Prima Che Invidi

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P R I M A C H E I N V I D I

(UN MISTERO DI MACKENZIE WHITE — LIBRO 12)

B L A K E P I E R C E

TRADUZIONE DI

VALENTINA SALA

Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore della serie di successo dei misteri di RILEY PAGE, che si compone di quindici libri (in corso). Blake Pierce è anche autore della serie dei misteri di MACKENZIE WHITE, composta da tredici libri (in corso); della serie dei misteri di AVERY BLACK, composta da sei libri; della serie dei misteri di KERI LOCKE, composta da cinque libri; della serie di gialli GLI INIZI DI RILEY PAIGE, composta da tre libri (in corso); della serie dei misteri di KATE WISE, composta da quattro libri (in corso); della serie dei thriller-psicologici di CHLOE FINE, composta da tre libri (in corso) e della serie dei thriller psicologici di JESSE HUNT, composta da tre libri (in corso).

Avido lettore e appassionato da sempre di gialli e thriller, Blake riceve con piacere i vostri commenti, perciò non esitate a visitare la sua pagina www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare in contatto con l’autore

Copyright © 2019 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. Ad eccezione di quanto consentito dalla Legge sul Copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, né archiviata in un database o un sistema di recupero senza aver prima ottenuto il consenso dell’autore. La licenza di questo e-book è concessa solo ad uso personale. Questo e-book non può essere rivenduto o ceduto a terzi. Se si desidera condividere il libro con altre persone, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se state leggendo questo libro senza averlo acquistato, oppure senza che qualcuno lo abbia acquistato per voi, siete pregati di restituire questa copia e acquistarne una. Vi ringraziamo per il rispetto nei confronti del lavoro dell’autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, società, luoghi, eventi e fatti sono frutto dell’immaginazione dell’autore, oppure sono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza a persone reali, in vita o decedute, è puramente casuale. Copyright immagine di copertina Robsonphoto, concessa su licenza di Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

UN’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

L’EMOZIONANTE SERIE PSICOLOGICA DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

SUN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

LA SERIE DEGLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

LA SERIE DI GIALLI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITÀ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

LA SERIE DI GIALLI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

LA SERIE DI GIALLI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER CORRERE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

SERIE DI GIALLI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)

INDICE

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO UNO

Mackenzie fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, facendosi forza e tentando di fermare il dolore. Aveva letto così tanto sul metodo di respirazione ma ora, mentre Ellington la stava portando all'ospedale, sembrava che tutto fosse scivolato fuori dalla sua testa. Forse era perché le si erano rotte le acque e sentiva il liquido colarle lungo la gamba dei pantaloni. O forse era perché aveva avuto la prima, vera contrazione circa cinque minuti prima e adesso ne sentiva arrivare un’altra.

Mackenzie si schiacciò contro il sedile del passeggero, osservando la città sfrecciare in un susseguirsi di oscurità, pioggerella e lampioni. Ellington sedeva dietro al volante irrigidito e fissando il parabrezza come un uomo posseduto. Strombazzò il clacson quando si avvicinarono ad un semaforo rosso.

“Ell, puoi anche rallentare.”

“No, no, va bene così.”

Con gli occhi ancora chiusi per la guida spericolata di Ellington, Mackenzie si posò le mani in grembo, cercando di capacitarsi che sarebbe diventata madre entro poche ore. Poteva sentire il bambino muoversi a malapena, forse anche lui spaventato dalla guida di Ellington.

Presto ti vedrò, pensò. Era un pensiero che le procurava più gioia che preoccupazione, ed era grata per questo.

I lampioni e i segnali stradali sfrecciavano a gran velocità. Smise di prestarvi attenzione finché non vide l’indicazione per il pronto soccorso dell'ospedale.

Un uomo era sul marciapiede all’esterno dell’edificio ad attenderli sotto la tettoia con una sedia a rotelle, informato del loro arrivo. Ellington fermò con cautela la macchina e l'uomo li salutò con un cenno della mano e sorrise loro con il tipico pigro entusiasmo che pareva caratterizzare quasi tutto il personale del pronto soccorso alle due di notte.

