Kitabı oku: «La Prima Caccia », sayfa 6

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CAPITOLO DIECI

L’intero dormitorio era sinistramente silenzioso, mentre Riley cominciava a percorrere il corridoio che l’avrebbe condotta alla sua stanza. Era tardi, naturalmente. Ma persino a quell’ora di notte, qualcuno al piano in genere aveva la musica accesa, spesso a volume troppo alto. Invece, nessuno sembrava essere più dell’umore per questo genere di cosa.

Ora qui la vita è diversa, Riley pensò.

Si domandò se le cose sarebbero mai tornate a com’erano prima dell’omicidio di Rhea.

Aprì silenziosamente la porta, sperando di non svegliare Trudy. Ma non appena Riley entrò nella stanza buia, sentì dire alla compagna di stanza.

“Riley!”

Riley si sentì allarmata. Trudy sembrava disperata. Riley accese la luce e vide che la ragazza era seduta in posizione eretta nel suo letto.

“Trudy!” Riley disse. “Che cosa c’è?”

“Che cosa c’è?” Trudy ripeté. “Non sono riuscita a chiudere occhio da quando mi sono messa a letto. Ero davvero preoccupata per te. Hai idea di quanto tempo sei stata via? Non sapevo che cosa fare. Mi sono chiesta se chiamare la polizia.”

Riley si sedette sul letto accanto alla compagna di stanza.

“Mi spiace di averti fatto preoccupare” disse. “Sto bene.”

Trudy scosse il capo.

“No, non stai affatto bene. C’è qualcosa che non va. Ti stai comportando come una matta, restando fuori fino a tardi, quando c’è un assassino là fuori da qualche parte. Lo so, lo so che Zimmerman dice che quello che è successo a Rhea è personale, e nessun altro verrà ucciso. Ma non riesco a smettere di avere paura. Ma tu dov’eri? Che cos’hai fatto?”

Riley respinse un sospiro.

Se le avesse detto tutto ciò che aveva fatto, Trudy le avrebbe davvero dato della pazza. Eppure, la ragazza meritava qualche spiegazione.

“Sono passata al Covo del Centauro” Riley cominciò. “Ho preso una birra. E ho incontrato Rory Burdon, e ho scambiato quattro chiacchiere con lui. L’omicidio l’ha davvero sconvolto.”

Riley fece una pausa, poi aggiunse: “Sapevi che Rory aveva una cotta per Rhea?”

Gli occhi di Trudy si spalancarono.

“No!” lei rispose. “Quel povero ragazzo. Gli hai detto dei sentimenti di Rhea per lui?”

Riley scosse il capo.

“No, stava già abbastanza male così. Si sente tremendamente in colpa. Pensa che avrebbe dovuto accompagnarla a casa quella sera.”

Trudy si fece piccola e abbassò la testa. Riley improvvisamente capì di aver detto la cosa sbagliata.

Dopotutto, sapeva che Trudy provava lo stesso e forse era stava anche peggio. Era stata troppo ubriaca per notare persino quando Rhea se n’era andata.

Riley immaginava che sarebbe stato meglio cambiare soggetto.

“Sono anche andata alla stazione di polizia” disse.

“Perché?” Trudy domandò.

Riley esitò, poi disse: “Non lo so, io … io immagino che volessi soltanto sapere se fossero giunti a qualcosa con … sai.”

Trudy restò in silenzio. Sembrava ansiosa di sentire il resto della storia da Riley.

Riley disse: “A quanto pare, sono convinti che sia stato qualcuno che Rhea neanche conosceva, qualcuno che è venuto in città di passaggio. Pensano che ormai se ne sia andato. E pensano anche che abbia fatto la stessa cosa altrove. Hanno detto che forse l’FBI potrebbe essere di aiuto.”

Trudy sembrava perplessa.

“Ma il Dottor Zimmerman ha detto …”

“Sì, lo so” Riley disse. “Ma la polizia la vede diversamente. Ad ogni modo, nessuno sembra pensare che noi siamo in pericolo.”

Trudy fissò il vuoto.

“Vorrei poterlo credere” disse.

Anch’io, pensò Riley, ricordando la percezione della presenza del killer che aveva appena provato là fuori, sentendosi osservata.

Improvvisamente, Trudy stupì Riley, abbracciandola forte.

Cominciò a piangere e disse: “Oh, Riley, non spaventarmi più così, ti prego! So che non dovrebbe più esserci alcun motivo di spaventarsi, ma non riesco a farne a meno. Sei la mia migliore amica. E l’idea di perderti dopo quello che è successo a Rhea …”

Trudy era troppo sconvolta per poter continuare a parlare. Singhiozzò tra le braccia di Riley.

