Kitabı oku: «Prima Che Uccida», sayfa 7
CAPITOLO TREDICI
“Papà? Papà, sono io. Svegliati.”
Mackenzie entrò in camera da letto e si preparò, voltandosi dalla vista di suo padre morto.
“Che è successo, papà?”
C’era anche sua sorella nella stanza, in piedi dall’altra parte del letto, che guardava il padre con uno sguardo deluso.
“Steph, che è successo?” chiese Mackenzie.
“Lui ti ha chiamato ma tu non sei venuta. È colpa tua.”
“No!”
Mackenzie si fece avanti e poi, anche se sapeva che era una pazzia, si arrampicò sul letto e si rannicchiò di fianco al padre. Sapeva che presto la sua pelle sarebbe diventata gelida e pallida.
Mackenzie si svegliò di soprassalto per l’incubo alle 3:12 di notte, ricoperta di sudore.
Restò lì seduta, da sola, piangendo in attesa di riaddormentarsi.
Ma sapeva che ci sarebbero volute ore, ammesso che ci fosse riuscita.
Stranamente, non vedeva l’ora di rituffarsi nel caso. Era per qualche ragione meno doloroso.
*
Quando Mackenzie arrivò al Carol’s Diner un paio d’ore più tardi, era sveglia e vigile. Guardando l’Agente Ellington seduto all’altro lato del tavolino, si vergognò di essersi lasciata sconvolgere così dall’incubo e di essersi lasciata spaventare a quel modo la notte prima. Quale accidenti era il suo problema?
Sapeva cos’era. Il caso l’aveva coinvolta troppo, risvegliando antichi ricordi che pensava aver sepolto. Stava influenzando il suo modo di vivere. Aveva sentito che questo poteva succedere ad altri prima, ma finora non l’aveva mai sperimentato su di sé.
Si chiese se ad Ellington fosse mai capitato. Da dove sedeva lei, lui sembrava ordinato e professionale. L’immagine sputata di come Mackenzie si aspettava che fosse un agente dell’FBI. Era robusto senza essere enorme, sicuro senza essere arrogante. Era difficile immaginare che ci fosse qualcosa che potesse spaventarlo.
La sorprese a fissarlo ma, piuttosto che distogliere lo sguardo imbarazzata, lei sostenne il suo sguardo.
“Che c’è?” le chiese.
“No, niente” disse. “Sto solo cercando di immaginare come sia sapere che basta una singola telefonata per far indagare l’FBI su qualcosa, quando a me servirebbero parecchie ore a convincere la polizia del posto.”
“Non è sempre così facile” disse Ellington.
“Bè, per questo caso l’FBI sembra motivato” gli fece notare Mackenzie.
“L’allestimento rituale della scena del crimine praticamente grida serial killer” disse lui. “E a quanto pare, dopo l’ultimo cadavere rinvenuto, è esattamente quello con cui abbiamo a che fare.”
“E Nelson è accomodante?” chiese lei.
Ellington sorrise e sotto il suo aspetto finemente composto si intravidero i segni di un fascino sottile. “Cerca di esserlo. A volte è difficile uscire dalla mentalità ristretta di un paesino di provincia.”
“Non me ne parlare” disse Mackenzie.
La cameriera arrivò a prendere i loro ordini. Mackenzie optò per un’omelette di verdure, mentre Ellington ordinò un enorme vassoio di cibo. Finita quella distrazione, Ellington giunse le mani e si chinò in avanti.
“Allora” esordì. “A che punto siamo?”
Mackenzie sapeva che lui le stava dando l’occasione di mostrargli il suo metodo. Si capiva dal suo tono e dal sorrisino che gli sfiorava appena gli angoli della bocca. Aveva una bellezza rude e Mackenzie si sentiva leggermente a disagio per quante volte i suoi occhi erano attratti dalle sue labbra.
“Per ora dobbiamo aspettare altri indizi e studiarli con attenzione” disse lei. “L’ultima volta che credevamo di avere una pista promettente, ci sbagliavamo di grosso.”