Ellington la trattava come se fosse fatta di porcellana. Sapeva che era iperprotettivo perché era un po’ spaventato anche lui. Ma a parte quello, era gentile con lei. Lo era sempre stato. E ora stava dimostrando che sarebbe stato gentile anche con il bambino.

 

“Ehi, aspetta, rallenta” disse Mackenzie mentre Ellington la aiutava a salire sulla sedia a rotelle.

“Cosa? Che c'è? Qualcosa non va?”

Avvertì un'altra contrazione, ma riuscì comunque ad abbozzare un sorriso. “Ti amo, tutto qui.”

L'incantesimo di cui Ellington sembrava essere stato vittima negli gli ultimi diciotto minuti – tra quando era balzato fuori dal letto alla notizia che era giunto il momento fino a quando la stava aiutando a salire sulla sedia a rotelle – si interruppe per un istante e lui ricambiò il sorriso. Si chinò e la baciò dolcemente sulle labbra.

“Ti amo anch'io.”

L'uomo dietro la sedia a rotelle distolse lo sguardo, leggermente in imbarazzo. Quando ebbero finito, chiese loro: “Siete pronti per avere un figlio?”

Mackenzie fece una smorfia all’arrivo di una contrazione. Ricordava di aver letto che sarebbero peggiorate con l’avvicinarsi dell’arrivo del bambino. Ciononostante, riuscì a guardare oltre e annuì.

Sì, era pronta ad avere quel bambino. Anzi, non vedeva l'ora di tenerlo tra le braccia.

*

Alle otto della mattina, si era dilatata di soli quattro centimetri. Ormai conosceva bene il dottore e le infermiere, ma quando cambiarono i turni, l'umore di Mackenzie iniziò a mutare. Era stanca, dolorante, e semplicemente non le piaceva l'idea che un altro dottore infilasse la testa tra le sue gambe. Ma Ellington, diligente come sempre, era riuscito a contattare la sua ginecologa, che sarebbe arrivata in ospedale il prima possibile.

Quando Ellington tornò nella stanza dopo la chiamata, era accigliato. Detestava vederlo così giù dopo l’esaltazione di essere il suo protettore la scorsa notte, ma era anche contenta di non essere l'unica a sperimentare sbalzi di umore.

“Che c'è?” gli chiese.

“Sarà qui per il parto, ma ha detto che non verrà fino a quando non sarai di almeno otto centimetri. Inoltre... stavo per portarti delle cialde dalla mensa, ma le infermiere dicono che dovresti mangiare leggero. Ti porteranno della gelatina e dei cubetti di ghiaccio.”

Mackenzie si spostò sul letto e si guardò il ventre. Preferiva guardare lì, piuttosto che le macchine e i monitor a cui l'avevano attaccata. Stava tracciando la forma del pancione con le mani, quando bussarono alla porta. Il nuovo dottore entrò con in mano la sua cartella clinica. Aveva un aria felice e completamente riposata, probabilmente reduce da un bel sonno ristoratore.

Bastardo, pensò Mackenzie.

Il dottore per fortuna non chiacchierò molto mentre la visitava. Mackenzie non gli prestò molta attenzione, onestamente. Era stanca e si stava addormentando persino mentre lui le cospargeva il ventre di gel per controllare i progressi del bambino. Si addormentò per qualche istante, fino a quando sentì il medico che le parlava.

“Signora White?”

“Sì?” rispose, irritata perché non riusciva a schiacciare un pisolino. Aveva provato tra una contrazione e l’altra... avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un po’ di riposo.

“Avverte qualche nuovo disagio?”

“Solo lo stesso dolore che ho avuto da quando siamo arrivati ​​qui.”

“Ha sentito il bambino muoversi molto nelle ultime ore?”

“No, non direi. Perché... c'è qualcosa che non va?”

“No, non esattamente. Però credo che il bambino si sia girato. Ci sono buone possibilità che avrà un parto podalico. Inoltre sente un battito cardiaco irregolare... niente di terribilmente fuori dall'ordinario, ma abbastanza da suscitare preoccupazione.”

