Kitabı oku: «Prima Che Uccida», sayfa 6
Mentre stava per rimettersi al posto di guida nell’auto, un altro membro della squadra di giornalisti uscì dal furgoncino e iniziò a scattare foto. Mackenzie notò con mortificazione che l’obiettivo era puntato su di lei. Abbassò la testa, entrò in macchina e avviò il motore. Intanto vide che tre poliziotti, con Nelson al centro, si stavano già affrettando verso il furgoncino. La giornalista però cercò comunque di avvicinarsi.
Alla fine se ne andarono, ma Mackenzie sapeva che era troppo tardi.
L’indomani la sua foto sarebbe stata sulla prima pagina di tutti i giornali.
CAPITOLO UNDICI
Venne fuori che Nelson si sbagliava sul conto dell’FBI. Mackenzie aveva ricevuto una telefonata alle 6:35 in cui le avevano chiesto di recarsi in aeroporto per andare a prendere un agente che era in arrivo. Aveva dovuto fare le cose in fretta, dato che il volo sarebbe arrivato alle 8:05, e si sentì in imbarazzo al pensiero che avrebbe fatto una prima impressione senza potersi sistemare i capelli.
Quello però era l’ultimo dei suoi problemi mentre aspettava al gate, seduta su una scomoda sedia. Stava ingurgitando una tazza di caffè, sperando di far scordare alla sua mente che era riuscita a farsi solo cinque ore di sonno quella notte. Era la terza tazza che beveva quella mattina e sapeva che se non ci dava un taglio le sarebbe venuta la tremarella. Tuttavia, non poteva permettersi di sentirsi stanca e distratta.
Ripassò tutto mentalmente mentre attendeva che l’agente scendesse dal volo, rivedendo la raccapricciante scena della sera prima. Non poteva evitare di sentirsi come se le fosse sfuggito qualcosa. Si sperava che l’agente dell’FBI sarebbe riuscito a metterli sulla pista giusta.
Nelson le aveva inviato per email un fascicolo sull’agente, che lei aveva letto rapidamente mentre faceva colazione con una banana e una ciotola di fiocchi d’avena. Fu grazie a quello che Mackenzie individuò subito l’agente, quando questi scese dalla passerella per entrare in aeroporto. Jared Ellington, trentun anni, laureato a Georgetown, con esperienza che comprendeva un periodo a fare profiling criminale in casi di antiterrorismo. Portava i capelli neri pettinati all’indietro come sulla foto e dal completo che indossava era chiaro che fosse un agente in missione ufficiale.
Mackenzie gli andò incontro. Odiava il fatto che continuasse a ritoccarsi gli stupidi capelli. Si sentiva esausta e fuori fase per aver dovuto fare tutto in fretta così presto quella mattina. Tra l’altro, non le era mai importato molto della prima impressione che dava alle persone, e non era una che si preoccupava troppo della propria apparenza. Quindi perché adesso sì?
Forse era perché l’agente era dell’FBI, un ente che lei rispettava. Oppure era perché, suo malgrado, era colpita dal suo aspetto. Si odiava per questo, non solo per via di Zack, ma per la natura urgente e raccapricciante del loro lavoro.
“Agente Ellington” lo salutò tendendogli la mano e cercando di far sembrare il suo tono il più professionale possibile. “Io sono Mackenzie White, uno dei detective impegnati in questo caso.”
“Piacere di conoscerti” disse Ellington. “Il capitano mi ha detto che sei la detective a capo del caso. È così?”
Lei face del suo meglio per nascondere lo shock, ma annuì.
“Esatto” confermò. “So che sei appena sceso dall’aereo, ma dobbiamo sbrigarci e andare alla centrale.”
“Ma certo” le rispose. “Ti seguo.”
Attraversarono l’aeroporto e lo accompagnò al parcheggio sul retro. Restarono in silenzio mentre camminavano e Mackenzie ne approfittò per studiarlo. Sembrava rilassato, non impettito e rigido come i pochi tizi dell’FBI che aveva incontrato. Sembrava anche molto serio e intenso. Aveva un’aria molto più professionale di tutti gli altri uomini con cui lavorava.
Mentre erano in viaggio sull’interstatale, lottando contro il traffico mattutino nei pressi dell’aeroporto, Ellington iniziò a scorrere una serie di email e documenti sul cellulare.
