Kitabı oku: «Tracce di Morte», sayfa 3

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“L’ha perso dopo.”

“Già, be’, mignolo o no, credevo che lo avrebbe distrutto, dico davvero. Cioè, aveva gambe di gomma, la faccia una poltiglia di sangue. Si spaccava proprio. Un altro pugno buono, le bastava quello; solo un altro. Diavolo, sarebbe stato sufficiente un mezzo pugno. Probabilmente avrebbe potuto limitarsi a soffiargli addosso e quello sarebbe caduto.”

“Lo pensavo anch’io,” ammise Ray. “Col senno di poi, probabilmente è per quello che ho abbassato la guardia. Apparentemente aveva un ultimo pugno a disposizione di cui non aveva parlato a nessuno.”

L’uomo si strinse nelle spalle.

“Apparentemente. Ho perso dei soldi con quel combattimento.” Sembrò capire che la sua perdita non era grave come quella di Ray, e aggiunse, “Cioè, non tantissimo. Non in confronto a lei. Non è tanto male, comunque, l’occhio. Vedo che è finto perché conosco la storia. Credo che la maggior parte della gente non se ne accorga.”

Ci fu un lungo silenzio mentre prendeva fiato e Ray lo lasciò lì ad agitarsi in imbarazzo. Stu ci riprovò.

“Quindi ora fa il poliziotto? Perché di preciso Sandman è seduto alla mia scrivania con questa graziosa signora, mi scusi, graziosa agente delle forze dell’ordine?”

Keri non apprezzò il sussiego ma lasciò correre. Avevano altre priorità.

“Abbiamo bisogno di guardare il filmato di oggi della sua telecamera di sicurezza,” disse Ray. “Precisamente dalle quattordici e quarantacinque alle sedici.”

“Nessun problema,” rispose Stu come se ricevesse questo tipo di richiesta ogni giorno.

La telecamera era operativa, necessariamente, a dire il vero, data la clientela dell’edificio; non era una semplice ripresa che finiva in un monitor, ma veniva registrata su un disco fisso. L’obiettivo aveva un angolo ampio e copriva l’intero incrocio di Main Street con Westminster. La qualità del video era eccezionale.

In una stanza sul retro, Keri e Ray guardarono il filmato sul monitor di un computer. La sezione di Main Street di fronte al parco era visibile per circa mezzo isolato. Potevano solo sperare che qualsiasi cosa fosse accaduta si fosse svolta in quel tratto di strada.

Non ci fu nessun movimento interessante fino alle quindici e cinque circa. I ragazzi ovviamente erano appena usciti da scuola e si riversavano in strada, puntando in tutte le direzioni.

Alle quindici e otto, apparve Ashley. Ray non la riconobbe subito, quindi Keri gliela indicò – una ragazza dall’aria sicura con una gonna e un top aderente.

Poi, come nulla fosse, eccolo, il furgone nero. Le si accostò. I finestrini erano pesantemente fumé – era illegale. Il viso del conducente non si vedeva perché indossava un cappello con la falda tenuta bassa. Entrambi i parasole erano abbassati e il brillio della luce luminosa del sole pomeridiano faceva sì che fosse impossibile avere una visuale chiara dell’interno del veicolo.

Ashley smise di camminare e guardò dentro al furgone. Pareva che il conducente parlasse. Lei disse qualcosa e si avvicinò. Nel frattempo la portiera del passeggero del veicolo si aprì. Ashley continuava a parlare, e sembrava che si sporgesse verso il furgone. Era impegnata in una conversazione con il conducente, chiunque fosse. Poi, all’improvviso, era dentro. Non era chiaro se fosse entrata volontariamente o se ci fosse stata tirata. Dopo qualche altro secondo, il furgone si reimmise con tranquillità in strada. Nessuna sgommata. Nessuna corsa. Nulla fuori dall’ordinario.

Guardarono di nuovo la scena alla velocità normale, e poi una terza volta al rallentatore.

