Kitabı oku: «Tracce di Morte», sayfa 6
CAPITOLO NOVE
Lunedì
Notte
Johnnie Cotton si trovava già nella sala interrogatori uno quando Keri arrivò alla stazione. Aveva scaricato Ray a casa di Denton Rivers, dove aveva parcheggiato la macchina, e si aspettava che arrivasse a momenti. Hillman non c’era ma il detective Cantwell la raggiunse nel corridoio fuori dalla sala e le disse che Hillman l’aveva rimessa sul caso e che era autorizzata a interrogare Cotton. Lo disse con tono piatto, senza emozioni, ma sotto sotto lei colse lo sdegno del detective veterano. Decise di ignorarlo.
Mentre aspettava che il suo partner arrivasse, osservò Johnnie Cotton attraverso il vetro a specchio della sala interrogatori. Dato che avevano cercato di evitarlo a casa sua, quella era la sua prima vera occasione per guardarlo bene.
Non aveva l’aspetto del tipico pedofilo. Gli occhi non erano sempre annacquati. Il mento non era particolarmente debole. Non teneva le spalle curve. Non era particolarmente tracagnotto né pallido. Era solo un ragazzo normale – capelli scuri, corporatura media, forse un po’ brufoloso per un uomo di trent’anni, forse un po’ basso. Ma nel complesso era piuttosto anonimo, il che, ovviamente, era molto più seccante. Sarebbe stato preferibile che questi tipi fossero facili da identificare.
Stava in piedi in un angolo della stanza, con le mani ammanettate sul davanti, e la schiena schiacciata contro il muro. Keri sospettava che fosse la sua classica posizione in prigione, per sopravvivere. I pedofili non erano molto amati, lì dentro.
Keri prese una decisione improvvisa. Non avrebbe aspettato Ray. C’era qualcosa in quel tipo che la faceva pensare che si sarebbe chiuso del tutto se messo a confronto con l’incombente presenza del suo partner. Presenza che Keri avrebbe usato, se necessario, ma dopo. Entrò nella stanza.
Gli occhi di Cotton le furono subito addosso quando entrò, poi si rivolsero altrove quasi immediatamente.
“Vieni qui,” disse Keri. L’uomo le obbedì. “Ora seguimi.”
Lo condusse fuori dalla sala interrogatori fin nel corridoio. Cantwell e Sterling, che stavano chiacchierando nel corridoio, si voltarono verso di loro, sorpresi.
“Locke, che stai facendo?” chiese Sterling.
“Torniamo subito.”
E con quello gli fece percorrere il corridoio fino al bagno delle donne, mentre i suoi colleghi la guardavano sconvolti.
“Aspettate qui,” disse loro, e poi chiuse la porta e si concentrò su Cotton.
“Qui non ci sono telecamere. Non ci sono microfoni.” Si sbottonò la camicetta, esponendo il reggiseno e lo stomaco, e disse, “Non ho un microfono nascosto. Qualunque cosa tu dica, resta tra me e te. Dimmi che vuoi un avvocato.”
L’uomo la guardò, confuso.
“Dillo,” disse Keri. “Di’, ‘Voglio un avvocato.’”
Lui obbedì.
“Voglio un avvocato.”
“No, non puoi averlo,” disse Keri. “Vedi cos’è appena successo? Se qui ci fossero davvero dei microfoni, che non ci sono, nulla di ciò che dici potrebbe mai essere usato contro di te adesso perché ti ho appena negato i tuoi diritti costituzionali. La morale della favola è che siamo soli. Non sono qui per farti del male. Non sono qui per fregarti. Capito?”
L’uomo annuì.
“L’unica cosa che voglio è Ashley Penn.” L’uomo aprì la bocca per parlare ma Keri lo interruppe. “No, no, non dire ancora niente. Lasciami esporre le premesse, prima. Poco fa, stasera, sono entrata in casa tua, in cerca di Ashley. Tu non c’eri. Ho visto la scatola da scarpe nell’armadio. Ho visto tutte le fotografie.”