“Però avete scovato un tizio che vendeva pornografia infantile” le fece notare Ellington. “Perciò non è stato un fallimento totale.”
“È vero. Però credo che tu abbia notato la gerarchia che vige nel nostro distretto. Se non risolvo il caso al più presto, resterò bloccata nella mia posizione per molto tempo.”
“Non ne sarei così sicuro. Nelson ha un’alta considerazione di te. Se lo ammetterebbe o no davanti agli altri, be’, questa è un’altra storia. Ecco perché mi ha affiancato a te. Lui sa che puoi farcela.”
Per la prima volta distolse lo sguardo da lui. Non era sicura di come avrebbe fatto a risolvere il caso se non la smetteva di saltare per ogni piccolo rumore in casa sua e di dormire con la pistola sul comodino.
“Direi che possiamo partire dal campione di legno,” riprese lei. “Andremo dal fornitore locale di quel legno, anche alla segheria. Se non porta a niente, allora dovremo iniziare a fare il terzo grado alle donne che lavoravano con Hailey Lizbrook. Potremmo anche essere così disperati da dover guardare i filmati delle telecamere di sicurezza del club dove lavorava.”
“Sono tutte ottime idee” disse lui. “Un’altra idea che ho intenzione di proporre a Nelson è di mandare poliziotti in incognito in alcuni strip club nel raggio di centocinquanta chilometri. Se sarà necessario, potremo anche inviare degli agenti dagli uffici di Omaha. Esaminando vecchi casi – che Nelson mi ha detto hai centrato in pieno in una riunione precedente – l’uomo che cerchiamo potrebbe anche prendere di mira le prostitute. Non possiamo dare per scontato che si tratti solo delle spogliarelliste.”
Mackenzie annuì, anche se stava cominciando a dubitare che il caso di cui si era ricordata degli anni ’80, dove una prostituta era stata legata ad un palo del telefono, fosse collegato a quel caso. Era comunque bello vedere i propri sforzi riconosciuti da qualcuno con molta esperienza.
“D’accordo” disse Ellington. “Te lo devo proprio chiedere.”
“Cos’è che mi devi chiedere?”
“È evidente che qui sei parecchio sottovalutata, ma è anche chiaro che ti fai il mazzo e sai il fatto tuo. Persino Nelson ha ammesso che sei uno dei suoi detective più promettenti. Ho dato un’occhiata alla documentazione su di te, sai? Tutto quello che ho visto era impressionante. Allora perché resti qui dove non sei apprezzata e non ti vengono date chance, quando potresti benissimo lavorare come detective da qualche altra parte?”
Mackenzie scrollò le spalle. Era qualcosa che si era domandata più volte e la risposta era semplice, anche se morbosa. Sospirò, non volendo affrontare l’argomento ma al tempo stesso non volendo lasciarsi scappare l’opportunità. Aveva spiegato i motivi per cui rimaneva sul posto con Zack in un paio di occasioni – quando ancora comunicavano – e anche Nelson conosceva parte della sua storia. Però non ricordava l’ultima volta che qualcuno l’aveva invitata spontaneamente a parlarne.
“Sono cresciuta appena fuori Omaha” iniziò a raccontare. “La mia infanzia... non è stata delle migliori. Mio padre fu ucciso quando avevo sette anni. Fui io a scoprire il corpo, proprio nella sua camera da letto.”
Ellington si accigliò, il volto carico di compassione.
“Mi dispiace” disse sommessamente.
Lei sospirò.
“Era un investigatore privato” aggiunse. “Prima però aveva fatto il poliziotto di quartiere per cinque anni.”
Anche lui sospirò.
“Io ho una teoria: almeno un poliziotto su cinque ha un qualche trauma irrisolto del passato legato ad un crimine” disse lui. “Ed è proprio quel trauma che li ha spinti a scegliere di proteggere e servire.”
“Già” concordò Mackenzie, non sapendo come reagire al fatto che Ellington l’avesse inquadrata in meno di venti secondi. “Sembra plausibile.”
“L’assassino di tuo padre è mai stato trovato?” le chiese Ellington.