“Dimmi una cosa, Detective White” disse, “che tipo di persona pensi che sia quella che cerchiamo? Ho dato una letta agli appunti che mi ha mandato il Comandante Nelson e devo dire che mi sembri molto acuta.”
“Grazie” disse lei. Poi, liquidando rapidamente il complimento, aggiunse: “Per quanto riguarda il tipo di persona che cerchiamo, credo che tutto scaturisca da un abuso. Se consideri che le vittime non hanno subito violenza sessuale però sono state spogliate e lasciate in biancheria, ciò indica che questi omicidi sono basati su un qualche bisogno di vendetta verso una donna che gli ha fatto un torto in passato. Per questo credo si tratti di un uomo che prova imbarazzo per il sesso, o quantomeno lo trova ripugnante.”
“Vedo che non hai escluso che c’entri la religione” disse Ellington.
“No, non ancora. Il modo stesso in cui dispone le sue vittime ha chiari riferimenti alla crocefissione. Inoltre, il fatto che le donne che uccide siano tutte una rappresentazione del desiderio maschile, rende difficile escludere una pista religiosa.”
L’agente annuì, continuando a guardare il cellulare. Mentre si destreggiava nel traffico, gli lanciava occhiate furtive, colpita dalla sua bellezza. Non saltava subito all’occhio, ma Ellington aveva un fascino semplice ma al tempo stesso vigoroso in lui. Non sarebbe mai stato un leader, ma poteva essere un’aggiunta attraente alla squadra dell’eroe.
“So che ti sembrerò maleducato” disse, “ma sto cercando di assicurarmi di essere aggiornato sul caso. Come sono sicuro saprai, mi hanno convocato per questo caso meno di sei ore fa. Sono un po’ scombussolato.”
“Non sei affatto maleducato” lo rassicurò Mackenzie. Trovava piacevole essere in macchina con un uomo senza che la conversazione fosse farcita di insulti velati e sessismo. “Posso chiederti le tue prime impressioni sul nostro killer?”
“La mia domanda è perché esporre i corpi?” disse Ellington. “Questo mi fa pensare che gli omicidi non siano solo una vendetta personale. Lui vuole che le persone vedano quello che ha fatto. Vuole che queste donne siano uno spettacolo, il che indica che è orgoglioso di ciò che fa. Oserei addirittura supporre che crede di fare un favore al mondo.”
Mackenzie avvertì un moto di eccitazione mentre si avvicinavano al distretto. Ellington era l’esatto opposto di Porter e sembrava avere il suo stesso metodo di analisi del criminale. Non ricordava quando era stata l’ultima volta che aveva potuto condividere liberamente i propri pensieri con un collega senza paura di essere ridicolizzata o sminuita. Aveva già capito che era facile parlare con Ellington e che era una persona che rispettava le opinioni degli altri. Inoltre, in tutta onestà, non guastava che fosse anche attraente.
“Sento che sei sulla pista giusta” disse Ellington. “Detto tra noi, credo che possiamo inchiodare questo tizio. Tra le informazioni sui nodi, il fatto che guida un pick-up o un furgone e il fatto che a quanto pare usa ogni volta la stessa arma, c’è un sacco con cui lavorare. Non vedo l’ora che la nostra collaborazione abbia inizio, Detective White.”
“Anch’io” disse lei, sbirciandolo di nuovo con la coda dell’occhio mentre lui continuava diligentemente a leggere email sul cellulare.
La sua eccitazione continuava a crescere; si sentiva motivata nel proprio lavoro, cosa che non provava da molto tempo. Si sentiva ispirata, rinvigorita, sentiva che le cose nella sua vita stavano per cambiare.
*
Poco più di un’ora più tardi, Mackenzie tornò rapidamente alla realtà osservando l’Agente Jared Ellington nella sala conferenze, in piedi davanti a poliziotti che chiaramente non ritenevano necessario il suo aiuto. Un paio di agenti seduti al tavolo prendevano appunti, ma nell’aria c’era una tensione che si leggeva sui volti di tutti. Notò che Nelson, seduto di fianco al posto principale, sembrava nervoso e a disagio. La decisione finale se chiamare o meno L’FBI era spettata a lui e si intuiva che non fosse più sicuro di aver fatto la scelta giusta.
