitolo 24
Era ormai il tramonto, quando Riley entrò a Glendive. Era stata una lunga giornata, e si sentiva disperata. Il tempo stava scorrendo troppo in fretta, e con esso la possibilità di trovare indizi salva-vita.
Glendive era l'ottava cittadina sulla sua strada. In ogni località, fino ad allora, Riley era entrata nei negozi di giocattoli e bambole, interrogando chiunque fosse disposto a parlarle. Era certa di non aver trovato il negozio che stava cercando.
Nessuno all'interno nei negozi ricordava le donne nelle fotografie che lei aveva mostrato loro. Naturalmente, le donne in questione erano simili per età ed aspetto, a dozzine di altre che i negozianti incontravano ogni giorno. A peggiorare la situazione, nessuna delle bambole che Riley vide esposte la colpì, in quanto ispirazione per il posizionamento delle vittime.
Quando arrivò a Glendive, Riley ebbe una strana sensazione di déjà vu. La via principale assomigliava stranamente a quella della maggior parte delle altre cittadine, con una chiesa di mattoni fiancheggiata da un lato da un cinema e dall’altro da un supermercato. Tutte queste città stavano cominciando confondersi, nella sua mente esausta.
A che cosa stavo pensando? si chiese.
La sera precedente aveva avuto una disperata voglia di dormire, e aveva preso i tranquillanti che le erano stati prescritti. Il che non era stata una cattiva idea. Ma accompagnarli con un paio di bicchierini di whiskey si era rivelato poco saggio. Ora, aveva un brutto mal di testa, ma doveva proseguire.
Appena parcheggiò l'auto accanto al negozio, che aveva scelto come meta d'indagine, vide che il sole stava ormai tramontando. Lei sospirò, scoraggiata. Aveva ancora un'altra città e ancora un altro negozio da controllare quella sera. Ci sarebbero volute almeno tre ore prima di tornare a Fredericksburg a prendere April a casa di Ryan. Quante erano le sere in cui aveva fatto tardi ormai?
Estrasse il cellulare e chiamò il numero di casa. Sperò, con tutte le sue forze, che rispondesse Gabriela. Invece, sentì la voce di Ryan.
“Che cosa c'è, Riley?” le chiese.
“Ryan” Riley farfugliò, “Mi dispiace da morire, ma—”
“Farai di nuovo tardi” Ryan disse, terminando la sua frase.
“Sì” Riley disse. “Mi dispiace.”
Cadde il silenzio.
“Ascolta, è molto importante” Riley disse infine. “C'è la vita di una donna in pericolo. Devo fare quello che sto facendo.”
“Questa l'ho già sentita” Ryan disse in un tono di disapprovazione. “E' sempre una questione di vita o di morte. Allora, vai. Occupatene pure. E' solo che sto cominciando a chiedermi perché ti ostini a riprendere Riley. Potrebbe benissimo restare qui.”
Riley sentì un nodo alla gola. Proprio come aveva temuto, Ryan sembrava desideroso di iniziare una battaglia per la custodia. Ma non sembrava sinceramente desideroso di crescere April. Era troppo impegnato con la sua vita, per preoccuparsi di sua figlia. Tutto quello che voleva era far soffrire Riley.
“Passerò a prenderla” Riley disse, provando a tenere una voce ferma. “Possiamo parlarne un'altra volta.”
Mise fine alla telefonata.
Poi, uscì dall'auto e percorse una breve distanza dal negozio, che si chiamava Debbie’s Doll Boutique. Entrò e vide che il nome era un po' presuntuoso per un negozio che vendeva articoli di marchi piuttosto standard.
Niente di particolare o interessante qui, realizzò.
Non sembrava neppure quello che stava cercando. Il negozio che aveva in mente doveva essere almeno un po' speciale, quanto bastava a crearsi una reputazione tramite il passaparola in modo da attrarre clienti dalle città vicine. Ma Riley, nonostante ciò, doveva verificare anche quello per esserne assolutamente sicura.
