Kitabı oku: «La Prima Caccia », sayfa 5
CAPITOLO OTTO
Con una serie di domande sulla morte di Rhea che riecheggiavano di continuo nella sua mente, Riley uscì ad esplorare il corridoio del dormitorio in ogni direzione.
E’ qui che è cominciata, pensò.
Si ritrovò a visualizzare il luogo come era giovedì sera, l’istante dopo che, pur riluttante, aveva accettato di andare al Covo del Centauro con le amiche.
Aveva appena indossato la sua giacca di denim sopra un top a frange ed era uscita nel corridoio. Trudy e Rhea stavano raggruppando le altre ragazze per l’uscita: Cassie, Gina ed Heather.
Riley ricordò il trambusto di immatura eccitazione nell’aria: la promessa di bere, ballare e forse di trovare dei ragazzi.
Ricordò anche quanto se ne fosse sentita estranea.
Ripercorse i passi del gruppo in fondo al corridoio e continuò fino all’esterno.
Era già buio fuori, non buio quanto lo era stato quella notte, ma i lampioni lungo la strada erano accesi, perciò per Riley fu facile visualizzare come le cose erano apparse quella sera.
Mentre percorreva il tragitto che tutte loro avevano fatto, Riley ricordò di essere rimasta indietro rispetto alle compagne, tentata di tornare nella sua stanza per riprendere a studiare. Cassie, Gina ed Heather avevano fatto gruppo, chiacchierando e ridacchiando. Rhea e Trudy avevano camminato fianco a fianco, ridendo a qualche battuta che Riley non era riuscita a sentire.
Riley continuò a visualizzare tutto ciò che era successo, mentre ripercorreva il percorso fatto fuori dal campus e lungo le strade circostanti. Presto, giunse all’entrata del Covo del Centauro, così come avevano fatto quella sera. Ricordò di essere stata spinta all’interno del locale, nel rumore e nell’aria densa di fumo.
In quel momento, il posto era decisamente meno affollato di quanto lo fosse stato quella sera. Era anche più tranquillo. “Uninvited”di Alanis Morissette suonava al jukebox, abbastanza a basso volume, tanto che era in grado di sentire il rumore delle palle da biliardo. E la pista da ballo era vuota e priva di luci.
Ma Riley riuscì vividamente a ricordare il baccano e il caos di quella sera, con “Whiskey in the Jar” che rimbombava ad alto volume, tanto da far vibrare l’intero locale aveva vibrato; Heather, Cassie e Gina si erano recate direttamente al bancone del bar, e Trudy aveva afferrato sia Riley sia Rhea per le mani, urlando al di sopra della musica …
“Forza, balliamo, noi tre!”
Mentre osservava la pista da ballo ora vuota, Riley ricordò di aver scosso la testa e di aver tirato via la mano; Trudy era sembrata ferita, ma poi le aveva mostrato la lingua, e si era lanciata sulla pista da ballo con Rhea.
Era stata l’ultima volta che Riley aveva visto Rhea, almeno viva?
Rammentò poi di essere andata di sotto, per starsene da sola. Aveva rivisto le amiche quando erano arrivate di sotto, barcollando ubriache; Trudy reggeva un boccale pieno di birra.
Riley aveva chiesto a Trudy …
“Dov’è Rhea?”
Trudy non lo sapeva, ma una delle altre ragazze, Heather, così sembrava a Riley, aveva detto che Rhea era già tornata al dormitorio.
Riley deglutì forte quando comprese: sì, l’ultima volta che aveva visto Rhea viva era lì sulla pista da ballo.
Si sentì nuovamente investita dal senso di colpa, e la brutalità di quella parola se …
Se forse fossi rimasta a ballare con loro …
Poi ricordò le parole del Dottor Zimmerman sul senso di colpa: non avrebbe riportato indietro Rhea …
“Concentriamoci invece sulla nostra capacità di empatia.”
Riley si chiese: era questo che stava cercando di fare ora, rivivendo quello che lei e le sue amiche avevano vissuto quella sera?
Stava cercando di empatizzare?
In quel caso, con chi?