Ellington fu subito al suo fianco, prendendole la mano. “Podalico... è rischioso?”

“Quasi mai,” disse il dottore. “A volte impariamo che il bambino è girato a qualche settimana dal parto. Ma il vostro era nella posizione corretta durante l'ultima visita... era anche perfettamente posizionato quando vi siete registrati ieri notte. Poi però si è girato e, a meno che non ci siano cambiamenti drastici, non credo che tornerò nella giusta posizione. In questo momento, è il battito del cuore che mi preoccupa maggiormente.”

“Allora cosa mi consiglia?” chiese Mackenzie.

“Ecco, vorrei eseguire una visita approfondita sul bambino, solo per assicurarmi che il suo improvviso cambio di posizione non lo abbia messo in pericolo – il che spiegherebbe il battito cardiaco irregolare. Se non è così, e non c'è motivo di credere che sia così, prepareremo una sala operatoria il prima possibile.”

L'idea di saltare il parto tradizionale era allettante, certo, ma non la esaltava l’idea di un intervento chirurgico.

“Faccia ciò che ritiene sia la cosa migliore”, disse Mackenzie.

“È sicuro?” chiese Ellington, senza nemmeno tentare di nascondere il tremito di paura nella sua voce.

“Completamente sicuro,” disse il dottore, pulendo il gel in eccesso dalla pancia di Mackenzie. “Ovviamente, come per qualsiasi intervento chirurgico, dobbiamo informarvi che esiste sempre un fattore di rischio quando qualcuno è sul tavolo operatorio. Ma il parto cesareo è molto comune. Ne ho eseguiti personalmente più di cinquanta. E se non sbaglio la sua ginecologa è la dottoressa Reynolds. Ha qualche anno più di me... ma non ditele che ve l’ho detto... e vi garantisco che ne ha eseguiti più di me. Siete in ottime mani. Posso prenotare una sala?”

“Sì”, disse Mackenzie.

“Perfetto. Troverò una sala operatoria e mi assicurerò che la dottoressa Reynolds sia informata.”

Mackenzie lo guardò andarsene e poi abbassò lo sguardo sul suo ventre. Ellington si avvicinò e le loro mani si intrecciarono sulla dimora temporanea del loro bambino.

“Mette una certa paura, eh?” chiese Ellington, baciandola sulla guancia. “Ma andrà tutto bene.”

“Certo” disse lei con un sorriso. “Se pensi alle nostre vite e alla nostra relazione, sembra scontato che il bambino debba venire al mondo creando un po’ di scompiglio.”

Era sincera ma, nonostante tutto, in quello che era uno dei loro momenti più vulnerabili insieme, Mackenzie nascondeva più paura di quanto volesse far trasparire.

***

Kevin Thomas Ellington nacque alle dodici e venti. Pesava tre chili e trecento grammi e, secondo Ellington, aveva la stessa testa deforme e le guance rosse del padre. Non era esattamente l'esperienza di parto che Mackenzie si era aspettata, ma appena udì il suo primo vagito e i suoi primi respiri, non le importò più. Avrebbe anche potuto partorirlo dentro un ascensore o in qualche edificio abbandonato. Era vivo, era lì, e quella era la cosa importante.

Quando sentì le grida di Kevin, Mackenzie si concesse di calmarsi. Era stordita a causa dall'anestesia per il taglio cesareo e sentiva il sonno trascinarla. Era vagamente consapevole che Ellington era al suo fianco, con tanto di cuffia bianca da sala operatoria e camice blu. Le baciò la fronte senza cercare in alcun modo di nascondere il fatto che stesse piangendo apertamente.

“Sei stata fantastica,” disse tra le lacrime. “Sei così forte, Mac. Ti amo.”

Mackenzie aprì la bocca per dirgli che anche lei lo amava, ma non era del tutto sicura di averlo detto. Si addormentò cullata dai meravigliosi suoni di suo figlio che piangeva ancora.