Alla fine Ray si strinse nelle spalle e disse, “Non so. Ancora non riesco a capire. È finita dentro, è l’unica cosa che posso dire con certezza. Se sia stato contro la sua volontà o meno, non ne sono sicuro.”

Keri non poté che essere d’accordo. Il video era indeterminato in modo esasperante. Ma lì dentro c’era qualcosa che non quadrava. Non riusciva a identificare cosa fosse. Riavvolse il nastro e lo fece ripartire dal punto in cui il furgone era più vicino alla telecamera di sicurezza. Poi lo mise in pausa. Era l’unico momento in cui il furgone era completamente in ombra. Era ancora impossibile vedere dentro al veicolo. Però qualcos’altro era visibile.

“Vedi quello che vedo io?” chiese.

Ray annuì.

“La targa è coperta,” notò lui. “Lo metterei nella categoria delle ‘cose sospette’.”

“Anch’io.”

D’un tratto il telefono di Keri squillò. Era Mia Penn. Si buttò nella conversazione senza neanche salutare.

“Mi ha appena chiamata Thelma, l’amica di Ashley. Dice che crede di aver appena ricevuto una telefonata fatta per sbaglio dal cellulare di Ashley. Ha sentito un mucchio di urla, come se qualcuno stesse gridando contro qualcun altro. C’era musica alta quindi non sa esattamente chi stesse urlando ma crede che si trattasse di Denton Rivers.”

“Il ragazzo di Ashley?”

“Sì. Ho chiamato Denton al cellulare per vedere se aveva già avuto notizie di Ashley, senza fargli capire che avevo già sentito Thelma. Ha detto che non la vede né la sente da scuola, ma sembrava strano. E c’era quella canzone di Drake, “Summer Sixteen,” che si sentiva quando ho chiamato. Ho richiamato Thelma per vedere se era la canzone che aveva sentito anche lei. Mi ha detto di sì. Quindi ho chiamato subito lei, detective. Denton Rivers ha il cellulare della mia bambina e credo che possa avere anche lei.”

“Okay, Mia. È stata di grande aiuto. Ha fatto un lavoro fantastico. Ma ho bisogno che stia calma. Quando riattacchiamo, mi invii per messaggio l’indirizzo di Denton. E tenga a mente che potrebbe trattarsi di una cosa del tutto innocente.”

Riappese e guardò Ray. L’occhio buono suggeriva che stava pensando quello che pensava lei. Pochi secondi dopo le vibrò il telefono. Inoltrò l’indirizzo a Ray mentre correvano giù dalle scale.

“Dobbiamo muoverci,” disse Keri mentre raggiungevano le macchine. “La cosa non è per niente innocente.”

CAPITOLO QUATTRO

Lunedì

Prima serata

Keri si preparò mentalmente superando, dieci minuti dopo, la casa di Denton Rivers. Rallentò, esaminandola, e poi parcheggiò a un isolato di distanza; Ray la seguiva. Sentiva nello stomaco il formicolio che aveva quando stava per accadere qualcosa di brutto.

E se Ashley si trovasse in quella casa? E se le avesse fatto qualcosa?

La strada di Denton era disseminata di una serie di case a un piano fatte con lo stampino, assolutamente troppo vicine l’una all’altra. Non c’erano alberi sulla via e l’erba della maggior parte dei piccoli prati d’accesso era cresciuta tanto da diventare marrone. Denton e Ashley chiaramente non condividevano lo stesso stile di vita. Questa parte della città, a sud del Venice Boulevard e poche miglia nell’entroterra, non aveva case da milioni di dollari.

Lei e Ray percorsero rapidi l’isolato – Keri controllò l’orologio: erano appena passate le diciotto. Il sole cominciava la sua lunga e lenta discesa sull’oceano, a occidente, ma non si sarebbe fatto davvero buio per un altro paio d’ore.

Quando ebbero raggiunto la casa di Denton, sentirono della musica ad alto volume provenire da dentro. Keri non la riconobbe.