Riley si avvicinò al bancone, dove un'alta donna anziana, con spessi occhiali e dal volto dalle fattezze di un uccello, faceva da cassiera.
“Sono l'Agente Speciale Riley Paige, FBI” disse, sentendosi ancora una volta nuda senza il distintivo. Finora, altri impiegati erano stati disponibili a parlarne, nonostante l'assenza. Sperava che quella donna li imitasse.
Riley estrasse quattro fotografie, e le poggiò sul bancone.
“Mi chiedevo se avesse visto qualcuna di queste donne” lei disse, indicando le foto ad una ad una. “Probabilmente non potrebbe ricordare Margaret Geraty, potrebbe essere stata qui due anni fa Ma Eileen Rogers invece, potrebbe essere venuta qui circa sei mesi fa, e Reba Frye potrebbe essere venuta ad acquistare una bambola sei settimane fa. Quest'ultima donna, Cindy MacKinnon, potrebbe essere stata qui la settimana scorsa.”
La donna osservò attentamente le fotografie.
“Oh, cielo” lei esclamò. “I miei occhi non sono più quelli di una volta. Mi lasci guardare più da vicino.”
Prese una lente d'ingrandimento, ed esaminò le foto. Intanto, Riley notò che c'era qualcun altro all'interno del negozio. Era un uomo piuttosto goffo, di media altezza e corporatura. Indossava una maglietta e un paio di jeans logori. Riley avrebbe potuto non accorgersi della sua presenza, se non fosse stato per un dettaglio importante.
Aveva un mazzo di rose.
Quei fiori erano veri, ma la combinazione di rose e bambole poteva essere un segnale dell'ossessione dell'assassino.
L'uomo non la stava guardando. Aveva senz'altro sentito menzionare l'FBI, quando si era annunciata alla cassiera. Stava forse evitando un contatto visivo?
Proprio in quel momento, si sentì la voce della donna.
“Non credo di aver visto qualcuna di loro” lei disse. “Ma poi, come ho detto, non ci vedo affatto bene. E non sono mai stata una brava fisionomista. Mi spiace di non poter essere di altro aiuto.”
“Va benissimo” Riley disse, rimettendo le foto nella borsa. “Grazie del suo tempo.”
Lei si voltò a guardare di nuovo l'uomo, che ora stava dando un'occhiata a dei prodotti lì vicino. Il battito cardiaco le accelerò.
Potrebbe certamente essere lui, pensò. Se compra una bambola, saprò che è lui.
Ma non sarebbe rimasta lì impalata a guardarlo. Se era colpevole, non si sarebbe certamente tradito. Le sarebbe sfuggito.
Lei sorrise alla negoziante e uscì.
Fuori, Riley camminò a breve distanza lungo l'isolato e stette lì ad aspettare. Solo alcuni minuti dopo, la porta del negozio si aprì e ne uscì l'uomo. Reggeva ancora le rose con una mano, e nell'altra, aveva un sacchetto che conteneva i nuovi acquisti. Lui si voltò e cominciò a camminare lungo il marciapiede, allontanandosi da Riley.
A passo svelto, Riley lo seguì. Osservò bene la sua altezza e corporatura. Era leggermente più alta di lui, e probabilmente più forte. Ed anche meglio allenata. Non se lo sarebbe lasciato sfuggire.
Quando si trovarono in un vicoletto, l'uomo dovette sentire dei passi che lo seguivano. Si voltò improvvisamente, e la guardò. Si fermò su un lato, per cercare di allontanarsi da lei.
Riley lo spinse di lato, nel vicolo, con forza e brutalità. Lo spazio era ristretto, sporco e poco illuminato.
Stupefatto, l'uomo fece cadere le rose e il pacchetto. I fiori si sparsero per terra. Lui sollevò un braccio, come per respingerla.
Lei gli prese quel braccio, e glielo girò dietro la schiena, spingendolo con il viso contro un muro di mattoni.
“Sono l'Agente Speciale Riley Paige, FBI” lei scattò. “Dove tieni Cindy MacKinnon? E' ancora viva?”
L'uomo stava tremando dalla testa ai piedi.