Non ne aveva idea.
Tutto ciò che sapeva era che la sua curiosità stava aumentando sempre di più.
Intendeva semplicemente sapere, senza avere idea di che cosa si aspettasse di trovare.
Riley si allontanò dalla pista da ballo, e notò un paio di ragazzi giocare a biliardo. Uno di loro era Harry Rampling, il quarterback che l’aveva approcciata di sotto quella sera.
Riley osservò Harry giocare, notando che non riusciva a buttare neanche una pallina nelle buche. Che smacco! Riley pensò: lei era una brava giocatrice di biliardo.
Harry la vide e abbozzò un sogghigno.
Poi, si piegò verso il suo avversario, che si stava preparando alla propria mossa, e sussurrò qualcosa al suo orecchio, mentre guardava Riley. I due ragazzi risero in modo beffardo, lasciando intuire a Riley che, qualunque cosa Harry avesse detto di lei, fosse orrenda ed offensiva.
Fu presa dalla rabbia. Più che mai avrebbe voluto avvicinarsi e chiedere ad Harry che cosa avesse detto di lei, e poi insistere che si scusasse.
Ma non intendeva distrarsi dal compito che stava svolgendo.
Invece, restò a guardarlo per un momento, chiedendosi se la polizia gli avesse fatto visita quella sera. Dopotutto, lei aveva fatto il suo nome al Capo Hintz, così come aveva menzionato il nome di Ryan.
Ma ricordò l’approvazione di Hintz al solo nome di Harry e la disapprovazione dipinta sul volto dell’uomo quando Riley aveva asserito di averlo respinto. Naturalmente, il capo aveva un’opinione molto elevata dell’eroe del football e non avrebbe mai sospettato di lui. Riley si domandò se fosse un errore escludere quell’ipotesi.
Avrebbe dovuto andare da Harry e porgli delle domande?
A che cosa servirebbe? pensò.
Dopotutto, non era una poliziotta. Non sapeva come fare.
Inoltre, il fatto che la disgustasse non era una buona ragione per poter sospettare di lui. In realtà, per quanto riguardava l’omicidio, non era diverso da Ryan Paige, soltanto un altro ragazzo che si era per caso ritrovato al Covo del Centauro quella sera.
Si guardò intorno per un momento. Qualcun altro era stato lì quella sera, nel club o ad attendere all’esterno. Continuava a pensare che avrebbe dovuto ricordare più volti di quella sera. Ma, naturalmente, la polizia aveva interrogato tutti i presenti e non aveva individuato alcun sospettato.
Riley si diresse al bar. Seduto su uno sgabello da solo, a bere una birra, c’era un ragazzo alto e magro, che indossava un paio di occhiali spessi. Riley lo riconobbe immediatamente. Si trattava di Rory Burdon, che era stato sorpreso da una visita della polizia quella notte. Al momento, sembrava perso nei suoi pensieri.
Lei raggiunse lo sgabello accanto a lui e chiese: “Ti SPIACE se mi siedo?”
Rory fu destato dalle sue fantasticherie, e guardò Riley con sorpresa.
Poi, alzò le spalle e disse: “Prego.”
Riley sedette e ordinò una birra per sé.
Rory le chiese: “Eri una delle amiche di Rhea, non è vero? Ti ho vista con lei qualche volta.”
Riley annuì.
Rory fissò la sua birra per un istante.
Poi aggiunse: “Sto malissimo da quando è successo. Non sono andato alle lezioni oggi, e non intendo farlo neanche domani. Non riesco a comprendere che cosa sia successo. Ballavo con lei poco prima che se ne andasse.”
Poi scosse la testa e aggiunse: “Chi farebbe una cosa del genere ad una brava ragazza come Rhea?”
Riley non sapeva che cosa rispondere. Certamente non era una domanda di cui conosceva la risposta. Senza dubbio solo il killer avrebbe saputo rispondere.
Rory bevve un sorso di birra e disse: “La polizia è venuta al mio appartamento quella sera. E’ stato così che l’ho saputo. E’ stato orribile. Voglio dire … non è stato orribile venire interrogato in quel modo. I poliziotti stavano soltanto facendo il proprio lavoro. E’ solo che è stato orribile scoprirlo in quel modo.”