“No. Stando ai fascicoli sul caso che ho letto e a quel poco che mi ha detto mia madre su quello che è successo, mio padre stava indagando su un piccolo gruppo che contrabbandava stupefacenti provenienti dal Messico quando fu ucciso. Il caso fu portato avanti per un po’, poi però fu abbandonato meno di tre mesi dopo. E questo è quanto.”
“Mi dispiace tanto” disse Ellington.
“In seguito, quando realizzai che il sistema giudiziario era pieno di negligenza, desiderai fare qualcosa nelle forze dell’ordine, per l’esattezza la detective.”
“Quindi hai realizzato il tuo sogno entro i venticinque anni” commentò Ellington. “Impressionante.”
Prima che lei potesse aggiungere altro, arrivò la cameriera con il cibo che aveva ordinato. Appena distribuì i piatti, Mackenzie fece per fiondarsi sulla sua omelette, ma vide con sorpresa che Ellington aveva chiuso gli occhi in una silenziosa preghiera di ringraziamento per il cibo.
Non riuscì a trattenersi dal fissarlo mentre era con gli occhi chiusi. Non lo faceva un tipo religioso e vederlo ringraziare per il cibo la commosse. Diede una sbirciatina alla sua mano sinistra e vide che non aveva una fede nunziale. Si domandò come fosse la sua vita privata. Aveva un appartamento da scapolo con il frigo pieno di birra, oppure era più il tipo da rastrelliera da vino e libreria dell’Ikea piena di volumi di letteratura classica e moderna?
Era tutto da scoprire. Ancora più interessante sarebbe stato sapere come avesse fatto a diventare un agente dell’FBI. Si chiese come fosse durante un interrogatorio, oppure nella foga del momento, quando le pistole erano puntate e il sospettato era a un passo dall’arrendersi o aprire il fuoco. Non sapeva nessuna di queste cose su Ellington – e questo era eccitante.
Quando lui riaprì gli occhi e cominciò a mangiare, Mackenzie tornò a guardare il cibo nel suo piatto. Dopo poco, non riuscì a trattenersi.
“Okay, e che mi dici di te?” gli chiese. “Cosa ti ha portato a fare carriera nell’FBI?”
“Sono un figlio degli anni ‘80” disse Ellington. “Volevo essere come John McClane e l’Ispettore Callaghan, solo un po’ più raffinato.”
Mackenzie sorrise. “Sono dei modelli di riferimento piuttosto buoni. Pericolosi e azzardati.”
Lui stava per aggiungere qualcosa, quando gli squillò il cellulare.
“Scusami” disse tirando fuori il telefono dalla tasca della giacca.
Mackenzie ascoltò quello che Ellington diceva nella conversazione, che si rivelò breve. Dopo qualche risposta affermativa e un rapido Grazie, terminò la chiamata e guardò il suo piatto con aria sconsolata.
“Tutto a posto?” gli domandò lei.
“Sì” rispose. “Però dovremo farci incartare il resto del cibo. Sono arrivati i risultati sul campione di legno.”
La guardò negli occhi.
“La falegnameria da cui proviene è a meno di mezz’ora di strada.”
CAPITOLO QUATTORDICI
A Mackenzie era sempre piaciuto l’odore della legna appena tagliata. La riportava con la mente alle vacanze di Natale che passava con i nonni dopo la morte del padre. Suo nonno riscaldava la casa con una vecchia stufa a legna e il retro della casa era sempre impregnato del profumo di legno di cedro e dell’odore non proprio gradevole di cenere.
Come mise piede fuori dall’auto sulla ghiaia del parcheggio della Falegnameria Palmer, le tornò in mente quella vecchia stufa a legna. Sulla sua sinistra c’era la segheria, dove un enorme tronco stava scorrendo su un nastro trasportatore verso una sega grande come la macchina da cui era appena scesa. Poco oltre, c’erano parecchi mucchi di tronchi appena abbattuti che aspettavano il proprio turno.