I due si avvicinarono in silenzio, sentendo adesso delle urla – rabbiose e severe, di una voce maschile. Ray estrasse la pistola dal fodero e le fece cenno di fare il giro, poi le mostrò con le dita il numero “1”, ovvero che sarebbero entrati nella casa esattamente dopo un minuto. Lei abbassò lo sguardo sull’orologio per confermare l’ora, annuì, prese la sua pistola, e si affrettò lungo il perimetro della casa verso il retro, attenta a chinarsi quando passava davanti a delle finestre aperte.

Ray era il detective senior e di solito era il più prudente tra i due quando si trattava di violare una proprietà privata. Ma chiaramente pensava che ora si trattasse di circostanze urgenti che non richiedevano un mandato. C’era una ragazza scomparsa, un potenziale sospetto all’interno, e urla di rabbia. Era giustificabile.

Keri controllò il secondo cancello. Non era chiuso a chiave. Lo aprì il meno possibile per evitare stridii e strisciò dentro. Era improbabile che qualcuno dall’interno potesse sentirla ma non voleva rischiare.

Arrivata nel giardino sul retro, abbracciò il muro posteriore della casa, tenendo gli occhi aperti in cerca di movimenti. Un capanno fatiscente e decrepito vicino alla staccionata sul retro della proprietà la mise a disagio. La porta rovinata dalla ruggine sembrava stare per cadere.

Si arrampicò sul patio e rimase lì un momento, vedendo se riusciva a sentire la voce di Ashley. Non la sentì.

Il retro della casa aveva una porta in legno con zanzariera non chiusa, che portava a una cucina in stile anni Settanta con un frigorifero giallo. Keri riuscì a vedere qualcuno nel soggiorno, che gridava insieme alla musica e agitava il corpo, muovendo il capo a ritmo con violenza, come se si trovasse sotto al palco di una band heavy metal.

Ancora nessuna traccia di Ashley.

Keri abbassò lo sguardo sull’orologio – era ora ormai.

Puntualissimo, sentì un forte bussare alla porta principale. Aprì la porta posteriore insieme al rumore, per mascherare il leggero click del chiavistello. Attese – un secondo forte bussare le permise di chiudere la porta. Si mosse rapida attraverso la cucina e lungo il corridoio, gettando occhiate a ogni vano aperto che incontrava.

Alla porta principale, che era aperta eccetto per la zanzariera, Ray bussò forte, e poi ancora più forte. Improvvisamente Denton Rivers smise di ballare e si diresse verso l’ingresso. Keri, nascosta sul limitare del soggiorno, riusciva a vedere il viso del ragazzo nello specchio vicino alla porta.

Sembrava molto confuso. Era bello – capelli castani tagliati corti, profondi occhi blu, una corporatura asciutta e muscolosa che faceva pensare che facesse wrestling più che football. In circostanze normali probabilmente era un buon partito, ma in quel momento la sua bellezza era mascherata da una smorfia brutta, da occhi iniettati di sangue, e da un profondo taglio sulla tempia.

Quando aprì la porta, Ray gli mostrò il distintivo.

“Ray Sands, Dipartimento di polizia di Los Angeles, Unità persone scomparse,” disse con voce lenta e ferma. “Vorrei entrare per farti qualche domanda su Ashley Penn.”

Il viso del ragazzo fu inondato dal panico. Keri aveva già visto quell’espressione – stava per fuggire.

“Non sei nei guai,” disse Ray, percependo la stessa cosa. “Voglio solo parlare.”

Keri notò qualcosa di nero nella mano destra del ragazzo, ma dato che il suo corpo le bloccava parzialmente la visuale non riusciva a vedere cosa fosse. Alzò l’arma, puntandola alla schiena di Denton. Lentamente, tolse la sicura.

Ray la vide con la coda dell’occhio e abbassò lo sguardo sulla mano di Denton. Aveva una visuale migliore dell’oggetto che il ragazzo teneva in mano e non aveva ancora sollevato la pistola.

“È il telecomando per la musica, Denton?”

“Ah-ah.”

“Puoi per favore gettarlo a terra davanti a te?”

Il ragazzo esitò e poi disse, “Okay.” Lasciò cadere il congegno. Era davvero un telecomando.