Una goccia di sudore gli scintillò sulla fronte.
“Quando sei tornato a casa, hai visto che erano state spostate. Ho ragione?”
Annuì.
“Sapevi che qualcuno le aveva viste. Le hai portate da qualche parte e le hai distrutte prima di essere arrestato. Dico il vero?”
“Sì.”
“Be’, che resti tra me e te, non funzionerà. Io le ho viste e posso testimoniare di averle viste. La mia testimonianza sarà più che sufficiente per negarti la libertà vigilata. Tutto quello che devo fare è dire la parolina magica e tornerai dritto in prigione. Ecco l’accordo. Io mi prendo Ashley Penn e tu rimani in libertà.”
L’uomo si mise a camminare avanti e indietro.
Poi disse, “Quelle fotografie, io non le ho mai volute. Sono capitate tra la mia posta.”
“Stronzate.”
“No, è la verità. Sono comparse così.”
“Chi te le ha mandate?”
“Non lo so,” disse. “Non c’è mai l’indirizzo del mittente sulla busta.”
“Be’, se non le vuoi perché non le bruci?”
Si strinse nelle spalle.
“Non ci sono riuscito.”
“Perché ti piacciono troppo?”
Sospirò.
“Lo so che è difficile da capire,” disse. “Credo che qualcuno mi stia incastrando. Voleva che si trovassero a casa mia. Sapeva che non sarei riuscito a sbarazzarmene. Voleva che la polizia le trovasse. Voleva rimandarmi in prigione. E ora ecco qua, è proprio ciò che sta accadendo. Avrei dovuto bruciarle tutte nel momento in cui mi sono arrivate.”
“Puoi ancora uscirne,” disse Keri. “Dove si trova Ashley Penn?”
“Non lo so.”
Keri si accigliò.
“Dimmi cosa ne hai fatto.”
“Niente.”
“Non ti credo, Johnnie.”
“Giuro su Dio,” disse. “La tv dice che è stata rapita dopo la scuola, vero? Nel bel mezzo del pomeriggio?”
“Sì.”
“Be’, ero al lavoro,” disse. “Lavoro al Rick’s Autos a Cerritos. Sono stato lì tutto il giorno. Non me ne sono andato che dopo le cinque. Può chiamare Rick e glielo confermerà. Mi aveva avvertito che se avessi saltato anche un solo altro giorno, mi avrebbe licenziato.”
“Hai saltato molti giorni di lavoro ultimamente?”
“Uno qua e uno là. Ma Rick mi aveva avvertito quindi sono stato attento a rimanere lì per tutta la giornata. Inoltre hanno videocamere di sicurezza. Può vedermi nel parcheggio tutto il giorno. Non me ne sono mai andato, non una volta, neanche per cinque minuti. Ho persino pranzato nella stanza del personale. Controlli. Lo chiami, glielo dirà lui.”
Keri sentiva un disagio crescente. Il suo alibi era così specifico che sarebbe stato facile trovarci delle falle se non fosse stato vero, e ciò significava che probabilmente lo era.
“Per tutto il giorno?” chiese Keri.
“Sì. A un certo punto ho ricevuto una telefonata, verso le due, da un tizio che voleva fare… un acquisto…”
“Non ti preoccupare, Johnnie, non voglio arrestarti per spaccio. Va’ avanti.”
“Be’, voleva che ci incontrassimo al parcheggio del centro commerciale di Cerritos. Ma il tipo non lo conoscevo e come ho detto, Rick…”
“Ti aveva avvertito, lo so. Quindi se tu eri lì, chi guidava il tuo furgone?”
“Nessuno. È stato con me tutto il giorno.”
“Qualcuno l’ha guidato.”
“No, nessuno,” disse. “L’avevo parcheggiato proprio davanti al concessionario. Ci sono passato davanti per tutto il giorno. Era proprio lì.”
“L’abbiamo registrato sul nastro del rapimento di Ashley.”