Si prese un momento per osservare il procedimento. Una pala caricatrice, che sembrava un incrocio tra una gru e il braccio di una macchinetta pesca pupazzi, sollevava i tronchi depositandoli su un apparecchio dall’aspetto arcaico, che li spingeva sul nastro trasportatore. Da lì, i tronchi finivano direttamente contro la sega, che lei immaginò essere regolata per ogni tronco con un meccanismo o un pannello di controllo che non si vedeva dalla sua postazione. Quando si voltò, vide un camion uscire dalla falegnameria, sul rimorchio il legname tagliato grossolanamente e impilato in mucchi alti tre metri.
Curiosamente, guardare tutto quello le fece venire in mente Zack. Aveva fatto richiesta per lavorare in un posto del genere dall’altra parte della città proprio nel periodo in cui gli era stato offerto il lavoro allo stabilimento tessile; quando aveva imparato che allo stabilimento c’erano i turni a rotazione, aveva accettato il lavoro, nella speranza di avere più tempo libero. Secondo lei sarebbe stato bravo a lavorare con il legno; aveva talento nel costruire cose.
“Sembra un lavoro duro” osservò Ellington.
“Anche il nostro non scherza” replicò lei, grata di togliersi dalla mente Zack.
“Senza dubbio” concordò Ellington.
Davanti a loro c’era un semplice edificio in cemento contraddistinto solo da lettere nere stampate sopra l’entrata che recitavano UFFICIO. Camminò a fianco di Ellington verso la porta e, ancora una volta, fu colta di sorpresa quando lui le tenne la porta aperta. Non ricordava di aver mai ricevuto una tale dimostrazione di galanteria o rispetto da nessuno al distretto, fin dal primo giorno in cui aveva avuto il distintivo.
Una volta entrati, i rumori dell’esterno si ridussero ad un sordo rombo. L’ufficio era composto da un grande bancone con dietro file di schedari. L’odore di legna tagliata permeava il luogo e pareva esserci polvere ovunque. In piedi dietro al bancone c’era solo un uomo, cha al loro ingresso stava scrivendo qualcosa su un registro. Quando li guardò fu chiaro che era un po’ confuso – probabilmente a causa del contrasto tra il completo di Ellington e la tenuta casual di Mackenzie.
“Salve” disse l’uomo dietro il bancone. “Posso aiutarvi?”
Ellington prese l’iniziativa, e Mackenzie non aveva nulla in contrario. Le aveva già mostrato il massimo rispetto e, inoltre, aveva più esperienza di lei. A un tratto si domandò dove fosse Porter. Nelson lo aveva forse tenuto in ufficio a esaminare le foto? Oppure si stava occupando di interrogare le colleghe di Hailey Lizbrook?
“Sono l’agente Ellington, e questa è la Detective White” disse Ellington. “Vorremmo parlare con lei un momento su un caso che stiamo cercando di risolvere.”
“Ehm, certo” disse l’uomo, chiaramente ancora confuso. “Siete sicuri di essere nel posto giusto?”
“Sì, signore” disse Ellington. “Anche se non possiamo rivelarle i dettagli del caso, quello che posso dirle è che su tutte le scene del crimine è stato trovato un palo. Abbiamo prelevato un campione del legno e la Scientifica ci ha inviati qui.”
“Dei pali?” chiese l’uomo sorpreso. “Vi riferite al Killer dello Spaventapasseri?”
Mackenzie si accigliò, non gradendo che il caso stesse già diventando argomento di chiacchiere. Se un uomo nell’ufficio solitario di una falegnameria ne aveva sentito parlare, con tutta probabilità le notizie sul caso si stavano diffondendo a macchia d’olio. Oltretutto, c’era la sua faccia sui giornali che raccontavano la storia.
Infatti l’uomo la osservò per bene e le sembrò di vedere un accenno di riconoscimento nel suo viso.
“Sì” rispose Ellington. “È venuto qualcuno di diverso dal solito a comprare la legna?”
“Vorrei potervi aiutare” disse l’uomo dietro il bancone. “Ma ho paura di avere solo briciole da offrirvi. Vedete, io ricevo e vendo legna soltanto da aziende o piccole imprese. Tutto quello che esce da qui di solito finisce in un’altra falegnameria oppure in un’azienda.”