Ray rimise l’arma nella fondina e Keri fece lo stesso. Quando Ray aprì la porta, Denton Rivers si voltò e fu stupefatto di trovarsi Keri davanti.

“Lei chi è?” chiese.

“Detective Keri Locke. Lavoro con lui,” disse, facendo un cenno con la testa in direzione di Ray. “Che bel posticino che hai, Denton.”

Dentro, la casa era un disastro. Alcune lampade erano state rotte contro i muri. I mobili erano rovesciati. Una bottiglia di whiskey era sul ciglio di un tavolo, mezza vuota, accanto alla fonte di musica – una cassa bluetooth. Keri spense la musica. Con la stanza improvvisamente silenziosa, colse particolari più precisi della scena.

C’era del sangue sul tappeto. Keri ne prese nota mentalmente, ma non disse nulla.

Denton aveva profondi graffi sull’avambraccio destro che potevano essere stati fatti da unghie. Il brutto taglio sulla tempia non sanguinava più ma di recente l’aveva fatto. I brandelli strappati di una fotografia di lui e Ashley erano disseminati sul pavimento.

“Dove sono i tuoi genitori?”

“Mia mamma è al lavoro.”

“E tuo padre?”

“È occupato a fare il morto.”

Keri, fredda, disse, “Benvenuto nel club. Stiamo cercando Ashley Penn.”

“Fanculo Ashley.”

“Sai dove si trova?”

“No, e non me ne frega niente. Tra noi è finita.”

“È qui?”

“Lei la vede?”

“Il suo cellulare è qui?” insistette Keri.

“No.”

“Nella tua tasca posteriore c’è il suo cellulare?”

Il ragazzo esitò, e poi disse, “No. Credo che adesso ve ne dobbiate andare.”

Ray si avvicinò in modo esagerato al ragazzo, alzò una mano e disse, “Fammi vedere quel telefono.”

Il ragazzo deglutì a fatica, poi lo recuperò dalla tasca e glielo allungò. La cover era rosa e sembrava costoso.

Ray chiese, “È di Ashley?”

Il ragazzo rimase in silenzio, sprezzante.

“Posso comporre il suo numero e vedere se suona,” disse Ray. “O puoi darmi una risposta diretta.”

“Sì, è suo. E quindi?”

“Metti il culo su quel divano e non ti muovere,” disse Ray. E poi a Keri, “Fa’ quello che devi.”

Keri perlustrò la casa. C’erano tre piccole camere da letto, un bagno piccolo e un armadio per la biancheria – a occhio sembrava tutto innocuo. Non c’erano tracce di lotta né di prigionia. Trovò la maniglia per la mansarda nel corridoio e la tirò. C’era una serie di traballanti gradini sospesi in legno che portavano di sopra. Salì con attenzione. Quando arrivò in cima, prese la sua torcia e illuminò l’ambiente. Era più un posticino extra dove strisciare che una vera e propria mansarda. Il soffitto era alto poco più di un metro e le travi che lo attraversavano rendevano difficile muoversi, pure da accovacciati.

Non c’era granché lassù. Solo ragnatele vecchie di una decina d’anni, un mucchio di scatole coperte di polvere e sul fondo un baule in legno che sembrava gravoso da spostare.

Perché qualcuno ha messo l’oggetto più pesante e inquietante sul fondo della mansarda? Deve essere stato difficile portarlo fino a quell’angolo.

Keri sospirò. Era ovvio che qualcuno l’avesse messo lì solo per complicarle la vita.

“Tutto bene lassù?” urlò Ray dal soggiorno.

“Sì. Sto perlustrando la mansarda.”

Si arrampicò su per gli ultimi gradini e attraversò accovacciata la mansarda, assicurandosi di passare sulle strette travi di legno. Aveva paura che un passo falso l’avrebbe fatta precipitare attraverso il soffitto di cartongesso. Sudata e piena di ragnatele, finalmente raggiunse il baule. Quando lo aprì e vi puntò dentro la torcia, fu sollevata nello scoprire che dentro non c’era nessun cadavere. Era vuoto.