La sua vita nell’ora successiva parve una specie di beatitudine frammentata. Era per lo più incosciente e non sentiva ancora nulla, mentre i dottori la ricucivano. Era completamente priva di sensi quando fu trasferita nella sala post-operatoria. A malapena si accorse di una equipe di infermieri che la visitavano, controllando i suoi parametri vitali.

Fu solo quando una delle infermiere entrò nella stanza che Mackenzie iniziò ad avere una presa più salda sui propri pensieri. Allungò goffamente una mano, cercando di prendere quella dell'infermiera, ma la mancò.

“Quanto è passato?” volle sapere.

L'infermiera sorrise, dimostrando che si era trovata in quella situazione molte altre volte. “È rimasta addormentata per circa due ore. Come si sente?”

“Come se avessi bisogno di tenere in braccio il bambino che è appena uscito da me.”

Questo suscitò una risatina da parte dell'infermiera. “È con suo marito. Adesso li faccio entrare entrambi.”

L'infermiera se ne andò e per tutto il tempo gli occhi di Mackenzie rimasero incollati alla soglia, finché Ellington non entrò, poco dopo. Stava spingendo una delle piccole culle dell'ospedale. Il sorriso sul suo viso era diverso da qualsiasi altro gli avesse mai visto prima.

“Come ti senti?” chiese accostando la culla accanto al suo letto.

“Come se le viscere mi fossero state strappate via.”

“Infatti è così” replicò Ellington con espressione divertita. “Quando mi hanno portato in sala operatoria, c’erano le tue budella in diversi contenitori. Adesso ti conosco dentro e fuori, Mac.”

Senza bisogno che Mackenzie glielo chiedesse, Ellington si piegò nella culla e tirò su il loro figlio. Lentamente, le porse Kevin. Mackenzie se lo strinse al petto e sentì immediatamente il suo cuore protendersi verso di li. Fu attraversata da un'ondata di emozione. Non ricordava se avesse mai pianto lacrime di felicità in vita sua, ma fu esattamente quello che fece mentre bacava la testolina di suo figlio.

“Siamo stati bravi”, disse Ellington. “Cioè, la mia parte è stata facile, ma sai cosa intendo.”

“Sì,” disse lei. Guardò gli occhi di suo figlio per la prima volta e le sembrò che qualcosa fosse scattato. Aveva la sensazione che la sua vita fosse cambiata per sempre. “Sì, siamo stati bravi.”

Ellington si sedette sul bordo del letto. Lo spostamento le causò una fitta al ventre – l’operazione si era conclusa meno da meno di due ore – ma non disse nulla.

Rimase lì a sedere, avvolta dal braccio di suo marito, con il loro figlio appena nato tra le braccia e non riuscì a ricordare un solo momento della sua vita in cui avesse provato una felicità così assoluta.

CAPITOLO DUE

Mackenzie aveva trascorso gli ultimi tre mesi della gravidanza leggendo qualsiasi libro sui bambini che era riuscita a trovare. Non sembrava esserci una risposta univoca su cosa aspettarsi nelle prime settimane a casa con un neonato. Alcuni dicevano che l’ideale fosse dormire quando il bambino dormiva. Altri suggerivano di dormire appena ce n’era l’occasione, con l'aiuto del coniuge o di altri membri della famiglia che erano disponibili. Tutto ciò aveva fatto capire a Mackenzie che il sonno sarebbe stato solo un prezioso ricordo del passato, una volta portato a casa Kevin.

Questo si rivelò esatto per le prime due settimane circa. Alla prima visita di Kevin si era scoperto che soffriva di un grave reflusso gastrico. Ciò significava che, ogni volta che mangiava, doveva essere tenuto in posizione verticale per quindici-trenta minuti. Era piuttosto semplice, ma diventava impegnativo durante le poppate notturne.

Fu proprio in quei momenti che Mackenzie iniziò a pensare a sua madre. La seconda notte che aveva dovuto tenere dritto Kevin dopo averlo allattato, Mackenzie si chiese se sua madre avesse affrontato qualcosa del genere. Si domandò che tipo di bambina fosse stata.

Probabilmente avrebbe piacere di vedere suo nipote, pensò Mackenzie.