Nel frattempo, Ellington faceva del proprio meglio per tenere la situazione sotto controllo mentre teneva un breve discorso in cui esponeva gli stessi punti di cui aveva discusso con Mackenzie mentre venivano lì dall’aeroporto – che il killer che cercavano aveva probabilmente un’avversione per il sesso e che era orgoglioso degli omicidi. Analizzò anche tutti gli indizi che avevano e ciò che potevano significare. Fu solo quando parlò di far analizzare il legno dei pali che ottenne una reazione di qualche tipo dai poliziotti al tavolo.
“Per quanto riguarda i campioni di legno” disse Nelson, “i risultati dovrebbero arrivare entro un paio d’ore.”
“A cosa dovrebbe servire comunque?” chiese Porter.
Nelson guardò verso Mackenzie e annuì, dandole il permesso di rispondere alla domanda.
“Be’, basandoci sui risultati potremo controllare gli stabilimenti che producono legname per vedere se qualcuno recentemente ha acquistato quel tipo di legno.”
“Sembra un’ipotesi azzardata” disse un vecchio poliziotto dal fondo della sala.
“Lo è” intervenne Ellington, riprendendo rapidamente il controllo della discussione. “Ma un’ipotesi azzardata è meglio di niente. Vi prego inoltre di non fraintendermi: non sono qui per assumere il controllo totale sul caso, sono qui solo come elemento mobile nella sua risoluzione, una persona di riferimento per fare in modo che abbiate pieno accesso a tutte le risorse che l’FBI può fornire. Questo include ricerca, personale e tutto quello che può servire ad arrestare il killer. Sono qui solo temporaneamente, probabilmente per non più di trentasei o quarantotto ore, poi me ne andrò. Il caso è vostro, signori, io sono solo un aiutante.”
“Allora, da dove iniziamo?” chiese un altro poliziotto.
“Dopo questa riunione mi metterò al lavoro con il Capitano Nelson per dividervi in squadre” disse Ellington. “Manderemo alcuni di voi a parlare con le colleghe di Hailey Lizbrook. Da quel che ho capito, avremo presto i risultati completi dell’autopsia e le informazioni sul corpo rinvenuto la notte scorsa. Non appena sapremo l’esatta identità della vittima, alcuni di voi dovranno andare dalla sua famiglia, poi da alcuni miei colleghi per riferire le informazioni. Avremo anche bisogno di qualcuno che vada a controllare gli stabilimenti del posto, non appena avremo i risultati del test sul legname.”
Mackenzie notò di nuovo la postura rigida di quasi tutti i poliziotti che erano al tavolo. Trovava difficile credere che fossero così orgogliosi (o forse, pensò, pigri) da prendere ordini diretti da qualcuno che non conoscevano bene, a prescindere da quale posizione occupasse nella catena alimentare. Era davvero così difficile liberarsi della mentalità di una piccola cittadina? Se l’era chiesto spesso in seguito al modo umiliante in cui la maggior parte degli uomini presenti l’aveva trattata fin dal suo arrivo.
“Questo è tutto per ora” concluse Ellington. “Ci sono domande?”
Ovviamente non ce n’erano. Nelson però si alzò e si affiancò ad Ellington.
“L’Agente Ellington lavorerà con la detective White, perciò se avete bisogno di lui, lo troverete nel suo ufficio. So che non è molto ortodosso, ma prendiamo le cose per come sono e approfittiamo appieno della generosità dell’FBI.”
Nella stanza si levarono diversi borbottii di consenso, mentre i poliziotti si alzavano dal tavolo e se ne andavano. Mentre uscivano dalla stanza, Mackenzie notò che alcuni la guardavano con più rimprovero e rabbia del solito. Distolse lo sguardo e si alzò per raggiungere Nelson ed Ellington.
“C’è qualcosa di cui dovrei essere messa al corrente?” chiese Mackenzie a Nelson.
“Che intendi dire?”
“Oggi sto ricevendo più occhiatacce del solito,” disse.
“Occhiatacce?” si stupì Ellington. “E perché di solito ricevi delle occhiatacce?”
“Perché sono una giovane donna determinata che dice quello che pensa” spiegò Mackenzie. “Agli uomini di qui non piace. Alcuni di loro pensano che dovrei starmene a casa a cucinare.”