Keri chiuse il baule e tornò alle scale.

Nel soggiorno, Denton non si era mosso dal divano. Ray gli sedeva direttamente di fronte, a cavalcioni di una sedia da cucina. Quando Keri entrò, alzò lo sguardo e chiese, “Trovato qualcosa?”

Lei scosse la testa in segno di diniego. “Sappiamo già dove si trova Ashley, detective Sands?”

“Ancora no, ma ci stiamo lavorando. Vero, signor Rivers?”

Denton finse di non aver sentito la domanda.

“Posso vedere il telefono di Ashley?” chiese Keri.

Ray glielo porse senza entusiasmo. “È protetto. Dovremo lasciare che gli informatici usino i loro trucchetti.”

Keri guardò Rivers e disse, “Qual è la password, Denton?”

Il ragazzo si prese gioco di lei. “Non lo so.”

L’espressione severa di Keri gli fece capire che non se l’era bevuta. “Te lo chiederò un’altra volta, molto gentilmente. Qual è la password?”

Il ragazzo esitò, decidendo cosa fare, e poi disse, “Miele.”

A Ray, Keri disse, “C’è un capanno là fuori. Vado a controllarlo.”

Gli occhi di Rivers schizzarono subito in quella direzione, ma non disse nulla.

All’esterno, Keri usò una vanga arrugginita per forzare il lucchetto del capanno. Una striscia di sole penetrava da un buco nel tetto. Ashley non si trovava lì – c’erano solo latte di pittura, vecchi utensili e altra roba di vario genere. Stava per uscire quando notò una pila di targhe della California su uno scaffale di legno. Esaminandole più da vicino, vide che ce n’erano sei paia, tutte con l’etichetta dell’anno corrente.

Che cosa ci fanno queste qui? Dovremo imbustarle.

Si voltò per uscire quando un’improvvisa brezza fece sbattere la porta arrugginita, chiudendo fuori la maggior parte della luce. Bloccata nella semioscurità, a Keri venne la claustrofobia.

Fece una profonda inspirazione, poi un’altra. Cercava di regolare il respiro quando la porta si aprì scricchiolando, lasciando entrare di nuovo la luce del sole.

Dev’essere stato così per Evie. Sola, bloccata nel buio, confusa. È stato questo che la mia bambina ha dovuto affrontare? È stato questo il suo incubo a occhi aperti?

Keri soffocò un singhiozzo. Aveva immaginato Evie rinchiusa in posti del genere centinaia di volte. La prossima settimana sarebbero stati cinque anni esatti da che era scomparsa. Sarebbe stata una giornata difficile da sopportare.

Molto era accaduto da allora – gli sforzi per mantenere in piedi il matrimonio mentre le loro speranze svanivano, l’inevitabile divorzio da Stephen, l’anno “sabbatico” dalla sua cattedra di criminologia e psicologia alla Loyola Marymount University, ufficialmente per fare ricerche indipendenti ma in realtà perché la sua abitudine di bere e di andare a letto con gli studenti aveva forzato la mano dell’amministrazione. Ovunque si voltasse, vedeva pezzi rotti della sua vita. Era stata costretta a far fronte al suo ultimo fallimento: l’incapacità di trovare la figlia che le era stata portata via.

Keri si ripulì grossolanamente il viso dalle lacrime e si sgridò in silenzio.

Okay, hai fallito con tua figlia. Non fallire anche con Ashley. Riprenditi, Keri!

Proprio lì, nel capanno, accese il telefono di Ashley e digitò “Miele”. La password era giusta. Denton aveva detto la verità, almeno su una cosa.

Premette Foto. C’erano centinaia di fotografie, per la maggior parte classiche – adorabili selfie di Ashley con le amiche della scuola, lei e Denton Rivers insieme, qualche foto di Mia. Ma sparpagliate qua e là, fu sorpresa di vedere che ce n’erano delle altre, più audaci.