Ma era un concetto terrificante. Già trovava difficile chiamare sua madre anche solo per salutarla, se poi doveva dirle dal nulla che era diventata nonna...

Sentì Kevin che si agitava contro di lei, cercando di mettersi più comodo. Mackenzie controllò l'orologio sul comodino e vide che lo aveva tenuto dritto per poco più di venti minuti. Sembrava essersi appisolato sulla sua spalla, così si avvicinò alla culla e ve lo adagiò. Era ben avvolto dalle coperte e sembrava a suo agio, così lo guardò un’ultima volta per poi tornare a letto.

“Grazie” disse Ellington di fianco a lei, mezzo addormentato. “Sei fantastica.”

“Non mi sento fantastica, ma grazie.”

Si sistemò, posando la testa sul cuscino. Aveva chiuso gli occhi da appena cinque secondi che Kevin ricominciò a piangere. Si drizzò a sedere nel letto e gemette piano. Poi però cercò di controllarsi, temendo di scoppiare a piangere. Era stanca e la cosa peggiore era che stava iniziando ad avere i primi pensieri negativi su suo figlio.

“Ancora?” esclamò Ellington, quasi imprecando. Si alzò e, quasi inciampando nello scendere dal letto, si avvicinò alla culla.

 

“Ci penso io” disse Mackenzie.

“No... sei stata con lui già quattro volte. E guarda che lo so... mi sono svegliato ogni volta.”

Non sapeva perché (probabilmente la mancanza di sonno, pensò pigramente), ma quel commento la fece incazzare. Praticamente si fiondò fuori dal letto per arrivare al bambino che piangeva prima di lui. Passando, gli diede una spallata che era troppo forte per essere considerata giocosa. Prendendo Kevin, disse: “Oh, mi dispiace. Ti ha svegliato?”

“Mac, sai cosa intendo.”

“Sì, lo so. Ma Gesù, potresti aiutarmi di più.”

“Devo alzarmi presto domani”, disse. “Non posso semplicemente starmene seduto a...”

“Oddio, ti prego, finisci quella frase.”

“No. Mi dispiace. È solo che...”

“Torna a letto” sbottò Mackenzie. “Kevin e io ce la caveremo.”

“Mac…”

“Sta' zitto. Torna a letto e dormi.”

“Non posso.”

“Il bambino è troppo rumoroso? Vai sul divano, allora!”

“Mac, tu...”

“Vai!”

Adesso piangeva, stringendo Kevin a sé mentre si rimetteva a letto. Il piccolo si lamentava ancora, probabilmente per il reflusso. Sapeva che avrebbe dovuto tenerlo di nuovo in piedi e questo le fece venir voglia di piangere ancora più forte. Ma fece del suo meglio per trattenersi mentre Ellington usciva dalla stanza come una furia. Stava borbottando qualcosa sottovoce e Mackenzie fu felice di non capire cosa dicesse. Stava cercando una scusa per esplodere contro di lui, per rimproverarlo e, ad essere sinceri, solo per sfogare un po’ della sua frustrazione.

Si appoggiò contro la testata del letto tenendo il piccolo Kevin il più fermo e dritto possibile, chiedendosi se la sua vita sarebbe stata più la stessa.

***

In qualche modo, nonostante i litigi a tarda notte e la mancanza di sonno, ci volle meno di una settimana perché la neo-famiglia si abituasse ai nuovi ritmi. C’erano voluti diversi tentativi da parte di Mackenzie ed Ellington per capire come far funzionare le cose, ma dopo quella prima settimana di problemi di reflusso, tutto sembrò andare liscio. Una volta che le medicine ebbero eliminato i sintomi peggiori, fu più facile gestirlo. Quando Kevin piangeva, Ellington lo tirava fuori dalla culla e gli cambiava il pannolino, poi Mackenzie lo allattava. Dormiva abbastanza per un neonato, circa tre o quattro ore di fila per le prime settimane dopo il reflusso, e non era affatto capriccioso.

