Kitabı oku: «La Prima Caccia », sayfa 14

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CAPITOLO VENTOTTO

Scesa dal taxi, Riley si mise rapidamente alla guida di una delle auto più economiche che potesse noleggiare. Si trattava di una piccola hatchback ammaccata, un veicolo che certamente aveva avuto giorni migliori, e questi erano parte del passato. Ma. almeno, Riley si era potuta permettere di noleggiarlo per un giorno.

Dopo aver viaggiato solo per alcuni minuti, il motore si mise a brontolare leggermente. Sembrava quasi che l’auto fosse riluttante e ansiosa, proprio come la stessa Riley.

Le visite che Riley aveva fatto alla baita paterna si erano raramente concluse bene. Il padre era una presenza per niente gentile ed educativa nella sua vita, o in quella di qualcun altro a dire il vero.

Allora perché sto andando a trovarlo? si chiese. Poi rise leggermente, ricordando che se lo chiedeva ogni volta che finiva per guidare su quella montagna.

Forse perché era l’unico parente in vita che viveva vicino a lei. Non sapeva nemmeno dove fosse sua sorella maggiore a questo punto, e non c’era nessun altro.

Non era ancora sicura di quale fosse la ragione. Ma sentiva assolutamente che questa visita fosse importante.

Almeno non era un lungo viaggio. Dopo aver guidato un po’ verso ovest, Riley lasciò l’autostrada, e seguì delle strade di campagna che si inoltravano tra gli Appalachi. La giornata era piacevole e calda, così lei aprì il finestrino e respirò la pulita e rinfrescante aria primaverile. Le piaceva sempre guardare fattorie, passi montani e ruscelli che scorrevano.

Oltrepassò una minuscola cittadina chiamata Milladore, prima di imboccare la ripida salita finale che l’avrebbe condotta alla baita paterna.

A quel punto, il motore dell’auto perse alcuni colpi. Riley dette un colpetto sul cruscotto e disse ad alta voce: “Tieni duro, vecchia amica. Possiamo farcela. La parte difficile è arrivare. Sarà in discesa al ritorno. Sarà facile.”

Oppure no? si chiese. Per l’auto, forse.

Ma forse non per lei. Sperava che non avrebbe lasciato la baita amareggiata, arrabbiata e perduta, come spesso era accaduto in passato.

Da ultimo imboccò una strada tortuosa che terminava nella proprietà di suo padre. La sua piccola baita apparve, eretta in una piccola radura ricavata all’interno della fitta foresta circostante.

Riley non sapeva da quanto tempo quella baita fosse stata lì. Il padre l’aveva comprata quando era andato in pensione dai Marine. Ci aveva personalmente apportato le riparazioni necessarie. Aveva ripulito la vecchia sorgente e riparato la sua copertura. Non c’era elettricità laggiù, ma sapeva che a lui piaceva così. Avrebbe potuto occuparsi dell’installazione delle linee elettrica e telefonica, così da potervisi collegare, ma non se n’era preoccupato.

Quando giunse più vicina, vide il padre accanto a un grande tronco di un albero. Aveva una pila di tronchetti, che stava dividendo in pezzi più piccoli sul tronco. Si era a malapena fermato dal proprio lavoro mentre Riley parcheggiava l’auto, limitandosi a una fugace occhiata nella sua direzione.

Sembrerebbe che io venga qui ogni giorno, Riley pensò.

L’uomo smise di lavorare, quando lei uscì dall’auto e si diresse verso di lui.

Era davvero robusto, di quasi sessant’anni, ed aveva mantenuto taglio di capelli e atteggiamento militari. Riley percepiva sempre molta rabbia e fiera indipendenza nel suo portamento fisico.

“Ciao, papà” esordì.

L’uomo la guardò, annuì e tagliò un altro tronchetto.

Riley soffocò un sospiro. Era un compito familiare, provare a conquistare suo padre, attirare la sua attenzione, persino per fargli notare la sua presenza.

Riley notò che un nuovo veicolo era parcheggiato lungo un lato della baita.

“Vedo che hai delle nuove ruote” lei osservò.

“Sì, detesto spendere soldi” rispose, fermandosi finalmente per un istante e asciugandosi il viso. “Ma le altre hanno ceduto.”

Poi, emise una brusca e rauca risata.

“Non so perché” disse l’uomo. “Sono andato soltanto in chiesa con l’auto.”

Riley si sorprese al sentirsi ridere per la battuta. Il padre non era affatto un tipo da chiesa. Ma aveva bisogno di un veicolo resistente per percorrere quelle montagne, specialmente con il maltempo.