Riley non sapeva che cosa fare o dire. Poteva davvero promettere di non andare più in giro da sola in quel modo?

Perché no? lei pensò.

Sembrava solo ragionevole.

Ma niente di quello che Riley aveva vissuto poco prima era sembrato ragionevole. Si era sentita guidata dal momento della terribile connessione che aveva percepito con il killer. Sarebbe stata in grado di resistere alla spinta se avesse nuovamente sentito tale connessione? Questa era davvero l’ultima volta che usciva da sola di notte nel tentativo di trovarlo, di capirlo?

Si sottrasse gentilmente all’abbraccio di Rhea.

“Mi spiace di averti spaventata” le disse. “Proverò a non farlo più. Comunque, è tardi, e dovresti metterti a dormire. E anch’io dovrei. Vado a farmi una doccia.”

Rhea annuì, sembrando ormai più calma.

Riley prese il pigiama e l’accappatoio, spense la luce e lasciò la stanza.

Mentre si dirigeva al bagno, un’ondata di spossatezza s’impadronì di lei. Era stata una giornata, lunga, strana e difficile. Aveva davvero bisogno di riposarsi prima delle lezioni dell’indomani.

Ma in qualche modo, dubitava che sarebbe riuscita a dormire bene quella notte.

*

Si sentì uno sparo.

La piccola Riley era di nuovo nel negozio di dolci, e sentì l’odore della polvere da sparo.

Un uomo malvagio aveva appena sparato alla sua mamma.

Fece cadere i suoi dolci e gridò…

“Mammina!”

Ma quando guardò la figura riversa sul pavimento, non era affatto la sua mamma.

Si trattava di un’altra donna, più giovane della mamma, e sangue sgorgava dalla sua gola. Era morta e gli occhi fissavano direttamente Riley.

E, per qualche ragione, come se l’avesse conosciuta in un’altra epoca o luogo, la piccola Riley conosceva il suo nome.

“Rhea” lei disse.

Respinse il senso di terrore e si voltò, per poi guardare l’uomo con la calza sopra la testa.

Il fumo stava ancora fuoriuscendo dalla sua pistola.

“Chi sei?” chiese, provando a non apparire come la bambina quale era. “Mostrami il tuo viso.”

L’uomo la fissò attraverso la calza per un istante.

Poi, se la tolse lentamente, e …

Non era affatto un uomo.

Era un’altra donna.

E la piccola Riley sapeva di chi si trattava.

Era proprio Riley, adulta!

Riley fu svegliata dall’incubo dallo squillo del telefono nella sua stanza.

Aprì gli occhi e vide la luce del sole filtrare attraverso la finestra. Trudy giaceva addormentata nel suo letto. Riley considerò di lasciar squillare il telefono, finché non si attivasse la segreteria. Ma lo squillo e il suono del messaggio in uscita avrebbero senz’altro svegliato la compagna di stanza senza alcun buon motivo.

Perciò scese dal letto e rispose al telefono.

Una rude voce maschile le parlò.

“Ehi, figliola.”

Riley riconobbe subito la voce, e non fu molto felice di sentirla.

Era suo padre.

Ma perché le aveva telefonato? Non aveva neppure un telefono.

Doveva averle telefonato da una cabina telefonica in città.

Ma perché? si chiese.

“Ciao, papà” disse.

Cadde il silenzio.

Per alcuni secondi, Riley si chiese …

Uno di noi due ha altro da dire?

I due erano ormai ai ferri corti da molti anni.

Di tanto in tanto, provavano entrambi a mettersi in contatto e a sistemare le cose, e Riley andava persino a trovarlo nella sua baita sugli Appalachi quasi ogni anno. Litigavano davvero piuttosto raramente, ma, quando lo facevano, le cose si mettevano veramente male. Per quanto si sforzassero, insieme non erano mai molto a loro agio.

“Come stai?” Riley chiese.

La ragazza sentì un lungo e familiare brontolio.

“Sai com’è. Non è stagione dei cervi, perciò mi dedico alla pesca. Soprattutto della trota. Non mi è andata troppo male.”

L’accenno alla pesca le riportò alla mente delle volte in cui era andata a pescare col genitore, e altre volte a caccia di piccoli animali: scoiattoli, corvi e marmotte. Riley non aveva gusto per cacciare i cervi, perciò non l’aveva mai fatto con lui. Il paese intorno alla sua baita era splendido, anche se si sentiva a disagio in sua compagnia. L’uomo aveva comprato la baita subito dopo essere andato in pensione come capitano dei Marine.