“Chi?” lui chiese, con voce tremante. “Non so che cosa vuole dire.”
“Non fare giochetti con me” Riley esplose, sentendosi più nuda che mai senza il suo distintivo, e specialmente senza la pistola. Come avrebbe portato dentro quell'uomo senza nemmeno poter contare sull'ausilio di un'arma? Era distante da Quantico, e non aveva neanche un partner che l'aiutasse.
“Signora, non so di che cosa stia parlando” l'uomo disse, scoppiando in lacrime.
“Per chi sono le rose?” Riley domandò. “Per chi sono?”
“Per mia figlia!” l'uomo gridò. “Domani ha il suo primo concerto di piano.”
Riley gli stringeva ancora il braccio destro. La mano sinistra dell'uomo era schiacciata contro il muro. Improvvisamente, Riley notò qualcosa che prima non aveva destato la sua attenzione.
L'uomo indossava una fede nuziale. Era sempre stata convinta che l'assassino non fosse sposato.
“Concerto di piano?” lei disse.
“Gli studenti della Signora Tully” lui gridò. “Può chiedere a chiunque in città.”
Riley allentò leggermente la presa.
L'uomo proseguì: “Le ho comprato delle rose per festeggiare. Per quando farà l'inchino. Le ho anche comprato una bambola.”
Riley lasciò il braccio dell'uomo, e si diresse verso lui aveva fatto cadere il pacchetto. Lo raccolse e ne estrasse il contenuto.
Benissimo, era una bambola, una di quelle dalle fattezze di adolescente che tanto la offendevano e disturbavano, tutte con le labbre piene e i seni prosperosi. Ma per quanto fosse inquietante, non sembrava affatto il tipo di bambola che lei aveva visto vicino a Daggett. Quella bambola era per una bambina. Così come quella che aveva visto nella foto che ritraeva Cindy MacKinnon e sua nipote, tutta frivola, con i capelli dorati e un vestito rosa.
Aveva puntato l'uomo sbagliato. Faticò a respirare.
“Mi dispiace” gli disse. “Ho commesso un errore, mi scusi davvero tanto.”
Ancora tremante per lo shock, l'uomo si mise a raccogliere le rose. Riley si avvicinò per aiutarlo.
“No! No!” l'uomo esclamò. “Non mi aiuti! Stia lontana! Stia lontana da me!”
Riley si voltò e uscì dal vicolo, lasciando che l'uomo sconvolto raccogliesse le rose e la bambola per sua figlia. Come aveva potuto permettere che ciò accadesse? Perché si era spinta così tanto? Perché non aveva notato la fede nuziale al dito dell'uomo nel momento in cui l'aveva visto?
La risposta era semplice. Era esausta, e la testa le stava per esplodere. Non stava pensando con lucidità.
Mentre camminava, confusa, lungo il marciapiede, un'insegna al neon di una vetrina di un bar catturò la sua attenzione. Voleva bere. Sentiva di aver bisogno di farlo.
Entrò nel locale scarsamente illuminato, e si sedette al bar. Il barista era impegnato ad attendere un altro cliente. Riley si chiese che cosa stesse facendo l'uomo che aveva appena avvicinato. Stava chiamando la polizia? Lo avrebbe presto appreso lei stessa? Il che sarebbe stato certamente amaramente ironico.
Ma immaginò che, probabilmente, l'uomo non avrebbe chiamato la polizia. Dopotutto, avrebbe trovato difficoltà nello spiegare l'accaduto. Si sarebbe persino potuto sentire in imbarazzo per essere stato aggredito da una donna.
Ad ogni modo, se avesse chiamato il 911 e la polizia fosse venuta a cercarla, non avrebbe dovuto faticare a trovarla. Se lo avesse fatto, avrebbe affrontato le conseguenze delle proprie azioni. E, forse, meritava di venire arrestata. Ricordò la sua conversazione con Mike Nevins, di come lui avesse attirato la sua attenzione sul suo sentirsi inutile.