Poi, tornò al proprio lavoro. Riley incrociò le braccia e l’osservò per un momento.

Lei disse: “Devi davvero spaccare la legna in questo periodo dell’anno?”

“Sì, se voglio sopravvivere all’inverno. Mi serve molta legna per questo. Non posso cominciare a spaccare troppo tardi. E il legno ha bisogno di tempo per maturare.”

Riley camminò verso di lui e gli tese la mano.

“Perché non ti concedi una pausa di un minuto?” suggerì.

Il padre le diede volentieri l’ascia. Riley mise un tronchetto in piedi sul tronco, sollevò in alto l’ascia, e spaccò facilmente il legno. Fu stupita di quanto fosse stata brava. Il padre le aveva insegnato a spaccare legna da quando era piccola, non appena era stata grande abbastanza da impugnare un’ascia. Ora comprese che le era mancato quel tipo di sforzo meccanicamente fisico.

Il padre si mise le mani sui fianchi e la osservò lavorare. Alla fine, abbozzò un sorriso.

Le disse: “Non è giorno di scuola oggi? O hai mollato la scuola?”

“No, frequento ancora quel dannato college, per prendere quell’inutile laurea che pensi che non dovrei ottenere. Ho semplicemente sentito il bisogno di venire qui a trovarti.”

“E’ davvero gentile da parte tua” le rispose.

Riley era stupita dalla punta di delicatezza nella sua voce.

Sembra quasi sincero, lei pensò.

Riley spaccò un altro paio di tronchetti, e poi il padre disse: “Ho saputo che c’è stato un altro omicidio.”

Riley piantò l’ascia nel tronco e si voltò verso di lui.

“Come l’hai scoperto?” lei chiese. “Pensavo che fossi lontano dai giochi.”

L’uomo alzò le spalle, come per tentare di apparire disinteressato.

“Lo sono abbastanza. Ma di tanto in tanto vado a Milladore, a prendere il giornale, a guardare un po’ di notizie al telegiornale al bar dei Veterani. E quindi, l’ho saputo così.”

Quelle parole destarono davvero l’attenzione di Riley …

“E quindi, l’ho saputo così.”

Sapeva che non gli capitava semplicemente di fare qualcosa.

Dopo l’ultima volta in cui aveva parlato con lui e gli aveva detto dell’omicidio di Rhea, l’uomo doveva aver passato sempre più tempo a Milladore, per aggiornarsi sulle vicende che riguardavano Lanton.

Si è preoccupato per me, intuì.

Restarono a guardarsi per un momento.

Il genitore le chiese: “Un’altra tua amica?”

Riley annuì, determinata a non mostrare traccia di alcuna emozione.

“La mia compagna di stanza, Trudy.”

“Dannazione” il padre esclamò.

“Io ho trovato il corpo. E sono la seconda persona ad aver trovato il corpo dell’altra ragazza. Avevano le gole squarciate.”

“Dannazione” ripeté.

Poi, il padre voltò la testa verso la foresta e tacque.

Beh, immagino che è tutto ciò che avevamo da dirci in merito, pensò con una punta di delusione.

Sapeva di non doversi aspettare che il padre esprimesse preoccupazione per la sua sicurezza per più di uno o due minuti.

A quel punto, tornò all’ascia e riprese a spaccare legna. Improvvisamente, sentì il braccio del padre stringerle la gola. Prima di rendersene conto, si ritrovò sdraiata su un fianco a terra. Il padre le piantò il ginocchio sul petto e le tenne un coltello alla gola. La lama le pungeva la pelle.

Riley sussultò con orrore.

Si chiese …

Ha perso la testa?

Sta per uccidermi?

CAPITOLO VENTINOVE

Messa alle corde dal padre, Riley si sentiva come un animaletto in trappola, che fissava negli occhi del suo potente predatore. Per un istante, nessuno di loro si mosse. L’uomo tenne il coltello puntato contro la gola della figlia.

Il cervello di Riley si mise in moto.

Dove aveva preso quel coltello?

Poi, ricordò: il padre portava sempre con sé un coltello da cacciatore fissato ad una caviglia. L’aveva afferrato tanto rapidamente, che lei non se ne era nemmeno accorta.

Ma perché aveva attaccato?

Non ne aveva idea ma, se intendeva ucciderla, non aveva alcun modo di fermarlo ora.

Si fissarono intensamente. Lei non vide alcuna traccia di sete di sangue negli occhi del genitore. La sua espressione era seria, ma non da omicida, circospetta, non da folle.