Fu Kevin, però, che iniziò ad aprire loro gli occhi su quanto fossero terribili le loro famiglie d’origine. La madre di Ellington arrivò due giorni dopo che Mackenzie era tornata a casa, rimanendo per circa due ore. Mackenzie era stata piuttosto educata, restando lì con loro fino al primo momento opportuno per una pausa. Allora era andata in camera da letto per fare un sonnellino mentre Kevin era impegnato con il padre e la nonna, tuttavia non era riuscita a dormire. Aveva ascoltato la conversazione tra Ellington e sua madre, sorpresa dal fatto che sembrava esserci un tentativo di riconciliazione. La signora Nancy Ellington era uscita dall'appartamento circa due ore dopo, e persino attraverso la porta della camera da letto, Mackenzie era in grado di percepire parte della tensione residua tra loro.

Tuttavia, aveva lasciato un regalo per Kevin e aveva persino chiesto del padre di Ellington, un argomento che quasi sempre cercava di evitare.

Il padre di Ellington non si era nemmeno preso la briga di venire. Ellington gli aveva fatto una videochiamata tramite FaceTime e, nonostante fossero rimasti a chiacchierare per quasi un'ora e il padre avesse persino le lacrime agli occhi, non aveva in programma di venire a trovare il nipotino nell’immediato futuro. Aveva iniziato la sua nuova vita molto tempo prima, e quella vita non comprendeva nessuno della sua famiglia originale. A quanto pareva, voleva lasciare le cose così. Certo, l'anno prima aveva tentato di compiere un gesto eclatante pagando il loro matrimonio (regalo che alla fine avevano rifiutato), ma quello era stato solo un aiuto a distanza. Al momento viveva a Londra con la moglie numero tre ed era apparentemente oberato di lavoro.

Quanto a Mackenzie, anche se pensava spesso alla madre e alla sorella – gli unici membri ancora in vita della sua famiglia – l’idea di mettersi in contatto con loro era terrificante. Sapeva dove viveva sua madre e, con un piccolo aiuto da parte del Bureau, pensava di poter ottenere il suo numero. Stephanie, sua sorella minore, probabilmente sarebbe stata un po’ più difficile da rintracciare. Dal momento che Stephanie non era mai stata in grado di rimanere a lungo nello stesso posto, Mackenzie non aveva idea di dove potesse trovarsi al momento.

Purtroppo, aveva scoperto che le andava bene così. Certo, pensava che sua madre meritasse di vedere il suo primo nipotino, ma ciò significava riaprire le cicatrici che aveva chiuso poco più di un anno prima, quando aveva finalmente chiuso il caso dell'omicidio di suo padre. Chiudendo il caso, aveva anche chiuso la porta su quella parte del suo passato, incluso il terribile rapporto che aveva sempre avuto con sua madre.

Era strano quanto spesso pensasse a sua madre ora che aveva un figlio suo. Ogni volta che teneva in braccio Kevin, si ricordava di quanto fosse stata distante sua madre anche prima dell'omicidio del padre. Giurò a se stessa che Kevin avrebbe sempre saputo che sua madre lo amava, che non avrebbe mai lasciato che qualcos’altro – né Ellington, né il lavoro, né i suoi problemi personali – venisse prima di lui.

Era proprio questo ciò che aveva in mente la dodicesima notte dopo che avevano portato a casa Kevin. Aveva appena finito di dare a Kevin la poppata notturna, che ormai era sempre tra l'una e le due. Ellington stava rientrando nella stanza dopo aver sistemato Kevin nella sua culla nella stanza accanto. Un tempo era stato uno studio in cui conservavano tutte le loro pratiche burocratiche e oggetti personali, poi lo avevano trasformato in una cameretta.

“Perché sei ancora sveglia?” chiese rimettendosi a letto e affondando il viso nel cuscino.

“Credi che saremo dei buoni genitori?”

Sollevò la testa assonnato e scrollò le spalle. “Credo di sì. Insomma, tu di sicuro. Io invece... immagino che lo spronerò parecchio quando farà sport. È qualcosa che mio padre non ha mai fatto per me, e che mi è sempre mancato.”

“Sono seria.”

“Sì, l’avevo capito. Come mai lo chiedi?”