“È impossibile. Era con me. Vada a guardare i filmati di Rick. Lo vedrà.”
Keri riportò Cotton nella sala interrogatori. Quando uscì, c’era Ray ad aspettarla.
“Non posso lasciarti sola un secondo,” disse.
“Seguimi,” gli disse, senza alcuna voglia di scherzare.
Si diressero verso il garage dove era conservato il furgone nero di Cotton. Keri inserì il numero di targa nel computer. Con sua grande sorpresa, non corrispondeva al furgone. Le targhe sul furgone di Johnnie Cotton erano registrate a una Camry bianca di proprietà di una persona di nome Barbara Green, di Silverlake.
“Che diavolo succede?” chiese Ray, anche lui sconvolto.
“Vuoi sentire una teoria?” disse Keri.
“Sì, ti prego.”
“Chiunque abbia rapito Ashley Penn stava cercando di incastrare Johnnie Cotton,” disse. “Ha usato un furgone nero per il sequestro, stessa marca e stesso modello di quello di Cotton. Ha rubato la targa di Cotton in modo che alla fine arrivassimo a lui, ma ha coperto quella anteriore perché sembrasse che Cotton stesse agendo in sordina.”
Ray continuò il ragionamento.
“E ha sostituito le targhe di Cotton con quelle di Barbara Green perché così non si sarebbe probabilmente accorto della differenza finché non fosse stato troppo tardi.”
“Esattamente,” fu d’accordo Keri. “E scommetto che chiunque l’abbia fatto abbia anche spedito a Cotton quelle foto delle ragazzine. Cotton ha dichiarato che gli sono apparse nella cassetta della posta, prive del mittente. Chiunque fosse sapeva che non sarebbe stato in grado di buttarle e che noi le avremmo trovate quando avremmo perquisito la casa, facendolo così apparire ancora più colpevole.”
“Quindi Cotton non è il nostro uomo,” disse Ray.
“No. Ma non è questa la parte peggiore. Chiunque sia il nostro uomo, sta pianificando tutto quanto da un po’. Sapeva che Cotton era lo spacciatore di Denton Rivers. Sapeva che era un pedofilo. E ha cercato attivamente di minare l’alibi di Cotton tentando di farlo andare al centro commerciale.”
“Quindi torniamo dritti al punto di partenza,” disse Ray.
Keri scosse la testa in segno di diniego.
“Peggio del punto di partenza,” disse. “Abbiamo perso l’unica cosa che Ashley Penn non ha: il tempo.”
CAPITOLO DIECI
Lunedì
Notte
Ashley aveva problemi ad aprire gli occhi. Sapeva di essere cosciente ma tutto ciò che sentiva era pesante e indistinto. Le ricordava di quando a undici anni si era rotta un legamento della caviglia facendo surf; era stata operata e le avevano fatto l’anestesia. Quando si era svegliata aveva provato quello che provava adesso, come se non si stesse svegliando dal sonno ma quasi dalla morte.
Da quanto tempo era stesa lì?
La testa le faceva male. Non c’era una particolare fonte del dolore. Pulsava ovunque, così forte che temeva che muoversi l’avrebbe peggiorato.
Nonostante l’ansia che il dolore avrebbe potuto causare, Ashley decise che era ora di aprire gli occhi.
Era buio pesto. Non vedeva niente.
E fu allora che la paura la colse. Quello non era un ospedale.
Dove sono?
Immaginò che fosse così che una persona che veniva drogata contro la sua volontà potesse sentirsi. E il pensiero fece partire un altro spasmo di paura.
Come sono arrivata qui? Perché non riesco a ricordare niente?
Provò a controllare il terrore che, lo sentiva, la stava agguantando. Si ricordò di come se l’era cavata quando un’onda davvero enorme l’aveva buttata giù dalla tavola da surf e l’aveva sbattuta giù verso il fondo dell’oceano. Dare i numeri non l’aveva aiutata. Non poteva combattere e vincere contro un’onda. Doveva rimanere calma e aspettare che passasse. Doveva provare la paura ma lasciare che la attraversasse in modo da agire quando l’onda se ne fosse andata.