Come l’aveva bloccata a terra, egualmente all’improvviso, l’uomo allontanò il coltello, tolse il ginocchio dal petto della figlia e si alzò in piedi.

Le disse: “Sei morta, ragazza. O almeno dovresti esserlo. Direi che meriti di esserlo.”

Tremando, Riley si alzò dal pavimento.

“Che cosa diavolo significa tutto questo?” chiese.

“Dimmelo tu” il padre disse. “Prima una tua buona amica è stata uccisa. Poi, è toccato alla tua compagna di stanza. Che cosa ti prende? Non ti è passato per la mente che potresti essere la prossima?”

Riley strizzò gli occhi per la sorpresa.

No, non mi è davvero mai passato per la mente, comprese.

La giovane era stata così devastata da entrambe le morti, specialmente da quella di Trudy, e così ossessionata da ciò che poteva apprendere della mente del killer, che non si era nemmeno preoccupata della propria sicurezza.

Il padre scosse il capo con un ringhio di disapprovazione.

“Se questo è il meglio che riesci a fare, allora sei spacciata di sicuro” le disse.

A quel punto restò a fissarle il braccio con le gambe leggermente allargate. Le lanciò il coltello. Riley ne fu un po’ sorpresa e un po’ sollevata ma lo afferrò saldamente per il manico. Poi, il padre agitò le braccia.

“Coraggio” le disse. “Attaccami.”

Ricaricata dalla recente scarica di adrenalina e dalla rabbia crescente, Riley sollevò il coltello e si gettò contro di lui. Non le importava di ferirlo.

In un lampo, fu attaccata da un’incredibile scarica di colpi, e si ritrovò di nuovo a terra.

“Che diavolo di combattimento è questo?” lei chiese, mentre riprendeva fiato, e lui l’aiutava a rimettersi in piedi.

“Si chiama Krav Maga” il padre rispose. “E’ un modo di combattere israeliano.”

Lui squarciò l’aria con movimenti furiosi ed aggressivi, mentre spiegò: “Risale ad anni prima della Seconda Guerra Mondiale. Gli ebrei nell’Europa dell’est erano soliti difendersi contro gli attacchi dei fascisti. E’ una combinazione di elementi di diverse discipline, come Aikido, judo e karate. Ma, soprattutto, è un combattimento diretto da strada. Tutto è permesso, tutto quello che funziona. Ecco perché mi piace.”

Riley stette ad osservare i suoi gesti con la bocca spalancata.

Si rese conto che, in fondo, aveva avuto una buona ragione per avergli fatto visita.

Ricordò ancora le parole che il padre le aveva detto al telefono …

“Non sei affatto tagliata per una vita normale. Non è nella tua natura.”

Nonostante i suoi dubbi iniziali riguardo al venire alla baita, quel viaggio stava cominciando ad avere senso. C’erano cose che il padre poteva insegnarle, e forse non riguardavano soltanto la lotta.

Forse poteva aiutarla a comprendere se stessa.

Al momento, il genitore stava ovviamente aspettando la sua reazione.

Riley disse: “Mostrami ciò che avrei dovuto fare quando mi hai attaccata.”

Il padre la guidò attraverso una serie di movimenti violenti, tutti eseguiti lentamente ed attentamente, così da non causare ferite. A poco a poco, cominciò ad apprendere certe mosse.

Seguendo le sue istruzioni, entrò lentamente in azione, mentre lui le metteva un braccio intorno al collo e impugnava il coltello con l’altra. Poi abbassò un braccio, come per colpire l’inguine del padre, e quasi simultaneamente l’afferrò per i capelli con l’altra mano e lo strattonò all’indietro, infine con le mani lo colpì al volto, sottraendosi alla sua stretta e costringendolo a restare piegato all’indietro, mentre la figlia gli sottraeva il coltello.

“Non male” lui scattò. “Ora più veloce.”

Ripeterono la stessa sequenza, ogni volta più velocemente di quella precedente. Riley era quasi allarmata per quanto velocemente cominciasse a sembrarle naturale.

Poi, suo padre le mostrò come gestire una serie di possibili attacchi: spinte, balzi, prese da dietro e davanti. Mentre affrontavano ogni situazione, lui le spiegava le regole principali del Krav Maga.

“L’aggressione assoluta è la chiave principale” le disse. “In molti tipi di combattimenti, ci si difende e si attacca separatamente. Con il Krav Maga, lo si fa simultaneamente, e ci si muove in fretta. Non si dà all’avversario il tempo di respirare. E non ci si ferma, finché non è sfiancato, o morto. Se qualcuno intende davvero ucciderti, allora devi ucciderlo per prima, e farla subito finita. Non è un gioco.”