Forse ho ragione a sentirmi inutile, pensò. Forse sarebbe stato meglio se Peterson mi avesse uccisa.
Il barista le chiese: “Che cosa le porto, signora?”.
“Un bourbon on the rocks” rispose Riley. “Lo faccia doppio.”
“Subito” replicò il barista.
Non era da lei bere quando era in servizio. La sua triste guarigione dalla PTSD era stata segnata da occasionali momenti in cui beveva tanto, ma aveva creduto di esserseli ormai lasciati alle sue spalle.
Fece un sorso. Fu piacevole sentire il liquido forte scenderle per la gola.
Le restava ancora una città da visitate, e almeno una persona da interrogare. Ma aveva bisogno di qualcosa che le calmasse i nervi.
Beh, lei pensò con un sorriso amaro, almeno non sono ufficialmente in servizio.
Terminò velocemente il drink, poi s'impedì di ordinarne un secondo. Il negozio di giocattoli nella prossima città avrebbe chiuso presto, e doveva arrivarci immediatamente. Il tempo stava scadendo per Cindy MacKinnon, sempre che non fosse già scaduto.
Quando uscì dal bar, Riley sentì che stava camminando sul baratro di un abisso familiare. Aveva creduto di essersi lasciata orrore, dolore e autocommiserazione alle spalle. Stavano di nuovo per assalirla?
Per quanto ancora, si chiese, sarebbe riuscita a sfuggire alla loro spinta mortale?
Capitolo 25
Il cellulare di Riley vibrò al mattino presto, il giorno seguente. Era seduta al tavolino da caffè, guardando la mappa che aveva seguito il giorno precedente e pianificando un nuovo percorso per quel giorno. Quando vide che la chiamata era di Bill, ebbe i nervi a fior di pelle. Portava buone o cattive notizie?
“Bill, che cosa succede?”
Sentì l'ex partner sospirare tristemente.
“Riley, sei seduta?”
Il cuore di Riley sprofondò. Fu contenta di essere seduta. Ora sapeva che il tono di voce di Bill poteva significare soltanto una cosa terribile, e sentì i muscoli indebolirsi per il timore.
“Hanno trovato Cindy MacKinnon” Bill disse.
“Ed è morta, non è vero?” Riley disse con un sussulto.
Bill non disse niente per un istante. Ma il suo silenzio rispose alla domanda di Riley. Riley sentì le lacrime scenderle lungo il viso, lacrime di shock e impotenza. Cercò di respingerle, determinata a non piangere.
“Dove l'hanno trovata?” Riley chiese.
“Abbastanza distante ad ovest rispetto alle altre vittime, nella foresta nazionale, quasi al confine con il West Virginia.”
Dette un'occhiata alla mappa. “Qual'è la città più vicina?” Lui glielo disse e lei la localizzò sulla mappa. Non era all'interno del triangolo composto dagli altri tre siti, dov'erano stati trovati i cadaveri. Ma, nonostante ciò, doveva esserci una sorta di collegamento con gli altri siti. Non riusciva quasi a comprendere di che cosa si trattasse.
Bill continuò quanto aveva scoperta.
“L'ha messa vicino ad una scogliera in una zona aperta, senza alcun albero intorno. Sono sulla scena del delitto ora. E' orribile. Sta cominciando a diventare più ardito, Riley.”
E ad agire più in fretta, Riley pensò con angoscia. Aveva tenuto la sua vittima in vita per pochi giorni.
“Allora Darrell Gumm è davvero l'uomo sbagliato” Riley disse.
“Tu sei la sola che l'abbia detto” Bill rispose. “Avevi ragione.”
Riley si sforzò di comprendere la situazione.
“Quindi Gumm è stato rilasciato?” lei chiese.
Bill brontolò, infastidito.
“Impossibile” disse. “Sarà accusato d'intralcio alla giustizia. Ha molto di cui rispondere. Non che sembri importargli. Ma terremo il suo nome fuori dai giornali, per quanto possibile. Quel coglione immorale non merita di farsi pubblicità.”
Cadde un silenzio tra loro.