Si sforzò di fare lo stesso anche qui. Non riusciva a vedere e non riusciva a ricordare, ma ciò non significava che fosse priva di risorse. Decise di provare a sedersi.
Si fece forza sui gomiti finché non fu seduta dritta, ignorando il martello pneumatico che aveva nella testa. Dopo che si fu placato un po’, si controllò al buio. Indossava ancora il top e la gonna. Il reggiseno e le mutandine li aveva ma le scarpe no. Si trovava su un sottile materasso, con i piedi scalzi posati sul ruvido pavimento di legno. Oltre al dolore generale e al mal di testa non pensava di avere delle ferite.
L’orecchio destro sembrava strano. Lo toccò e si accorse che le mancava l’orecchino e che il lobo palpitava. L’orecchino sinistro era ancora lì.
Si allungò per farsi un’idea del luogo. Il pavimento era decisamente di legno ma aveva qualcosa di strano che non riusciva a identificare. Continuò a tastare finché le dita si scontrarono contro un muro in testa al materasso. Con sua grande sorpresa, era di metallo. Ci picchiò contro la nocca. Anche se era spesso, il rumore provocava un’eco tutto intorno.
Usò il muro per alzarsi e ci fece scorrere su le dita, facendo piccoli e attenti passi. Dopo un istante divenne chiaro che il muro era ricurvo. Lo seguì in cerchio finché i piedi andarono a sbattere di nuovo contro al materasso. Si trovava in una specie di stanza cilindrica. Era difficile valutarne la grandezza ma pensò che fosse grande all’incirca quanto un garage doppio.
Tornò a sedersi sul materasso e fu sorpresa dal rumore che fece. Sbatté i piedi sul pavimento di legno e capì che cosa le fosse sembrato strano prima: sembrava cavo all’interno, come se si trovasse sopra a un patio.
Ashley rimase seduta un minuto in silenzio, cercando di far riemergere un ricordo, un qualsiasi ricordo. Riusciva a sentire la paura che riprendeva piede.
Che cos’è questo posto? Come ci sono arrivata? Perché non riesco a ricordare niente?
“Ehi!”
Le tornò una veloce eco, che le fece pensare a una struttura chiusa con un soffitto alto. Nessuno rispose.
“C’è qualcuno?”
Non arrivò nessun suono.
I pensieri le volarono ai genitori. La stavano cercando? Era via da abbastanza tempo perché si spaventassero? Suo padre aveva almeno notato che se n’era andata?
Le affiorarono le lacrime agli occhi. Le strofinò via con rabbia con il dorso della mano. Al senatore Stafford Penn i frignoni non piacevano.
“Mamma!” urlò, ascoltando il panico che le cresceva nella voce. “Mamma, aiutami!”
Aveva la gola che sembrava carta vetrata. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva bevuto qualcosa? Da quanto era lì?
Strisciò sul pavimento, tastando in cerca di qualsiasi cosa che non fosse il materasso. Con sua grande sorpresa, la mano si scontrò con un cestino di plastica al centro della stanza. Tolse il coperchio e ne tastò l’interno. C’erano molte bottiglie di plastica, recipienti vari e… una torcia?
Sì!
Ashley la accese e la stanza si illuminò a giorno. Quasi subito capì che non si trattava di una vera e propria stanza. Si trovava in una specie di silo, sulla parte superiore, vicino alla cima, dove il soffitto si incanalava a tre metri dalla sua testa. Nel cestino c’erano bottiglie d’acqua, un po’ di zuppa, burro d’arachidi, carne essiccata, carta igienica e una pagnotta di pane. Accanto al cestino c’era un secchio di plastica. Poteva facilmente immaginare a cosa servisse.
Passò il fascio di luce lungo le pareti, sperando contro ogni logica che ci potesse essere una porta. Nulla. Ciò che colpì la sua attenzione, però, furono le scritte sui muri.