Poi, rivolse a Riley un’espressione curiosa.
“Tu come l’hai scoperto?” le chiese.
Riley sussultò.
“Ho trovato il corpo” rispose.
Rory sgranò gli occhi.
“Oh, mi dispiace tanto” disse. “Era una domanda stupida.”
“TRANQUILLO” Riley disse. “Non potevi saperlo.”
Riley bevette la sua birra. Restarono entrambi in silenzio per un momento.
Poi Rory disse lentamente e cautamente …
“Non so se dovrei dirtelo. La verità è che non l’ho detto a nessun altro …”
Tornò silenzioso.
Riley era davvero curiosa. Le avrebbe detto qualcosa su quanto accaduto a Rhea?
Poi disse: “Rhea mi piaceva davvero tanto. Quello che le è successo mi ha sconvolto.”
Riley era stupita. Ricordava quanto le amiche prendessero in giro Rhea per la sua “cotta” per Rory.
Doveva dire a Rory che Rhea provava lo stesso per lui?
Rory continuò: “Era davvero carina con me. Ballava persino con me di tanto in tanto, proprio come ha fatto quella sera. Sono sicuro che lo facesse da amica, e sapevo che era meglio non chiederle un vero appuntamento. Il fatto è …”
Di nuovo silenzio.
Poi aggiunse: “Ricordo quando se n’è andata quella sera. Ero vicino, quando ha detto alle sue amiche che sarebbe tornata nella sua stanza. Ero un po’ preoccupato. Ho pensato che forse non fosse il caso che ci andasse da sola. Ma …”
Il volto gli si contorse per l’emozione.
“Ho pensato di andare da lei e chiederle se potessi accompagnarla al dormitorio. Ma ero … troppo spaventato, riesci a crederci? Pensavo che, se mi fossi offerto di accompagnarla a casa, beh, forse lei l’avrebbe presa nel verso sbagliato. Forse si sarebbe stranita e avrebbe pensato che stessi cercando di perseguitarla … forse.”
Ora sembrava stesse respingendo le lacrime.
“Se fossi andato con lei, forse non sarebbe successo” disse. “Ma sono stato un vero codardo.”
Riley rabbrividì leggermente. Provò un improvviso dolore a quel tremendo termine, “codardo”.
Questa è empatia, pensò.
E non era affatto una sensazione positiva vivere il dolore emotivo di qualcuno.
Ma era contenta di una cosa. Aveva fatto bene a non dirgli dell’affetto che Rhea provava per lui. A quel punto sarebbe stato certo che la ragazza avrebbe accettato di essere accompagnata, se soltanto glielo avesse chiesto.
E si sarebbe sentito decisamente peggio.
Ma doveva dire qualcosa. Non poteva lasciarlo in preda a quei pensieri.
Così gli rispose: “Non sei stato un codardo. Molte persone si sentono così, le persone che la conoscevano, voglio dire. Anch’io. Io c’ero quella sera, e non ho nemmeno …”
La sua voce s’interruppe per un istante.
Poi disse: “Penso che tutti dobbiamo renderci conto che … insomma … che non è stata colpa nostra. Non siamo responsabili per quanto accaduto. E’ stato qualcun altro, e quella persona dev’essere trovata e deve pagare per il suo crimine. E’ sbagliato, davvero, davvero sbagliato accusarci.”
Il volto di Rory sembrò rilassarsi un po’.
Riley immaginava di dover dire la cosa giusta. Quasi aggiunse …
“La vita va avanti.”
… ma riuscì a fermarsi.
Dopotutto, quel vecchio cliché non era vero.
Gli eventi della settimana scorsa lo provavano.
Rory riprese: “Vorrei averla conosciuta meglio.”
Riley pensò tristemente …
Sì, anch’io.
Dette un colpetto sulla spalla di Rory, dicendo: “Prenditi cura di te, OK?”