“Dannazione, Riley” Bill esclamò infine, “se solo Walder ti avesse dato ascolto, forse avremmo potuto salvarla.”
Riley ne dubitava. Non che non avesse avuto alcuna pista concreta; ma forse, con tutti i rinforzi a disposizione, qualcosa si sarebbe potuto risolvere in quelle ore preziose.
“Hai delle foto?” lei chiese. Il cuore le batteva forte.
“Sì, Riley, ma—”
“So che non dovresti mostrarmele. Ma devo vederle. Potresti mandarmele?”
Dopo una pausa, Bill disse: “Fatto.”
Alcuni istanti dopo, Riley stava guardando una serie di immagini inquietanti sul suo cellulare. La prima era un primo piano di quel volto che aveva visto in una fotografia solo pochi giorni prima. Prima, la donna risplendeva d'amore per una bambina felice e la sua bambola nuova. Ma, ora, quel volto era pallido, gli occhi spalancati e cuciti, e un inquietante sorriso disegnato sulle labbra.
Mentre guardava le altre fotografie, vide che l'esposizione combaciava col modo in cui il corpo di Reba Frye era stata disposto. Tutti i dettagli erano presenti. La posa era precisa. Il corpo era nudo e aveva le gambe spalancate, seduta rigidamente proprio come una bambola. Una rosa sintetica era posta sul pavimento, tra le gambe.
Questa era la vera firma dell'assassino, il suo messaggio. Questo era l'effetto che desiderava ottenere sin dal principio. Aveva acquisito maestria con le sue vittime numero tre e quattro. Riley sapeva davvero troppo bene, che si sarebbe ripetuto.
Dopo aver guardato le foto, Riley tornò al telefono con Bill.
“Mi dispiace così tanto” lei disse, con la voce strozzata per l'orrore e la tristezza.
“Sì, anche a me” lui disse. “Ma non hai proprio nessuna idea?”
Riley rivide le immagini che aveva appena visto, nella sua mente.
“Desumo che la parrucca e la rosa siano le stesse come con le altre” lei disse. “Anche il nastro.”
“Giusto. Sono gli stessi.”
Lei fece un'altra pausa. Quali indizi poteva sperare di trovare la squadra di Bill?
“Ti hanno mandato sul posto abbastanza rapidamente da poter controllare piste, impronte?” gli chiese.
“La scena è stata resa sicura prima stavolta. Un ranger l'ha trovata, e ha avvisato direttamente il Bureau. Non c'erano poliziotti locali intorno. Ma non abbiamo trovato niente di utile. Questo tipo è attento.”
Riley rifletté profondamente per alcuni istanti. Le foto le avevano mostrato il corpo di una donna seduta in mezzo all'erba, con la schiena poggiata contro una formazione rocciosa. Le domande cominciarono a susseguirsi nella sua mente.
“Il corpo era freddo?” lei chiese.
“Lo era quando l'abbiamo trovata.”
“Da quanto tempo credi che fosse lì?”
Sentì Bill sfogliare il suo taccuino.
“Non lo so per certo, ma è stata messa in quella posa subito dopo la morte. Secondo la decolorazione, dopo poche ore. Ne sapremo di più dopo che il coroner si sarà messo al lavoro.”
Riley sentì nascere la sua familiare impazienza. Voleva saperne di più.
Lei chiese: “Potrebbe averla messa in posizione dove l'ha uccisa, e poi portata al posto dove è iniziata la fase di rigor mortis?”
“Probabilmente no” Bill disse. “Non ci vedo nulla di strano nella posizione. Non penso che possa essere stata rigida prima che la portasse qui. Perché? Pensi che l'abbia portata qui e l'abbia uccisa?”
Riley chiuse gli occhi e rifletté profondamente.
Infine, disse: “No.”
“Ne sei sicura?”
“L'ha uccisa dove la teneva rinchiusa, e poi l'ha portata sul posto. Non ce l'avrebbe portata viva. Non avrebbe di certo voluto lottare con un essere umano nel suo furgone o sul posto.”