“Che tipo di aziende?” chiese Mackenzie.
“Dipende dal tipo di legna” rispose. “La maggior parte della mia legna va a imprese edili, però ho anche dei clienti che lavorano il legno, per esempio per farne dei mobili.”
“Quanti clienti vede in un mese?” domandò Ellington.
“Più o meno settanta, se il mese è buono” disse. “Ma gli ultimi mesi sono stati un po’ fiacchi, quindi forse sarà più semplice trovare quel che cercate.”
“Ancora una cosa” disse Mackenzie. “Applica un qualche tipo di contrassegno alla legna che esce di qui?”
“Se l’ordine è molto grosso, a volte metto un timbro su un pezzo per carico.”
“Un timbro?”
“Esatto. Lo faccio con una piccola pressa che è qui fuori. Imprime sul legno la data e il nome della mia falegnameria.”
“Quindi non è inciso o intagliato?”
“No, niente del genere” rispose l’uomo.
“Saprebbe possibile recuperare dal registro i nomi dei clienti hanno acquistato pali in legno di cedro pretagliati?” chiese Ellington.
“Certo, lo posso fare. Sapete la misura?”
“Un attimo” disse Ellington prendendo il cellulare, probabilmente per recuperare l’informazione.
“Due metri e mezzo” disse Mackenzie, che ricordava la cifra a memoria.
Ellington le rivolse un sorriso.
“Piantato ad una profondità di trenta centimetri” proseguì Mackenzie, “e il resto che spunta dal terreno.”
“Inoltre si tratta di pali piuttosto vecchi” aggiunse Ellington. “La legna non era fresca. Dai test non risulta nemmeno che sia mai stata trattata.”
“Questo rende le cose più semplici” disse l’uomo. “Se davvero i pali se li è procurati da me, io il legno vecchio lo tengo nel mucchi degli avanzi. Datemi qualche minuto che vi cerco l’informazione. Quanto indietro mi devo spingere nella ricerca?”
“Facciamo tre mesi, per stare sul sicuro” disse Ellington.
L’uomo annuì e aprì uno degli schedari dall’aspetto antico che stavano dietro di lui. Mentre aspettavano, il cellulare di Mackenzie si mise a squillare. Rispose col terrore che fosse Zack che le chiedeva di riconciliarsi. Fu sollevata nel vedere che era Porter.
“Pronto?” rispose.
“Mackenzie, dove ti trovi in questo momento?” le chiese Porter.
“Sono con Ellington alla Falegnameria Palmer a verificare i risultati dei test sui campioni che abbiamo preso dal palo.”
“Qualche risultato?”
“Sembra un indizio che porta a tanti altri indizi.”
“Be’, merda” disse Porter. “Mi dispiace dirvelo, ma ho notizie peggiori.” Esitò per un attimo, poi lei sentì un sospiro tremante all’altro capo del telefono, prima che lui aggiungesse:
“Abbiamo un altro cadavere.”
CAPITOLO QUINDICI
Quando, quaranta minuti più tardi, giunsero sulla nuova scena del crimine, Mackenzie era più che leggermente a disagio per il fatto che questo omicidio fosse così vicino a casa. La scena si trovava precisamente a trentacinque minuti da casa sua, sul retro di un’abitazione fatiscente abbandonata da un pezzo. Riusciva praticamente a sentire l’ombra della donna assassinata allungarsi oltre la pianura, oltre le strade cittadine, per arrivare alla sua porta.
Fece del suo meglio per nascondere il nervosismo mentre con Ellington camminava verso il palo. Guardò verso la vecchia casa, nelle finestre vuote. Le parvero come enormi occhi minacciosi, che la scrutavano deridendola.
Intorno al palo c’era un capannello di poliziotti, con Porter al centro. Si girò verso Mackenzie ed Ellington quando si avvicinarono, ma Mackenzie se ne accorse a stento. Era troppo intenta a digerire la vista del corpo, accorgendosi subito di due grosse differenze nella vittima.