Rory annuì e bevve un altro sorso di birra. Senza finire la sua, Riley si alzò e si allontanò dal bar. Mentre passava davanti al tavolo da biliardo, fu sollevata dal fatto che Harry Rampling e il suo amico fossero troppo immersi nel gioco per notarla.
Quando Riley uscì dal locale, l’improvvisa ondata di aria fresca della sera le fece tornare in mente quando era uscita dal Covo del Centauro, quel giovedì sera. Si fermò e se ne stette lì, poco distante dalla porta, incerta sul da farsi.
A poco a poco, una sensazione inquietante si fece strada dentro di lei …
Lui era qui, pensò.
L’assassino era dove mi trovo io adesso, ad aspettare.
Non sapeva perché, ma ne era assolutamente certa.
Infatti, sentiva esattamente ciò che lui aveva provato durante l’attesa, la sua accentuata consapevolezza, il respiro e il battito accelerati, la sua grande aspettativa.
Lei rabbrividì e realizzò …
Sto empatizzando con lui.
Era un’idea davvero terrificante: terrificante quanto la vista del corpo di Rhea.
Si chiese se avrebbe avuto il coraggio di abbandonarsi a quella sensazione.
Avrebbe osato discendere nell’oscurità della sua mente?
Devo farlo se posso, si disse severamente. Devo scoprire che cos’è successo a Rhea.
CAPITOLO NOVE
Riley si fermò a metà del pensiero.
Che cosa vuoi dire? si chiese. Che cosa pensi di fare?
Eppure non riusciva a cancellare l’idea dalla propria mente, il fatto che potesse in qualche modo sbirciare tra le vere sensazioni del killer.
Si allontanò dalla porta, e si appoggiò accanto al muro esterno dell’edificio, prendendo respiri profondi e provando a costringersi a pensare razionalmente.
Certamente, si disse, non crederai di riuscire a scoprire quello che è successo a Rhea prestando attenzione a …
… a cosa?
Ma persino mentre se ne stava lì a litigare con se stessa, sapeva che stava percependo qualcosa di reale. Stava ricevendo delle informazioni su quello che era successo in quel luogo.
E doveva apprenderle in qualunque modo possibile.
Si sentì sicura del modo in cui il killer doveva aver agito ed indietreggiò finché non si trovò nascosta tra le ombre accanto alla porta d’accesso del Covo del Centauro.
Immaginò la porta aprirsi e vide Rhea uscire da sola.
Lui la vede, pensò. Ma lei non lo vede.
Per un attimo fu in dubbio, chiedendosi se il killer avesse aspettato proprio Rhea?
Ricordò di nuovo le parole del Dottor Zimmerman …
“Il killer conosceva Rhea e la voleva morta.”
Ma, in quel momento, la mente razionale di Riley era ancora in balia di questa nuova ondata emotiva, e la ragazza ebbe dubbi su alcune spiegazioni del professore. Per esempio, come era possibile che il killer avesse previsto la scelta di Rhea di andare a casa da sola quella sera, e non circondata dalle amiche? Poteva essere rimasto ad aspettare una qualsiasi ragazza, che avesse deciso incautamente di lasciare da sola il Covo del Centauro?
Zimmerman poteva essersi sbagliato?
Riley non ne aveva idea. Sapeva soltanto che doveva fare affidamento al proprio istinto insieme alla logica.
A quel punto trovò più facile immaginare Rhea proseguire spensieratamente lungo la strada. Ricordò gli stivali che l’amica indossava quella sera, e ora riusciva quasi a sentirli ticchettare contro il pavimento, e riusciva a visualizzare il chiaro contorno della sua figura sotto le luci dei lampioni.
Per alcuni istanti, restò lì dove il killer doveva essersi posizionato, aspettando che Rhea si allontanasse un po’. Poi cominciò a camminare verso la stessa direzione. Riley indossava scarpe da tennis, per cui i suoi passi non erano rumorosi. Immaginava che il killer dovesse aver indossato anche lui delle scarpe a suola morbida. Il suo scopo era di restare quanto più silenzioso possibile.