Si avvicinò a quella più vicina, scritta con un pennarello nero.
Sono Brenda Walker. Sono morta qui nel luglio del 2016. Dite a mia madre e a mio padre e a mia sorella Hanna che vorrò loro sempre bene.
Seguiva un numero di telefono. Aveva il prefisso 818 – la San Fernando Valley.
Gesù!
Ashley continuò a spostare la luce lungo le pareti. C’erano altri messaggi con calligrafie diverse. Alcuni erano brevi e andavano dritti al punto, come quello di Brenda. Altri erano lunghi e sconclusionati, e sembravano essere stati scritti nel giro di giorni. C’erano almeno una dozzina di nomi diversi, e i messaggi coprivano letteralmente i muri.
Ashley sentì che stava andando in iperventilazione. Le ginocchia le barcollarono e cadde a terra, aggrappandosi all’orlo del cestino per tenersi su. La torcia cadde sopra alla pagnotta di pane. Strinse forte le palpebre e respirò lentamente, cercando di scacciare i messaggi sui muri dalla testa.
Dopo un minuto riaprì gli occhi e tornò a guardare il cestino. La torcia era caduta dal pane ed era rotolata sul fondo, accanto al burro d’arachidi.
Mi farà un gran bene, visto che sono allergica a quella roba.
Raccolse la torcia e diede un inutile colpetto al recipiente di burro d’arachidi. Quando si spostò, Ashley vide che nel cestino, sotto di esso, c’era qualcosa che prima si era persa. Si sporse, per guardare più da vicino. Era un grosso pennarello nero.
E fu allora che Ashley cominciò a gridare.
CAPITOLO UNDICI
Lunedì
Notte
Keri aspettava alla porta principale, cercando di non perdere la pazienza. Eri lì in piedi da più di due minuti.
Dopo che la pista Johnnie Cotton si era risolta in un nulla di fatto, Hillman aveva detto loro di ripartire da zero. Dovevano ancora verificare tutto ciò che Cotton aveva detto. Patterson stava supervisionando la ricerca del CSU del furgone, nel caso in cui saltasse fuori qualcosa. Sterling era stato mandato al Rick’s Autos, a Cerritos, per vedere il capo di Cotton e visionare il video di sorveglianza per confermarne l’alibi.
Edgerton, l’esperto informatico, aveva preso il cellulare che Cotton gli aveva dato allegramente per cercare di tracciare l’uomo misterioso che aveva voluto incontrarlo al parcheggio del centro commerciale per comprargli della droga. Un agente gli stava anche portando il laptop di Ashley in modo che potesse dargli un’occhiata seria per scoprire qualsiasi cosa la ragazza stesse nascondendo.
Suarez stava scrivendo i rapporti degli interrogatori che aveva fatto a Thelma Gray e Miranda Sanchez. Cantwell stava facendo delle ricerche sulle vendite di furgoni neri che corrispondevano al mezzo del rapitore effettuate nella contea di Los Angeles nel corso dell’ultimo mese e stava controllando i precedenti penali dei proprietari.
Ray era tornato nella scuola di Ashley per incontrarsi con il principale e visionare il filmato di sorveglianza delle strade del circondario degli ultimi giorni. Speravano che il rapitore avesse ispezionato la scuola e commesso un qualche errore, magari che fosse stato superficiale e che fosse uscito dal furgone, così avrebbero potuto identificarlo.
Brody era stato del tutto estromesso dalle ricerche per investigare su una sparatoria da auto in corsa a Westchester. Lo stesso Hillman stava visionando recenti casi di rapimento di adolescenti avvenuti nella contea, in cerca di somiglianze.
Keri convinse Hillman a permetterle di fare una ricerca su Walker Lee, il ragazzo più grande che Ashley doveva aver iniziato a frequentare nelle ultime settimane. Sapeva che le aveva detto di sì solo per averla fuori dalla stazione di polizia e lontana dal cuore dell’investigazione. Ma a lei non importava. Non nutriva grandi speranze per nessuno degli altri ambiti di ricerca e immaginava che avrebbe anche potuto provare a seguire una pista nuova.