Nelson sembrava estremamente in imbarazzo, e anche un po’ irritato. Pensava che avrebbe tentato di dire qualcosa in difesa propria e dei suoi uomini, ma non ne ebbe l’occasione. Porter si unì a loro sbattendo il giornale locale sul tavolo.
“Credo che sia questo il motivo delle occhiatacce” disse.
Guardarono tutti il giornale. Mackenzie si sentì mancare e Nelson si lasciò andare ad un’imprecazione dietro di lei.
Il titolo in prima pagina recitava “KILLER DELLO SPAVENTAPASSERI ANCORA A PIEDE LIBERO.” Il sottotitolo diceva: “La polizia alle strette sembra non avere risposte, intanto un’altra vittima è stata scoperta.”
La foto mostrava Mackenzie che saliva sull’auto con cui lei e Porter si erano recati nel campo il giorno prima. Il fotografo aveva immortalato tutto il lato sinistro del suo viso. La cosa peggiore era che sembrava piuttosto carina nella foto. Che volesse ammetterlo o no, la foto proprio sotto il titolo essenzialmente faceva di lei il volto dell’indagine.
“Non è giusto” si lamentò, detestando il modo in cui le uscì di bocca.
“Gli altri pensano che la cosa ti diverta” disse Porter. “Credono che tu sia determinata a chiudere questo caso per farti pubblicità.”
“È quello che credi anche tu?” gli domandò Nelson.
Porter fece un passo indietro e sospirò. “Personalmente no. La White mi ha colpito in questi ultimi giorni. Vuole catturare quell’uomo, costi quel che costi.”
“Allora perché non la difendi?” chiese Nelson. “Tienili occupati mentre aspettiamo di scoprire l’identità dell’ultima vittima e i risultati delle analisi sul legno.”
Con l’aria di un bambino che era appena stato sgridato per aver detto una bugia, Porter abbassò il capo e disse: “Sì, signore.” Uscì senza voltarsi.
Nelson guardò di nuovo il giornale, poi si rivolse a Mackenzie. “Secondo me dovresti approfittarne. Se i media vogliono associare alle indagini una bella faccia, lasciali fare. Questo ti farà fare ancora più bella figura quando arresterai il bastardo.”
“Sì, signore,”
“Agente Ellington, cosa le serve da me?” chiese Nelson.
“Soltanto il suo detective migliore.”
Nelson sorrise e puntò il pollice verso Mackenzie. “Ce l’hai davanti.”
“Allora credo che siamo a posto così.”
Nelson uscì dalla sala conferenze, lasciando Mackenzie ed Ellington da soli.
Mackenzie iniziò a raccogliere i suoi appunti e il portatile mentre Ellington si guardava attorno. Era chiaro che si sentiva fuori posto e non era sicuro di come affrontare la cosa. Lei stessa si sentiva un po’ fuori posto. Era contenta che gli altri se ne fossero andati tutti. Le piaceva stare da sola con lui, era come avere un confidente, qualcuno che la vedeva come un suo pari.
“Allora” disse lui, “davvero ti disprezzano solo perché sei giovane e sei una donna?”
Lei scrollò le spalle.
“Così sembra. Ho visto nuovi arrivati – uomini, bada bene – presi di mira, ma non vengono trattati come vengo trattata io. Io sono giovane, motivata e, secondo alcuni, di aspetto piacevole. C’è qualcosa in questa combinazione che li confonde. Per loro è più semplice liquidarmi come una bella figa con troppe ambizioni piuttosto che come una donna sotto i trent’anni che ha un’etica lavorativa più integra della loro.”
“È un peccato” commentò lui.
“Ho percepito un leggero cambiamento negli ultimi due giorni” proseguì lei. “Porter in particolare sembra che stia cambiando opinione.”
“Bene, allora chiudiamo questo caso e facciamo cambiare opinione anche a tutti gli altri” propose Ellington. “Riusciresti ad avere tutte le foto dei due omicidi nel tuo ufficio?”
“Certo,” disse lei. “Ci vediamo lì fra dieci minuti.”
“Contaci.”
Mackenzie decise in quel preciso istante che Jared Ellington le piaceva un po’ troppo. Lavorare con lui per i prossimi giorni sarebbe stato stimolane e interessante, ma non solo per ragioni legate al caso.