Per prima cosa, la donna aveva un seno piccolo, mentre le vittime precedenti erano entrambe prosperose. Inoltre, le frustate che sulle altre vittime erano limitate alla schiena, stavolta erano anche su petto e ventre.
“La cosa ci sta sfuggendo di mano” mormorò Porter con voce tirata.
“Chi ha scoperto il corpo?” volle sapere Mackenzie.
“Il proprietario del terreno. Vive tre chilometri ad est da qui. La stradina privata era chiusa con una catena e aveva notato che era stata tagliata. Dice che nessuno viene qui di solito, tranne l’occasionale cacciatore durante la stagione dei cervi, ma come sapete la stagione dei cervi è fra molti mesi. Inoltre, afferma di conoscere tutti gli uomini che vengono a cacciare qui.”
“Quindi questa è una strada privata?” chiese Mackenzie, girandosi a guardare la strada sterrata che avevano appena percorso per giungere lì.
“Esatto. Quindi chiunque abbia fatto questo” disse accennando al corpo appeso, “ha tranciato la catena. Sapeva dove avrebbe esposto il suo prossimo trofeo. Ha pianificato tutto.”
Mackenzie annuì. “Questo denota uno scopo ben preciso, non un semplice istinto psicopatico.”
“È possibile che sia implicato il proprietario?” chiese Ellington.
“Due dei miei uomini lo stanno interrogando nella sua abitazione proprio adesso” rispose Nelson. “Ma dubito che sia coinvolto. Ha settantotto anni e zoppica. Non ce lo vedo a piantare pali, né tantomeno a convincere le spogliarelliste a salire sul suo furgone.”
Mackenzie si avvicinò al cadavere, subito seguita da Ellington. La donna sembrava molto più giovane delle altre, forse aveva appena vent’anni. La testa era china, rivolta a terra, ma Mackenzie notò il rossetto rosso scuro sbavato sulla guancia e sul mento. Anche il mascara era colato, lasciando strisce scure sul suo viso.
Mackenzie si portò dietro il palo. Le frustate erano identiche a quelle degli altri omicidi. Alcune erano così recenti da essere ancora umide, con il sangue non ancora del tutto secco. Si chinò verso la base del palo, ma Nelson la fermò.
“Ho già controllato” disse. “I numeri ci sono.”
Ellington si unì a lei per guardarli, quindi si rivolse a Mackenzie. “Nessuna idea di cosa rappresentino queste sigle?”
“Nessuna” rispose lei.
“Credo che non ci sia bisogno di dirlo” disse Nelson, “ma questo caso da adesso avrà la massima priorità. Agente Ellington, quanto ci vuole per far arrivare altri agenti?”
“Posso fare una chiamata e probabilmente qualcuno potrebbe arrivare già oggi pomeriggio.”
“Lo faccia, per favore. Com’è andata alla falegnameria?”
“Abbiamo ottenuto sedici nomi” disse Mackenzie. “La maggior parte si riferisce a imprese edili. Dobbiamo controllare i nomi uno ad uno e vedere se qualcuno ha informazioni utili.”
“Manderò alcuni uomini a occuparsene” disse. “Per adesso voglio che tu ed Ellington seguiate gli indizi più promettenti. Voi due siete gli elementi di punta in questo dannato caso, quindi fate tutto quello che dovete per risolverlo. Voglio il figlio di puttana nella stanza degli interrogatori entro stasera.
“Nel frattempo, farò esaminare le mappe della zona per un raggio di centocinquanta chilometri. Le suddivideremo e inizieremo a sorvegliare le aree isolate, come questa, come il campo dell’ultimo omicidio e i campi di granturco con facile accesso.”
“C’è altro?” chiese Ellington.
“Non mi viene in mente altro. Tenetemi aggiornato anche sui più piccoli dettagli che vi capiteranno. Tornerò a parlare con voi tra un istante” disse Nelson. Quindi guardò Mackenzie le fece cenno con la testa di seguirlo. “White, posso parlarti un secondo?”
Mackenzie andò con Nelson sul lato della casa fatiscente, chiedendosi di cosa si trattasse.
“Ti trovi bene a lavorare con Ellington?” le domandò.