Riley continuò a restare circa una dozzina di metri più indietro, rispetto a dove immaginava che fosse Rhea, finché non entrò nel campus, con i suoi sentieri tortuosi illuminati dai lampioni. Supponendo che il killer avesse fatto lo stesso, iniziò a ridurre la distanza.
Appena fu più vicina, si rese conto che persino le sue scarpe da tennis avrebbero fatto rumore e così i passi del killer sarebbero stati sentiti da Rhea.
La ragazza si era guardata indietro per vedere chi la stesse seguendo?
Forse.
O forse aveva soltanto aumentato il passo.
Riley cominciò a camminare più in fretta per stare al passo con lei.
Dev’essersi spaventata, pensò.
E alla fine, Rhea doveva essersi decisa a voltarsi.
Riley visualizzò il suo volto sotto la luce del lampione, vedendo chiaramente la sua espressione.
Scorse un mezzo sorriso di sollievo sul suo viso.
Lo conosceva, Riley comprese.
Ma quanto bene lo conosceva?
Forse, abbastanza bene da esserne sollevata, immaginava Riley.
Rassicurata, Rhea aveva probabilmente rallentato il passo, tornando ad un’ordinaria andatura.
Riley sentì la soddisfazione del killer aumentare, così come la sua grande aspettativa.
Ogni cosa stava andando esattamente come aveva sperato.
E poté sentirlo gridare con una voce dolce e amichevole …
“Ehi, è tardi. Vorresti che qualcuno ti accompagnasse?”
Riley immaginò Rhea rallentare, fino a fermarsi e rispondere con una risata timida …
“Sì, forse sarebbe una buona idea.”
Riley percepì poi l’esultanza del killer mentre camminava verso Rhea.
Lo sentì anche pensare …
Questa andrà bene.
Sarà davvero la scelta giusta.
Riley improvvisamente si bloccò sui suoi passi, turbata da quell’inquietante sensazione di connessione con il killer.
Era colpita dalle impressioni che scorrevano nella sua mente, dando alla sua immaginazione e alla sua logica una forza che non aveva mai percepito prima.
Ma ormai le sensazioni erano svanite.
Benché si sforzasse, non riusciva ad immaginare che cosa fosse accaduto dopo che lui si era avvicinato alla vittima fin troppo fiduciosa lì sul sentiero.
Ma forse era soltanto questo, dopotutto.
Lei intendeva davvero visualizzare l’omicidio stesso,nitidamente, come aveva visto gli eventi che avevano portato ad esso?
Provò a scuotersi di dosso la sensazione di male palpabile, che si era concessa di sperimentare, ma l’orrore non intendeva abbandonarla.
Si chiese …
Che cosa pensavo di fare?
Rammentò che cosa aveva detto il Dottor Zimmerman sull’empatia.
“Ci separa dai più terribili mostri del mondo.”
Ma che cos’era accaduto alle persone che cominciavano ad empatizzare con i mostri? Potevano diventare dei mostri loro stesse?
Le venne la pelle d’oca alla sola idea.
Lei ricordò un’altra cosa che il Dottor Zimmerman aveva detto.
“Era personale. Il killer conosceva Rhea e la voleva morta.”
Sicuramente, lui sapeva di che cosa stava parlando, molto meglio di quanto sapesse Riley.
Eppure, nel profondo, era sicura che lui si fosse sbagliato.
Il killer conosceva Rhea, ma solo appena, forse non più del suo nome.
E lei lo conosceva abbastanza bene da non esserne spaventata, da fidarsi di lui, tanto da farsi accompagnare fino al dormitorio.
Lui non aveva avuto nulla di personale contro di lei. Si era semplicemente ritrovata ad essere la ragazza che era uscita da sola dal Covo del Centauro, mentre lui aspettava.
Riley era anche sicura che il killer non avesse ancora finito. Se così era, avrebbe reclamato un’altra vittima.
Era solo questione di tempo.
Se Zimmerman si era sbagliato su questo, che cosa avrebbe fatto la polizia?
Capiva il tipo di mostro con cui aveva a che fare?
Provò a dirsi che non fossero affari suoi …
Che cosa credo di essere, una poliziotta?