Con gli occhi ancora ben chiusi, Riley si concentrò per entrare nella mente del serial killer.
“Avrebbe solo dovuto procurarsi le materie prime per mettere in atto la sua opera” lei disse. “Una volta morta, ecco che cos'era per lui. Come un'opera d'arte, non più una donna. Allora, l'ha uccisa, lavata, asciugata, preparato il corpo proprio nel modo in cui voleva, tutto cosparso di vaselina.”
La scena stava cominciando a comporsi vivamente nella sua mente, in ogni minimo dettaglio.
“L'ha portata lì quando è cominciato il rigor mortis” lei disse. “Ha calcolato tutto alla perfezione. Dopo aver ucciso altre tre donne, ha capito che avrebbe funzionato. Ha fatto del principio del rigor mortis parte del suo processo creativo. L'ha deposta quando si è irrigidita, a poco a poco. L'ha modellata come argilla.”
Riley trovò difficile esprimere a voce, quello che vedeva accadere dopo nella sua mente, o in quella dell'assassino. Le parole le fuoriuscirono lentamente e dolorosamente.
“Quando ha terminato di scolpire il resto del corpo, il mento della vittima era ancora poggiato sul petto. Lui ha sentito i muscoli delle spalle e il collo della donna, percependo precisamente il grado di flessibilità rimasta, e le ha messo la testa girata all'insù. L'ha tenuta lì fino a quando si è irrigidita. Devono esserci voluti dai due o tre minuti. E' stato paziente. Poi, è indietreggiato e ha goduto della sua opera.”
“Gesù” Bill mormorò in una voce bassa e scioccata. “Sei brava.”
Riley sospirò amaramente e non rispose. Non pensava di essere brava, non più almeno. Lo era soltanto a entrare in una mente malata. Che cosa diceva questo di lei? Come poteva essere utile a qualcuno? Certamente, non era stato di alcuno aiuto per Cindy MacKinnon.
Bill domandò: “A che distanza credi che tenga le vittime, quando sono ancora vive?”
Riley fece alcuni rapidi calcoli mentali, visualizzando una mappa dell'area nella sua testa.
“Non molto lontano da dove l'ha lasciata” lei disse. “Probabilmente meno di due ore.”
“Il che lascia ancora molto territorio da coprire.”
Il morale di Riley peggiorava sempre di più. Bill aveva ragione. Non stava dicendo una sola cosa che fosse di alcun aiuto.
“Riley, abbiamo bisogno di te per questo caso” Bill disse.
Riley si lamentò sottovoce.
“Sono certa che Walder non sia d'accordo” lei disse.
E anch'io lo penso, pensò lei.
“Beh, Walder si sbaglia” Bill disse. “E gli dirò che è così. Ti farò riavere il tuo lavoro.”
Riley assorbì le parole di Bill per un momento.
“E' troppo rischioso per te” lei chiese alla fine. “Walder potrebbe fare fuoco anche contro di te se ti schieri contro di lui.”
Bill balbettò: “Ma – ma Riley—”
“Niente ‘ma,’ Bill. Se ti fai licenziare, questo caso non verrà mai risolto.”
Bill sospirò. La sua voce era stanca e rassegnata.
“D'accordo” lui disse. “Ma non hai nessuna idea?”
Riley ci pensò per un momento. L'abisso in cui stava precipitando da ormai due giorni diventava sempre più grande e profondo. Sentiva che quel poco che ormai restava le stava per scivolare via dalle mani. Aveva fallito, e una donna era morta.
Ma, in ogni caso, forse le restava un'ultima cosa da fare.
“Ho delle idee in testa” disse. “Ti farò sapere.”
Quando misero fine alla telefonata, l'odore di caffè e pancetta fritta raggiunse Riley dalla cucina. April era lì. Stava preparando la colazione sin da quando Riley si era alzata dal letto.
E non le è stato nemmeno chiesto! pensò Riley.
Forse trascorrere del tempo con il padre le stava facendo apprezzare Riley, almeno un pochino. Ad April non era mai piaciuto averlo intorno. Qualunque fosse la ragione, Riley fu grata di quella piccola comodità in una mattina come quella.