CAPITOLO DODICI
Quella sera Mackenzie arrivò a casa appena dopo le sette, perfettamente consapevole che potevano richiamarla al lavoro in qualsiasi momento. C’erano così tante piste aperte adesso, così tanti indizi diversi che potevano richiedere la sua attenzione. Sentiva che il suo corpo era stanco. Fin da quando aveva messo piede sulla prima scena del crimine non era riuscita a dormire bene e sapeva che, se non si fosse concessa un po’ di riposo, avrebbe finito col fare stupidi errori sul lavoro.
Quando oltrepassò la soglia, vide Zack seduto sul divano con in mano il joystick della Xbox. Davanti a lui c’era una bottiglia di birra posata sul tavolino, mentre altre due bottiglie vuote erano per terra. Sapeva che aveva avuto la giornata libera e dedusse che l’avesse passata così. Ai suoi occhi questo lo faceva sembrare un ragazzino irresponsabile e non era affatto quello che voleva trovare a casa dopo una giornata come quella appena trascorsa.
“Ehi, piccola” la salutò Zack, quasi senza spostare lo sguardo dallo schermo.
“Ehi” fu la sua asciutta risposta mentre si dirigeva in cucina. Vedere la birra sul tavolino le aveva fatto venire voglia di berne una anche lei ma, dato che si sentiva esausta e nervosa, optò per una tazza di tè alla menta piperita.
Mentre aspettava che l’acqua bollisse, Mackenzie andò in camera da letto a cambiarsi. Aveva saltato la cena e all’improvviso le venne in mente che in casa non c’era un granché da mangiare. Era un po’ che non faceva la spesa e sapeva fin troppo bene che a Zack non era nemmeno venuto in mente di farla lui.
Quando si fu infilata dei pantaloncini e una maglietta, tornò in cucina dove il bollitore fischiava allettante. Mentre versava l’acqua sulla bustina del tè, poteva sentire gli spari del gioco di Zack. Curiosa e volendo almeno affrontare l’argomento per vedere come avrebbe reagito, non riuscì a tenere per sé la sua frustrazione.
“Cos’hai preparato per cena?” gli chiese.
“Non ho ancora mangiato” rispose, senza neanche scomodarsi a guardarla. “Volevi fare qualcosa?”
Lei fulminò la sua nuca e per un momento si chiese cosa stesse facendo Ellington. Dubitava che giocasse ai videogiochi lui, come un perdente prigioniero della propria infanzia. Aspettò un momento che la rabbia scemasse, poi entrò in salotto.
“No, io non preparo niente, Che hai combinato per tutto il pomeriggio?”
Riuscì a sentire il sospiro di lui anche con le esplosioni del gioco. Zack mise il gioco in pausa e infine si voltò a guardarla. “E questo che diavolo vorrebbe dire?”
“Era solo una domanda” disse lei. “Ti ho chiesto cos’hai fatto per tutto il pomeriggio. Se non avessi perso tempo con quello stupido gioco, forse avresti potuto preparare la cena. O almeno avresti potuto ordinare una pizza o altro.”
“Mi dispiace” disse lui sarcastico e alzando la voce. “E come farei a sapere quand’è che arrivi a casa? Non mi comunichi mai questo genere di cose.”
“Allora chiamami e chiedimelo” sbottò lei.
“Perché diavolo dovrei farlo?” chiese Zack, lasciando il joystick e alzandosi in piedi. “Le poche volte che mi prendo la briga di chiamarti al lavoro, risponde sempre la segreteria e tu non mi richiami mai.”
“Perché sto lavorando, Zack,” disse lei.
“Anch’io lavoro,” disse lui. “Mi faccio il culo in quella dannata fabbrica. Non hai idea di quanto sia pesante il mio lavoro.”
“Sì che ce l’ho” disse lei. “Ma dimmi una cosa: quand’è stata l’ultima volta che mi hai vista tirarmi le dita? Quando torno a casa di solito trovo i tuoi vestiti sporchi per terra e i piatti sporchi nel lavandino. E sai una cosa, Zack? Anche il mio è un lavoro pesante. Dannatamente pesante, e devo vedere cose orribili tutti i giorni, cose che ti farebbero crollare. Non ho bisogno di tornare a casa e trovare un bamboccio che gioca ai videogiochi e chiede cosa c’è per cena.”