Walker Lee viveva a North Venice, sul finire della Rose Avenue. L’area era brulicante di gallerie d’arte, ristoranti vegani, spa biologiche e centinaia di loft di artisti, il che era un elegante modo di descrivere un appartamento-studio non rifinito e senza mobili. Ma dato che erano chiamati “loft” e che si trovavano a Venice, i proprietari potevano farti pagare diemilacinquecento dollari al mese per centocinquanta metri quadrati. Lo stesso appartamento a Sherman Oaks sarebbe costato meno di mille dollari.
La casa di Lee sembrava essere una variazione sul tema. Si trovava in quella che sembrava una vecchia officina, dove ogni vano era stato separato dagli altri e trasformato in uno spazio vivibile. Keri dubitava che la musica alta che i suoi vicini sentivano venire dalla sua unità fosse attenuata dai pannelli di cartongesso a buon mercato.
Colpì di nuovo alla porta principale. Minuti prima, Walker Lee aveva urlato che era appena uscito dalla doccia e che gli serviva un attimo per vestirsi.
“È passato abbastanza tempo, signor Lee. Apra questa porta o la aprirò io al posto suo.”
Un secondo dopo, la porta si aprì.
Walker Lee – il nuovo fidanzato di Ashley – era davanti a lei. Somigliava proprio al ragazzo delle foto. Come in molti scatti, anche adesso non indossava né maglietta né scarpe, ma solo un paio di jeans con un bottone aperto e la patta chiusa per metà che metteva in mostra i suoi addominali a tartaruga. I lunghi capelli biondi erano umidi e qualche ciocca gocciolava acqua sul pavimento di cemento ai suoi piedi. Era così bello che a Keri ci volle uno sforzo per non rimanere lì a fissarlo.
“Entri. Ha detto di avere qualche domanda su Ashley, vero?” disse strofinandosi i capelli con un asciugamano.
Keri annuì e lo seguì all’interno del loft, cercando di non fissargli il sedere. Non era strano che Ashley ne fosse rimasta colpita. Quel ragazzo era una delizia per gli occhi anche per gli standard di Hollywood. La condusse attraverso l’ala principale, che fungeva da camera da letto, la cucina, che era stata l’ufficio di una carrozzeria, e fin dentro quella che una volta doveva essere stata la sala del personale. Keri notò che la porta e le pareti erano imbottite. Il suo sistema d’allarme interno scattò per un attimo mentre si chiedeva perché quel tipo la stesse guidando in una stanza insonorizzata. Ma quando vi guardò dentro, capì. Era stata convertita in uno studio prove, completo di casse, batterie, microfoni, tavole armoniche, amplificatori, chitarre, jukebox, interminabili cavi e pure un divano su cui buttarsi. C’era a malapena spazio per muoversi. Lee si lasciò andare sul divano e aspettò che Keri parlasse. Lei prese posto su una sedia pieghevole di metallo di fronte a lui.
“Come ho detto prima, la ragione per cui sono qui è Ashley Penn. Sa dove si trova?”
L’uomo si passò le dita tra i capelli, con uno sguardo confuso sul viso.
“A casa?”
“No.”
“Non è qui, se è questo che vuol dire.”
“Lei possiede un furgone nero?”
“No.”
“Conosce qualcuno che ha un furgone nero? Qualcuno della band, magari?”
“No. Non capisco. Vuole dirmi che sta succedendo?”
“Non guarda i tg?”
“Non ho una tv e visto che stanotte non avevamo un concerto, ho provato qui per tutta la notte. Mi sono fermato solo per fare una doccia, quindici minuti fa.”
“Era solo? Qualcuno della band può verificare dove si trovava?”
“No. Mi piace lavorare sul materiale nuovo da solo. Mi sta chiedendo se ho un alibi? Seriamente, che cosa succede?”