Molte erano state scattate in un bar o un club di qualche genere, vuoto, chiaramente prima o dopo la chiusura, con Ashley e le sue amiche visibilmente ubriache in pieno stile festa provocante, che si sparavano birre, si alzavano le gonne e si fotografano i tanga. In alcune preparavano bonghi o rollavano canne. Le bottiglie di alcolici dilagavano.

Chi conosceva Ashley che aveva accesso a un posto del genere? Quando accadeva? Quando Stafford era a Washington DC? Come faceva sua madre a non averne idea?

Furono le foto con la pistola a colpire sul serio l’attenzione di Keri. D’un tratto era lì, sullo sfondo, una SIG 9 mm, posata in modo poco appariscente sul tavolo accanto a un pacchetto di sigarette, o su un divano accanto a un sacchetto di patatine. In uno scatto, Ashley era da qualche parte in un bosco, vicino a un fiume, a sparare a lattine di Coca Cola.

Perché? Solo per divertimento? Stava imparando a difendersi? E se fosse così, a difendersi da cosa?

Curiosamente, le foto con Denton Rivers erano diminuite molto negli ultimi tre mesi, in corrispondenza di quelle nuove con un ragazzo considerevolmente bello con una lunga, selvaggia e folta chioma di capelli biondi. In molte foto era senza maglietta, con la tartaruga di addominali bene in vista. Ne sembrava molto orgoglioso. Una cosa era certa – decisamente non era un ragazzo delle superiori. Sembrava più probabile che avesse appena passato la ventina.

Era lui ad avere accesso al bar?

Ashley aveva anche fatto delle foto erotiche di sé. In alcune inquadrava le sue mutandine. In altre era nuda eccetto per un perizoma, e spesso si toccava in modo provocante. Le foto non mostravano mai il viso ma era decisamente Ashley. Keri riconobbe la sua camera. In una riuscì a vedere la libreria sullo sfondo con il vecchio libro di matematica che nascondeva il documento falso. In un’altra riuscì a vedere l’animale impagliato di Ashley sullo sfondo, a riposo sul cuscino con la testa rivolta da un’altra parte, quasi come se non potesse sopportare di guardare. Keri ebbe voglia di vomitare ma si trattenne.

Tornò alla schermata del menù ed entrò nella cartella Messaggi per vedere le conversazioni della ragazza. Le foto erotiche della cartella Foto erano state inviate una alla volta da Ashley a qualcuno di nome Walker, apparentemente il ragazzo con la tartaruga. I messaggi che le accompagnavano lasciavano poco all’immaginazione. Nonostante lo speciale legame di Mia Penn con sua figlia, cominciava a sembrare che Stafford Penn capisse Ashley molto meglio di quanto riuscisse a sua madre.

C’era anche un messaggio inviato a Walker quattro giorni prima che diceva, Oggi ho scaricato Denton ufficialmente. Mi aspetto la tragedia. Ti farò sapere.

Keri spense il cellulare e sedette lì nel capanno buio, a pensare. Chiuse gli occhi e lasciò che la sua mente vagasse. Le si formò un’immagine nella testa, una così reale che avrebbe anche potuto trovarsi lì.

Era un bello e soleggiato mattino di una domenica settembrina, ricolmo degli infiniti cieli blu della California. Erano al parco giochi, lei e Evie. Stephen sarebbe tornato quel pomeriggio da un’escursione al parco nazionale del Joshua Tree. Evie indossava una canotta viola, shorts bianchi, calzini di pizzo bianco e scarpe da tennis.

Aveva un sorriso smagliante. Occhi verdi. I capelli erano biondi e mossi, raccolti in codini. Il dentino davanti superiore era scheggiato; era un dente vero, non di quelli da latte, e prima o poi avrebbe dovuto farlo sistemare. Ma ogni volta che Keri ne parlava Evie si faceva prendere dal panico, quindi ancora non avevano fatto niente.

Keri era seduta sull’erba, a piedi nudi, con delle carte sparpagliate tutto intorno a lei. Si stava preparando per la presentazione che avrebbe tenuto la mattina del giorno dopo alla Conferenza di criminologia della California. Aveva anche chiamato un oratore ospite, un detective del dipartimento di polizia di Los Angeles di nome Raymond Sands con cui si era consultata per un paio di casi.