“Un bamboccio?” chiese lui, quasi gridando.
Mackenzie non intendeva spingersi così oltre, ma ormai era fatta. Era la pura e semplice verità, che aveva tenuto per sé da mesi e, adesso che era venuta fuori, si sentiva sollevata.
“A volte è quello che sembri” gli disse.
“Che stronza.”
Mackenzie scosse la testa e fece un passo indietro. “Hai tre secondi per rimangiarti quello che hai detto,” gli intimò.
“Oh ma va’ al diavolo,” disse Zack, aggirando il divano per avvicinarsi a lei. Capì che avrebbe voluto metterle le mani addosso, ma non era così stupido da farlo. Sapeva che lei lo avrebbe facilmente potuto affrontare in una lotta; era qualcosa che non aveva problemi a rinfacciarle ogni volta che si lamentava delle cose della loro relazione che lo rendevano infelice.
“Come, scusa?” chiese Mackenzie, quasi sperando che lui si facesse aggressivo e l’aggredisse. Quando lo pensò, capì anche qualcos’altro con assoluta chiarezza: la loro relazione era finita.
“Mi hai sentito,” disse lui. “Tu non sei felice, io non sono felice. È così da un po’, Mackenzie. E francamente, sono stufo di sopportare tutto questo. Sono stanco di essere sempre messo in secondo piano e lo so che non posso competere con il tuo lavoro.”
Lei non disse nulla, per non dire altro che lo potesse provocare. Magari era fortunata e la discussione sarebbe finita a breve, per giungere alla conclusione che entrambi volevano senza litigi furibondi.
Alla fine disse soltanto, “Hai ragione. Io non sono felice. In questo momento non ho tempo per convivere con un ragazzo. E di sicuro non ho tempo per litigi come questo.”
“Oh, scusa se ho sprecato il tuo tempo” disse Zack calmo. Prese la bottiglia di birra, ingollò quello che rimaneva e la posò con forza sul tavolino, così forte che Mackenzie temette che il vetro si rompesse.
“Credo che per adesso te ne dovresti andare” disse Mackenzie. Mantenne il contatto visivo con lui, sostenendo il suo sguardo per fargli capire che la cosa non era negoziabile. In passato avevano avuto litigi in cui lui aveva quasi fatto i bagagli per andarsene. Stavolta però, doveva succedere davvero. Stavolta avrebbe fatto in modo che non ci fossero scuse, sesso riparatore, o conversazioni manipolatrici su quanto avessero bisogno l’uno dell’altra.
Zack infine distolse lo sguardo e sembrò furioso. Però si tenne a distanza superandola per andare in camera. Mackenzie restò in ascolto, in piedi in cucina mentre mescolava pigramente il tè.
Questo è quello che sono diventata, pensò. Sola, fredda e priva di emozioni.
Si accigliò, odiando l’inevitabilità di tutto ciò. Una volta aveva avuto un mentore che l’aveva messa in guardia da questo – da come, se avesse intrapreso una carriera nelle forze di polizia puntando in alto, la sua vita sarebbe diventata troppo indaffarata e frenetica per qualcosa che somigliasse minimamente ad una relazione sana.
Dopo qualche minuto, Mackenzie udì Zack brontolare tra sé. Mentre i cassetti in camera si aprivano e chiudevano, sentì imprecazioni tipo stronza del cazzo, malata di lavoro e fottuto robot senza cuore.
Quelle parole facevano male (non fingeva di essere così dura da non esserne scalfita), ma se le lasciò scivolare addosso. Invece di concentrarsi su di loro, iniziò a pulire il caos lasciato da Zack durante la giornata. Tolse delle bottiglie di birra vuote, qualche piatto sporco e un paio di calzini sporchi mentre l’uomo che aveva creato quel caos – un uomo di cui ad un certo punto era innamorata – continuava a inveire contro di lei dalla camera.
*
Per le 20:30 Zack se n’era andato e un’ora dopo Mackenzie era a letto. Controllò le sue email e vide alcuni scambi di informazioni fra Nelson e altri agenti, ma niente che richiedesse il suo intervento. Soddisfatta del fatto che avrebbe potuto farsi qualche ora di sonno ininterrotto, Mackenzie spense la lampada sul comodino e chiuse gli occhi.