Ad ogni modo, che cosa poteva fare?
Senza smettere di pensare, iniziò a correre. Corse fuori dal campus, e poi oltrepassò i quattro restanti isolati fino alla stazione di polizia di Lanton. Si fermò fuori dall’edificio per recuperare fiato, poi entrò.
Una donna in uniforme era seduta alla scrivania.
Chiese a Riley: “Posso aiutarti?”
Il cuore di Riley stava ancora battendo forte, sia per l’eccitazione sia per la corsa.
La ragazza disse: “Vorrei parlare con qualcuno della ragazza che è stata uccisa giovedì sera.”
La donna le strizzò gli occhi.
“Hai nuove informazioni?” chiese.
Riley aprì la bocca per parlare, ma non seppe che cosa dire.
Aveva nuove informazioni?
No, tutto quello che aveva era un presentimento vago ma assillante.
Poi, sentì una mano sulla spalla e sentì una voce maschile dietro di lei.
“Ti conosco. Che cosa ci fai qui?”
Riley si voltò e vide il viso grosso e arrossato dell’Agente Steele, il poliziotto che era arrivato quando stava sorvegliando la porta della stanza di Rhea. Riley ricordò che non era stato contento di vederla in quell’occasione.
“Ci devi delle spiegazioni” aveva detto. “Comincia pure.”
Suppose che fosse più felice di vederla adesso.
Balbettò: “Voglio, beh, voglio sapere come procedono le indagini.”
Il viso di Steele si contrasse con irritazione.
“Di certo non so come possano essere affari tuoi” le disse.
Riley fu presa dalla rabbia.
“Rhea era mia amica” la ragazza sbottò. “Questo li rende affari miei. E nessuno ha una novità.”
Steele scosse il capo, come se stesse per dire di no.
Ma, prima che potesse farlo, la donna alla scrivania disse: “Dai, Nat. Di’ alla povera ragazza quello che puoi. Non può creare problemi.”
Steele emise un verso d’irritazione.
Poi disse: “Stiamo perlustrando Lanton alla ricerca di indizi, interrogando gente a destra e a manca. Ora siamo piuttosto sicuri di una cosa. Il colpevole è stato in città soltanto di passaggio. Non si trova più a Lanton.”
Riley quasi sussultò per la sorpresa.
“Vuol dire che, insomma, che Rhea non lo conosceva?”
“No, probabilmente era un totale estraneo.”
Riley riuscì a malapena a credere alle proprie orecchie. Questo contraddiceva completamente quello che l’istinto le aveva appena comunicato.
Era persino in contraddizione con quanto il Dottor Zimmerman aveva detto in classe.
Ora lei non sapeva davvero che cosa dire.
L’Agente Steele disse: “Stiamo verificando se ci siano stati simili omicidi nel paese. Forse, il killer ha agito in un modo simile altrove. Se così fosse, forse possiamo coinvolgere l’FBI, ma …”
L’uomo alzò le spalle prima di aver completato la sua frase. Riley sapeva come completarla.
“Non ci speriamo molto.”
Era anche sicura che la polizia locale non si stesse sforzando molto di svolgere il proprio lavoro.
Fu tutto ciò che poté fare per non farsi scappare di bocca quello che sapeva, o credeva di sapere. Ma a Steele lei già non piaceva. Non sarebbe stato d’aiuto fargli credere che lei fosse fuori di testa.
Ma non poteva andarsene senza provare a farsi ascoltare. Si ricordò della poliziotta che era stata sulla scena del crimine, l’Ufficiale Frisbie.
Quando aveva preso Riley da parte, le aveva detto …
“Al momento l’istinto mi dice che sei la sola persona che potrebbe essere in grado di dirmi esattamente ciò che mi occorre sapere.”
Per qualche ragione, la Frisbie aveva creduto in Riley, quando Steele non lo aveva fatto.
Credeva anche nel potere dell’istinto.
Forse avrebbe ascoltato Riley.
Lei disse: “C’è l’Agente Frisbie? Voglio parlare con lei.”
Steele rivolse uno sguardo accigliato a Riley.