Riley era affascinata e spaventata al contempo dalla ferocia del Krav Maga. Si basava sul combattimento di strada, dopotutto. Imparò che l’idea era di attaccare le parti più sensibili del corpo di un avversario: occhi, gola, inguine, plesso solare, e così via, causando molti danni fisici quanto più in fretta possibile. Si poteva anche afferrare degli oggetti da poter utilizzare durante il combattimento: pietre, bottiglie, bastoncini o qualsiasi altra cosa che fosse a portata di mano.

Dopo aver insegnato a Riley una mossa particolarmente spietata, il padre si voltò improvvisamente e se ne andò.

“Immagino che sia ora che torni a scuola” le disse. “Ed è anche ora che io torni al lavoro.”

Si voltò e tornò al tronco, dove stava spaccando la legna.

Riley era perplessa.

“Tutto qui?” lei disse. “E’ tutto quello che mi insegnerai?”

Il padre prese l’ascia, guardò la figlia e alzò le spalle.

“Che cosa pensi che io faccia qui?” le disse.

E’ una buona domanda, Riley pensò.

Quando l’uomo prese un tronchetto da spaccare, disse: “Se vuoi imparare a batterti, prendi delle lezioni. Non puoi imparare tutto in un solo pomeriggio.”

Mentre muoveva l’ascia, aggiunse: “Come puoi vedere, sono occupato a prepararmi a sopravvivere all’inverno.”

Riley stava per protestare, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla.

Il padre stava spaccando la legna ad un ritmo incessante.

E’ come se non fossi più neanche qui, pensò.

Lei disse: “Beh, arrivederci, papà.”

Poi aggiunse con amaro sarcasmo: “E’ stato bello vederti.”

L’uomo non rispose, continuando semplicemente a spaccare legna.

Quando Riley tornò all’auto e si allontanò, sentì gli occhi bruciarle leggermente.

Non piangere, dannazione, si disse.

Dopotutto, che cosa si aspettava che succedesse? Pensava che un piccolo addestramento di combattimento corpo a corpo avrebbe magicamente cambiato il loro rapporto in meglio?

Almeno, l’auto sembrava fare del proprio meglio, mentre lei guidava per la strada tortuosa che la portava ai piedi della montagna. Ammirando lo splendido paesaggio ancora una volta, si chiese …

Ne è valsa la pena?

Sarei davvero dovuta venire qui?

Riflettendoci, comprese che la risposta era sì.

Aveva imparato alcune utili tattiche di autodifesa, ma aveva appreso anche dell’altro, qualcosa che era difficile per lei da afferrare.

Poi, ricordò qualcosa che il padre le aveva detto poco fa …

“Se qualcuno vuole ucciderti, devi ucciderlo per prima e farla finita subito.”

La grande aggressività del Krav Maga le era già entrata dentro.

“Non è un gioco.”

E comprendere quel fatto serio, in qualche modo, la fece avvicinare più che mai al killer.

*

L’umore di Riley cominciò a incupirsi durante il breve tragitto fino a casa.

Adesso aveva dei problemi reali, noiosi e quotidiani da affrontare.

Aveva avuto fretta di lasciare l’appartamento di Ryan, per uscire prima che le cose peggiorassero tra loro. Poi, si era concentrata sulla visita al padre e su tutto ciò che era successo lì. In tutto ciò, non aveva ancora seriamente riflettuto su dove andare a vivere adesso.

Dava soltanto una cosa per certa. Non sarebbe mai più potuta restare a dormire nella stanza del dormitorio che aveva condiviso con Trudy. Forse, se avesse chiamato il Consulente del Dormitorio, le avrebbe potuto assegnare un’altra stanza con un’altra compagna. Ma persino l’idea di mettere piede all’interno del dormitorio le faceva venire la nausea.

Prima o poi, naturalmente, non avrebbe avuto altra scelta. Molti dei suoi vestiti e oggetti erano ancora in quella stanza, e avrebbe dovuto recuperarli in qualche modo. Nel frattempo, i pochi beni di prima necessità che aveva recuperato dall’appartamento di Ryan, materiale per la cura del corpo, libri e cambi di vestiti, erano proprio nell’auto con lei.

Sono come una nomade, pensò mentre raggiungeva Lanton.

Ma dove sarebbe andata a stare? Non poteva dormire nell’auto, che, tra l’altro, aveva noleggiato soltanto per quel giorno.