Era un luogo solitario, specialmente durante l’inverno. Ma a suo padre piaceva così. Era sempre stato un uomo duro, che in genere non andava d’accordo con le persone, e in lui l’amarezza aveva preso il sopravvento dopo l’omicidio della madre di Riley.

Ci fu di nuovo silenzio. Riley sapeva che spettava a lei dire qualcosa di sé.

Ma avrebbe dovuto parlargli di quanto era accaduto negli ultimi giorni?

Come avrebbe reagito?

Lei disse: “Papà, c’è stato un omicidio qui. Proprio nel mio dormitorio, al mio piano. Una ragazza che conoscevo molto bene. Le hanno squarciato la gola. Nessuno sa chi sia il colpevole.”

Ci fu più silenzio ora. Riley si chiese se avrebbe detto o meno qualcosa.

“Beh” disse lui infine lentamente: “sai come prenderti cura di te.”

Riley si sentì stranamente colpita. Le ci volle un momento per capire il perché. Aveva studiato proprio questa cosa in psicologia: un problema chiamato “doppio legame”, quando qualcuno dava messaggi conflittuali a qualcun altro.

E in questo caso, il padre le stava decisamente dando dei messaggi conflittuali.

Da un lato, le stava dicendo che non fosse degna della sua preoccupazione. Dall’altro, invece, le stava dicendo che lei era dura così com’era, e forse l’ammirava persino un pochino.

Riley non aveva semplicemente un modo per armonizzare questi due messaggi. Almeno i suoi studi l’aiutavano a comprendere il motivo per cui fosse così problematico.

Poi, il padre chiese: “Che corso stai seguendo attualmente?”

Riley ingerì la sua irritazione. Sapeva che sarebbe successo. Avevano già avuto questa conversazione prima.

“Psicologia” lei rispose.

“Non va bene” l’uomo disse, “Dovresti pensare di cambiare corsi.”

Riley ebbe la necessità di spiegare perché il genitore si sbagliasse. Ma un vecchio e familiare istinto intervenne a fermarla.

Se gli avesse detto la verità, che le piaceva studiare psicologia e che, inoltre, questo era il secondo semestre del suo ultimo anno ed era troppo tardi per cambiare, l’uomo avrebbe perso la pazienza e la telefonata sarebbe finita male.

“Ci penserò, papà” mentì, sperando di risolvere così la questione.

Ma sentiva che la conversazione stava già prendendo una sgradevole svolta.

Lui disse: “Ascolta, è ora che combini qualcosa. Non sei proprio tagliata per una vita normale. Non c’è modo di ottenere il contrario, provando a vivere e lavorare come fanno le altre persone. Non è nel tuo sangue. Non è nella tua natura.”

Ora Riley si sentì sul punto di perdere la pazienza.

Gli aveva sentito dire quelle parole tante volte: era di nuovo di fronte ad un caso di doppio legame.

Suo padre le stava dicendo che in qualche modo era eccezionale e destinata a fare grandi cose nella vita?

O le stava semplicemente dicendo che era una sorta di scherzo della natura?

Di certo non lo sapeva. Era piuttosto sicura che nemmeno il genitore lo sapesse.

Ad ogni modo, era ora di porre fine a quella conversazione.

“Sei stato gentile a chiamare, papà” lei disse. “Mi devo preparare per andare a lezione.”

Ancora altro silenzio.

Come spesso faceva, Riley sentì che il padre stava faticando a trovare le parole per dire qualcosa che voleva disperatamente dire, ma proprio non ci riusciva.

“OK” le disse infine. “Scrivimi di tanto in tanto.”

La telefonata terminò. Riley restò lì sentendosi triste e vuota, e anche preoccupata.

Quelle parole riecheggiarono nella sua mente …

“Non sei proprio tagliata per una vita normale.”

Il padre glielo aveva ripetuto tante volte, e lei era riuscita generalmente ad ignorarlo.

Ma ora, dopo quello che era successo la scorsa notte, non poteva fare a meno di chiedersi …

Ha ragione?

Dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, qualche volta aveva disperatamente desiderato il tipo di normalità che vedeva ovunque nel mondo intorno a sé: un marito, figli, una carriera stabile, un bel futuro.

Ma ora non riusciva a non sentire che le cose erano cambiate, letteralmente, da un momento all’altro.