“Perché le nostre famiglie sono così incasinate. Come sappiamo come allevare un bambino nel modo giusto se abbiamo delle esperienze così orribili alle spalle?”

“Immagino che prenderemo nota di tutto ciò che i nostri genitori hanno sbagliato e non lo rifaremo.”

Allungò un mano nel buio e gliela posò sulla spalla con fare rassicurante. Mackenzie avrebbe voluto che la abbracciasse da dietro accoccolandosi contro di lei, ma non era ancora completamente guarita dall'intervento.

Così rimasero sdraiati l'uno accanto all'altra, esausti ed eccitati in egual misura per la loro vita che andava avanti, finché il sonno li chiamò a sé uno alla volta.

***

Mackenzie si ritrovò a camminare di nuovo tra i filari di granoturco. Gli steli erano così alti che non riusciva a vederne la cima. Le pannocchie facevano capolino nella notte come vecchi denti ingialliti che spuntavano da gengive marce. Ognuna era lunga quasi un metro; gli steli su cui crescevano erano enormi, e la facevano sentire piccola come un insetto.

In un punto più avanti, un bambino piangeva. Non un bambino qualsiasi, ma suo figlio. Già, riusciva a riconoscere le tonalità e le note dei lamenti del piccolo Kevin.

Mackenzie scattò attraverso i filari di granoturco. Gli steli la frustavano in viso e la facilità con cui la fecero sanguinare era sconcertante. Arrivata in fondo, aveva la faccia tutta ricoperta di sangue. Poteva sentirne il sapore in bocca e le gocciolava dal mento finendo dentro la camicia.

Si fermò in fondo al filare. Davanti a lei si apriva un’ampia radura, nient'altro che terra ed erba secca. Eppure, proprio nel mezzo, c’era una piccola struttura che conosceva bene.

Era la casa in cui era cresciuta. Era da lì che proveniva il pianto.

Mackenzie corse verso la casa, cercando di opporsi al grano che le era ancora attaccato e cercava di trascinarla di nuovo in mezzo al campo.

Corse più forte, accorgendosi che i punti sulla pancia si erano aperti. Quando raggiunse il portico della casa, il sangue della ferita le colava lungo le gambe, raccogliendosi sui gradini del portico.

La porta d'ingresso era chiusa, ma poteva ancora sentire il pianto. C’era il suo piccino che gridava, là dentro. La porta si aprì con facilità, senza cigolii o resistenza; evidentemente il tempo lì non contava. Prima ancora di entrare, vide Kevin.

Piazzata in mezzo al soggiorno spoglio – lo stesso soggiorno in cui aveva trascorso così tanto tempo da piccola – c’era una sedia a dondolo. La madre di Mackenzie vi era seduta con in braccio Kevin, dondolandolo dolcemente.

Sua madre, Patricia White, la guardò, con un aspetto molto più giovane dell'ultima volta che Mackenzie l'aveva vista. Sorrise a Mackenzie, gli occhi iniettati di sangue e quasi alieni.

“Sei stata brava, Mackenzie. Ma pensavi davvero di poterlo tenere lontano da me? E comunque, perché vorresti una cosa del genere? Sono stata una madre così terribile? Eh?”

Mackenzie aprì la bocca per dire qualcosa, per ordinarle di ridarle il bambino. Invece, tutto ciò che ne uscì fu terra e polvere di mais, che caddero dalla sua bocca finendo a terra.

Per tutto il tempo, sua madre sorrise e tenne Kevin stretto a sé, premendoselo contro il petto.

Mackenzie scattò a sedere nel letto, con un urlo che le premeva dietro le labbra.

“Gesù, Mac... stai bene?”

Ellington era in piedi sulla soglia della camera da letto. Indossava una maglietta e un paio di pantaloncini da jogging, il che voleva dire che aveva fatto ginnastica nel piccolo spazio che si era ritagliato nella camera degli ospiti.

“Sì” disse lei. “Era solo un brutto sogno. Un incubo.”

Poi guardò l'orologio e vide che erano quasi le otto del mattino. Ellington l’aveva lasciata riposare; Kevin si era svegliato verso le cinque o le sei per la sua prima poppata.