Rimase seduta lì a pensare al da farsi. Aveva programmato di andare ad ovest quel giorno, seguendo il nuovo percorso che aveva tracciato sulla mappa. Ma si sentiva sconfitta, messa completamente fuori gioco da quel terribile svolgimento degli eventi. Il giorno precedente non era stata al meglio, e si era persino abbandonata a quel drink a Glendive. Non poteva ripersi quel giorno, non nel suo attuale stato mentale. E aveva già commesso fin troppi errori.
Ma la posizione del negozio era ancora importante, forse più importante che mai. L'assassino avrebbe scelto lì la sua prossima vittima, sempre che non lo avesse già fatto. Riley tornò al computer, e scrisse un'email a Bill, allegando una copia della sua mappa.
Spiegò a Bill quali città e negozi sarebbero dovuto essere oggetti delle indagini. Lo stesso Bill probabilmente era concentrato su trovare la casa del serial killer, lei scrisse. Ma forse, poteva persuadere Walder a inviare qualcun altro per aiutare Riley, fino a quando non avesse scoperto la vera idea di Riley.
Restò seduta lì, continuando a guardare la mappa, e lentamente cominciò a scovare uno schema che le era sfuggito prima. Non sembrava che i siti fossero legati tra loro, ma erano collocati a varie distanze da un altro segno presente sulla sua mappa, l'area comprendente gli indirizzi delle quattro donne. Mentre studiava lo schema, divenne sempre più convinta che la selezione delle vittime fosse centrata intorno ad un posto specifico in cui erano andate tutte, uno specifico negozio di bambole. E ovunque l'assassino portasse le vittime, probabilmente non era troppo distante da dove le aveva viste per la prima volta.
Ma per quale motivo non era riuscita a trovare il negozio? Stava usando l'approccio sbagliato? Era così ancorata ad una singola idea, grazie alla quale non riusciva a vedere altri indizi? Stava solo immaginando un percorso che la stava portando completamente fuori strada?
Riley fece la scansione della mappa e la inviò a Bill, allegandoci le sue note.
“La colazione è pronta, mamma.”
Quando si sedette con sua figlia, Riley si trovò a soffocare di nuovo le lacrime.
“Grazie” lei disse. Poi, cominciò a mangiare in silenzio.
“Mamma, che c'è che non va?” April chiese.
Riley fu sorpresa della domanda. Aveva per caso percepito una nota di preoccupazione nella voce della figlia? La ragazza era ancora piuttosto taciturna con Riley per la maggior parte del tempo, ma almeno, non era apertamente sgarbata da alcuni giorni.
“Non c'è nulla che non va” Riley rispose.
“Non è vero” April disse.
Riley non disse nulla per replicare. Non aveva intenzione di trascinare sua figlia nell'orribile realtà del caso. La ragazza aveva già abbastanza problemi.
“Era Bill al telefono?” April chiese.
Riley annuì silenziosamente.
“Che cosa voleva?” April chiese.
“Non posso parlarne.”
Cadde un lungo silenzio tra loro. Continuarono entrambe a mangiare.
Infine, April disse: “Continui a chiedere che io parli con te. Ma questo implica che lo facciamo entrambe, sai. Tu non parli mai con me, mai. Parli mai con qualcuno?”
Riley smise di mangiare, e soffocò un singhiozzo. Era una buona domanda. E la risposta era no. Non parlava con nessuno, non più. Ma non poteva permettersi di dirlo.
Rammentò a se stessa che era sabato, perciò non avrebbe accompagnato April a scuola. E non aveva in programma di accompagnarla dal padre. E sebbene Riley non avesse intenzione di andare ad ovest in cerca di indizi, c'era ancora qualcosa che doveva fare.
“April, devo andare in un posto” lei disse. “Ti sta bene restare qui da sola?”
“Certo” April disse. Poi, in una voce davvero triste, le chiese: “Mamma, potresti almeno dirmi dove stai andando?”
“Sto andando a un funerale.”