Keri gli spiegò di come Ashley fosse sparita dopo la scuola quel pomeriggio, studiando per tutto il tempo la sua faccia, cercando di scoprire se già fosse a conoscenza di quello che gli stava dicendo. Lui non tradì nulla di sospetto, solo shock. Keri non sapeva se era sincero o se le sue abilità di performer si estendevano agli interrogatori della polizia.
Mentre lei parlava, lui prese due bicchieri, vi versò dentro del whiskey e ne porse uno a Keri.
Lei scosse la testa così lui lo appoggiò su una cassa.
“Grazie, ma no.”
“Non beve?”
“Non quando sono in servizio,” mentì. “Chi vorrebbe rapire Ashley?”
Walker si scolò il suo bicchiere.
“C’è roba in corso,” disse. “Ma cavolo, non posso parlarne con la polizia.”
“Perché no?”
“Perché potrebbe ritorcersi contro di me.”
“Senti, niente di personale, ma a me non me ne frega niente di te,” disse Keri. “A meno che tu non abbia qualcosa a che fare con questa storia, tu non mi interessi. Quindi lascia perdere i drammi e parlami.”
“Ah, cavolo…”
“Vuoi aiutarla, no?”
“Ma certo.”
“Allora parla. Dimmi quello che sai.”
Sembrò soppesare le sue opzioni, poi guardò Keri dritto negli occhi e disse, “Prima si beva il suo bicchiere.”
“Ti ho detto…”
“Sì, sì, lo so, è in servizio,” disse. “Vuole che parli e che le dica roba che potrebbe ritorcermisi contro? Ottimo, allora mettiamoci alla pari. Faccia qualcosa che potrebbe ritorcersi contro di lei. Lei beve, io parlo. Questo è l’accordo.”
Keri lo squadrò. Poi prese il bicchiere e si sporse verso di lui, dandosi un po’ di quell’aria provocante che si ricordava dei tempi andati.
“Lascia che ti faccia una domanda prima,” disse Keri, sapendo già la risposta, “quanti anni hai?”
“Ventitré. Sono troppo giovane per lei, detective?”
“Rimarresti sorpreso,” gli disse, sporgendosi ancora. “E Ashley ne ha quindici, se mi ricordo bene. Quindi quello che stavi facendo è tecnicamente uno stupro regolamentare. Presumo che sia una delle cose di cui ti preoccupa la ritorsione.”
L’uomo annuì. Keri rimise giù il bicchiere e lo fissò severa.
“Cerchiamo di essere chiari, Walker. Non ti dispiace se ti chiamo Walker, no?”
Lui scosse la testa, non sapendo se stesse ancora flirtando oppure no. Ci pensò lei a schiarirgli le idee.
“Walker, in aggiunta allo stupro, immagino che nel tuo telefono ci siano foto di Ashley nuda. Questo è possesso di materiale pedopornografico, il che è, di nuovo, un reato sessuale. In effetti ogni foto fa conto a sé. Di norma chiamerei il mio grossissimo partner e gli permetterei di prenderti a pugni fino a farti cagare gli organi interni, ma adesso non ne ho proprio il tempo. L’unica cosa per cui ho tempo è trovare Ashley. Quindi parla. Dimmi qualcosa, dimmi tutto, e smettila di preoccuparti di te per dieci secondi. Se con me sarai sincero, non avrai nulla di cui preoccuparti. Se non lo sarai, sarò il tuo peggiore incubo, te lo garantisco.”
Walker deglutì. Era bello vedere il sorrisetto che gli spariva dalla faccia, anche se solo per un attimo. Dopo che si fu ricomposto, confessò tutto.