“Sì, signore. Quando si tratta di parlare è diretto e incredibilmente disponibile.”
“Bene. Ascolta, non sono un idiota. So che hai del potenziale e so che se c’è qualcuno tra quelli che lavorano per me che potrebbe acciuffare il bastardo, quella sei tu. Che mi venga un accidente se lascerò che i federali ci soffino il caso da sotto il naso. Per questo voglio che sia tu a lavorare con lui. Ne ho già parlato con Porter e gli ho cambiato partner. Lavora ancora sul caso, ma lui si occuperà di andare a interrogare varie persone.
“E lui è d’accordo?”
“Tu non ti devi preoccupare di questo. Per adesso, concentrati sul caso e segui il tuo istinto. So che prenderai le decisioni giuste, non stare a consultarti con me per ogni cosa. Fai tutto quello che serve per farla finita. Puoi farmi questo favore?”
“Sì, signore.”
“Lo speravo” disse Nelson con un sorrisetto. “E adesso tu ed Ellington smammate da qui e andate a concludere qualcosa.”
Le diede una leggera pacca sulla schiena che, tutto sommato, era quasi l’equivalente di Ellington che le teneva la porta aperta. Era un grosso sforzo da parte di Nelson e lei lo apprezzava. Tornarono insieme al cadavere e Mackenzie guardò di nuovo i numeri. Sentiva che c’era qualcosa lì, che la chiave di tutto era in quei maledetti numeri.
Aveva l’impressione che una parte dell’assassino volesse essere catturata. Li stava stuzzicando.
“Tutto bene?” le domandò Ellington, in piedi all’altro lato del palo.
Gli fece cenno di sì, rialzandosi.
“Ti sono mai capitati altri casi come questo?”
“Soltanto due” rispose. “E uno ha portato a otto omicidi prima che lo catturassimo.”
“Credi che sarà così anche con il nostro killer?” gli chiese.
Non le piaceva che la domanda la facesse sembrare insicura o addirittura inesperta, ma doveva saperlo. Per capire quanto quel caso stesse iniziando a influenzarla, le bastava ricordare quanto si era spaventata a casa sua, dopo aver sentito lo scricchiolio dell’asse. Aveva perso il ragazzo, lentamente stava perdendo la calma e non avrebbe lasciato che il caso le facesse perdere altro.
“Non se possiamo evitarlo” rispose Ellington, poi sospirò. “Allora dimmi, cosa vedi di nuovo qui?”
“Intanto, il fatto che l’assassino abbia scelto una stradina in mezzo al nulla sembra strano. La catena non è bastata a fermarlo. Non solo, lui sapeva che c’era. Era attrezzato per tagliarla.”
“E questo cosa significa?”
Sapeva che la stava mettendo alla prova, ma in un modo che non metteva in dubbio la sua intelligenza. La stava sfidando, e a lei piaceva.
“Significa che non sceglie i luoghi a caso. Deve avere un motivo.”
“Quindi non soltanto gli omicidi sono premeditati, ma anche i posti.”
“Così sembra. Secondo me...” iniziò, poi fermandosi.
Aveva visto un movimento alla sua destra, al limitare della piccola foresta.
Per un attimo le sembrò di esserselo immaginato.
Poi però lo notò di nuovo.
Qualcosa si muoveva, addentrandosi nel bosco. Riuscì appena distinguere la sagoma di una persona.
“Ehi!”
Fu tutto ciò che le venne in mente di dire, e le uscì un po’ esaltato. Al suono della sua voce, la sagoma si allontanò ancor più in fretta, non cercando più di passare inosservata mentre spezzava ramoscelli e faceva frusciare le foglie al suo passaggio.
Agendo d’istinto, Mackenzie scattò di corsa verso il bosco. Quando Ellington riuscì a raggiungerla, era già oltre dal campo, tra gli arbusti. Gli alberi intorno a lei sembravano dimenticati e incolori, proprio come la casa che si era lasciata alle spalle, con le finestre nere che ancora la osservavano.
Si fece strada scansando i rami. Sentiva che Ellington era dietro di lei, ma non perse tempo a voltarsi per controllare.