Che cosa significava il fatto che trovasse così facile, così convincente, empatizzare con un assassino, per vedere il mondo attraverso i suoi occhi, anche se brevemente?

Riley provò di scrollarsi di dosso la preoccupazione.

Era ora di prepararsi ad affrontare la sua giornata.

CAPITOLO UNDICI

Mentre Riley sedeva alla sua scrivania, provando a leggere il testo per il corso del Professor Hayman, la sua mente continuava a tornare ad un altro libro, quello contenuto nel cassetto della scrivania: Menti Oscure: La Personalità Omicida Svelata, di Dexter Zimmerman.

Sapeva che avrebbe dovuto davvero restituirlo al Professor Hayman. Glielo aveva prestato due settimane fa, e lei lo aveva letto ben tre volte. L’uomo non glielo aveva chiesto indietro, infatti, non gliene aveva affatto parlato. Forse, aveva dimenticato di averglielo prestato.

Ciò nonostante, sembrava sbagliato custodire qualcosa che non le apparteneva.

Sicuramente non ho intenzione di rileggerlo, pensò.

Ma l’incantesimo del libro continuava a trattenerla nei mondi strani e proibiti che descriveva nel dettaglio.

Perché mi attirano le personalità degli assassini? si chiese.

Perché trovo interessante apprendere di orribili esseri umani? Perché voglio scoprire come sono diventati così?

Lei realizzò di essere persino più interessata al modo in cui venivano catturati, e al motivo per cui occorreva così tanto tempo per catturarne alcuni.

Almeno dev’essere un interesse sano, si disse.

Nonostante ciò, era sicura che nessuna delle sue amiche condividesse parte della sua attrazione.

Infatti, la sua compagna di stanza Trudy era la ragione per cui il libro era stipato nel cassetto della scrivania. Quando il libro era stato sul piccolo scaffale di Riley, Trudy aveva rabbrividito visibilmente ogni volta che lo notava.

Ovviamente, la sola vista del libro di Zimmerman aveva messo l’amica a disagio, perciò Riley l’aveva nascosto.

Ma perché ne era dipendente?

I pensieri di Riley furono interrotti dallo squillo del suo telefono; si chiese chi potesse essere. Di rado riceveva telefonate lì nella sua stanza del dormitorio. Sperava che non fosse di nuovo suo padre, parlare con lui una volta dopo mesi era più che sufficiente per lei.

Continuava a ricordare ciò che le aveva detto l’ultima volta che si erano parlati …

“Non sei proprio tagliata per una vita normale.”

Di certo, non aveva bisogno di sentire più quel genere di frase al momento, specialmente con le domande relative a quel libro che le riecheggiavano nella mente.

Decise pertanto di lasciar squillare il telefono. Si attivò la segreteria, con la voce registrata di Trudy e Riley, che dicevano di non poter rispondere al momento, e perciò di lasciare un messaggio, e avrebbero richiamato il mittente.

Al suono del bip, seguì un breve silenzio. Riley immaginò che qualcuno stesse esitando a decidere se lasciare o meno un messaggio.

Poi, si sentì una voce maschile.

“Uh … chiamo per Riley Sweeney. Riley, probabilmente non ricordi nemmeno il mio nome, ma …”

Riley sorrise.

Naturalmente, ricordava il suo nome.

Era Ryan Paige.

Lei alzò la cornetta e disse: “Ehi.”

“Um, sono Ryan. Ci siamo incontrati un paio di settimane fa.”

Riley provò a fingersi sorpresa.

“Oh, certo. Mi ricordo. Come va?”

“Beh, stavo pensando a come passare il fine settimana, e mi chiedevo se volessi passarlo con me. Forse, potremmo andare a cena e poi al cinema. Ho sentito che Matrix è un bel film. L’hai visto?”

“No” Riley rispose.

Poi non disse altro. Si sentì un po’ in colpa, accorgendosi che si stava godendo il suo imbarazzo, ma aspettò sempre che lui continuasse.

Infine, il ragazzo riprese: “Che cosa ne dici?”

“Mi sembra una bella idea” rispose.

Ci fu un’altra pausa. Poi, prima di poterci riflettere, Riley disse …

“Che cosa fai stasera? Voglio dire, forse potremmo bere qualcosa insieme.”

Sentì il suo viso diventare rosso per l’imbarazzo.

Quanto era stata sgradevole?

Ma ormai era fatta. Era contenta che Ryan non potesse guardarla in faccia.

“Mi piacerebbe” disse. “Che ne dici del Pub Pooh-Bah?”