“Hai delle informazioni?” le chiese.
Riley voleva rispondere …
Sì, e la prenderai molto male.
Ma proprio non poteva. Non aveva nulla da dire che a quell’uomo ottuso potesse interessare.
Steele disse: “Se hai delle informazioni, puoi darmele immediatamente. Altrimenti, stai sprecando il tempo del dipartimento.”
Lui si voltò e si allontanò.
Riley guardò la donna in uniforme alla scrivania.
“La prego” disse. “Potrebbe solo dirmi dove potrei trovare l’Agente Frisbie?”
La donna sembrava un po’ riluttante a dire no.
“Mi dispiace” infine rispose. “Se hai un indizio, dillo. Altrimenti, faresti meglio ad andartene.”
Riley lasciò l’edificio, scoraggiata.
Che cosa stava succedendo?
Il Dottor Zimmerman era parso sicuro che l’omicidio di Rhea fosse stato di natura personale, ed un evento isolato.
I poliziotti sembravano pensare a qualcosa di completamente diverso: infatti credevano che il killer fosse di passaggio, ed avesse ucciso una ragazza a caso, e forse avesse commesso omicidi simili altrove.
Come potevano avere teorie così contrastanti?
E perché Riley era così sicura che entrambe le teorie fossero sbagliate?
Tornò dunque lentamente al campus.
Mentre proseguiva lungo i sentieri illuminati, si ritrovò a chiedersi …
Lui è fuori stasera?
Interruppe il suo tragitto, e si voltò lentamente, osservando e ascoltando. Persino alla luce del lampione, non riuscì a vedere a distanza, verso i sentieri tortuosi che si immergevano nel bosco.
Nonostante ciò, sentì un’oscura e palpabile presenza nell’aria.
Lui è qui, pensò. Mi sta osservando.
Ne era certa.
Era sorpresa di non essere terrorizzata. Voleva confrontarsi faccia a faccia con il killer, persino se avesse significato lottare per la sua vita.
Sarebbe stato meglio che annegare nell’incertezza che al momento lei sentiva.
Fu tentata di gridare …
“Vieni fuori! Mostrati!”
Ma s’impedì di farlo.
A che cosa sarebbe servito? Chi altro si aspettava di incontrare ad eccezione forse di qualche poliziotto del campus, che sarebbe stato infastidito dal suo falso allarme?
Per quanto fosse sicura di percepire la presenza del killer, sapeva che avrebbe fatto meglio a pensare che non si sarebbe mostrato al suo comando.
Se mirava davvero a lei, intendeva ucciderla subito o lasciarla andare?
Non poteva fare nulla per spingerlo in un senso o nell’altro.
Restò dunque lì ad aspettare silenziosamente per alcuni lunghi istanti. Poi, ricordò quando aveva ripercorso i passi del killer, al modo in cui aveva immaginato Rhea accelerare il passo, quando lo aveva sentito avvicinarsi.
Comprese …
Sto sbagliando.
L’uomo non intendeva attaccare qualcuno che non fosse spaventato. Voleva che la sua preda fosse indifesa.
Mostrando audacia, aveva perso la possibilità di fare da esca.
Infatti, sentì la sua inquietante presenza diminuire, mentre si allontanava nella notte.
Infine proseguì verso il suo dormitorio, ancora rimuginando sulle sensazioni che aveva avuto.
Non aveva mai provato nulla di simile prima.
Oppure sì?
Quando era una bambina, dopo la morte di sua madre, non aveva talvolta vissuto quel tremendo evento da un punto di vista che non fosse il suo?
Non si era anche affidata ai tremolii di una simile intuizione per stare lontano da suo padre, quando il suo umore lo rendeva pericoloso?
Poi, Riley si pose la domanda più importante.
Poteva sfruttare una sensibilità sviluppata nella sua terribile infanzia per scoprire che cos’era successo a Rhea?
Lei sapeva soltanto che doveva provarci.
Riley sussurrò all’invisibile e sconosciuto killer, ovunque fosse …
“Non fuggirai … non per sempre. Me ne assicurerò io.”