Stando a lui, anche se la sua band, i Delirio, aveva un discreto successo lì a Los Angeles – avevano anche un singolo in rotazione sulla KROQ – lui non credeva che si sarebbero distinti dal mucchio. C’era troppa concorrenza, lì. Walker – cantante, frontman e compositore – stava pensando di lasciare la band e di andarsene a Las Vegas per provare a farcela come solista. Era la faccia della band, scriveva le canzoni, suonava la prima chitarra. Pensava che sarebbe stato un grosso pesce in un laghetto nel bel mezzo del deserto. Una volta che si fosse sistemato, sarebbe potuto tornare e riempire i teatri invece dei bar. Ashley sarebbe venuta con lui.
“Quindi voi due stavate per scappare insieme?”
Walker si strinse nelle spalle. “Cominciare a vivere è un po’ così. Diventerò grande. E anche lei. L’ha vista, no? È meravigliosa. Ha dato un’occhiata a qualche agenzia per modelle, laggiù. Erano interessati.”
Le informazioni coincidevano con la cronologia internet che Keri aveva trovato sul laptop nella stanza di Ashley.
“C’era solo un problemino,” continuò. “Aveva sempre avuto soldi – non ne aveva mia dovuti chiedere. Sapeva che i suoi non gliene avrebbero dati se se ne fosse andata così. Quindi si mise a scherzare sul fatto di fingere il suo rapimento per chiedere un riscatto.”
Keri cercò di nascondere lo shock che sentiva. Poteva esserci davvero Ashley dietro alla sua stessa sparizione? Non coincideva per nulla con ciò che avevano scoperto finora.
“Credi che sia quello che è accaduto?”
Lui scosse la testa.
“No, era solo uno scherzo. Se dovessi scommettere, direi che tutta questa merda c’entra con Artie North.”
Keri non aveva mai sentito quel nome.
“Chi è Artie North?”
“È un super inquietante addetto alla sicurezza che lavora nella scuola di Ashley. Ha beccato me e Ashley un giorno, dietro alle tribune, sa… a coccolarci. Ha fatto un video col telefonino. Poi quel piccolo maniaco ha cercato di corrompere Ashley perché facesse sesso con lui. Altrimenti ha detto che lo avrebbe caricato su una tonnellata di siti porno.”
“E lei l’ha fatto? Ha fatto sesso con lui?”
“No. Qualcuno ha gonfiato di botte lui, invece.”
“Tu?”
Si strinse nelle spalle.
“Non ricordo. La cosa importante è che lei mi ha detto che da allora non faceva che lanciarle sguardi osceni.”
Keri si rigirava le informazioni nella testa, cercando di trovare un senso a tutto ciò che le era stato detto. Bambocci-predatori nonché rock star, guardie inquietanti, possibili falsi rapimenti – era appena passata dal non avere neanche una pista ad averne troppe. Si alzò in piedi.
“Non lasciare la città, Walker. Seguirò ognuna di queste piste. E se viene fuori che mi hai mentito, porterò qui il mio partner per una visitina intima, capito?”
Lui annuì. Lei afferrò il bicchiere dalla cassa, lo vuotò in un colpo solo e gli lanciò il bicchiere vuoto mentre usciva dalla porta.
“E, per Dio, mettiti su una cavolo di camicia.”
Fuori, chiamò Suarez e gli chiese di mettere insieme tutto ciò che aveva su Artie North e di aggiornarla immediatamente. Poi chiamò Ray.
“Dove sei?” gli chiese.
“Ho appena finito con la scuola. Sto tornando alla stazione.”
“Ci vediamo lì e sali in macchina con me. Non entrare neanche.”
“Che succede?’
“Abbiamo un nuovo sospetto. E mi piacerebbe avere la tua compagnia mentre ci faccio una chiacchierata.”
“Okay. Sei piena di brio.”
“Mi si sono aperte molte nuove piste mentre un bellimbusto ci provava con me, quindi mi capisci, una bella spinta all’autostima.”
“Sono davvero felice per te,” disse Ray con sarcasmo.
“Lo sapevo che lo saresti stato. Ci vediamo tra cinque minuti.”
Keri riappese, mise la sirena sul tettuccio e la accese. Adorava guidare con la sirena accesa.