Riley fu un po’ stupita. Il Pooh-Bah era un bar esclusivo, che lei e le amiche non avevano mai preso davvero in considerazione. Ma se era quello che Ryan voleva …

“Certo” disse.

“OK” lui disse. “Quando vuoi che passi a prenderti?”

Ha un’auto! Riley pensò.

Provando a riacquistare la calma, lei disse: “Va bene alle otto e trenta? Avrò finito di studiare per quell’ora.”

“Mi sembra perfetto. Ti chiamo quando arrivo.”

Chiamarmi? Riley si chiese.

Poi capì …

Ha anche un cellulare.

Infine, Ryan disse: “Non vedo l’ora di vederti.”

“Sì, anch’io non vedo l’ora di vederti.”

La giovane riagganciò, sentendosi ancora completamente imbarazzata.

“Che cosa fai stasera?” gli aveva chiesto.

Che cosa pensava di fare? Da quando era impaziente in quel modo?

Ma razionalizzò rapidamente …

Forse era una cosa intelligente da fare.

Dopotutto, stasera non sarebbe stato un appuntamento importante, semplicemente una possibilità di scoprire se lei e Ryan sarebbero andati d’accordo, senza tutte le formalità, come un cinema e una cena. Sarebbe stato più facile rompere il ghiaccio se lei avesse voluto. E poi, Riley poteva decidere se gli piacesse abbastanza da preoccuparsi di andare ad un vero appuntamento con lui.

Ma poi si preoccupò …

E se lui mi piace ma non gli piaccio?

Si lamentò palesemente.

Non poteva vincere in ogni caso. Poteva andare ad un semi-appuntamento quella sera, che avrebbe potuto concludersi male per lei, o trascorrere il resto della settimana in suspense in merito a come potesse andare un vero appuntamento.

Ad ogni modo, doveva ancora studiare un po’ prima che Ryan passasse a prenderla. Aprì il libro, riprendendo dove aveva lasciato prima della telefonata.

Ma ora aveva difficoltà a concentrarsi e non era dovuto all’agitazione per il suo quasi-appuntamento. Era preoccupata per qualcun altro.

Trudy.

Trudy era andata in biblioteca dopo cena, il che non avrebbe dovuto essere un grosso problema. Ma ultimamente, anche quello lo era. La compagna di stanza di Riley non era stata davvero la solita vecchia e vivace amica nelle due settimane che erano trascorse dall’omicidio di Rhea.

Si era attaccata ad una routine rigida e restrittiva. Andava a lezione, e poi a pranzo e cena all’associazione studentesca, ma quasi mai altrove. Passava il resto del tempo rinchiusa nella sua stanza, a studiare, qualche volta restando seduta in silenzio, fissando il vuoto o le sue stesse mani. Qualche volta, accendeva la musica pop che in genere infastidiva tanto Riley.

Riley sapeva che neanche lei era stata più la stessa, ultimamente. Ma si stava sforzando di tornare alla normalità. Non ci stava riuscendo benissimo, ma almeno non stava lasciando che quanto era successo a Rhea interrompesse la sua vita.

Riley era stata contenta, quando Trudy aveva annunciato che sarebbe rimasta in biblioteca per un po’. Lo aveva persino cautamente detto all’amica, sebbene fosse stata attenta a non farne un caso, Trudy era tremendamente delicata in questi giorni.

Ma ora non poteva fare a meno di chiedersi come la piccola uscita di Trudy stesse andando.

Si sentiva sopraffatta e scoraggiata?

Riley provò a ricordare a se stessa che non era responsabile del benessere emotivo di Trudy. Sapeva che l’amica stava passando del tempo con i consiglieri del campus, e spettava a loro aiutarla a superare quel momento. Ma finora, non sembrava che le fossero stati di aiuto, almeno per quanto potesse dire Riley.

Riley dette un’occhiata al proprio orologio e vide che il tempo stava passando. Aveva bisogno di smettere presto di studiare e prepararsi per l’uscita con Ryan.

Una sorta di appuntamento, pensò mentre sfogliava le pagine del suo libro.

Terminare l’ultimo anno ed affrontare la laurea sarebbe stato abbastanza stressante.

Senz’altro, non ci sarebbero state altre cose terribili.

Ma relativamente al ritorno alla normalità, Riley non poté fare a meno di chiedersi …

C’è più qualcosa di “normale”?

Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
10 ekim 2019
Hacim:
261 s. 3 illüstrasyon
ISBN:
9781640294325
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