“Mamma, prendiamo il frozen yogurt!”

Keri controllò l’ora.

Aveva quasi finito e c’era un bar Menchie sulla strada di casa. “Dammi cinque minuti.”

“Vuol dire sì?”

Sorrise.

“Vuol dire super sì.”

“Posso prenderlo spolverato di confetti o solo con la frutta?”

“Facciamo così – come diffondi la polvere di fata?”

“Come?”

“La spolveri! L’hai capita?”

“Certo che l’ho capita, mamma. Non sono piccola!”

“Certo che non lo sei. Ti faccio le mie scuse. Dammi solo cinque minuti.”

Riportò l’attenzione sul discorso. Un minuto dopo qualcuno le passò davanti, oscurando per un attimo la pagina nell’ombra. Infastidita dalla distrazione, cercò di ritrovare la concentrazione.

Improvvisamente il silenzio fu rotto da un urlo agghiacciante. Keri alzò lo sguardo, sorpresa. Un uomo con una giacca a vento e un cappello da baseball stava scappando. Riusciva a vedergli solo la schiena, ma capì che stava tenendo qualcosa in braccio.

Keri si alzò in piedi, guardandosi in giro disperatamente in cerca di Evie. Non era da nessuna parte. Keri si mise a correre verso l’uomo ancor prima di esserne certa. Un secondo dopo, la testa di Evie si sporse dal corpo dell’uomo. Era terrorizzata.

“Mamma!” urlò. “Mamma!”

Keri li inseguì, scattando al massimo della velocità. L’uomo aveva un grosso vantaggio. Quando Keri fu a metà strada del campo erboso, lui era già al parcheggio.

“Evie! Lasciala andare! Fermo! Qualcuno fermi quell’uomo! Ha preso mia figlia!”

La gente si voltava, ma per lo più sembrava confusa. Nessuno fece nulla per aiutarla. E lei non vide nessuno fermarlo al parcheggio. Vide dove era diretto. C’era un furgone bianco alla fine del parcheggio, posteggiato parallelamente al marciapiede per un’uscita rapida. Era a meno di quindici metri dal mezzo quando sentì ancora la voce di Evie.

“Ti prego, mamma, aiutami!” la implorò.

“Arrivo, tesoro!”

Keri corse anche più veloce, con la vista offuscata da lacrime brucianti, ignorando la fatica e la paura. Aveva raggiunto il ciglio del parcheggio. L’asfalto era friabile e scavato sotto ai suoi piedi scalzi, ma non le importava.

“Quell’uomo ha preso mia figlia!” urlò di nuovo, indicandoli.

Un adolescente in t-shirt e la sua ragazza uscirono dalla loro auto, a soli pochi posteggi dal furgone. L’uomo gli passò davanti correndo. Sembravano sbalorditi, finché Keri non urlò di nuovo.

“Fermatelo!”

Il ragazzo cominciò a camminare verso l’uomo, poi scattò di corsa. Ormai l’uomo aveva raggiunto il furgone. Aprì la portiera e ci buttò dentro Evie come fosse stata un sacco di patate. Keri sentì il rumore che fece il suo corpo quando colpì il muro.

Chiuse la portiera e corse intorno al veicolo fino al posto del guidatore, quando il ragazzo lo raggiunse e lo afferrò per una spalla. L’uomo si voltò e Keri riuscì a guardarlo meglio. Indossava occhiali da sole e un cappello tenuto basso ed era difficile vedere attraverso le lacrime. Ma colse di sfuggita capelli biondi e quello che sembrava parte di un tatuaggio sul lato destro del collo.

Ma prima che potesse distinguere altro, l’uomo aveva allungato il braccio all’indietro e aveva colpito il ragazzo in viso, facendolo sbattere contro una macchina lì vicina. Keri sentì il ripugnante rumore di uno schianto. Vide l’uomo prendere un coltello da un fodero assicurato alla cintura e tuffarlo nel petto del ragazzo. Lo estrasse e aspettò un secondo per vedere il ragazzo ruzzolare a terra prima di completare il giro per raggiungere di corsa il sedile del conducente.