Quando accostò nel parcheggio del noleggio, ricordò una cosa. Un paio di giorni prima, aveva chiamato Gina dalla casa di Ryan. L’amica le aveva detto che lei e la sua compagna di stanza, Cassie, non potevano più restare al dormitorio neanche loro, e avevano trovato un altro posto in cui stare. Aveva dato a Riley il loro nuovo numero di telefono.

Ovunque ora vivessero, avrebbero potuto ospitare anche Riley?

Lei restituì le chiavi dell’auto nell’ufficio del noleggio, e riottenne indietro il suo deposito. Poi, portò le valigie e gli oggetti personali fuori dall’edificio, dove aveva visto un telefono a gettoni. Digitò il numero che Gina le aveva dato.

Una voce sconosciuta rispose al telefono.

“Pronto?”

Riley brontolò goffamente: “Um, potrei parlare con Gina Formaro?”

“Chi la cerca?”

La voce non sembrò affatto amichevole.

“Riley Sweeney” disse.

“Vado a vedere.”

Riley sentì la cornetta venire abbassata. Poi, sentì voci e bussare. Infine, giunse l’amichevole suono della voce di Gina.

“Ehi, Riley! Che succede? Come procedono le cose con il tuo ragazzo?”

Riley deglutì leggermente.

“Beh, le cose non so andate molto bene con Ryan, ed io …”

Lei esitò, sentendosi sempre più imbarazzata.

Poi disse: “Gina, non posso tornare al dormitorio.”

Gina sospirò comprensiva.

“Capisco” disse. “Io e Cassie proviamo lo stesso.”

Riley disse: “Mi chiedevo … come vi siete sistemate in questi giorni?”

Gina disse: “Ti ricordi di Stephanie White ed Aurora Young? Hanno vissuto al nostro piano nel dormitorio fino all’anno scorso.”

Riley ricordava Stephanie ed Aurora. Odiavano la vita del dormitorio e avevano deciso di trovare un posto economico fuori dal campus.

Gina continuò: “Beh, io e Cassie ci siamo trasferite da loro. E’ un po’ affollato e i nervi saltano qualche volta. Eppure, sembra ancora che le cose possano andar BENE, con quattro persone che pagano l’affitto.”

Riley soffocò un sospiro di scoraggiamento.

Ci vivono già in quattro, lei pensò.

Non avrebbe potuto assolutamente chiedere di unirsi a loro.

Ma poi Gina disse: “Aspetta un minuto, vado a parlare con Steph. E’ come una mamma qui.” Poi aggiunse con un sussurro: “E’ una tiranna, se vuoi sapere la verità.”

Ancora una volta, Riley sentì poggiare la cornetta, poi Gina parlare con qualcuno che sembrava una ragazza, quella che aveva prima risposto al telefono.

Infine, Gina tornò al telefono.

“Steph ha detto che puoi venire a stare da noi. Abbiamo una piccola stanza in soffitta che nessuno utilizza. Possiamo dividere le spese dell’affitto con te quando vieni.”

Riley, d’improvviso, iniziò a respirare più facilmente.

“Oh, grazie” disse. “Sarebbe perfetto.”

“Dove sei? Vengo a prenderti.”

Riley aveva quasi dimenticato che Gina aveva un’auto. Forse la fortuna stava cominciando a bussare alla sua porta. Disse a Gina che si trovava ad un noleggio auto, e poi misero fine alla telefonata.

Fiancheggiata da valigie e oggetti personali, Riley si appoggiò contro la parete dell’edificio che ospitava l’autonoleggio. Fu improvvisamente investita da un’ondata di impotenza e inutilità, mentre pensò …

Devo sembrare una senzatetto.

E, in un certo senso, non riusciva a fare a meno di pensare che il suo aspetto in realtà non si distaccava molto da ciò che era …

Solo una stracciona che spera che gli altri siano gentili con me.

Inghiottì un singhiozzo e respinse le lacrime.

Non sarebbe stato bello se Gina l’avesse trovata in lacrime, all’arrivo.

E le sembrava di ricordare a stento come si era sentita poco prima, quando si era battuta violentemente con il padre: le era sembrato di essere forte.

In quel momento, invece, era tutto il contrario: come se un soffio di vento potesse spazzarla via come un granello di polvere.

Improvvisamente un pensiero prese campo …

Lui è ancora là fuori.

E sentì che in qualche modo era destinata a confrontarsi con lui un giorno.

E quel giorno …

Devo essere forte, pensò.

Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
10 ekim 2019
Hacim:
261 s. 3 illüstrasyon
ISBN:
9781640294325
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