“Fermo!” intimò.
Non si stupì quando la persona continuò a correre. Mackenzie aveva calcolato in pochi secondi che era più veloce del suo obiettivo, e gli si avvicinava con una rapidità di cui era sempre andata fiera. Dei rami la colpirono al volto e si sentì addosso delle ragnatele, ma continuò a sfrecciare nella foresta, imperterrita.
Quando fu più vicina alla sagoma, vide che era un uomo con una felpa nera e un paio di jeans scuri. Non si voltò nemmeno una volta verso di lei, quindi non riuscì a capire quanti anni potesse avere, ma quello che riuscì a capire fu che era un po’ in sovrappeso e a quanto pareva anche fuori forma. Lo sentì ansimare quando gli fu alle calcagna.
“Maledizione” esclamò quando lo raggiunse, protendendo il braccio e afferrandolo per una spalla. “Ho detto fermati!”
Così dicendo lo spintonò, facendolo finire a terra. Rotolò prima di fermarsi.
L’ho preso, pensò Mackenzie.
L’uomo provò a rialzarsi, ma Mackenzie gli rifilò prontamente un calcio dietro il ginocchio che lo mandò di nuovo a terra. Cadendo sbatté la faccia su una radice che spuntava dal terreno.
Mackenzie piantò un ginocchio nella schiena dell’uomo e prese la pistola. Ellington infine la raggiunse e la aiutò ad immobilizzare l’uomo a terra. Mackenzie prese le manette mentre Ellington tirava le braccia dell’uomo indietro facendolo gridare dal dolore. Mackenzie gli schiaffò le manette, poi lo tirò bruscamente in piedi.
“Come ti chiami?” gli domandò.
Gli si mise davanti e lo vide in faccia per la prima volta. Il tizio sembrava inoffensivo, sovrappeso e sembrava aver passato i trenta da un po’.
“Non dovreste chiedermi certe cose prima di aggradirmi?”
Ellington lo scosse leggermente e aumentò la pressione sulla sua spalla. “Ti ha fatto una domanda.”
“Ellis Pope” rispose l’uomo, visibilmente scosso.
“Come mai sei qui?”
Subito non disse niente, e grazie al silenzio Mackenzie sentì del trambusto nella boscaglia. I rumori provenivano da destra e voltandosi in quella direzione, vide Nelson seguito da tre poliziotti che si precipitavano tra gli alberi.
“Che diavolo succede?” gridò Nelson. “Vi ho visti partire a razzo e...”
Si bloccò quando vide che con loro c’era una terza persona, le mani ammanettate dietro la schiena.
“Ha detto di chiamarsi Ellis Pope” spiegò Mackenzie. “Se ne stava ad osservarci dal confine della foresta. Quando l’ho chiamato, se l’è data a gambe.”
Nelson si avvicinò minaccioso a Pope ed era chiaro che si stesse sforzando per non aggredirlo. “Che ci faceva qui, signor Pope?” gli chiese. “È rimasto nelle vicinanze ad ammirare il suo lavoro?”
“No” si difese Pope, più spaventato che mai.
“Allora perché era qui?” insistette Nelson. “È l’ultima volta che glielo chiedo, prima di perdere la pazienza.”
“Sono un giornalista” disse.
“Per quale giornale lavora?” domandò Mackenzie.
“Non un giornale. Per un sito web. The Oblong Journal.”
Mackenzie, Nelson ed Ellington si scambiarono uno sguardo a disagio, poi Mackenzie estrasse il cellulare dalla tasca. Aprì il browser e cercò The Oblong Journal, quindi aprì la pagina. Andò subito alla pagina sullo Staff e non solo trovò il nome Ellis Pope, ma la foto corrispondeva all’uomo che avevano davanti.
Mackenzie raramente diceva parolacce, ma passando il telefono a Nelson si lasciò sfuggire: “Cazzo”.
“E adesso” disse Ellis Pope, realizzando di stare lentamente riacquistando il controllo della situazione. “Con quale sbirro dovrei parlare per sporgere denuncia?”