Keri costrinse ciò che aveva visto fuori dai suoi pensieri e si concentrò solo sul raggiungere il furgone. Sentì il motore avviarsi e vide il furgone cominciare a muoversi. Era a meno di sei metri di distanza.

Ma il veicolo stava ormai prendendo velocità. Keri continuò a correre ma sentiva il suo corpo stava cedendo. Portò lo sguardo sulla targa, pronta a memorizzarla. Non c’era.

Cercò le chiavi, poi si ricordò che erano nella borsa, al parco. Tornò al punto in cui si trovava il ragazzo, sperando di prendere le sue e la sua macchina. Ma quando arrivò lì, vide che la sua ragazza era china su di lui, a piangere senza controllo.

Alzò di nuovo lo sguardo. Il furgone era lontanissimo adesso, e spostandosi aveva sollevato una scia di polvere. Non aveva una targa, nessuna descrizione da fare, nulla da offrire alla polizia. Sua figlia era sparita e lei non sapeva cosa fare per riaverla.

Keri cadde a terra accanto alla ragzza e cominciò a piangere di nuovo, e i loro lamenti di disperazione era indistinguibili l’uno dall’altro.

Quando aprì gli occhi era di nuovo nella casa di Denton. Non ricordava di essere uscita dal capanno né di aver attraversato l’erba morta. Ma in qualche modo era arrivata nella cucina di Rivers. Due volte in un giorno solo.

Stava peggiorando.

Tornò nel soggiorno, guardò Denton negli occhi, e disse, “Dov’è Ashley?”

“Non lo so.”

“Perché il suo cellulare è in tuo possesso?”

“L’ha lasciato qui ieri.”

“Stronzate! Ha rotto con te quattro giorni fa. Ieri lei non è stata qui.”

Il viso di Denton crollò all’assalto verbale incontrollato.

“Okay, gliel’ho preso.”

“Quando?”

“Oggi pomeriggio, a scuola.”

“Gliel’hai fregato di mano?”

“No, l’ho urtata dopo l’ultima campanella e gliel’ho sfilato dalla borsa.”

“Chi possiede un furgone nero?”

“Non lo so.”

“Un tuo amico?”

“No.”

“Qualcuno che hai assunto?”

“No.”

“Come ti sei fatto quei graffi sul braccio?”

“Non lo so.”

“Come ti sei fatto quel taglio sulla testa?”

“Non lo so.”

“Di chi è il sangue sul tappeto?”

“Non lo so.”

Keri spostò il peso da un piede all’altro e cercò di trattenere la rabbia che le saliva nel sangue. Capì che stava perdendo la battaglia.

Lo guardò fisso e disse, senza emozione, “Te lo chiederò un’altra volta: dove si trova Ashley Penn?”

“Vaffanculo.”

“Risposta sbagliata. Riflettici mentre ti portiamo alla stazione di polizia.”

Si voltò, esitò un attimo, e poi d’un tratto si rigirò di nuovo e lo colpì col pugno chiuso, forte, con ogni grammo di rabbia che aveva in corpo. Lo prese dritto alla tempia, nello stesso punto della precedente ferita. Quella si aprì, e il sangue schizzò ovunque, e un po’ atterrò sulla camicetta di Keri.

Ray la fissava incredulo, raggelato. Poi rimise Denton Rivers in piedi con un unico forte strattone e disse, “Hai sentito la signora! Muoviti! E non andare più sbattere la testa su altri tavolini da caffè.”

Keri gli sorrise ironica per le sue parole ma Ray non le ritornò il sorriso. Sembrava inorridito.

Qualcosa del genere poteva costarle il lavoro.

Non le importava, però. Tutto ciò che le importava adesso era far parlare quel teppistello.

Yaş sınırı:
16+
Litres'teki yayın tarihi:
10 ekim 2019
Hacim:
231 s. 3 illüstrasyon
ISBN:
9781640290860
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