Per provare, stese una mano per sentire il lato vuoto del letto. Avere il lato di Zack vuoto non era troppo strano, dato che per i suoi turni di lavoro, spesso non c’era quando lei andava a letto. Adesso che sapeva che se n’era andato per sempre, però, il letto le sembrava molto più grande. Quando si stirò allungandosi sul lato vuoto, si chiese quand’è che avesse smesso di amarlo. Era almeno da un mese, di questo era sicura. Però non aveva detto niente, nella speranza che qualunque sentimento esistesse fra loro riaffiorasse.
Invece le cose erano andate sempre peggio. Spesso pensava che Zack avesse percepito che lei diventava più distante man mano che i sentimenti che provava verso di lui si affievolivano. Zack però non era tipo da ammettere una cosa del genere. Cercava in tutti i modi di evitare lo scontro e, anche se non le faceva piacere ammetterlo, era piuttosto certa che lui sarebbe rimasto con lei il più possibile anche solo perché aveva paura dei cambiamenti ed era troppo pigro per andarsene.
Mentre rifletteva su tutto ciò, il suo cellulare squillò. Fantastico, pensò. Addio bella dormita.
Riaccese la lampada, convinta che avrebbe visto il numero di Nelson o di Porter sullo schermo del cellulare. O magari era Zack che la chiamava per chiederle di tornare insieme. Invece vide un numero che non conosceva.
“Pronto?” disse, facendo del suo meglio per non sembrare stanca.
“Ehi, Detective White,” disse la voce di un umo. “Sono Jared Ellington.”
“Oh, ciao.”
“Ho chiamato troppo tardi?”
“No” disse lei. “Cosa c’è? Hai qualcosa di nuovo?”
“No, ho paura di no. Anzi, ho saputo che i risultati sul legno arriveranno soltanto in mattinata.”
“Bene, almeno sappiamo come inizierà la giornata” commentò lei.
“Proprio così. Però, senti, mi chiedevo se ti andasse di fare colazione insieme” disse lui. “Vorrei discutere i dettagli del caso con te. Voglio accertarmi che la pensiamo allo stesso modo e che non ci lasciamo sfuggire nemmeno il minimo dettaglio.”
“Certo” accettò lei. “A che ora...”
Si interruppe, guardando verso la porta della camera.
Per una frazione di secondo, aveva sentito qualcosa muoversi fuori dalla stanza. Aveva di nuovo sentito la maledetta asse del pavimento scricchiolare. Ma, ancora peggio, aveva sentito un fruscio. Si alzò lentamente dal letto, tenendo ancora il telefono all’orecchio.
“White, sei ancora lì?” chiese Ellington.
“Sì, ci sono” rispose. “Scusa. Dicevo, a che ora vuoi che ci troviamo?”
“Che ne dici delle sette al Carol’s Diner? Lo conosci?”
“Sì” rispose, camminando verso la porta. Si affacciò fuori dalla camera ma vide solo ombre nel buio, contorni sfocati. “Alle sette va bene.”
“Fantastico” disse lui. “A domani, allora.”
Lei lo udì a malapena mentre usciva dalla camera ed entrava nel corridoio che portava in cucina. Riuscì comunque a rispondere “Perfetto” prima di chiudere.
Accese la luce del corridoio, illuminando così la cucina e rendendo il soggiorno meno buio.
Proprio come era successo notti prima, non c’era nessuno. La stanza non offriva nascondigli e l’unica cosa diversa era che mancava la Xbox che Zack si era portato via. Mackenzie si guardò intorno ancora una volta. Non le piaceva il fatto che bastasse così poco a spaventarla. Camminò persino sull’asse per confrontare il cigolio con quello che aveva sentito. Controllò che la porta d’ingresso fosse chiusa a chiave, poi tornò in camera. Prima di spegnere le luci e tornare a letto si girò un’ultima volta. Tirò fuori la pistola di servizio dal cassetto del comodino e la mise sopra di esso, a portata di mano, quindi spense la luce.
Osservando l’arma nell’oscurità della stanza, sapeva che non ne avrebbe avuto bisogno, ma sapere che era lì l’avrebbe fatta sentire più al sicuro.
Cosa le stava succedendo?